Stefano Magni
Pubblichiamo la prima parte (su tre) di un’intervista a Sergio Minerbi, ex ambasciatore di Israele a Bruxelles e professore all’Università Ebraica di Gerusalemme.
Mai farsi prendere dall’entusiasmo per le prime impressioni superficiali. Leggere sempre i documenti originali prima di esprimere un parere. Andare controcorrente quando la realtà è diversa dai nostri sentimenti. Si possono riassumere così le regole della conversazione con Sergio Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles e professore all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ci accoglie nella sua casa in uno splendido e silenziosissimo quartiere residenziale della capitale dello Stato ebraico. “Secondo i progetti originali degli inglesi quest’area doveva essere riservata a un nuovo aeroporto – ci spiega – Ma con l’indipendenza la fame di alloggi è cresciuta. Non altrettanto quella per gli aeroporti”. Sergio Minerbi è emigrato in Israele nel 1947, quando non aveva ancora compiuto la maggiore età. E quando Israele non era ancora indipendente. Ha assistito alla nascita dello Stato ebraico e a tutte le sue guerre. In Italia, comunque, è più noto per i suoi studi delle relazioni fra la Santa Sede e il mondo ebraico, tema di cui è uno dei maggiori esperti. Il tema della nostra conversazione verteva proprio su quello, a partire da Benedetto XVI, il Papa che ha abdicato e che, quando sedeva sul soglio pontificio, suscitava non poche polemiche nella stampa italiana. Anche per i suoi rapporti con l’ebraismo. “Chiedo scusa, ma stimo che gli esperti di questo settore siano molto scarsi. O per questa ragione, o per il mio carattere, io dico sempre il contrario”.
Ambasciatore Minerbi, che impressione le ha lasciato Benedetto XVI?
Quando era Papa è stato autore di una svolta di enorme importanza, non sufficientemente apprezzata dai cattolici, né dagli osservatori ebrei: l’aver esplicato il Vangelo, in modo particolare il Libro di Matteo. Quando Benedetto XVI si chiese come fosse possibile far entrare tutto il popolo ebraico nel cortile di Ponzio Pilato, come è scritto nel Vangelo, ha fatto crollare, di fatto, l’accusa al “popolo deicida”. L’accusa secondo cui tutto il popolo ebraico era responsabile per aver chiesto la crocefissione di Gesù. Queste esplicazioni hanno avuto poca risonanza. Di fronte a un cambiamento epocale mi sarei aspettato un dibattito fortissimo, sia da parte dei favorevoli che dei contrari. Invece è passato tutto sotto silenzio. Volutamente sotto silenzio. Ha firmato i volumi della trilogia su Gesù sia come Benedetto XVI che come Joseph Ratzinger. Questa firma doppia mi sembra voglia significare: “questo testo non fa dottrina”.
Come mai, allora, Benedetto XVI è stato accusato di aver fatto grandi passi indietro nei rapporti con l’ebraismo?
E’ vero che il Papa precedente ha compiuto scelte infelici. Il ritorno dei Lefebvriani è stata una di queste. Una mossa sbagliata dal punto di vista della Chiesa. Da un lato fai rientrare un milione di persone. Benissimo. Dall’altro però, queste persone non accettano la disciplina papale. Questa è una questione che potrebbe essere considerata solo interna alla Chiesa, ma non la è, perché uno dei vescovi lefebvriani riammessi è un antisemita dichiarato, Richard Williamson. Io, scherzando, ho già commentato che questo errore sia stato commesso perché Benedetto XVI non aveva un figlio, perché sarebbe stato sufficiente un ragazzino, capace di andare a fare una ricerca su Internet, per trovare tutte le dichiarazioni di Williamson. Invece nessuno, nella segreteria di Stato ha messo in guardia il Papa. E’ una mancanza basilare, incredibile.
Benedetto XVI è stato contestato anche per aver reintrodotto nella liturgia una preghiera che auspica la conversione degli ebrei…
Sì c’è stato un passo indietro che lui è stato costretto a fare per cercare di riaccalappiare i lefebvriani. Che poi non lo hanno ricambiato con la stessa moneta. Si poteva evitare. E rimanere con quanto era stato deciso nel Concilio Vaticano II.
Sempre a proposito di impressioni, si parla più di Giovanni Paolo II come del Papa che riavvicinò la Chiesa al popolo ebraico e Israele.
