Capitolo IV: Decadenza degli insediamenti ebraici sotto il governo spagnolo e loro definitiva espulsione dal Mezzogiorno
Abbiamo sommariamente descritto come si pervenne alla definitiva espulsione degli ebrei dal Regno di Napoli nel 1541. Tuttavia, prima di giungere a questo provvedimento definitivo con la presa di possesso da parte degli Spagnoli, si venne a creare una situazione che compromise tutte le prospettive di sviluppo verificatesi sotto la dominazione aragonese per le comunità ebraiche. Gli ebrei tentarono in ogni modo d’inserirsi nel nuovo quadro politico al fine di evitare un peggioramento della loro situazione, ben ricordando la loro espulsione dalla Spagna nel 1492, come pure l’ostilità nei loro confronti di Ferdinando il Cattolico e paventando un insediarsi del tribunale dell’Inquisizione anche nel Regno di Napoli. Questo tentativo ci è chiarito dal viaggio del famoso ebreo Giuseppe Abravanel a Messina per perorare la causa ebraica il 6 febbraio del 1501 presso don Consalvo Fernandez comandante dell’armata spagnola, come pure dalle lettere di quest’ultimo ad un certo Abramo nell’ottobre del 1500 (1).
In questo stato di attesa e di timore per il futuro si susseguì nel regno tutta una serie di eventi significativi: a Cosenza gli ebrei se da una parte ottenevano l’8 settembre 1501 di non essere costretti a prestare denaro, d’altra parte furono obbligati il 19 luglio 1504 ad andare ad abitare entro sei mesi “in uno loco appartato et separato”, e s’impose loro di portare il famigerato segno distintivo (2). Per paura dell’Inquisizione quindici famiglie si spostarono dalla Sicilia a Reggio (3); nel 1506 furono tutti espulsi da Nola (4); a Trani l’annullamento dei debiti nei confronti degli ebrei fu sancito il 23 febbraio 1507 (5). Inoltre come narrato nella cronaca di notar Giacomo (6) i tranesi, approfittando della vicinanza degli spagnoli, saccheggiarono le case degli ebrei e dei marrani e desistettero soltanto con l’entrata in città dell’esercito di Prospero Colonna.
Il 15 giugno 1509 l’Università di Trani, ormai in mano agli spagnoli, richiese che gli ebrei non potessero costringere i cittadini al pagamento dei debiti visto lo stato d’indigenza di questi ultimi (7). Nel frattempo, nel 1507 l’Università di Molfetta aveva ordinato di non soddisfare i debiti usurari contratti con gli ebrei al fine di non farli allontanare dalla città a pagamento avvenuto.
Ferdinando il Cattolico, dal canto suo, continuò nella crociata antiebraica ed il 12 gennaio 1509 generalizzò l’ordine per gli ebrei di portare “il segno di panno rosso in qualsivoglia città, terra, castello e luogo” (8), inoltre inviò Antonio Baldascino in Puglia ad indagare su presunti atti osceni ed episodi d’incesto commessi da ebrei convertiti nel giorno del giovedì santo (9), fatti che volutamente erano stati pubblicizzati al massimo. In realtà si tendeva ad introdurre nel regno il tribunale dell’Inquisizione spagnola, che in effetti iniziò a funzionare nel 1509 non solo contro gli ebrei ma nei confronti di tutti i cittadini. Il popolo tuttavia avvertito, pare, da un ebreo e due cristiani, i quali dichiararono di aver visto in azione a Monopoli gli inquisitori, si ribellò e generò un tumulto nel gennaio 1510, finchè dopo altre agitazioni, a seguito di numerose proteste, il 10 novembre 1510 il vicerè comunicò ai rappresentanti dei nobili e del popolo convocati a Napoli in Castelnuovo che il re forniva ampie assicurazioni di non introdurre l’Inquisizione, mentre intendeva venissero espulsi i giudei e i mori, così come era già stato fatto in Sicilia ed in Spagna (10).
