La campagna inglese per proteggere il diritto alla shechità
Breve recensione del libro di Lerner P. – Rabello A. M. “Quaderni del Dipartimento N. 88, 2010” , Università di Trento; Dipartimento Scienze Giuridiche
Paolo Pozzi
Da veterinario quale sono mi ha affascinato in modo particolare un libro, anzi un manuale, stampato a Livorno nel 1832, ed intitolato “Zivchè cohen”, scritto da Isach Coen. Si tratta di un manuale per “shochatìm” (macellatori rituali), corredato di tavole anatomiche di rara bellezza e precisione per l’epoca e per gli scopi prefissati, ovvero “istruire” un macellatore!
Sin dall’inizio, il “sommario delle regole di shechità“, a pag. 9, riprende il concetto dibattuto da Lerner e Rabello nella loro pubblicazione:
“È stato prescritto che la lama tagliente che si adopra a tale uso sia esente da ogni intacco che chiamasi peghimà almeno per quanto può cadare sotto i sensi, perche esistendovene produrebbe lacerazione, ed aumenterebbe le pene dell’animale, mentre si vuole che la morte ne sia istantanea, e la meno dolorosa possibile…”
ed ancora più avanti il testo insiste sulla velocità della recisione dei grossi vasi del collo:
“per rendere come si disse meno penosa la more dell’animale”
ed ancora evitare di conficcare il coltello di punta:
“malgrado che la operazione riuscisse perfetta … lo sforzo necessario a trapassare la pelle in tal guisa cagiona dolore”
Circa due secoli fa, nella bella Toscana, tali affermazioni vanno veramente considerate non solo e non tanto da “animal welfare” ante-litteram quanto intrinseche nelle finalità stesse della shechità, ovvero una forma di abbattimento dell’animale finalizzata, oltre che al più completo dissanguamento, and una morte compassionevole e “meno dolorosa possibile” dell’animale.
Lerner e Rabello affrontano contemporaneamente nella loro monografia due problematiche: una legata al concetto di “compassione” relativa all’uccisione dell’animale, tematica di comprensione pressoché universale (sebbene ancora non da tutti e non in tutti i casi ritenuta “primaria”, e ne vedremo il perché!) ed una legata al concetto di “ritualità “ o “religiosità–sacralità” dell’atto di uccisione – macellazione, concetto questo totalmente estraneo e pressoché incomprensibile all’interno della dominante cultura cristiana in generale (europea e non).
La difesa della shechità si scontra, quindi, con due gruppi di ostacoli:
– ostacolo tecnico è supposto “maggior dolore”
– ostacolo filosofico è non c’è “sacro” o “religioso” nella macellazione; questa è un atto finalizzato alla soddisfazione di un mero bisogno fisiologico: l’alimentazione
Sia l’ostacolo tecnico che quello filosofico vengono però affrontati, dagli oppositori della shechità, in un unico modo: più e prevalentemente “emozionale” e meno “tecnico”.
E tento di spiegarmi meglio:
L’asettica dinamica della shechità da un punto di vista stettamente anatomico (o veterinario) non lascia troppo margine di dubbi:
- la recisione delle carotidi porta alla pressoché immediata incoscienza dell’animale
- se la recisione delle carotidi è contemporanea, il processo è rapidissimo – immediato
- se raggiungo le carotidi, profondamente nel collo, con un gesto (è taglio) rapidissimo ed immediato, riesco a “bypassare” la sensazione di dolore generata dal taglio stesso
- se utilizzo lo strumento adeguato per raggiungere le carotidi in modo rapido / immediato (è coltello adeguatamente lungo, alto ed affilato) raggiungo tutti gli scopi prefissati: taglio velocissimo e contemporaneo di entrambe le carotidi, incoscienza dell’animale, mancanza di dolore.
Chi avesse mai assistito ad una shechità di bovino, anche adulto, concorda con me che la “durata” dell’operazione è non misurabile in quanto immediata.
