In una recente intervista televisiva il Card. Gianfranco Ravasi (“Kolot” del 21 c.m.) ha ironizzato sul fatto che durante le operazioni militari in corso a Gaza l’esercito israeliano avrebbe applicato la “legge del taglione” veterotestamentaria, in quanto rispetta il “principio di proporzionalità”. E’ verosimilmente sfuggito all’occhio vigile e attento del ministro della cultura vaticano, una delle personalità più istruite della Chiesa cattolica, il fatto che non solo il diritto rabbinico ha sostituito l’applicazione letterale del testo biblico “occhio per occhio…” con un risarcimento in denaro, ma è giunto a questa conclusione ragionando proprio sul problema della proporzionalità della pena. Scopo di questo breve scritto è riassumere i termini della questione dal punto di vista ebraico. Per un inquadramento generale rinvio senz’altro al mio libro “L’albero capovolto. Lezioni sulla Torah”, La Giuntina, Firenze, 2022, spec. pp. 132-134, da cui le considerazioni seguenti sono in gran parte tratte.
Il testo biblico scrive:
Vita per vita, occhio per occhio, dente per dente (nefesh tachat nafesh, ‘ayin tachat ‘ayin, shen tachat shen: Shemot 21,24; Devarim 19,21).
Il Talmud si sofferma a lungo per trovare una dimostrazione nel linguaggio della Torah che giustifichi l’interpretazione data dai Maestri e apparentemente contraria alla lettera del testo, per cui è imposta solo una serie di risarcimenti in denaro:
Chi ferisce il suo prossimo gli deve cinque cose: il risarcimento dell’invalidità procurata (nezeq), il risarcimento del dolore fisico patito (tza’ar), il prezzo della cura (rippuy), l’indennizzo per la perdita di guadagno durante la degenza (shevet) e il risarcimento del disonore (boshet). Come ha luogo il risarcimento dell’invalidità procurata? Se uno ha accecato un occhio o ha mozzato una mano o rotto un piede a qualcuno, si considera la vittima come uno schiavo che viene rivenduto al mercato e si calcola quanto egli valeva prima e quanto vale ora…(Mishnah Bavà Qammà 8,1).
Che questa sia la halakhah da seguire non è minimamente in questione:
Le spiegazioni delle leggi della Torah riconosciute come aventi avuto origine con Moshe sul Monte Sinai non furono mai oggetto di discussione. Da Moshe fino a oggi, non c’è mai stata disputa alcuna fra i Maestri sul fatto che il versetto: ”Occhio per occhio, dente per dente” non allude a una punizione fisica, bensì a un risarcimento in denaro” (Maimonide, Haqdamah le-Peyrush ha-Mishnah. Cfr. anche Hilkhot Chovèl u-Mazziq 1,6).
Nel Talmud ci si limita a trovare paralleli stilistici nel testo, ovvero a giustificarla alla luce dello spirito della legge biblica, che vuole affermare il principio dell’esatta commisurazione fra danno e giustizia.
“Perché risarcimento? ‘Occhio per occhio’ ha detto la Torah! Io dico: davvero un occhio? Non ti venga in mente, perché si è insegnato: si potrebbe credere che se uno ha accecato l’occhio di un altro, accechi questi il suo occhio; se gli ha mozzato la sua mano, gli mozzi anch’egli la mano; se gli ha rotto il piede, gli rompa anch’egli il piede. Ma la Torah parla di chi colpisce l’essere umano e di chi colpisce l’animale usando lo stesso verbo makkeh: come chi colpisce l’animale deve ripagarlo, così anche chi colpisce l’essere umano deve ripagarlo… Lo si evince da qui: ‘Chi colpisce a morte un animale lo deve ripagare, vita per vita’ (Wayqrà 24,18). O se preferisci, da qui: ‘Non prenderete un risarcimento per la persona dell’uccisore che è un malvagio da condannare a morte’ (Bemidbar 35,31): non accetti un risarcimento per un omicidio, ma accetti un risarcimento per lesioni agli organi che una volta colpiti non tornano più come prima (Bavà Qammà 82b-84a. Traduzione italiana con commento: G. Stemberger, Il Talmud: introduzione, testi, commenti, Dehoniane, Bologna, 1989, p. 133-144).
Sh. R. Hirsch (comm. a Shemot 21,25) riporta altri versi che documentano come la preposizione adoperata nel testo biblico, tachat (pro, “al posto di”), indica compensazione e non pena o punizione. Umberto Cassuto dimostra sulla base della letteratura comparativa (leggi di Eshnunna e codice hittita) che espressioni del tipo “vita per vita” sono formule giuridiche arcaiche cristallizzate il cui senso letterale era già stato dimenticato quando furono inserite nel testo biblico (A Commentary on the Book of Exodus, Magnes Press, Jerusalem, 1974, p. 276).
A suo tempo ciò rappresentava naturalmente un progresso, alla luce del fatto che altri codici dell’antichità, come il Codice di Hammurabi, condizionano la pena al censo della vittima in rapporto a quello dell’aggressore. Sostenendo che due occhi non hanno mai la stessa potenza visiva e pertanto cavare un occhio al posto di un altro non sarebbe mai una pena commisurata, paradossalmente, si reinterpreta lo spirito biblico adattandolo a una mutata coscienza giuridica che aborrisce la pena corporale.
Il Gaon di Vilna illustra come in realtà l’interpretazione rabbinica è già implicita nella formulazione del versetto stesso. Nell’espressione “occhio per occhio” è adoperata la preposizione tachat, che abbiamo tradotto “al posto di”, ma significa letteralmente “sotto”. Se noi cerchiamo quali lettere seguano nell’ordine alfabetico alle tre consonanti ‘ayin – yod – nun che compongono la parola ‘ayin (“occhio”), scopriamo che “sotto” la ‘ayin c’è la peh, “sotto” la yod c’è la kaf e “sotto” la nun c’è la samekh. Kaf – samekh – peh formano a loro volta la parola kessef (“denaro”)!
Rav Alberto Moshe Somekh