Lei è d’accordo?
Io ne dubito. Perché ho letto quello che ha scritto. Prima del suo viaggio in Israele nel 2000, Giovanni Paolo II riunì tutti i porporati a Roma e rilasciò una serie di dichiarazioni di riconciliazione con vari popoli e personalità a cui la Chiesa doveva delle scuse. Fra cui il popolo ebraico. Ma la sua dichiarazione di scuse al popolo ebraico è divisa in due parti. Una prima è una sincera richiesta di scuse, la seconda (molto abilmente) non nomina nemmeno gli ebrei. La seconda parte non c’entra niente con la prima. Non è né carne né pesce. Quando Giovanni Paolo II si recò in Israele, andò al Muro Occidentale e tutti dissero che, in quell’occasione, inserì fra le pietre un biglietto contenente la prima parte della sua dichiarazione di scuse al popolo ebraico. Questo non è vero. E non lo dico io, ma Santa Madre Chiesa, che diffuse pubblicamente il testo del biglietto: vi era scritta solo la seconda parte della dichiarazione, quella che non contiene nemmeno la parola “ebrei”. La prima parte è rimasta a Roma. La Chiesa è e resta maestra di ambiguità.
Del nuovo Papa Francesco già si dice che sarà il Pontefice della riconciliazione, sia all’interno della Chiesa che al suo esterno. Lei è d’accordo?
Io sarò sempre un bastian contrario, ma quando leggo la parola “riconciliazione”, mi viene naturale suggerire una pausa di riflessione. E tornare ai documenti scritti. Il primo di questi documenti risale allo scorso 27 aprile. Nel quale viene ripescato di nuovo, dal Vangelo, quel che c’è di antisemita. Francesco invita gli ebrei ad essere una comunità aperta e non una comunità chiusa. Comunità chiusa era quella dei “giudei” (rinfrescare i vecchi termini!) che chiesero ai soldati romani, venuti a riportare la testimonianza sulla resurrezione di Cristo, di tacere in cambio di denaro. Perché “tutto vogliono risolvere coi soldi”.
(1/continua)
http://www.opinione.it/esteri/2013/06/05/magni_esteri-05-06.aspx
Mai farsi prendere dall’entusiasmo per le prime impressioni superficiali. Leggere sempre i documenti originali prima di esprimere un parere. Andare controcorrente quando la realtà è diversa dai nostri sentimenti. Si possono riassumere così le regole della conversazione con Sergio Minerbi, già ambasciatore di Israele a Bruxelles e professore all’Università Ebraica di Gerusalemme. Ci accoglie nella sua casa in uno splendido e silenziosissimo quartiere residenziale della capitale dello Stato ebraico. “Secondo i progetti originali degli inglesi quest’area doveva essere riservata a un nuovo aeroporto – ci spiega – Ma con l’indipendenza la fame di alloggi è cresciuta. Non altrettanto quella per gli aeroporti”. Sergio Minerbi è emigrato in Israele nel 1947, quando non aveva ancora compiuto la maggiore età. E quando Israele non era ancora indipendente. Ha assistito alla nascita dello Stato ebraico e a tutte le sue guerre. In Italia, comunque, è più noto per i suoi studi delle relazioni fra la Santa Sede e il mondo ebraico, tema di cui è uno dei maggiori esperti. Il tema della nostra conversazione verteva proprio su quello, a partire da Benedetto XVI, il Papa che ha abdicato e che, quando sedeva sul soglio pontificio, suscitava non poche polemiche nella stampa italiana. Anche per i suoi rapporti con l’ebraismo. “Chiedo scusa, ma stimo che gli esperti di questo settore siano molto scarsi. O per questa ragione, o per il mio carattere, io dico sempre il contrario”.
Ambasciatore Minerbi, che impressione le ha lasciato Benedetto XVI?
