Intervista al gestore del nuovo deli kasher di Roma: Barrili 66
Mangiare kosher ”non è come andare al ristorante cinese”. Perché il kosher non è solo ”un modo di preparare il cibo”, ma una ”certificazione di qualità”. Parola di Simone Efrati, che – insieme a Lino Bedi e allo chef egiziano Giorgio – gestisce da un paio d’anni Barrili 66, il primo kosher Deli d’Italia. Efrati è ben contento di poter sfatare con Puntarella Rossa qualche mito attorno alla cucina ebraica, che nel futuro ”sarà il nuovo bio”. Dal suo locale, 50 metri quadri nel cuore di Monteverde Vecchio, prima alimentari, ora Deli e pure ristorante, sono passate ”le migliori famiglie ebraiche della Capitale”, il rabbino capo della comunità ebraica romana, molti americani (tra cui, pare, anche una giornalista di Wikileaks). La sua filosofia? ”Massima qualità secondo le regole loro (della religione ebraica, che lui osserva, ndr) e sapori secondo il mio gusto e come si mangia a casa mia”.
Cominciamo dall’abc. Che cos’è esattamente un Deli e perché aprirlo a Roma?
“Deli deriva da Delicatessen: erano piccole produzioni artigianali locali, macellerie, che vendevano i loro prodotti, le loro delicatezze, nate nel centro Europa, in Polonia, nell’Est. E che dalla produzione si sono spostate verso la vendita, passando per la ristorazione leggera, fino al ristorante vero e proprio. L’idea ha preso forma nella mia testa negli Stati Uniti, dove sono stato per un paio di mesi a fare tutt’altro, prima che mia moglie mi dicesse che era in arrivo la nostra terza figlia. Ma nasce da un ricordo un po’ più lontano, da un dive-bar sulla spiaggia di Haifa, che ho incontrato molti anni fa. Un localino in riva al mare, dove si mangiava veloce, un ritrovo per i surfisti. A New York vanno alla grande, a Roma non ce n’erano. C’era l’alimentari di papà, che voleva mollare tutto dopo la crisi. L’ho rilevato, ed è iniziata l’avventura”.
Sveliamo allora qualche segreto della cucina Kosher.
“Kosher significa adatto. Non è solo un modo di trattare il cibo, è una certificazione igienico-sanitaria, che va oltre la regola religiosa, perché porta a vivere meglio. A mangiare cibi sani e controllati rigorosamente, in cui è impossibile trovare batteri killer’lKosher per questo, sono sicuro che diventerà il nuovo biologico. Qui non ci sono soldi da pagare per ottenere certificazioni. C’e’ la regola religiosa da rispettare, che pensa prima di tutto alla salute e alla salvaguardia del prossimo”.
Una sorta di certificazione di origine controllata?
“Esatto, la carne o le materie prime kosher scadono dopo pochi giorni. La carne diventa nera, verde, perché non ha conservanti, non ha coloranti. Per il mio Deli, ad esempio, ho scelto solo carne sarda, vado a vedere le mucche, hanno il sangue rosso, areato fresco perché non stanno in allevamento. Idem per la bottarga, l’Oro di Cabras o Su Tianu Sardo, che hanno certificazione ebraica molto elevata. O la breasaola, che arriva dalla Valtellina”.
Facciamo qualche esempio delle regole da seguire.
“Ci sono tremila regole da rispettare, a partire da quelle più conosciute come non poggiare e non tagliare la carne e il pesce sullo stesso tagliere e con gli stessi coltelli, non unire carne e latte. Questo per esempio, si fa perché entrambi gli alimenti contengono proteine, e insieme appesantiscono lo stomaco, rendono difficile la digestione. Allo stesso modo non mangiamo i molluschi perché sono ‘biocondizionatori’ marini, che si mangiano tutte le schifezze del mare. C’e’ poi, il divieto assoluto del maiale, ma forse questa è l’unica cosa che sanno tutti”.
E ci sono controlli?
“Sui controlli la comunità ebraica di Roma è molto seria e scrupolosa. Se un rabbino arriva a fare un controllo e c’e’ qualcosa che non va, prende e butta direttamente. Se chiedete in giro nei posti che fanno Kosher se hanno il ‘controllore fisso’, quando vi rispondono di si’ significa che hanno fatto qualche infrazione particolarmente grave. Questo vale per tutti i ristoranti Kosher di Roma, compresi quelli del Portico di Ottavia”.
Anche per il vino ci sono regole da seguire?
“Per il vino ci sono due trattamenti. Mevushal, che tradotto significa ”cotto” al mosto per fargli perdere la gradazione. E’ come se il vino venisse ‘spento’ per non creare pericolo. Per la religione ebraica è bevanda con cui stare molto attenti. Anticamente veniva usato per i riti propiziatori, o per i baccanali, ma da noi l’idolatria e’ assolutamente vietata. Quindi massima attenzione, soprattutto quando si tratta di vino ‘non Mevushal’. Ad esempio non si può aprire se a tavola c’e’ qualcuno più osservante di te, come ad esempio un rabbino. Avrà lui il compito di aprire la bottiglia, e versarlo ai commensali, stando attento che non rechi nessun danno. Ad esempio, se qualcuno rischia di ubriacarsi, non gli sarà più servito, perché il compito del rabbino è quello di pensare alla salute e alla salvaguardia del prossimo”.
Come si traduce a Barrilli 66 l’ispirazione americana insieme alla regola Kosher?
“Al Deli facciamo una cucina mista, un po’ internazionale, americana e mediorientale, e un po’ italiana. Quella che ho assaggiato girando il mondo, quella che era nell’idea originaria di mia madre, che vende la seta. Da noi si trovano gli hamburger, di manzo sceltissimo, in stile Usa. E ci siamo inventati lo Special One (100 grammi di hamburger e carne secca), ma anche il Millennium, una specie di doppio Special One (con carne fracosta e carne secca), conditi con salsa barbecue che importiamo direttamente dagli Stati Uniti, così come il Pastrami che arriva da Brooklyn. Ma ci sono anche falafel e hummus e poi la carbonara o l’amatriciana versione ebraica (senza guanciale, ma con la carnesecca). Per riproporre il sapore del pecorino, per un periodo abbiamo essiccato della carne di pecora da grattuggiare sopra il sugo”.
Come mai a Monteverde e non al Ghetto? C’e’ differenza?
“Intanto qui abbiamo la bellissima gente di Monteverde che viene. Non siamo vincolati alle esigenze turistiche del centro. Monteverde è una realtà totalmente diversa, con un altro tipo di cultura a livello culinario-intellettuale. I nostri clienti sono per il 70% non ebrei, e noi puntiamo, a differenza di chi lavora con i turisti, sulla qualità, perché il nostro successo si misura se un cliente torna per la terza volta”.
Via Barrili 66, tel. 06.5809290
http://www.barrilikosherdeli.com/wordpress/
http://www.puntarellarossa.it/2011/06/21/barrili-66-il-kosher-sara-il-nuovo-bio/