Fortunatamente non tutti i re si chiamano Achashverosh. Ci siamo già dimenticati dei secoli bui in cui gli ebrei romani loro malgrado dovevano partecipare all’incoronazione del nuovo papa recandogli in omaggio un Sefer Torah? La differenza rispetto alla Roma medioevale, in cui il prezioso dono non era sempre gradito, è che la Londra odierna può invece contare su un sovrano che fin dai primi mesi del suo regno ha mostrato grande attenzione per le comunità religiose: una sensibilità che va senz’altro applaudita e assecondata.
Mi è stato domandato un commento sulla scelta di rav Ephraim Mirvis, Rabbino Capo del British Commonwealth, di partecipare all’incoronazione di re Carlo III nell’Abbazia di Westminster. È ininfluente il fatto che si trattasse di una chiesa protestante: in particolare l’anglicanesimo dispone di un apparato liturgico di immagini simile a quello cattolico. Egli stesso ha spiegato la sua posizione in un video, affermando di essersi ispirato al suo predecessore Rav Adler, che nel 1902 si comportò analogamente nei confronti di Edoardo VII. Mi risulta che qualche anno fa anche il compianto Rav Sacks z.l. prese parte a una cerimonia della casa reale nell’abbazia, sollevando non poche perplessità.
Rav Mirvis ha proseguito il suo discorso riferendosi al versetto della Parashat Emor della settimana in cui D. dice: “Sarò santificato in mezzo ai Figli d’Israel” (Wayqrà 22, 32). Esso ci insegna la Mitzwah del Qiddush ha-Shem (santificazione del Nome di D.). Illustrandone il senso ha ricordato l’interpretazione di Rav Kamenetzki: il versetto è scritto inusitatamente nella forma passiva per insegnarci che questa è la sola Mitzwah cui ogni ebreo è tenuto dalla nascita, senza cioè attendere l’età del Bar Mitzwah. Il Qiddush ha-Shem non si esaurisce con un atto specifico: a ciò siamo obbligati in ogni frangente della nostra vita, con l’intera nostra personalità, qualsiasi attività ci veda impegnati. Per il solo fatto di essere ebrei, dobbiamo tenere presenti che ci troviamo nella condizione perenne di Benè Melakhim, principi a nostra volta (cfr. Bavà Metzi’à 113b), figli del Re dei re dei re, il Santo che benedetto sia, al cospetto del quale non possiamo mai sottrarci. Ciò che il Rav ha lasciato intendere è che in quanto avvezzi a prendere ordini dal Re, nella misura in cui è sempre un re a chiamare obbediamo. Anche se si tratta, all’occorrenza, di un re terreno.
Ragionamento ardito: come conciliarlo con le prescrizioni ebraiche? La Halakhah prevede la recitazione di una speciale Berakhah alla vista di un re anche non ebreo, dal testo significativo: “Benedetto tu D. … che hai condiviso parte della Tua Dignità con un essere di carne e sangue” (Shulchan ‘Arukh, Orach Chayim 224, 8, sulla base di Berakhot 58a). Il re terreno partecipa dunque intrinsecamente della Divina maestà, in forza del principio per cui “è per Mia virtù che i re regnano” (Mishlè 8, 15). Per questo motivo è Mitzwah anche cercare di vedere i re (224, 9). Il Chidà di Livorno testimonia nel suo Ma’agal Tov di aver recitato la Berakhah incontrando Luigi XVI a Versailles il 6 gennaio 1778. Ricordo io stesso di aver assistito un Sabato pomeriggio al passaggio di re Juan Carlos di Spagna in visita a Bologna dove vivevo nel 1988 allo scopo di compiere la Mitzwah! Persino nei confronti del malvagio Faraone Moshe ricevette da D. la disposizione di rispettare il kevod malkhut, almeno a parole (Rashì a Shemot 6, 13). Salvo che quando il re d’Egitto gli chiese di pregare affinché arrestasse la piaga della grandine, Moshe gli rispose che non l’avrebbe fatto finché non fosse uscito dalla città: lì c’erano troppi idoli perché egli potesse rivolgersi al D. d’Israel (Rashì a Shemot 9, 29).
Mi astengo dal giudicare l’operato di Rav Mirvis, ma lo comprendo appieno. E non per una ragion di stato pura e semplice. I Pirqè Avot ci ammoniscono di “non giudicare il tuo prossimo finché non ti trovi al suo posto” (2, 4). Commenta Meirì: finché non sei andato a vedere dove vive. Considera l’ambiente che lo circonda. L’Italia è oggi una repubblica, in cui vige la separazione fra stato e chiesa. Noi siamo pertanto relativamente liberi di negoziare i nostri incontri con le istituzioni religiose senza temere un’accusa di lesa maestà nei confronti di quelle civili. L’Inghilterra, invece, è una monarchia, dove per di più il capo dello stato è anche capo della chiesa. Se il monarca ti invita alla sua incoronazione nella sua cattedrale sarebbe estremamente arduo come suddito dirgli di no, ancorché tu sia un “diversamente fedele”. La Halakhah globalizzata a sua volta non può non tenere conto di certi particolarismi.
Durante la sfarzosa cerimonia a Westminster i capi religiosi sono stati invitati a presentare al nuovo sovrano le insegne regali, a turno una per ciascuno. Quando è giunto il momento di Rav Mirvis è apparso solo il manto che egli portava (“garment of salvation”, ha commentato l’arcivescovo di Canterbury traducendo Yesha’yahu 61, 10!). Il Rav deve aver chiesto di non essere inquadrato, per rispetto dello Shabbat, e i cameraman della BBC lo hanno accontentato. Rinunciare deliberatamente a mostrare la propria immagine in un contesto di culto delle immagini, religiose o mondane che siano, è già di per sé certamente un grande Qiddush ha-Shem.