Emma Bonino e Khaled Fouad Allam al centro di una serata (a Milano) ricca di spunti di riflessione e di analisi. Le rivolte che hanno acceso il mondo arabo, le prospettive, le speranze.
Ester Moscati
“Difendere la nostra libertà e usare la nostra libertà per difendere quella degli altri popoli”. Non ci sta, Emma Bonino, nella schiera di coloro che pensano “si stava meglio quando gli altri stavano peggio”, quando i popoli arabi erano sotto il giogo dei dittatori. Popoli che alzano la testa, dove, perché. E perché proprio ora. Egitto, ma anche Libia, incalzati dall’attualità che in poche ore cambia il corso di decenni di storia, e Tunisia, e Barein: di questo si è parlato in un incontro dibattito la sera del 27 febbraio in Comunità.
Una serata voluta e organizzata da Daniele Cohen, assessore alla Cultura della Comunità, e Daniele Nahum, assessore alla Cittadinanza, nel segno di un’apertura alla società civile, all’attualità, a quello che succede fuori dal ghetto ma che per tanti versi ci riguarda, come cittadini italiani, come ebrei in ansia per le ricadute che le rivolte nel mondo arabo possono avere su Israele. E anche come ebrei che da quel mondo sono stati cacciati quarant’anni fa.
Di fronte ad un pubblico numeroso come non mai, 500 persone che hanno gremito l’aula magna Benatoff, la serata si è aperta con il docu-film di Ruggero Gabbai sull’esperienza di Emma Bonino al Cairo, interessante videotestimonianza di un mondo in fermento già da qualche anno, oltre che di un inconsueto modo di fare politica, di toccare con mano le società e la vita della gente con cui la politica stessa deve confrontarsi. E troppo spesso lo fa senza sapere, conoscendo i satrapi e i dittatori, ma non la vera società, il popolo, gli uomini e le donne che di un paese sono la sola vera anima.
Con Emma Bonino ha discusso Khaled Fouad Allam, docente di islamistica all’università di Trieste e editorialista de il Sole 24 ore. A moderare e interrogare Stefano Jesurum, giornalista del Corriere della Sera, nonché consigliere della Comunità. Lorenzo Cremonesi, altro oratore invitato, in queste frenetiche ore è in Libia come inviato del Corriere della Sera.
“La novità di queste rivolte è che per la prima volta milioni di persone sono scese in piazza per se stesse, per i propri diritti. Non contro gli Usa o Israele in manifestazioni pilotate dal regime, ma per una fame di futuro, di speranza e di libertà”, dice Emma Bonino, che negli anni passati in Egitto, oltre a imparare l’arabo ha conosciuto la società vera di quel paese, l’islam che cerca di farsi strada evitando il fondamentalismo dei Fratelli Musulmani ma combattendo il regime.
Fouad Allam e Bonino concordano in pieno sul fatto che la democrazia non sia qualcosa che gli arabi non possono conquistare e neppure concepire, come molti in occidente pensano, perché “la voglia di esercitare i propri diritti è universale”, soprattutto se pensiamo all’età media della popolazione dei paesi musulmani, a seconda dei casi dal 55 al 70 per cento composta da persone sotto i trent’anni. Una generazione che non ha libertà politiche, ma ha la libertà e il tempo – dato l’alto tasso di disoccupazione – di navigare in rete. E su Internet, su Facebook, di confrontarsi con i coetanei in occidente, ma anche con altri di realtà islamiche più aperte, in Indonesia, India e Libano, o nella numerosa comunità musulmana d’Inghilterra dove le ragazze hanno altre libertà, altri modi di vivere. E allora nasce il confronto. “Anche la domanda ‘che cosa fai stasera’, fatta da una ragazza egiziana a una coetanea in Libano, può essere rivoluzionaria”. I giovani di Bengasi, del Cairo o di Tunisi hanno portato in pubblico la loro libertà privata. Ed è stata la rivolta.
“Non esiste un’eccezione araba, o russa, o asiatica, alla voglia di democrazia” e questa voglia, dice Bonino, deve essere appoggiata dall’occidente. “La politica estera di Europa e Usa si basa da sempre su due considerazioni, economiche e geostrategiche. Manca la terza gamba, quella della promozione e del sostegno ai diritti dei popoli. È imprescindibile”.
Non manca la citazione di Nathan Sharansky, ex refusnik e ora ministro israeliano: “Sono preoccupato di quanto succede in Egitto, ma lo vedo anche come una opportunità”. Il fondamentalismo islamico è cresciuto sotto le dittature; se l’occidente saprà stare a fianco di chi vuole la democrazia, allora queste rivolte saranno una nuova opportunità anche per Israele di trovare leadership e partner per una svolta positiva. Altrimenti sì che ci troveremo di fronte un fondamentalismo islamico sempre più radicale.
Emma Bonino vede la situazione come un’opportunità anche per l’Europa di rilanciarsi e ripensarsi finalmente come un soggetto politico, senza vittimismi né paure.
