L’Amministrazione Biden ha sanzionato quattro «coloni» israeliani — Shalom Zicherman, Eitan Tanjil, David Chai Chasdai e Yinon Levi — a suo dire responsabili di violenze «inaccettabili» a danno dei palestinesi in Giudea e Samaria. Non una sola parola è stata pronunciata contro la ben più endemica e omicida violenza araba a danno degli ebrei della «Cisgiordania». Gli agricoltori israeliani vengono bastonati, i loro campi incendiati, le loro proprietà regolarmente danneggiate, nel silenzio della comunità internazionale.
I sedicenti «coloni», come i primi sionisti, hanno costituito gruppi di autodifesa, dato che il governo israeliano si preoccupa più di blandire Washington che di difendere i suoi cittadini. Ha ragione il ministro Bezalel Smotrich quando dichiara che la campagna contro la «violenza dei coloni» altro non è se non una «menzogna antisemita che i nemici di Israele diffondono con l’obiettivo di diffamare e danneggiare i pionieri e le imprese di insediamento e quindi diffamare l’intero Stato di Israele».
Il rifiuto di voler considerare il contesto in cui vivono gli ebrei della Giudea e della Samaria, o quelli delle città più vicine a Gaza, induce numerosi individui e organizzazioni a collocare sullo stesso piano etico aggressori e aggrediti. Parlare di «estremisti di entrambe le parti» è sintomo di una confusione morale grave.
Gli ebrei che si difendono, che reagiscono ai quotidiani soprusi arabi, non possono essere equiparati ai terroristi di Hamas e ai loro fiancheggiatori della «Cisgiordania». La mostrificazione dei «coloni», presentati come fondamentalisti religiosi e razzisti dalle intenzioni genocidarie, è degna della peggiore propaganda nazista.
Inoltre, qui su L’Informale, abbiamo pubblicato decine e decine di articoli per spiegare che la Palestina non è stata «colonizzata» e che non esistono insediamenti «illegali». Non ci ripeteremo.
Questa volta ci limitiamo ad affermare che i cosiddetti «coloni» sono l’Israele più autentico, i veri eredi dei pionieri sionisti, uomini e donne decisi a rivendicare l’identità ebraica dello Stato. I «coloni» sono la prima linea di difesa di Israele, l’argine che impedisce alla marea jihadista di straripare. Se loro sloggiano, per Medinat Yisra’el è finita.
Dopo quella dell’ebreo «sradicato» e quella dell’ebreo «avido», abbiamo una nuova caricatura antisemita: l’ebreo «colono», ossia l’ebreo troppo religioso e troppo patriota, contro il quale può essere esercitata ogni violenza verbale e fisica.
Questo ebreo troppo ebreo, che non si rassegna a scomparire ma che, caparbio e risoluto, rivendica la propria identità, ecco, questo ebreo, per il mondo «avanzato», deve morire. Non la chiameranno più «soluzione finale» ma «decolonizzazione». Dopo la «decolonizzazione» della Giudea e della Samaria verranno quelle di Haifa e Tel Aviv.
I nemici d’Israele dicono «colono» ma intendono «israeliano» ed «ebreo». Un giorno guarderemo alle calunnie lanciate contro i residenti ebrei della Giudea e della Samaria come oggi guardiamo a quelle contenute nei Protocolli dei Savi Anziani di Sion.
Bisogna che i presunti «coloni» si armino davvero; che difendano il loro diritto a vivere da ebrei in terra ebraica. Secoli di storia li autorizzano a vivere in quelle piane e su quelle alture. Dalla loro sopravvivenza dipende l’esistenza stessa dello Stato ebraico.