Simona Foà è ricercatrice e docente di critica letteraria e letterature comparate all’Università di Roma Tor Vergata. In occasione della Giornata europea della cultura ebraica, sarà tra i relatori del convegno “Il giudaico romanesco: passato, presente e futuro di un’antica lingua”, il 18 settembre al Palazzo della Cultura a Roma. Ha inoltre curato i pannelli della mostra “È tutta ‘na commedia”, realizzata da Memoria srl, in collaborazione con ADEI WIZO, Federazione Unitaria Italiana Scrittori (FUIS) e Centro Romano di Studi sull’Ebraismo (CERSE).
Professoressa, da dove nasce il suo interessamento per il giudaico romanesco?
Il mio interesse per il giudaico romanesco si inquadra all’interno dei miei studi sulla letteratura prodotta dagli ebrei in Italia dal Medioevo alla contemporaneità.
Esattamente, cos’è il giudaico romanesco, e qual è la sua storia?
Il giudaico-romanesco appartiene alla famiglia delle cosiddette parlate giudeo-italiane, ossia alle lingue usate tra il XVI la fine del XIX secolo in Italia dagli ebrei che vivevano all’interno dei ghetti, e, come queste, è caratterizzato soprattutto dalla presenza di vocaboli o forme linguistiche provenienti dalla lingua ebraica. Con l’apertura del ghetto nella seconda metà del XIX secolo, il giudaico-romanesco era destinato a scomparire come lingua di uso quotidiano, perché gli ebrei ormai potevano parlare non solo fra loro, ma anche con il resto della città. Sopravvissuto nel parlato soprattutto come lingua familiare, nel corso del XX secolo il giudaico-romanesco è riuscito a trasformarsi in una lingua letteraria grazie al poeta Crescenzo Del Monte.
Qual è l’”anima” intima di questo linguaggio? Lingua del ghetto, della separazione, ma anche della tradizione ebraica romana…
È difficile definire l’“anima” di una lingua prescindendone dall’uso. Nel suo uso il giudaico romanesco è stata senz’altro la lingua della povertà e della separazione in quanto era usata soprattutto dalla parte più povera, anche culturalmente, degli abitanti del ghetto. Inoltre essa si può considerare come una sorta di “linguaggio cifrato”, per così dire, perché usata per non farsi capire in contesti quotidiani o difficili. Ricordo che mia madre e mia nonna usavano parlare fra loro in giudaico romanesco quando non volevano farsi capire da noi bambini.
Una importante caratteristica del giudaico romanesco rispetto al romanesco, è di essere linguisticamente più arretrato, perché, essendo stato utilizzato da una comunità di parlanti che viveva nel chiuso delle mura del ghetto, ha risentito meno dell’influenza che dal XVI secolo in poi il romanesco ha subìto da parte del toscano. In questo modo ha mantenuto delle forme linguistiche che lo avvicinano ai dialetti meridionali, come il napoletano.
Una lingua popolare, che però quando è “uscita dal ghetto” è diventata anche una lingua letteraria, in particolare grazie all’opera di Crescenzo Del Monte, ma non solo. Ci dà qualche riferimento letterario, utili per chi volesse approfondire?
Lo scrittore principale in giudaico-romanesco è senz’altro Crescenzo Del Monte (Roma 1868 – Roma 1935). A lui si devono anche i primi studi, che accompagnavano la pratica della poesia in dialetto. Erede diretto delle tradizioni del ghetto, egli si rese conto che l’apertura delle mura, avvenuta nel 1849, e la conquista dei diritti civili da parte degli ebrei romani dopo il 1870, avrebbero portato alla scomparsa di tali tradizioni e si impegnò affinché ciò non avvenisse. Egli scrisse:
Ogni ebreo preferiva sentirsi unicamente italiano, cittadino del nuovo regno costituzionale, in pieno possesso dei diritti civili e politici […] Bisognava intensificare tutto ciò che univa gli ebrei agli altri cittadini, alienare tutto ciò che da questi potesse ancora tenerli distaccati. […] Ed ecco quindi man mano, decadere e corrompersi 1’antico dialetto serbatosi fino allora inalterato attraverso i secoli; e bandirsi nei nuovi nati quei nomi semitici, o comunque antiquati e resi esclusivi dalla lunga consuetudine di trasmetterli di generazione in generazione, con rigida norma, e abbandonarsi quelle pratiche, quei costumi, quelle tradizioni, che sembravano singolarizzar troppo gli ebrei e avrebber potuto troppo distinguerli.
Crescenzo Del Monte pubblicò tre volumi di poesie in giudaico-romanesco, Sonetti giudaico-romaneschi (Firenze 1927), Nuovi sonetti giudaico-romaneschi (Roma 1932), Sonetti postumi giudaico-romaneschi e romaneschi (Roma 1955). Le sue poesie sono accompagnate da annotazioni che descrivono e spiegano, oltre le parole, anche le circostanze, l’ambiente e i gesti dei personaggi rappresentati: donne e uomini colti nell’espressione quotidiana che fanno vivere un microcosmo chiuso in se stesso quale era il ghetto prima della sua apertura alla città, e nello stesso tempo rappresentano le nuove figure di ebrei inseriti nella vita civile italiana dopo l’apertura del ghetto.
Ai volumi di poesie Crescenzo Del Monte aggiunse alcuni studi di carattere linguistico e folklorico che culminarono in un glossario del dialetto giudaico-romanesco, rimasto incompiuto e pubblicato postumo.
Un’altra figura significativa è stata quella di Salvatore Fornari: le poesie composte durante l’intero arco della sua vita sono state raccolte in Cento sonetti giudaico-romaneschi (Roma 1993) e in Poesie giudaico-romanesche inedite (Roma s.d).
È da notare inoltre che all’interno della produzione letteraria in romanesco, come nella poesia del grande Giuseppe Gioachino Belli e negli scritti di Giggi Zanazzo, si trovano alcuni importanti inserti in giudaico-romanesco, come testimonianza della lingua parlata dagli ebrei di Roma.
Infine, per chi voglia qualche riferimento più recente, in particolare sui modi di dire e sulle espressioni degli ebrei romani, va fatta una doverosa segnalazione degli studi di un grande cultore del giudaico romanesco oltre che di cultura ebraica in generale, il Morè Nello Pavoncello, che ha scritto Modi di dire ed espressioni dialettali degli ebrei di Roma (Roma 1988).
Che futuro ha la parlata giudaico-romanesca?
Una lingua, qualunque lingua, vive nel suo essere usata. Tra gli inizi degli anni Ottanta e la metà del decennio successivo un gruppo di giovani ha avuto l’idea di portare in teatro il giudaico-romanesco: la compagnia “ Chaimme, ’a sore, ’o sediaro e ’a moje”, ha portato sulla scena diversi spettacoli che hanno avuto un notevole successo. Ancora oggi il teatro in giudaico romanesco è una realtà culturale importante della comunità ebraica romana. Certo, come lingua oggi il giudaico romanesco è poco usata. Sarebbe bello se gli alunni delle scuole ebraiche romane la “adottassero”, studiandola e riconoscendola tra le espressioni usate dai loro amici, genitori, nonni. Sarebbe un modo per mantenere viva la storia e la memoria di uno degli aspetti più significativi della comunità ebraica più antica del mondo.
mdp
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