Per essere ancora più precisi (e per fornire un termine di paragone conosciuto) la velocità della shechità non è nemmeno minimamente paragonabile al quella di una normale “giugulazione” (sia di bovini che di suini) ancorché dopo lo stordimento
Eventuali critiche alla shechità dovrebbero, forse, concentrarsi sulle “tecniche” della shechità stessa, sul pretendere una rigorosa osservanza della adeguatezza dello strumento d’uccisione (…deve avere una dimensione doppia del collo dell’animale…..e per evitare errori di calcolo una lunghezza non minore di quattordici dita” sempre dal Zivchè Cohen cui sopra), sulla preparazione dell’operatore, sul suo periodico riesame, più che sulla shechità; in se e per se.
Non escluderei a priori un intervento del Legislatore in merito a strumentazione e macellatore.
Ciò parimenti al suo intervento sulla tensione elettrica o sul tenore in CO2 o sugli apparecchi a proiettile captivo quando tratta degli strumenti di stordimento.
Viceversa la critica alla shechità è affrontata in modo prevalentemente emozionale e, mi permetto di sconfinare dalla mia professione, quasi antropomorfico: “se io dovessi morire con la gola tagliata, preferirei che prima mi sparassero in testa o mi stordissero con un sonnifero”.
Il paragone non vale!
Il secondo ostacolo che vorrei affrontare è quello di tipo filosofico:
– non ci sono “ sacralità“ o “religiosità“ nella macellazione.
Il negare o non riconoscere, da parte di un certo gruppo culturale, il carattere sacro-religioso di un atto, praticato da un altro gruppo, non intacca minimamente il concetto che “l’altro gruppo” continui ad attribuire un significato religioso-filosofico all’atto stesso.
La negazione rischia di portare velocemente alla non-comunicazione!
Un atteggiamento, viceversa, pro-animalista, non può non definirsi “filosofico” in senso lato, in quanto, per il fatto stesso di essere pro-animalista, riconosce nel rapporto uomo-animale un atteggiamento per nulla meccanicistico, biecamente utilitaristico o strettamente “tecnico”.
Ciò anche se chi fosse pro-animalista non si riconoscesse in alcuna fede religiosa.
Ma allora tra il “pro-animalista” ed il “religioso” esiste un ben preciso punto di contatto, che vale la pena di evidenziare e di “utilizzare”.
Entrambi riconoscono un “valore intrinseco” all’animale in quanto “essere vivente” e, per il solo fatto di “essere”, l’avere alcuni diritti.
O nei confronti del quale si hanno, perlomeno, dei minimi doveri.
Tra i quali, il dovere di assicurare una morte “pietosa” e, aggiungerei, quando, e se, strettamente necessario!
Ebbene, tali “doveri” (o, specularmente, diritti) trovano concordi Ebraismo e perlomeno una certa forma di “pro-animalismo” che varrebbe decisamente la pena ammettere e riconoscere.
Andrebbe riconosciuto, in generale, alla shechità perlomeno il merito di “preoccuparsi a priori” del problema di una morte compassionevole dell’animale (ed esclusivamente solo per fini alimentari!) Cosa che, come già ripetuto, non si pone “a priori” in molte culture e di certo non in quella cristiana.
La morte compassionevole fa parte ed è intrinseca alla shechità stessa da quando l’Ebraismo stesso si è costituito.
Quanti, pro-animalisti compresi, sarebbero disposti a rischiare la perdita economica o il deprezzamento di un animale macellato se la macellazione risultasse “non compassionevole”? Nessuno! Infatti non c’è alcuna procedura o proibizione intrinseca nelle correnti legislazioni, Europee e non, che deprezzi il valore o condanni alla discarica o dichiari immangiabile un animale malamente – “crudelmente” macellato.
Ciò esiste relativamente alla shechità, ed ha un tal forte valore che non si fa praticare la shechità a chi non si sia dimostrato in grado (su carcasse) di praticarla correttamente.
Se volete, lo spettro della perdita economica induce all’affinamento ed al perfezionamento della tecnica, ad un adeguato tirocinio e rodaggio del futuro macellatore.
Il quale non lavorerà mai da solo, prescrivendo la shechità la presenza di un Controllore che affianchi il Macellatore e ne controlli l’attività.
Immagino e ravvedo qualche sorrisetto ironico! Ripeto: quanti, al di fuori della shechità, rischierebbero il valore dell’animale? Quanti rinuncerebbero alla velocità delle catene di macellazione per assicurare una “migliore morte” all’animale? Quanti sarebbero disposti ad assumersene i maggiori costi?
