Un’inchiesta su cosa pensano i rabbini italiani del Papa, in uscita nel numero di gennaio di Pagine Ebraiche, testimonia il rafforzamento della vecchia amicizia con Bergoglio
Giacomo Galeazzi
Effetto Bergoglio sul rabbinato. A pochi mesi dall’attesissimo viaggio papale in Terra Santa e mentre fervono i contatti tra le due sponde del Tevere per una sempre più probabile visita del Pontefice alla sinagoga di Roma, arrivano dai “fratelli maggiori” importanti segnali di apprezzamento verso il pontificato di Francesco.
Sul numero di gennaio di “Pagine Ebraiche” verrà pubblicata un’ampia inchiesta su cosa pensano i rabbini italiani del Papa argentino, realizzata da Adam Smulevich e Daniel Reichel. Testimonianze che rafforzano la vecchia amicizia fra Bergoglio e il mondo ebraico, consolidata nei lunghi anni di servizio pastorale in Argentina. Parole di grande peso di cui, significativamente, l’Osservatore Romano ha anticipato alcuni stralci. “Grande disponibilità all’incontro, gesti e parole che hanno lasciato il segno, un clima cordiale che è di buon auspicio per il confronto interreligioso”, afferma il rabbino capo di Roma rav Riccardo Di Segni nel ripercorrere i primi nove mesi di pontificato di papa Bergoglio.
Un rapporto, quello tra i due leader religiosi, che è andato consolidandosi con l’intrattenimento di una significativa corrispondenza epistolare e con l’udienza privata dello scorso ottobre dedicata a temi di grande rilevanza quali doveri e responsabilità dell’uomo pubblico e capacità di saper parlare al cuore della gente.
Tra i molti segnali arrivati dal Vaticano rav Di Segni sottolinea in particolare la lettera inviata a Repubblica in risposta alle sollecitazioni di Eugenio Scalfari in cui emerge con chiarezza, nella visione del papa, il ruolo di testimonianza del popolo ebraico come fonte di ispirazione per l’intero universo cristiano. “Quell’intervista – spiega il leader spirituale della più antica comunità ebraica d’Europa – ha segnato un considerevole passo in avanti nei rapporti tra ebrei e cristiani. Tanti i nodi, tante le domande difficili ancora aperte in questo senso. Ma c’è la sensazione di essere sulla buona strada per sviluppare un confronto proficuo”.
Secondo Di Segni l’effetto Bergoglio nel rapporto tra “vertice’ e base” rappresenta un fenomeno da monitorare e studiare anche in campo ebraico. “É interessante la disponibilità almeno formale del papa di privilegiare alcuni aspetti della religione rispetto ad altri, amore e perdono rispetto alla dottrina. Una scelta che ribalta una visione severa della Chiesa attirando molti che se ne ritenevano esclusi. Anche nel nostro pubblico c’è un disagio nei confronti della halakhah che va compreso e affrontato. Sbaglierebbe comunque – conclude il rav – un’opinione pubblica che si aspettasse atteggiamenti esattamente sovrapponibili per un papa e per un rabbino. Ebrei e cristiani sono infatti caratterizzati da un modo profondamente diverso di vivere la religione. È un punto peculiare, ma non tutti sembrano esserne consapevoli”.
Molto positiva l’impressione di Alfonso Arbib, rabbino capo di Milano, che afferma: “Bergoglio ha una grandissima quanto naturale capacità comunicativa, è mosso da buone idee e buone intenzioni, dietro cui vi è anche sostanza”. Messaggi semplici e diretti che raggiungono facilmente le persone ma rispetto alla rivoluzione interna alla Chiesa, dice il rav, non è opportuno intervenire in quanto tematiche complesse “di una realtà millenaria su cui sarebbe sbagliato fare analisi superficiali”.
Dal punto di vista dei rapporti con l’ebraismo invece l’affermazione che l’attesa messianica ebraica non è vana, il superamento della teologia della sostituzione, l’idea di vivere insieme senza ansie conversionistiche “sono passi avanti che il papa sta facendo nel solco del Concilio Vaticano II”. E hanno un valore speciale, riflette Arbib, la visita della delegazione della Comunità romana e l’udienza con il rabbino capo della capitale Di Segni nel segno di un rapporto “improntato allo sviluppo del dialogo”.
Un dialogo da protagonisti ma tenendo bene a mente le specificità e le peculiarità dei diversi ruoli: “La vicinanza di Bergoglio alla gente e al popolo fa notizia perché parliamo del papa. Nell’ebraismo – dice infatti il rav – un papa non esiste, non c’è una struttura gerarchica e i rabbini hanno un filo diretto con le persone. Per così dire, i rabbini sono vicini anche perché nessuno li considera papi. Poi c’è chi si mette su un piedistallo, ma queste sono eccezioni”.