“L’Italia, che è un grande paese deve guardare con fiducia ai Paesi che lottano per dare un futuro migliore ai loro figli e capire come essere un sostegno efficace a questi popoli”.
Stefano Jesurum cita Bernard Henry Levy, per un’analisi della situazione che denuncia come l’Europa abbia usato il Maghreb come una cintura di sicurezza contro le immigrazioni dall’Africa. Ma che non ci siamo mai davvero interessati ai popoli dell’altra sponda del Mediterraneo.
“È vero”, conferma Fouad Allam. “La visione che l’occidente ha del mondo arabo è iconica, paradigmatica e univoca. Non si percepiscono le enormi differenze che attraversano le società dei paesi musulmani, le varietà religiose e culturali all’interno spesso degli stessi paesi. Io che ho vissuto in Algeria tra gli anni settanta e ottanta ricordo che le tensioni e il bisogno di libertà erano già forti, e si manifestavano per esempio con la musica, con i testi delle canzoni che venivano a volte censurate. C’era la musica raj, il cui nome aveva la stessa radice di horrìah che in arabo significa libertà, e anche ‘opinioni libere’. Tutto ciò che avviene oggi non è frutto di un solo fattore, ma di un cumulo di eventi e tensioni che prima o poi non può fare a meno di esplodere”.
L’analisi di Fouad Allam è chiara: “L’Europa non riesce a comprendere il mondo islamico perché ha sempre avuto una visione verticale, nord-sud, del mondo e non ha la ‘visione orizzontale’, quella che serve per capire l’interno delle società. Pensa che sia un mondo statico, e teme l’islamismo radicale, che peraltro esiste. Nel caso dell’Egitto, per esempio, non sono certo che tutto andrà per il meglio, perché la forza sociale più strutturata e integrata sono i Fratelli Musulmani, e nella loro carta costitutiva c’è scritto: il Corano è la nostra spada. C’è chi dice che bisogna dialogare con loro, ma io non sono d’accordo. Eppure, è la stessa società egiziana che li deve controllare, emarginare. Non può farlo l’occidente”.
Non ci sono manifestazioni in Europa di sostegno alle rivolte nel mondo islamico, non scendono in piazza gli studenti. Perché? “L’Europa non ha una visione del mondo, delle proprie frontiere culturali. E se non ha una visione su se stessa, come può averla sul resto del mondo?” Emma Bonino conferma: “Siamo capaci solo di manifestare ‘contro’, meglio se contro l’America o Israele”.
Se Internet e facebook sono stati i motori della sollevazione popolare nei paesi islamici (Zuckerberg sarà ricordato come l’ennesimo ebreo padre di rivoluzioni, dopo Newton, Einstein e Marx?) non bisogna dimenticare che i ragazzi che oggi scendono nelle piazze arabe a rischio della loro vita sono cresciuti sentendosi raccontare che la colpa delle mancate riforme politiche e della mancanza di libertà è nel conflitto con Israele, un alibi che gli intellettuali islamici hanno forse smascherato, ma che sulle masse può ancora fare presa. E anche se i giovani tra i 18 e i 26 anni non pensano che l’Islam sia una soluzione politica, possono essere infiltrati da islamisti radicali.
Un altro motore delle rivolte nel mondo islamico è costituito dalle televisioni satellitari Al Jazira e Al Arabiia, che pur avendo linee editoriali molto diverse hanno in comune il vantaggio di essere in grado di strappare pubblico alle ingessate televisioni di Stato e di far vedere come si vive in Turchia, Indonesia o addirittura in Occidente, “svegliando” in questo modo le masse anche sul versante dei diritti.
E il tema della storica “umiliazione araba”, di questa sensazione che il mondo islamico si porta addosso da decenni? Chiede Jesurum e Allam risponde: “In realtà è molto più antica e risale alla dominazione ottomana. Si è verificata una rottura tra occidente centro del mondo e Islam che è uscito dalla sua età d’oro, sublimata e mitizzata oltre misura”. Miti che poi il fondamentalismo ha sfruttato. “Ma oggi il mondo arabo ha bisogno soprattutto di riconoscimento, di essere ‘guardato in faccia’ e visto per quello che è”.
Perché le società e i popoli arabi e islamici non sono tutti uguali, e per comprenderli e aiutarli nel cammino verso la libertà – il che significa soprattutto lasciare loro il diritto di percorrere questo cammino. – bisogna conoscerli.
La serata, ricca di spunti di riflessione e di informazioni, si è chiusa con alcuni interventi del pubblico. “Ciò che dobbiamo temere davvero è che l’Egitto precipiti in una grave crisi economica, come capita sempre dopo uno stravolgimento politico. Mubarak non aveva fatto riforme politiche, ma economiche sì, e tali da portare la crescita del paese a livelli quasi cinesi” dice Rony Hamaui. Mentre Yoram Ortona ricorda la sua fuga dalla Libia nel 1967. “Ho rivisto con commozione oggi sventolare a Tripoli la vecchia bandiera, con i tre colori e la mezzaluna”.