Chi era il popolo dell’ascetica setta ebraica ritenuto autore delle centinaia di “Manoscritti del Mar Morto”, rinvenuti nel 1947 nelle grotte del deserto della Giudea? Tra questi scritti figurano le più antiche testimonianze del testo biblico
Adolfo D. Roitman
La Regola della comunità di Qumran recitava: «In mano al principe delle luci è l’impero su tutti i figli della giustizia: essi cammineranno sulle vie della luce. E in mano agli angeli della tenebra è tutto l’impero sui figli dell’ingiustizia: essi camminano sulle vie della tenebra». Duemila anni dopo la loro stesura, tali parole restituiscono alla storia gli esseni, una setta di dissidenti ebraici.
Il loro era solo uno dei gruppi religiosi che, insieme a farisei, sadducei, zeloti, formavano la società giudaica negli ultimi tempi dell’età precristiana e al principio dell’età cristiana. Con il passare dei secoli, gli esseni caddero nell’oblio, fino alla fine del XIX secolo, quando alcuni studiosi formularono la controversa ipotesi che proprio al loro movimento si fossero ispirati prima Giovanni Battista e poi lo stesso Gesù di Nazareth.
La scoperta di Qumran
L’interesse per la misteriosa setta degli esseni crebbe quando, tra il 1947 e il 1956, oltre ottocento rotoli di pergamena e papiro, conservati in giare e perlopiù frammentari, furono rinvenuti in undici grotte dell’arida regione di Qumran, nei pressi della sponda nordoccidentale del Mar Morto.
Dalla cosiddetta grotta 1, dove alcuni pastori beduini ritrovarono il primo dei celebri manoscritti del Mar Morto, proviene la Regola della comunità, scritta in ebraico come la gran parte dei codici, benché non manchino frammenti di testi redatti in aramaico e in greco.
In seguito a tale casuale scoperta, negli stessi anni iniziarono le indagini archeologiche nel vicino sito di Qumran, località della Giordania situata trentacinque chilometri a est di Gerusalemme. Riaffiorarono così le rovine di un edificio di carattere monastico; un complesso di reperti, tra cui utensili di ceramica, metallo o legno, tracce di tessuti e ossa di animali, nonché un vasto cimitero comprendente 1200 tombe.
Fino a quel momento erano molto scarse le notizie sugli esseni, fornite solo da autori classici quali il greco Filone di Alessandria (30 a.C.-45 d.C.), il giudeo-romano Giuseppe Flavio e il latino Plinio il Vecchio, questi ultimi vissuti entrambi nel I secolo d.C. Interpretando tali fonti alla luce delle nuove scoperte, i ricercatori giunsero dunque a identificare gli abitanti dell’insediamento di Qumran con i cosiddetti esseni di cui parlano gli storici antichi. Furono proprio i componenti di questa comunità, stanziata nel deserto della Giudea dal 150 a.C. al 68 d.C., a redigere e nascondere nelle grotte gli antichissimi rotoli.
Gli scrittori classici assicurano che gli esseni abitavano perlopiù in villaggi, ma non ne mancavano nemmeno nelle città; una delle loro sedi principali era l’oasi di Engaddi, sul Mar Morto. Giuseppe Flavio, nel secondo libro della sua Guerra giudaica, rende noto, infatti, che i dissidenti esseni «vivevano in assai gran numero sparsi per tutte le città della Giudea» e Filone, nella sua Apologia dei giudei, li presenta come «abitanti in numerose città della Giudea e in svariati villaggi, dove formano delle comunità grandi e numerose».
Secondo le informazioni contenute nei rotoli – soprattutto nel cosiddetto Documento di Damasco –, si trattava di comunità familiari unite da legami di parentela e disciplinate da una regola severa. Probabilmente esisteva un quartiere esseno anche a Gerusalemme, posto vicino all’attuale porta di Sion. Tuttavia, nella sua Storia naturale, Plinio il Vecchio allude a un insediamento esseno situato nei pressi del Mar Morto: «Sulle coste occidentali del Mar Morto, alquanto lontani dalle rive malsane, vivono gli esseni». Le evidenze archeologiche di Qumran sembrano collimare perfettamente con il testo dello scrittore latino, e ulteriori scoperte nel deserto della Giudea, in località come Ain el-Ghuweir e Hiam el-Sagha, consentono di ipotizzare che alcuni esseni si fossero stabiliti nella zona a nordovest del Mar Morto.