Quando era Papa è stato autore di una svolta di enorme importanza, non sufficientemente apprezzata dai cattolici, né dagli osservatori ebrei: l’aver esplicato il Vangelo, in modo particolare il Libro di Matteo. Quando Benedetto XVI si chiese come fosse possibile far entrare tutto il popolo ebraico nel cortile di Ponzio Pilato, come è scritto nel Vangelo, ha fatto crollare, di fatto, l’accusa al “popolo deicida”. L’accusa secondo cui tutto il popolo ebraico era responsabile per aver chiesto la crocefissione di Gesù. Queste esplicazioni hanno avuto poca risonanza. Di fronte a un cambiamento epocale mi sarei aspettato un dibattito fortissimo, sia da parte dei favorevoli che dei contrari. Invece è passato tutto sotto silenzio. Volutamente sotto silenzio. Ha firmato i volumi della trilogia su Gesù sia come Benedetto XVI che come Joseph Ratzinger. Questa firma doppia mi sembra voglia significare: “questo testo non fa dottrina”.
Come mai, allora, Benedetto XVI è stato accusato di aver fatto grandi passi indietro nei rapporti con l’ebraismo?
E’ vero che il Papa precedente ha compiuto scelte infelici. Il ritorno dei Lefebvriani è stata una di queste. Una mossa sbagliata dal punto di vista della Chiesa. Da un lato fai rientrare un milione di persone. Benissimo. Dall’altro però, queste persone non accettano la disciplina papale. Questa è una questione che potrebbe essere considerata solo interna alla Chiesa, ma non la è, perché uno dei vescovi lefebvriani riammessi è un antisemita dichiarato, Richard Williamson. Io, scherzando, ho già commentato che questo errore sia stato commesso perché Benedetto XVI non aveva un figlio, perché sarebbe stato sufficiente un ragazzino, capace di andare a fare una ricerca su Internet, per trovare tutte le dichiarazioni di Williamson. Invece nessuno, nella segreteria di Stato ha messo in guardia il Papa. E’ una mancanza basilare, incredibile.
Benedetto XVI è stato contestato anche per aver reintrodotto nella liturgia una preghiera che auspica la conversione degli ebrei…
Sì c’è stato un passo indietro che lui è stato costretto a fare per cercare di riaccalappiare i lefebvriani. Che poi non lo hanno ricambiato con la stessa moneta. Si poteva evitare. E rimanere con quanto era stato deciso nel Concilio Vaticano II.
Sempre a proposito di impressioni, si parla più di Giovanni Paolo II come del Papa che riavvicinò la Chiesa al popolo ebraico e Israele.
Lei è d’accordo?
Io ne dubito. Perché ho letto quello che ha scritto. Prima del suo viaggio in Israele nel 2000, Giovanni Paolo II riunì tutti i porporati a Roma e rilasciò una serie di dichiarazioni di riconciliazione con vari popoli e personalità a cui la Chiesa doveva delle scuse. Fra cui il popolo ebraico. Ma la sua dichiarazione di scuse al popolo ebraico è divisa in due parti. Una prima è una sincera richiesta di scuse, la seconda (molto abilmente) non nomina nemmeno gli ebrei. La seconda parte non c’entra niente con la prima. Non è né carne né pesce. Quando Giovanni Paolo II si recò in Israele, andò al Muro Occidentale e tutti dissero che, in quell’occasione, inserì fra le pietre un biglietto contenente la prima parte della sua dichiarazione di scuse al popolo ebraico. Questo non è vero. E non lo dico io, ma Santa Madre Chiesa, che diffuse pubblicamente il testo del biglietto: vi era scritta solo la seconda parte della dichiarazione, quella che non contiene nemmeno la parola “ebrei”. La prima parte è rimasta a Roma. La Chiesa è e resta maestra di ambiguità.
Del nuovo Papa Francesco già si dice che sarà il Pontefice della riconciliazione, sia all’interno della Chiesa che al suo esterno. Lei è d’accordo?
Io sarò sempre un bastian contrario, ma quando leggo la parola “riconciliazione”, mi viene naturale suggerire una pausa di riflessione. E tornare ai documenti scritti. Il primo di questi documenti risale allo scorso 27 aprile. Nel quale viene ripescato di nuovo, dal Vangelo, quel che c’è di antisemita. Francesco invita gli ebrei ad essere una comunità aperta e non una comunità chiusa. Comunità chiusa era quella dei “giudei” (rinfrescare i vecchi termini!) che chiesero ai soldati romani, venuti a riportare la testimonianza sulla resurrezione di Cristo, di tacere in cambio di denaro. Perché “tutto vogliono risolvere coi soldi”.
(1/continua)
http://www.opinione.it/esteri/2013/06/05/magni_esteri-05-06.aspx