Il libro che consiglio di mettere in valigia non è per coloro che viaggeranno in aereo o in treno, vista la sua voluminosità (463 pp.), ma dato che per ovvi motivi quest’anno si tenderà a usare il mezzo proprio per andare in vacanza, sono sicuro che un posto nella macchina, in mezzo a tante altre cose spesso inutili, glielo si troverà. Si tratta del carteggio degli anni 1932-1940 fra Walter Benjamin e Gershom Scholem, da poco uscito per Adelphi a cura di Saverio Campanini. Quattro nomi (i due corrispondenti, l’editore, il curatore) che presi isolatamente sarebbero già garanzia di qualità e interesse, a maggior ragione se presenti tutti insieme. Su Benjamin, Scholem scrisse due testi: Walter Benjamin, Storia di un’amicizia (Adelphi 2008) e Walter Benjamin e il suo angelo (Adelphi 1978). A completare il quadro biografico, abbiamo l’opera di Benjamin, Infanzia berlinese (Einaudi 1973) e quella di Scholem, Da Berlino a Gerusalemme (Einaudi 2a ed. 2018, nuova trad. di S. Campanini e cura di Giulio Busi). Al carteggio di cui qui parliamo Campanini ha apposto il titolo un po’ enigmatico, a prima vista, di Archivio e camera oscura (non presente nell’edizione tedesca), la cui spiegazione risulterà chiara leggendo il suo corposo saggio finale intitolato Ombre cinesi.
La genesi del ritrovamento del carteggio è già degna di rilievo, e ce la racconta Scholem stesso in un’avvincente prefazione. Per definizione, di un carteggio si devono avere le lettere di entrambi i corrispondenti, il che presuppone che entrambi conservino le lettere dell’altro o che uno dei due conservi sia le copie delle proprie lettere che quelle dell’altro. Tali eventualità non erano facili da verificarsi nel secolo scorso, soprattutto considerando la vita movimentata di Benjamin e la sua tragica conclusione. Scholem era sì un ordinato classificatore e conservava tutto, per cui aveva le lettere di Benjamin, ma delle proprie, per lo più scritte a mano, non aveva copie, salvo in certi casi in cui aveva delle bozze incomplete. Benjamin, d’altro canto, aveva conservato le lettere ricevute fino al 1933, incluse quelle di Scholem, ma quando la Gestapo fece irruzione a casa sua a Berlino le sequestrò e andarono poi distrutte nel 1945 poco prima della fine della guerra. Un secondo sequestro avvenne a Parigi, dopo l’ingresso dei tedeschi in città nel 1940 e dopo la fuga di Benjamin per sfuggire alla cattura da parte dei nazisti, fuga che si concluse tragicamente con il suicidio il 26 settembre del ’40.
A Parigi Benjamin era vissuto, a più riprese, fin dall’inizio del suo esilio nel 1933. Secondo la ricostruzione di Scholem, le carte parigine di Benjamin sfuggirono alla distruzione da parte della Gestapo grazie a un atto di sabotaggio della persona incaricata e così arrivarono in Russia, dove rimasero per una quindicina d’anni, finché il fondo tornò in Germania attorno al 1960. Scholem riuscì, anni dopo, a venire a sapere del ritrovamento e finalmente, seppur in modo non facile, nel novembre 1978 ottenne le copie delle proprie lettere spedite a Benjamin, “il regalo più prezioso e gradito che potessi avere per il mio ottantesimo compleanno”.
I carteggi hanno il pregio di non richiedere la concentrazione necessaria per un saggio né l’attenzione dovuta per un romanzo, se non si vogliono perdere le fila della narrazione. Le lettere si possono scorrere rapidamente fino a che si trova un nome o una vicenda che attirino l’attenzione. E in questo carteggio ci sono molti nomi: da Kafka a Buber, da Adorno a Arendt, da Brecht a Bloch e a tanti altri. Nel carteggio c’è anche una componente italiana: mentre buona parte delle lettere di Scholem furono spedite da Gerusalemme, quelle di Benjamin furono scritte da Parigi, da Ibiza, da Nizza, che era diventata un rifugio per gli ebrei in fuga, e anche da San Remo e da Forte dei Marmi. Diverse lettere furono inviate da Poveromo (vicino Marina di Massa), che – scrive Benjamin – “è una località balneare per gente povera”. Buona lettura.
Gianfranco Di Segni
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