La shechità perlomeno da sempre si pone il problema e lo risolve con una tecnica raffinata e precisa.
Come sopra accennato, la finalità ultima della shechità, al di là della tecnica in se e per se, è finalizzata all’alimentazione umana. Le regole di kashrùt (adeguatezza alimentare rituale) sugli animali, contemplano:
– solamente alcune specie di pesci, di volatili e mammiferi ruminanti, escludendo una vasta serie di animali peraltro comunissimi sulle tavole di tutto il mondo (molluschi, crostacei, anfibi, cavallo, maiale, coniglio/lepre e, in alcune aree, anche cammello)
– solamente una tecnica di uccisione dell’animale: la shechità. Sebbene teoricamente possibile, la selvaggina derivante dalla caccia (sia pure di animali kasher) è tutt’oggi universalmente proibita. Va da se che la caccia in quanto “sport”, non potendo essere finalizzata all’alimentazione kasher, è di per se proibita in quanto gratuita uccisione di esseri viventi.
Proibite, esulando dal concetto di kashrùt ma rimanendo in quello di “uccisione gratuita”, tutte le pratiche che comportino uccisione e sofferenza animale, tipo corrida, corsa dei tori, corsa degli asini, corse di cavalli particolarmente cruente tipo il Palio (che comporta spesso ed inevitabilmente l’abbattimento sul posto di animali malamente feriti)
Da questi punti di vista kashrùt e shechità di fatto limitano rigorosamente ed estremamente l’uccisione di esseri viventi: solo alcuni, solo per alimentazione, solo in un determinato modo; con ciò non riconoscendo alcun valore (né superiore né tantomeno positivo!) ad esigenze dettate dal “piacere” e/o dal gourmet o tantomeno dallo sport!
Kashrùt e shechità conservano valori di necessità e di continenza pressoché sconosciuti in altre culture (europea e cristiana per prime) e che potrei definire “ecologiste” ante-litteram!
Quanto sopra non è solamente finalizato alla difesa della kashrùt-shechità quanto propedeutico a due altri concetti che vorrei fossero considerati da chi osteggia al shechita’, ma di cui non trovo traccia: numeri e necessità.
Per motivi di spazio, tralascio di occuparmi di crostaci marini (aragoste, granchi, oltre 1,000,000 / anno prevalentemente bolliti vivi), rane (circa 50,000 tonnellate / anno) per concentrarmi su due specie animali da alimentazione a larga diffusione: maiali e ruminanti.
Maiali
Al 2ndo Simposio su “Porcine Health Management” tenutosi ad Hannover (DE), 2010 e riservato a specialisti in Patologia Suina, una delle lezioni magistrali ha trattato dello stordimento dei suini tramite tunnel a CO2, da decenni praticato e raccomandato per la macellazione dei suini. Il tunnel a CO2 è raccomandato quale alternativa allo stordimento elettrico, il quale induce in percentuale non trascurabile contrazioni muscolari incontrollate – nello spasimo della elettrificazione – talmente intense da provocare anche fratture ossee (sic!) oltre ad alterazioni del circolo tali da provocare, emorragie sottocutaee e intramuscolari in percentuale altrettanto apprezzabile. Ciò senza tenere in considerazione errori nella elettrificazione dei maiali, i quali vengono poi, in percentuali variabili da macello a macello, giugulati in stato di non incoscienza completa e, quindi, annullando ogni possibile beneficio indotto dallo stordimento.
Ritornando al tunnel a CO2, la lezione magistrale cui sopra arrivava alla conclusione che il tunnel a CO2 induce nei maiale senso di angoscia, sensazione di asfissia e soffocamento, atteggiamenti da “fame d’aria”, alterazione del ritmo respiratorio per insufficiente ventilazione, sino alla alterazione dei livelli di ormoni corticoidi endogeni (segno “fisiologico” di profondo stress nell’animale)
Insomma, una moderna e largamente praticata camera a gas sia pure “indolore” fisicamente! ma, a questo punto, andrebbe messo in discussione il concetto di “dolore” stesso.
Ciò dopo anni ed anni di convinte ed accese discussioni sulla utilità e sulla “umanità” del tunnel a CO2!
