Dopo 50 anni di attività Rav Toaff lascia la carica di Rabbino Capo della Comunità Ebraica di Roma
Giacomo Kahn
Qualsiasi cambiamento porta con sé un carico di nostalgia e di preoccupazione per ciò che sarà l’avvenire, ma questa sensazione è ancora maggiore trattandosi di Rav Toaff, la personalità più rappresentativa dell’intera comunità ebraica italiana. Dopo 50 anni di guida spirituale e morale, il Prof. Elio Toaff – da molti in “Piazza Giudìa” chiamato familiarmente ‘Moreno‘, nostro Maestro – lascia la carica di Rabbino Capo della Comunità ebraica di Roma.Fra i tanti meriti nel campo dell’educazione scolastica e dell’insegnamento esegetico, a Rav Toaff va riconosciuta la capacità di aver contribuito a rendere la minoranza ebraica uno fra i più ascoltati gruppi sociali che compongono la nostra società, assicurandole un prestigio e un’autorevolezza che vanno ben oltre il suo limitato apporto numerico. E ciò è stato possibile solo attraverso la personalità, il carisma e le vicende personali di questo Rabbino davvero speciale: partigiano, uomo di lettere e di fede, umanista, filosofo, giudice e ironico osservatore delle persone e della vita.
Tentare di raccontare i 50 anni del suo rabbinato è impossibile e quasi riduttivo nei confronti di un Maestro la cui attività si è svolta non solo in maniera pubblica, ma molto più spesso fornendo in modo riservato aiuto, prestando attenzione, suggerendo consigli e assumendo decisioni anche dolorose e drammatiche.Il suo annuncio di abbandono della carica, rivolto al pubblico presente nel Tempio Maggiore il giorno di Hoshannà Rabbà, è giunto inaspettato; le lacrime di commozione di molte persone presenti hanno rappresentato, più di ogni parola di circostanza, il sentimento e l’affetto che Rav Toaff ha saputo costruire nell’animo di tante generazioni di ebrei romani.Egli lascia la responsabilità della guida spirituale ed organizzativa della Comunità, ma rimane un Rabbino e come tale un esempio nell’indicare la strada ideale che ciascun ebreo deve percorrere.La sua opera spazia in molti campi, ma qui desideriamo sottolineare quello pubblico; nel suo lungo magistero, egli ha incontrato tutte le più alte cariche dello Stato italiano, ha costituito per tutti i primi Ministri dello Stato di Israele un interlocutore e un consigliere politico, ha rappresentato la tipicità e la straordinaria vitalità dell’ebraismo italiano in tutte le sedi internazionali e davanti ai Rabbini Capo di Israele.
Per i non ebrei egli è l’artefice dello storico incontro nella Sinagoga con il Pontefice Giovanni Paolo II, è un rabbino che più di altri ha percepito la necessità di riannodare il dialogo interreligioso tra le due più antiche Fedi monoteiste, a condizione che entrambe le confessioni si presentassero sullo stesso piano di uguaglianza. L’immagine del rabbino che accoglie all’ingresso del Tempio il successore di Pietro è entrata nella Storia: da quell’incontro sarebbe nata una nuova relazione tra la Chiesa e l’Ebraismo, relazione che negli anni avrebbe portato al riconoscimento dello Stato di Israele, poi al ‘mea culpa‘ ed infine alla visita del Papa al Kotel, il Muro Occidentale del Tempio di Gerusalemme. Se la Storia, in qualche modo, è cambiata; se gli ebrei da ‘perfidi giudei‘ sono divenuti ‘fratelli maggiori‘, è innegabile che una parte del merito sia da ascrivere a Rav Toaff.
Giunto nel 1951, dopo aver già ricoperto le cariche di rabbino capo di Ancona e di Venezia, Rav Toaff trovò una Comunità lacerata al suo interno da due condizioni: da un lato una povertà economica diffusa che contrapponeva una gran parte di popolazione sottoproletaria con pochi strumenti, ad una piccola classe borghese in crescita e desiderosa di uscire culturalmente dal ghetto; dall’altro una Comunità ancora comprensibilmente dilaniata dalle conseguenze delle deportazioni e che cercava di costruire una metodo comportamentale per imparare a convivere con il dolore prodotto dalla Shoà.
La cultura ebraica, in quegli anni, non era di moda né fra gli ebrei né fra i ‘goim‘ e Rav Toaff si assunse il compito, insieme ad un gruppo di giovani rabbini coetanei, di educare e trasmettere alle nuove generazioni i valori e gli insegnamenti della tradizione, e di operare un rinnovamento culturale dopo i lunghi anni bui della dittatura fascista.Rav Toaff ha saputo gestire, guidare e tenere unita una Comunità che negli anni si è andata frammentando in diversi gruppi che, altrove, non sempre hanno dialogato fra loro. Rav Toaff ha guidato, ad esempio, l’integrazione della comunità tripolina, garantendole ad un tempo la conservazione delle sue tradizioni, ma anche evitando che essa si richiudesse in se stessa formando una comunità dentro la Comunità, una situazione che purtroppo si è invece verificata in altre città italiane.I risultati del suo lavoro sono davanti agli occhi di tutti: scuole, ristoranti e macellerie kascher, sinagoghe, centri comunitari parlano di un ebraismo romano vivo, molto più consapevole di un tempo della propria identità ed orgoglioso di mostrare senza paura il valore delle proprie tradizioni.
Ma Rav Toaff non è stato solo un fine diplomatico ed un Maestro: è stato anche, quando le condizioni lo hanno richiesto, un ‘uomo sulle barricate’, primus inter pares nel difendere le ragioni di una minoranza. Eccolo insieme alla ‘sua’ gente nelle notti di veglia e di preghiera durante la Guerra dei Sei Giorni e la Guerra del Kippur; scandalizzato come tutti per la vergognosa fuga organizzata per liberare Kappler; furente per l’oltraggio della bara posta dal movimento sindacale davanti alle lapidi che ricordano gli ebrei romani deportati; abile tessitore nel trovare una soluzione al problema delle elezioni politiche del 1994 (che si svolsero durante la Pasqua ebraica).
Ci sarebbero tante immagini da riportare alla mente, tante occasioni da ricordare. Su tutte domina però il ricordo del suo fermo monito alla gente di “Piazza” davanti all’ingresso del Tempio, nel giorno più disperato di questa Comunità, al funerale del piccolo Stefano Taché z.l.Mai come in quelle ore Rav Toaff seppe tenere a freno la rabbia e l’indignazione di migliaia di ebrei che si erano sentiti traditi e non difesi dal proprio Paese; egli seppe trasformare quella rabbia e quella contestazione nel muto ma assordante silenzio con cui fu accolto l’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini.Insieme alla Torà, Rav Toaff ha insegnato le regole della democrazia e il senso civico dello Stato e per questa sua opera educativa, per il suo impegno contro ogni razzismo e per il riconoscimento dei diritti di qualsiasi minoranza, gli è stata conferita la ‘cittadinanza onoraria’ della città di Roma consegnatagli direttamente dalle mani del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi e dal sindaco Walter Veltroni.Per Rav Toaff vale quanto è scritto nei Pirké Avòt (Le Massime dei Padri) a nome di Rabbì Shimòn: “Vi sono tre corone: la corona della Torà, la corona del sacerdozio e la corona del regno. Ma la corona del buon nome le sovrasta tutte“.Con l’augurio di tutta la redazione di SHALOM, che possa portare avanti ancora per molti anni la sua opera di Maestro e di educatore per le nuove generazioni.