Spesso, come abbiamo visto la scorsa settimana, quando non ci sono Shabbatot fra Kippur e Sukkot, come haftaràh di Haazinu si legge Shuva Israel. Quest’anno invece, visto che ci troviamo nello Shabbat che precede Sukkot, abbiamo letto il cap. 22 del secondo libro di Samuele, cheviene letto anche come haftaràh del settimo giorno di Pesach. Il legame esteriore è abbastanza semplice, difatti il settimo giorno di Pesach si legge la Shirat ha-yam e Haazinu è una cantica, così come la haftaràh, che è assieme alla cantica di Devoràh, che è l’haftaràh di Beshallach, la principale cantica che troviamo nei libri profetici. In realtà vedendo in generale la natura delle cantiche la scelta della Haftaràh sembra poco comprensibile.
La Shiràh di Haazinu infatti parla della storia e del destino collettivo di Israele, mentre quella di David sembra riferirsi all’ambito prettamente individuale, ringraziando H. per la salvezza ottenuta. Anche le modalità attraverso le quali la salvezza viene raggiunta sono profondamente differenti. Sostanzialmente in Haazinu H. salva in Israele per via del proprio nome, e non per i loro meriti. David invece ritiene che la salvezza sia dovuta ai suoi meriti. Quindi, somiglianze esteriori a parte, più che essere simili parashàh ed haftaràh sembrano integrarsi, fenomeno che abbiamo riscontrato varie volte nel corso delle letture. Il brano di Samuele ritorna anche nei Salmi, nel cap. 18, con numerose ma minime differenze, per lo più elencate nel cap. 8 di Massekhet Soferim. Abravanel nel suo commento al libro di Shemuel individua 74 differenze fra i due brani. Una prima differenza la troviamo nell’apertura del brano, visto che nel Salmo David è Eved H. mentre in Samuele non troviamo questo epiteto. La cosa è spiegabile attraverso un’ulteriore differenza, collegata alla Shiràh di Haazinu, e un insegnamento riportato a nome del Gherà: infatti è detto in Haazinu (Devarim 32,30): “Come avrebbe potuto un nemico inseguire mille di loro?”.
David, è detto nella ghemarà in Mo’ed Qatan (16b), con una sola freccia era in grado di far fuori 800 nemici, e nonostante l’ottimo risultato, si crucciava perché non riusciva a eliminarne mille come riusciva a fare in precedenza e come detto nel versetto. Uscì una voce celeste che attribuì questa differenza di performance all’episodio di Uriàh, marito di Bat Sheva al quale David procurò la morte. Verso la fine della Shiràh al v. 44 è detto “tesimeni lerosh goyim – mi hai messo a capo di genti”, che nel libro di Samuele diviene “tishmereni lerosh goyim – mi hai custodito perché io diventi capo di nazioni”. Fra le due espressioni c’è una resh di differenza, che ha valore numerico di 200, nella fattispecie tishmereni ha il valore di 1000 e tesimeni 800. Secondo il Gherà la cantica in Samuele venne pronunciata prima dell’episodio di Uriàh ed il Salmo dopo. L’epiteto ‘eved è presente nel Salmo come ricompensa per David per aver fatto teshuwàh per la sua colpa. E’ scritto in Yalqut Shim’onì “a chi fa teshuwàh per le sue colpe H. aggiunge un nome affettuoso con il quale lo chiama”.
In questa lettura il Gherà non segue la strada di Rashì, che ritiene che questa cantica sia stata recitata da David in vecchiaia, quando non aveva più nemici, come ci sembrerebbe intendere dal primo verso, ma piuttosto quella di Abravanel, per il quale David la recitava ogni volta che aveva la meglio sui nemici. Il Midrash Shocher Tov sui Tehillim si spinge oltre, dicendo che chi intona un canto per via di un miracolo che ha ricevuto, è come se divenisse una nuova creatura, e questo ci collega alla festa di Sukkot, che considerata “la prima per il conteggio delle colpe”, visto che con Kippur l’uomo è stato ripulito da tutte le sue trasgressioni, ed è come se fosse una nuova creatura. David chiama H. “il corno della mia salvezza”, ed il Midrash riferisce il verso all’unzione di David, che era differente da quella di Shaul. Nella sua tefillàh Channàh dice “si erge il mio corno” – spiega il midrash “il mio corno e non la mia ampolla (pach)”, a sottolineare la differenza fra l’unzione di Shaul, avvenuta per mezzo di un pach (1 Samuele 10,1), e quella di David avvenuta per mezzo di un corno.
La modalità di unzione è esemplificativa del destino dei due re: Shaul non viene perdonato per la sua colpa, e l’eccessiva clemenza nei confronti degli amaleciti gli costa il regno, mentre David viene perdonato per l’episodio di Uriàh. Ciò è collegabile al materiale dell’ampolla e del corno, l’uno di coccio, l’altro di osso, e pertanto l’uno kasherizzabile, e l’altro no, se non distruggendolo. Il Maharshà spiega la differenza degli atteggiamenti a partire dalla natura dei peccati, quelli di David toccano la sfera individuale e non quella pubblica, mentre quello di Shaul riguarda le prerogative del re, e se il re non si occupa dello sterminio di ‘Amaleq non vi è nessuno che possa farlo al posto suo. L’introduzione alla Shiràh presenta un termine molto strano, che non ci aspetteremmo, che è waydaber, che indica un’espressione dura, e comunque non di certo gioiosa, come dovrebbe essere quella di un canto di lode e ringraziamento. Evidentemente David non era felice delle modalità attraverso le quali era giunta la sua salvezza, attraverso la morte di Shaul per mano dei nemici, e probabilmente per la morte dei nemici stessi, avvenuta per mezzo di uno spargimenti di sangue. Il canto di David pertanto è paragonabile sotto certi aspetti alla Hallel dei giorni di chol ha-mo’ed di Pesach, che non viene recitata in forma completa (Netivot Neviim).
Ma il ringraziamento di David non riguarda solamente il passato ma anche il futuro, preannunciando la venuta del Mashiach che discenderà da lui, e questo ci collega nuovamente con questo periodo dell’anno. Difatti l’haftaràh del prossimo Shabbat, chol ha-mo’ed di Sukkot, nel quale leggeremo della guerra di Gog e Magog ci introdurrà agli avvenimenti, che tradizionalmente avverranno proprio di Sukkot, che preluderanno alla venuta del Mashiach.