Quand’anche dovessimo quantificare in un sottostimato 1×1000 l’incidenza di tali problemi, tenendo presente la macellazione di decine di milioni di suini in Europa si arriverebbe a numeri stratosferici ed assolutamente esorbitanti le “macellazioni rituali”.
In Italia si macellano tra gli 11 ed i 12,000,000 di maiali all’anno. Oltre a ciò , va da se che tutte le macellazioni “rurali” e / o “famigliari” del maiale, ancora autorizzate “in deroga” (esattamente come le “macellazioni rituali”) in molti Paesi Europei ed in moltissime regioni d’Italia, non prevedono alcuno stordimento ma la semplice giugulazione e nemmeno praticata da un “professionista” ma semplicemente dal proprietario dell’animale e/o dall’allevatore/venditore. Noi Ebrei non mangiamo e non macelliamo maiali
Bovini
La macellazione dei bovini con stordimento avviene invece, prevalentemente, attraverso l’utilizzo di una pistola a proiettile retrattile (“captivo”) in grado di stordire l’animale e lasciarlo privo di coscienza per alcuni secondi, durante i quali viene comunque praticata la giugulazione, e la morte comunque avviene per dissanguamento. Relativamente alla giugulazione, la legge prevede la recisione della “maggior parte dei vasi del collo” e di “almeno una delle carotidi” con ciò rischiando di continuare ad assicurare una certa irrorazione al cervello e, di conseguenza, un tempo più lungo per raggiungere la totale incoscienza e la morte.
Da Veterinario tirocinante al macello ( e credo che parecchi colleghi lo possano confermare!) ho potuto constatare come non sia “infrequente” il caso della necessità di un secondo sparo, essendo il primo, apparentemente, non sufficiente a stordire l’animale. Se volessimo essere ancora una volta, come nel caso dei maiali, magnanimi, e quantificare in un 1×1000 tale incidenza su un totale di 4,000,000 – 4,500,000 di capi macellati in Italia annualmente, si arriverebbe a una cifra di 4,000 – 4,500 capi, largamente esuberante la pratica della macellazione rituale ebraica.
La stima della macellazione rituale ebraica in Italia è di circa 2,000 – 3,000 bovini all’anno per una popolazione di circa 30,000 Ebrei ed ammettendo un consumo di 25 kg/anno di carne bovina equivalente a quello della popolazione non ebraica.
Rimane totalmente inesplorato, anche in questo caso, il mondo delle macellazioni (non rituali) rurali / famigliari di agnelli e capretti, sviluppato soprattutto nel Centro-Sud Italia, anch’esso “in deroga” come le macellazioni rituali e quantificabile di alcune decine di migliaia di capi/anno.
Come precedentemente spiegato, la tecnica di macellazione e la conoscenza minimale dell’anatomia animale giochino un ruolo fondamentale nella esecuzione della shechità, che non è MAI lasciata nelle mani di improvvisatori, o “macellai della domenica” e/o allevatori da diporto, ma sempre affidata a professionisti della macellazione, che ogni anno devono sostenere un esame di riconferma della professione
E per concludere:
una ricerca commissionata negli anni ’80 dalla Comunità Europea e ripresa poi da alcune riviste anche nazionali, di Medicina Veterinaria, pose a confronto la morte cerebrale, valutata tramite encefalogramma, di due gruppi di bovini (vitelli) macellati con stordimento (proiettile captivo) o con shechità: i due gruppi non hanno differito relativamente alla velocità della “morte cerebrale” (pochi secondi entrambi) e sulla base di questo studio la Comunità Europea accettò il principio di macellazione rituale ebraica “in deroga” e senza stordimento.
In sintesi, volevo sottolinare due concetti ben precisi, e li ripeto per non voler essere frainteso, ed aggiungerne un terzo!
1. la macellazione rituale ebraica è, per tecnica, per velocità, per professionalità rapida e (pressoché!) indolore. O, perlomeno nel modo più assoluto, non “più dolorosa” delle altre forme di macellazione, che lasciano ampi varchi di tempo e di imperfezione tecnica tra “stordimenti” di vario tipo e la giugulazione mortale vera e propria
Le critiche alla macellazione rituale ebraica si basano su concetti emozionali ed antropomorfi che non hanno riscontro nella pratica né della macellazione rituale stessa né delle macellazioni con stordimento : non è vero che le macellazioni con stordimento siano “indolori” e non è vero che la macellazione rituale ebraica sia “più dolorosa”!
