Una giornata di studi a Torino sulla figura di rav Menachem Emanuel Artom, il primo dei rabbini “cattivi”
Manuel Disegni
La tradizione ebraica delle lezioni commemorative, soprattutto quando sono dedicati al ricordo di un Maestro, prevede che alla rievocazione della sua figura e alle testimonianze dirette siano alternati momenti di studio vero e proprio. Si considera questo, infatti, il modo più adeguato a onorare la memoria di un rabbino. La seconda sessione del convegno Torath Chajim organizzato nei locali della Comunità ebraica torinese per ricordare rav Menachem Emanuele Artom z.l ha rispettato questo segno distintivo, trovando, fra le dotte lezioni rabbiniche, ampi spazi per soffermarsi sulla personalità di rav Artom, suo lascito umano e intellettuale.
Presieduta da Dario Disegni, il quale ha voluto ricordare l’impegno di rav Artom, durante i suoi anni torinesi, a favore della scuola Margulies Disegni, la seconda sessione del convegno è stata inaugurata dalla toccante testimonianza di rav Roberto Colombo. “Incontrai per la prima volta rav Artom a Venezia quando non avevo ancora tredici anni”, ricorda il rabbino e insegnante. “A quell’epoca ero un ribelle – confida Colombo -; in poco più di un anno rav Artom mi trasformò in un giovane studioso”. L’influenza profondissima che Artom sapeva esercitare, racconta Colombo, passava per un “atteggiamento diretto, razionale: si comportava senza tante manfrine”. “Dietro la sua scorza dura – prosegue Colombo – non era difficile intravedere l’affetto del Maestro nei confronti dell’allievo”.
I torinesi ricordano bene rav Artom. Il periodo in cui fu rabbino capo della Comunità subalpina (1985-1987) fu breve, ma del tutto sufficiente a lasciare un ricordo indelebile che le parole commosse di rav Colombo non fanno che ravvivare: “”un rabbino serio e rigoroso, grammatico coltissimo, uomo burbero ma capace di essere vicino alla gente, di trasmettere l’amore per lo studio, il senso di responsabilità individuale e collettiva”.
Rav Luciano Caro, il rabbino capo della Comunità ebraica di Ferrara, commentando il racconto personale di rav Colombo, nota come tutte le caratteristiche del magistero di rav Artom che nel corso della giornata sono state sottolineate “definiscono l’ideale ebraico del rapporto tra allievo e Maestro, nel quale la componente affettiva”, così presente nel ricordo che di questo rapporto si porta dietro rav Colombo, “gioca un ruolo fondamentale”. L’intervento di rav Caro, che affronta il chiave filosofica l’argomento della colpa e della pena nel pensiero ebraico, si sofferma sull’importanza del ruolo del maestro nella maturazione della coscienza morale dell’allievo. “Il giovane deve essere sollecitato a riflettere e a formarsi autonomamente le proprie convinzioni”. Piuttosto che un pacchetto confezionato e dottrinale, “ciò che il maestro dev’essere capace di offrire sono gli strumenti critici che consentono di distinguere il bene dal male”. Questo fu uno dei più grandi meriti di rav Artom.
Altra caratteristica posseduta da rav Artom, rara e preziosa nel panorama del rabbinato italiano, era la disposizione a partecipare al dibattito civile e politico, “sempre nel pieno rispetto delle opinioni di chi non era d’accordo con lui”, come sottolinea Franco Segre nel ricordare le molteplici discussioni, anche vivaci, intrattenute da rav Artom con il Gruppo di Studi ebraici (di cui Segre è presidente). “Si dibatté a lungo sulle questioni politiche che concernevano l’ebraismo italiano, dell’Intesa e degli organismi centrali”. “La doppia valenza del contributo intellettuale di rav Artom – prosegue Segre – consisteva da una parte nel profondissima conoscenza delle fonti ebraiche e nel rigore halakhico; dall’altra in una radicata coscienza storica e civile, sempre attenta ai temi della laicità e del difficile rapporto delle minoranze religiose con lo Stato”.
Anche nel campo del dibattito bioetico rav Artom non fece mancare la sua sapienza. La relazione di rav Gianfranco Di Segni, rabbino e biologo, ricostruisce le riflessioni di etica medica condotte per molti anni da rav Artom sulle colonne della rivista Torath Chajim. “Era molto presente nelle polemiche che negli anni Ottanta coinvolgevano la società israeliana e l’ebraismo diasporico”. La relazione di rav Di Segni verte in particolare sulle posizioni assunte da Artom riguardo ai problemi sollevati dall’autopsia, dall’eutanasia, dalla contraccezione. Senza mai abbandonare il suo caratteristico rigore halakhico, rav Artom non esitò a entrare in polemica con quelli che definiva “i faccendieri religiosi”, coloro che nel dibattito israeliano assumevano posizioni intransigenti e indisponibili al dialogo.
Tra in numerosi uditori c’è qualcuno che ricorda con ironia il particolare gusto di rav Artom per i paradossi, caratteristica comune alle menti più acute. “Ma se uno, il giorno di Kippur, mangia un panino al prosciutto e formaggio – si divertiva a domandare rav Artom – è tenuto a recitare la Birchat ha-mazon, la benedizione che segue il pasto?”.
Newsletter L’Unione Informa 21/2/2011