J’ ACCUSE – David Mamet
Nel suo nuovo libro il drammaturgo prende di mira l’ intellighenzia americana che si autoflagella
«Chi odia gli ebrei più degli ebrei?» si chiedeva Henry Miller in Tropico del Cancro. «Tutti gli altri» risponde nel suo nuovo libro The wicked son (Il figlio malvagio) il premio Pulitzer David Mamet, drammaturgo, sceneggiatore e regista americano di rara belligeranza, oltre che intelligenza e acume linguistico. Il mondo odia gli ebrei, li ha sempre odiati e sempre li odierà, scrive Mamet. Ed è per questo che bisogna stanare e combattere l’ antisemitismo ovunque si nasconda. Soprattutto tra gli ebrei stessi, quelli che hanno così interiorizzato l’ odio anti semita da autoflagellarsi denigrando le proprie tradizioni e lo stato d’ Israele. L’ autore di Oleanna e Gengarry Glen Ross in teatro, e di La casa dei giochi e di Omicidi al cinema, se la prende con «gli ebrei che, negli anni ‘ 60, invidiavano il movimento delle Pantere Nere; che, negli anni ‘ 90, invidiavano i palestinesi; che frignano davanti a Exodus ma s’ inalberano davanti alle Forze di Difesa Israeliane… che per curiosità sono pronti ad andare a un combattimento di cani, un bordello o una fumeria d’ oppio, ma trovano assurda l’ idea di una visita in sinagoga; che al primo posto tra i loro ebrei preferiti mettono Anna Frank e al secondo non sanno chi metterci…». Mamet se la prende anche con un intellettuale influentissimo come Noam Chomsky, che usa la sua cattedra di linguistica all’ MIT per «pervertire i giovani con le sue porcherie».
Chomsky dice che lo stato d’ Israele è «un crimine», scrive Mamet, e dice per giunta di sentirsi esentato «dalla necessità di ulteriori spiegazioni o dalla difesa delle sue posizioni». A questi ebrei che secondo lui temono l’ endogamia, più dell’ incesto, considerano la circoncisione una mutilazione ma approvano le protesi al seno, che non parlano coi rabbini ma vanno dallo psicoanalista, e soprattutto agli ebrei che mettono in discussione Israele, il più moderno dei drammaturghi americani parla con la foga di un pioniere sionista dell’ 800, deciso a scioccare pur di mettere alla berlina i suoi correligionari che provano «lo yoga, il self-help, l’ agnosticismo, il buddismo o gli sport, alla stessa maniera in cui i ricchi provano, in modo seriale, questa o quella nuova automobile, casa, marito o moglie». «Mamet non riesce a tollerare gli ebrei che si contentano di esserlo in modo superficiale», lo giustifica sul sito jbooks.com il rabbino del suo shul, Mordecai Finley. «Vorrebbe prenderli a calci nel culo per risvegliare la coscienza delle loro anime, e invece ha scritto The wicked son». Ovvero una raccolta di saggi incoerentemente organizzati ma pugnaci, che prende il titolo da un momento della liturgia del Seder di Passover in cui «il figlio malvagio» fa al padre delle domande sulla Pesach (la Pasqua ebraica), evitando di usare la parola «noi» per prendere le distanze dalla propria eredità storica. Le reazioni al libro sono state tutto fuorché quelle previste.
A Los Angeles per esempio, la nutrita compagine ebraica di Hollywood si è distratta per un momento dai massaggi ayurvedici e le aromaterapie, per accogliere il libro di Mamet con mente aperta, e fargli persino qualche telefonata di solidarietà, secondo quanto ha raccontato lui stesso al «Jerusalem Post». E qualcosa di simile sembra stia accadendo nell’ ambiente ebraico illuminato dell’ Upper West Side di New York, forse stanco di satirizzare con Woody Allen e Philip Roth sulla cultura degli immigrati askenaziti. No, chi rimanda al mittente la requisitoria del Mamet «riformato» (la sua svolta ebraica è relativamente recente: «Viene allo shul tutti gli Shabbas e fa domande occasionali durante lo studio della Torah, con un sorriso sulla faccia che non mi riesce ancora di interpretare. Forse si sta divertendo» racconta il rabbino Mordecai Finley), è un’ intellettuale ebrea e sionista tutta d’ un pezzo come Cynthia Ozick. «Ciò che angoscia gli ebrei sono i fiancheggiatori degli jihadisti, simpatizzanti e apologeti attivi in diverse società, soprattutto tra le dogmatiche élites “progressiste” della stampa, del circuito dei convegni e delle università» scrive. «Non è più possibile, se mai lo è stato, distinguere tra aperto antisemitismo e movimenti politici di boicottaggio. Il fatto che ci siano ebrei importanti in questi movimenti, e che siano infaticabili nel loro zelo diffamatorio, è quello che ha portato Mamet al suo j’ accuse». «La cura per l’ ebreo non è né l’ assimilazione né la conversione, ma la religione – scrive Mamet -. Perché, invece di adorare il vento e l’ acqua, la ricchezza e la fama, non avete il coraggio di contemplare ciò che li ha creati e che ha creato voi?».
Ma Ozick non crede a questa medicina. «Mamet è convinto che l’ apostasia possa essere curata. E come? Con l’ osservanza diligente ai riti e la devozione all’ apprendimento della Torah… Ma immagina davvero che mandare Noam Chomsky o Norman Finkelstein o Tony Judt alla yeshiva possa guarirli dalla loro collaudata ostilità?». Contattato dal «New York Observer» Chomsky ha risposto con una mail gelida: «Sono certo che Mamet non ha citato alcuna fonte per le frasi che mi ha attribuito, per la semplice ragione che sono tutte menzogne e lui lo sa. Non è un imbecille». Ozick, dal canto suo, rimprovera invece all’ autore di The wicked son una lingua compromessa.
L’ uso per esempio di espressioni come «razza ebraica»: che definisce «una frase discutibile in sé, che forse poteva essere accettabile nel Ventesimo secolo ma che sappiamo falsa sul piano genetico e macchiata per l’ eternità da marchio nazista». Né riesce a mandar giù il ripetuto uso da parte di Mamet dell’ aggettivo «tribale», che definisce «retrogrado e denigratorio». «La Germania nazista – scrive – ha costruito un’ identità nazionale sull’ antisemitismo che ha incenerito, senza distinzione, gli assimilati, i convertiti, i credenti e i non credenti, e Daniel Pearl non è stato decapitato perché era un’ espressione della globalizzazione occidentale. L’ antisemita non è un “normale” bigotto. Ed è per questo che trovare analogie all’ antisemitismo in altre esperienze storiche, come fa Mamet, è un argomento privo di forza logica. Le storie umane, anche quelle terribili, non sono mai intercambiabili».
Manera Livia – (19 gennaio, 2007) Corriere della Sera