2. la macellazione rituale ebraica è di tale modesta entità numerica rispetto anche solo all’ “errore di tecnica” della macellazione con stordimento che tale accanimento solo ed esclusivamente contro di essa non può non far pensare a pura e semplice intolleranza
Ed inoltre:
3. la macellazione rituale ebraica considera solo alcune specie ben precise (ruminanti, polli) e non si abbandona a “capricci alimentari” quali rane, lumache, aragoste, struzzi (9,000 / 10,000 anno in Italia), cavalli (280,000 – 300,000/anno in Italia), per i quali, anche ammesso che le macellazioni siano assolutamente indolore, per certo rappresentano uccisioni di animali totalmente inutili ai fini alimentari!
Viviamo in una società altamente contraddittoria: da un lato circa 800,000 cacciatori (in Italia) autorizzati ad uccidere esseri viventi “per sport” e per la cui soddisfazione vengono appositamente allevati animali “originalmente” da selvaggina (fagiani, lepri, quaglie) che poi, totalmente rimbecilliti dall’allevamento e dal contatto umano per l’alimentazione, non sono in grado di cogliere il pericolo del contatto umano e vengono falcidiati a distanza-zero dai cacciatori.
Quanto sopra poiché la selvaggina naturale è stata sostanzialmente già sterminata prima!
D’altro lato centinaia di migliaia di uccisioni totalmente inutili sul piano alimentare (cavalli, struzzi, conigli, cervi e caprioli in alcune regioni).
Da un altro lato ancora, almeno in Italia, decine di milioni di macellazioni regolarmente autorizzate e regolate, ma in cui il “naturale” ed “umano” margine d’errore, oltre ad una meccanicizzazione che non lascia posto a considerazioni welfariste, produce decine di migliaia (o forse di più? centinaia di migliaia?) di macellazioni senz’altro “discutibili” sul piano umano ma, comunque, inevitabili perché intrinseche nel sistema stesso di macellazione!
Numeri che dovrebbero apparire come mostruosi agli occhi di qualsiasi animalista!
E che non sono da meno rispetto alle uccisioni (magari non Italia ma poco conta a questo punto) nemmeno finalizzate alla alimentazione o, persino, a “capricci alimentari” ma alla soddisfazione del puro e semplice gusto estetico dell’indossare una pelliccia! E volutamente non entro nei dettagli dei metodi di uccisione degli animali da pelliccia!
Ma l’attenzione si concentra pressoché esclusivamente laddove “altri valori” (religiosi – filosofici) sono in gioco in parallelo e intrinsechi con la macellazione.
Ciò nonostante non ci siano prove di una maggiore pena negli animali così macellati né ci siano prove certe nella minor pena (nella maggioranza ma non nella totalità) negli animali macellati con stordimento.
Ciò non ostante ci si affanni a dimostrare ed a spiegare che tecnica di macellazione, preparazione del personale, cura dei dettagli, rapidità dell’operazione, siano tra l’altro anche finalizzate alla “morte meno dolorosa possibile” dell’animale, considerato non “cosa” od oggetto ma בעל חיים “possessore di vita” vero e proprio (termine ebraico per “animale”).
Gli accusatori della shechità si lamentano e si indignano a sentir parlare di “antisemitismo” o “razzismo” relativamente alla loro lotta per l’abolizione della macellazione religiosa.
A me sembra che sussistano tutte le motivazioni, i numeri, le statistiche, i dati di fatto, il censimento delle macellazioni ordinarie, per poter sicuramente parlare ed accusare di “ossessione” anti-macellazione rituale!
Dove questa finisca e nasca la vera e propria intolleranza – corredata da una sostanziale ignoranza (nel senso latino del, semplice “non sapere” le cose!) – lascio giudicare ai lettori dopo aver acquisito concetti e numeri sopra indicati.
Paolo Pozzi – Gerusalemme
Grazie a Daniel per la segnalazione del sito inglese