Prima di morire Mosè chiama a testimoni dell’ultimo discorso che rivolge al popolo ebraico il cielo e la terra.
Uno dei discorsi più duri che abbia mai pronunciato e nel quale non esita a dire che appena conquistato il Paese, il popolo si allontanerà perdendosi dietro gli usi degli altri popoli.
E questo sarà il motivo delle punizioni che non tarderanno ad arrivare e saranno molto dure.
Ci troviamo nello shabbat in cui ci teniamo alle spalle Iom Kippur, appena trascorso, e quella che è chiamata dalla Torà “Zeman simchatenu – Epoca della nostra gioia” cioè Succot, la festa del raccolto del prodotto della terra.
È come se fosse un lungo ed unico periodo, in quanto la prima mizvà che bisogna fare appena finito lo Iom Kippur è quella di iniziare la costruzione della succà.
Vi è un nesso molto forte fra la nostra parashà e il periodo che stiamo vivendo: la succà simboleggia il premio per una vita all’insegna dall’osservanza delle mitzvot e di una teshuvà vera; viceversa, se ci si è comportati male, la nostra parashà ci racconta ciò che potrà capitarci.
Zeman simchatenu – Epoca della nostra gioia: gioisce chi sa accontentarsi di ciò che D-o ci manda, giorno dopo giorno, consci che un giorno dovremo abbandonare tutte le nostre ricchezze, messe da parte con una vita di affanni.
Ezehù ashir? Ha sameach be chelkò – Chi è il ricco? Colui che gioisce della propria parte! Insegnano i Maestri della Mishnà.
Chi si sa accontentare, ringraziando D-o per ciò che quotidianamente gli manda, è colui che sa godere della festa di Succot.
Shabbat shalom e Chag sameach