“Il magistero di Bergoglio rappresenta una novità per la Chiesa cattolica, non tanto dal punto di vista dottrinale quanto del comportamento quotidiano di una Curia che sta cambiando velocemente. Guardo a questo fenomeno, che può avere risvolti importanti anche nel dialogo interreligioso, con grande attenzione e interesse”. Sono considerazioni di Elia Richetti, presidente dell’Assemblea rabbinica italiana, che proprio nel dialogo e nel suo passaggio da fenomeno elitario a fenomeno di massa riconosce una delle sfide più impegnative e stimolanti per il futuro. Sullo sfondo, a contornare questo percorso, quelli che definisce punti “ancora non chiarissimi”.
“Innanzitutto – dice Richetti – alcuni rapporti intrattenuti dal papa con rappresentanti del mondo ebraico non ortodosso che potrebbero avere un peso scarsamente rilevante per rabbini che non si riconoscono nella visione conservative”. Altro elemento da valutare, sostiene il presidente Ari, il rischio che l’informalità e l’essere ‘alla mano’ di Bergoglio possano portare ad alcune incomprensioni. “Mi stupisce ad esempio che il nostro tentativo di stringere relazioni dirette non abbia sortito alcun risultato concreto. Al momento – spiega Richetti – i rapporti con il rabbinato italiano sono limitati a una dimensione meramente locale anche in considerazione del fatto che Bergoglio è, oltre che papa, anche vescovo di Roma. L’auspicio è che questa situazione possa risolversi al più presto”.
“Shammai, maestro considerato più rigido e ombroso di Hillel afferma: ‘accogli ogni uomo con volto gioioso’. La cordialità, dunque, è un elemento importante nei rapporti umani e bisogna fare attenzione a non fermarsi alle apparenze come nel caso, appunto, di Shammai”.
Cita i Maestri rav Roberto Della Rocca, direttore del Dipartimento Educazione e Cultura Ucei, per sottolineare l’importanza non banale della capacità di accogliere le persone con il sorriso. Una caratteristica senz’altro propria di Bergoglio. “A prima vista – commenta – ispira subito simpatia, è sempre sorridente, ha un volto solare e molto comunicativo. È una figura pubblica importante e di grande impatto mediatico”.
In un momento di profonda crisi di valori e in cui, sottolinea il rav, “le persone si trovano circondate da grandi vuoti e bramano calore umano”, la scelta del papa argentino assume così la connotazione di una decisione chiara e meditata. “Ratzinger rappresentava il grande rigore morale e intellettuale – spiega Della Rocca – ma con il nuovo papa la Chiesa ha deciso di dare un certo rilancio a una figura più pastorale”.
In ambito dialogico non mancano i successi anche se, rileva il rav, “è importante superare una logica di gerarchie di identità in cui la cultura della minoranza rimane subalterna o deve adattarsi alla maggioranza”. In quest’ottica non è nemmeno plausibile opporre il mito dell’uguaglianza astratta, “ma portare avanti un discorso di conoscenza del valore delle differenze”.
Tra le strade da percorrere in futuro, inoltre, il rav sottolinea la necessità di ampliare, attraverso un decentramento culturale, il cambiamento di mentalità avvenuto nei piani alti della Chiesa e diffonderlo anche nelle parrocchie di periferia. “Ho l’impressione che, dall’elezione di Bergoglio in poi, si stiano aprendo sfide e orizzonti notevoli. Mi riferisco soprattutto alla densa agenda sociale del pontefice e all’opportunità che sempre più spesso si profila di dar vita a iniziative comuni con l’obiettivo di alleviare la sofferenza e “migliorare”, nel suo complesso, l’intera umanità. Sono dell’idea che insieme si possano fare grandi cose. Ma da parte ebraica servono maggiore presenza e maggiore attivismo”.
È una valutazione che il rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, proietta immediatamente anche nella sfera dei rapporti tra ebrei e cristiani.“In questo ambito è esistito, per un certo periodo, il rischio di uno stallo e di un confronto ristretto a poche cerchie elitarie. Con Bergoglio – osserva il rav – sono invece fiducioso sulla possibilità che strati sempre più ampi della popolazione siano coinvolti grazie a un concetto di progettualità condivisa che mi auguro entri sempre più spesso nelle corde di entrambe le culture”. Affinché il dialogo si rafforzi e abbia realmente un senso servono quindi convergenza di valori e concretezza. Un doppio binario che, conclude Levi, “sarebbe un peccato non percorrere”.
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