Conclusione
È innegabile che l’allontanamento degli ebrei dal Regno di Napoli abbia determinato in quelle regioni del Mezzogiorno italiano una grave crisi economica; l’esercizio dell’usura da parte di questi, se aveva inasprito i loro rapporti con le popolazioni locali sempre fomentate da integralisti cristiani per mera intolleranza religiosa, d’altro canto aveva permesso, mettendo in circolazione grandi quantità di denaro, lo sviluppo dei commerci principalmente nelle città marinare e la possibilità per le popolazioni contadine, sempre carenti di contante, di far fronte ai loro obblighi fiscali attraverso il prestito su pegno.
È opportuno far rilevare ancora una volta come le attivissime comunità ebraiche non praticassero soltanto l’attività dell’usura, cosa che peraltro aveva contribuito a contenere la rapacità dei banchieri veneziani e fiorentini; esse infatti avevano sviluppato in gran misura i commerci, esercitando pure un gran numero di mestieri ed attività nei settori più disparati. E evidente che, venendo repentinamente a mancare con l’espulsione una massa cospicua di operatori qualificati nelle attività finanziarie, produttive e commerciali, si attivarono automaticamente dei meccanismi che portarono lentamente al degrado economico del Regno.
Un altro aspetto molto importante, spesso trascurato dagli studiosi, è la recessione che ebbe a determinarsi in campo culturale: durante il periodo aragonese vi fu una fioritura di professionisti e uomini di cultura ebrei i quali formarono una classe intermedia che potremmo definire eufemisticamente borghese, si moltiplicarono letterati, filosofi, maestri di scuola, astrologhi, poeti, notai, farmacisti e librai, ma anche questo ceto sociale con l’estromissione definitiva scomparve; di riflesso la struttura della società civile nel Regno di Napoli s’indebolì e si determinò quello che modernamente potremmo considerare un gap economico-culturale destinato ad influire sullo sviluppo futuro del Mezzogiorno.
Per quanto riguarda i motivi che portarono all’espulsione dal Regno, analizzata la situazione venutasi a creare con il dominio spagnolo, non si può credere ad una sola ed unica causa come quella già precedentemente esposta e riportata dal marchese De Salas. Probabilmente si crearono nel Regno una serie di condizioni e di concause che determinarono il vicerè don Pedro da Toledo a non appoggiare presso la corte di Madrid le richieste ebraiche di un rinvio, per cui si arrivò al provvedimento di definitiva espulsione nel 1541.
Queste molteplici cause che influenzarono negativamente il vicerè, a nostro parere, si possono identificare anzitutto nell’intolleranza religiosa di alcuni ambienti ecclesiastici, nella presa di posizione antiebraica dell’Inquisizione, che già operava in diversi paesi europei e nell’enorme situazione debitoria della nobiltà del Regno nei confronti degli ebrei. Naturalmente per ottenere lo scopo ultimo della cacciata si riuscì spesso a strumentalizzare il popolo fomentandone il rancore verso gli usurai ebrei, ed inoltre come causa ultima si utilizzò la disputa riguardante i crediti ad essi dovuti e la relativa sentenza della camera della Sommaria negativa nei loro confronti.
In questo modo si consumò nel Regno di Napoli il crespuscolo di un’etnia, quella ebraica, che pur non immune da colpe, tanto aveva contribuito al suo progresso; soltanto secoli più tardi al termine della funesta dominazione spagnola sotto l’illuminato governo di Carlo di Borbone vennero di nuovo aperte le porte del Regno di Napoli agli ebrei, con la rinnovata consapevolezza di poter far rifiorire le industrie ed i commerci attraverso l’operosità di questi ultimi.
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