Una comunità di uomini puri
Tuttavia, le comunità essene che vivevano nella regione del Mar Morto, diversamente dai loro correligionari residenti in città, dovettero organizzarsi per poter sopravvivere nel clima inospitale del deserto. Particolare attenzione era dedicata alla distribuzione e all’uso dell’acqua, e la rigida vita ascetica ben si adattava alle difficili condizioni ambientali. Inoltre gli esseni avevano una forte connotazione comunitaria, tratto, quest’ultimo, indispensabile in tali congregazioni, tanto da essere implicito nello stesso termine, yahad – letteralmente “insieme” in ebraico – utilizzato nei manoscritti del Mar Morto, soprattutto nel testo della Regola, per designare la comunità di Qumran.
Gli esseni scelsero di insediarsi in un territorio tanto arido e desolato poiché spinti dal desiderio di fuggire da una società giudicata corrotta e malvagia: il deserto assurgeva dunque a simbolo di rinuncia e purezza. D’altronde, nel Libro di Ezechiele, il profeta preannunciava che alla fine dei tempi il Signore avrebbe trasformato il deserto in un giardino rigoglioso, simile all’Eden. Dio gli avrebbe infatti rivelato: «Queste acque si dirigono verso la regione orientale, scenderanno nella pianura ed entreranno nel mare; e quando saranno entrate nel mare, le acque del mare saranno rese sane. E avverrà che ogni essere vivente che si muove, dovunque giungerà il torrente ingrossato, vivrà, e ci sarà grande abbondanza di pesce; poiché queste acque entreranno là, quelle del mare saranno risanate, e tutto vivrà dovunque arriverà il torrente».
Perciò gli esseni elessero il deserto quale luogo privilegiato per segnare il loro distacco dal mondo e dai suoi beni, e preservare dunque la purezza religiosa. A tal proposito un brano fondamentale della Regola della comunità recita: «E quando questi esistano come comunità in Israele, secondo queste disposizioni si separeranno dall’interno della residenza degli uomini di iniquità per andare nel deserto e aprire la strada di lui. Come è scritto: ‘Preparate nel deserto la via di Jahvè, livellate nella steppa una strada per il nostro Dio’».
La vita quotidiana degli esseni
I ricercatori ritengono che il complesso di edifici riemerso dalle sabbie di Qumran fosse destinato a ospitare un numero limitato di individui, presumibilmente funzionari, sacerdoti o anziani. Gli altri componenti della setta vivevano invece nei dintorni, sia in capanne sia nelle grotte delle scogliere. Si è calcolato che nell’area di Qumran potessero vivere circa 150 o al massimo duecento persone, benché si tratti di cifre ipotetiche, fondate sul numero delle tombe presenti nei cimiteri.
Se i manoscritti del Mar Morto offrono una visione non del tutto esauriente dello stile di vita di queste genti, le fonti classiche rappresentano tuttavia un prezioso supplemento di informazione. In particolare, nel secondo libro della sua Guerra giudaica, Giuseppe Flavio si sofferma sul modo di vivere degli esseni: «La loro devozione verso la divinità ha una forma particolare. Prima del sorgere del sole non si ode da parte loro neppure una sola parola profana; essi gli rivolgono delle preghiere tradizionali, quasi a supplicarlo di spuntare. Dopo di ciò ognuno è invitato dai sovrintendenti al mestiere che fa: dopo aver lavorato energicamente fino all’ora quinta, si radunano nuovamente in un solo posto e cintisi di un indumento di lino si lavano il corpo con acqua fredda. Dopo questa purificazione, vanno insieme in un edificio particolare dove a nessuno di altra fede è concesso entrare: loro stessi non entrano nel refettorio che dopo essersi purificati, come in un recinto sacro».
E continua: «Dopo che, in silenzio, si sono seduti, il panettiere serve i pani per ordine, e il cuciniere serve a ciascuno una sola scodella con una sola vivanda. Il sacerdote premette sempre al pasto una preghiera, e nessuno può mangiare alcunché prima che sia terminata; dopo che hanno mangiato egli aggiunge una nuova preghiera; cosicché sia al principio che alla fine venerano Dio come dispensatore della vita».
Lo storico giudeo aggiunge: «Poi, deposte le vesti indossate per il pasto, considerate sacre, tornano nuovamente al lavoro fino alla sera. Allora ritornano e cenano nella stessa maniera in compagnia degli ospiti, se per caso ve ne sono di passaggio fra di loro. Né clamore né tumulto turba la casa: per parlare si cedono la parola, gli uni agli altri, ordinatamente. A chi vi passa davanti, a causa dell’assenza di rumori, sembra che all’interno si stia celebrando qualche terribile mistero, ma questo silenzio è semplicemente frutto di una sobrietà costante e dell’esercizio di prendere cibo e bevande solo nella misura necessaria».
Tutta la vita comunitaria era contrassegnata dall’idea della purezza rituale. La Regola della comunità documenta la prassi liturgica dell’immersione catartica nell’acqua che preludeva ogni giorno al pasto comunitario: «Costoro non entrino nelle acque per partecipare del puro cibo degli uomini santi poiché non saranno purificati, a meno che non si convertano dalla loro malvagità».
Le testimonianze archeologiche di Qumran confermano peraltro il ruolo essenziale dei riti di purificazione: oltre ai resti dell’acquedotto, dei canali e delle cisterne che assicuravano l’approvvigionamento idrico, sono visibili infatti le vasche destinate ai bagni rituali. La pratica delle abluzioni diffusa tra gli esseni era con ogni probabilità una trasposizione della liturgia officiata dai sacerdoti nel tempio di Gerusalemme, che dovevano lavarsi più volte al giorno, prima e dopo gli atti di culto.
La fine dell’ingiustizia
Gli abitanti di Qumran si distinsero dai loro contemporanei per il rigore con cui compivano i loro esercizi di purificazione. Nello sforzo di preservare l’integrità dei membri della comunità ed elevarli alla santità, gli esseni inasprirono le prescrizioni relative alla purezza imposte dalla legge ebraica. Il rigore etico da loro professato li portava a considerarsi alla stregua di un tempio spirituale, aperto alla comunicazione con il mondo degli angeli. A tal proposito, nel Rotolo della guerra si legge: «E ogni uomo che non si sia purificato dalla sua ‘fonte’ il giorno della battaglia non scenderà con loro, poiché insieme alle loro schiere ci sono gli angeli santi».
Spinti da questa ossessiva ricerca della purezza rituale, i gruppi esseni più radicali e intransigenti, come la yahad di Qumran, praticavano l’ascetismo e il celibato, distinguendosi per tale aspetto dalle comunità familiari residenti in numerose città della Giudea. Alla duplice struttura sociale del movimento esseno avrebbe fatto riferimento lo stesso Giuseppe Flavio, il quale scrisse: «Gli Esseni disprezzano il matrimonio […]. Non condannano il matrimonio in sé stesso e neanche la procreazione, ma vogliono proteggersi dalla lascivia delle donne, perché sono convinti che nessuna donna può rimanere fedele a un unico uomo». E, tuttavia, rivela l’esistenza di un altro indirizzo di pensiero all’interno della setta: «C’è un altro gruppo di esseni, simile a quello precedente per quanto riguarda il tipo di vita, gli usi e le leggi, ma diverso per la concezione del matrimonio. Ritengono, infatti, che non sposarsi significa amputare la parte principale della vita, cioè la procreazione».
Probabilmente non conosceremo mai fino in fondo il vero carattere della società degli esseni, uomini e donne intimamente persuasi, come rivela la Regola della comunità, che «Dio, nei misteri della sua conoscenza e nella sapienza della sua gloria, ha fissato un termine all’esistenza del Male, e al momento della sua visita lo distruggerà per sempre».
https://www.storicang.it/a/gli-esseni-comunita-deserto_15729