Come si evince dalle notizie sopra riportate la situazione degli ebrei nel Regno di Napoli era in uno stato di estremo disagio, il cui aggravarsi pareva inarrestabile, ed infatti si giunse al decreto di espulsione generale del 23 novembre 1510 che colpiva però i soli ebrei e non i cristiani novelli, i cosìddetti marrani, anche se più tardi fra la fine del 1514 e l’inizio del 1515 Ferdinando il Cattolico espulse anche loro.
Ma questi bandi in realtà non trovarono un’applicazione scrupolosa e generalizzata: a Bari dove era al potere una Sforza, la duchessa Isabella, il bando di espulsione fu pubblicato solo il 31 dicembre 1510 (11) e subito dopo un’altra prammatica permetteva a 200 famiglie di non osservarlo dietro pagamento di un tributo annuo di 3000 ducati, mentre a Trani, il 24 gennaio 1515, veniva emanato un ordine perentorio di allontanamento entro 20 giorni per i cristiani novelli, ordine temperato dall’invito fatto al capitano di non sequestrare i loro beni e di non molestarli. Tuttavia un anno più tardi si concedevano ad un certo Ramides 20 ducati d’oro su fosse granarie già dei neofiti (12). Solo gli appartenenti alle famiglie più ricche e potenti, come i De Bostunis o il rispettato don Jacob Abravanel (13) che ritroviamo in Puglia ancora dopo l’espulsione del 1510 e don Samuele Abramanello debitore nel 1531 di un’ ingente somma di denari all’ebreo napoletano Mojse Saltato, riuscirono ad evitare tali vessazioni, mentre le 200 famiglie precedentemente menzionate, a seguito delle restrizioni loro imposte, caddero rapidamente in miseria.
La situazione di confusione e disordine creata da questi provvedimenti spesso contraddittori tra loro determinò riflessi particolarmente negativi nelle città marinare pugliesi che erano principalmente dedite ai commerci.
L’operosità di queste comunità nel tormentato periodo che va dal 1520 al 1541 va lentamente spegnendosi; in effetti, le notizie relative alle colonie pugliesi sono scarse, dopo quel periodo molte di queste si estingueranno. Tuttavia un minimo di attività giuridica civile continua nelle comunità ebraiche, come ci dimostrano alcuni documenti notarili conservati a Trani (14). Si ha conoscenza della presenza nelle giudecche di personaggi ben conosciuti: a Barletta nel 1501 si trovava Leone detto l’Ebreo che aveva composto i Dialoghi d’amore con suo padre il vecchio medico Isacco Abarbanel che migrò poi a Venezia ed insieme a lui si ricordano altri due medici, Carlo Calominos e maestro Salomone Chirurgico insieme ad altri ricchi giudei.
Ancora dopo il 1511 a Bari e nelle comunità dei paesi vicini si stipulavano contratti di compravendita come quelli reperiti nell’archivio di Stato di Bari, si creavano società fra ebrei e si concedevano mutui (15); inoltre venivano ancora stipulati vantaggiosi contratti con i cristiani e questo indica come in questa città i primi godessero di notevole tolleranza. A Bitonto, come dimostra una richiesta d’intervento dell’ abate di San Leone presso il Pontefice, effettuata contro una tassa vessatoria sugli affari, si rivela ancora attiva la presenza ebraica (16).
Peraltro, cessata la temibile concorrenza degli usurai ebrei a seguito della loro espulsione, i banchieri cristiani imposero nella concessione dei prestiti interessi addirittura esorbitanti: si pensi che a Cosenza appena chiusi i banchi di pegno ebraici, gli usurai cristiani richiedevano interessi di 2 carlini al mese per ogni ducato, il che significa il 200% al mese pari all’enorme tasso del 2400% l’anno.
A questo punto la popolazione cristiana espresse al sovrano “il bisogno grandissimo che teneno de li hebrei”, in particolare per essere sostenuti nei “pagamenti fiscali quali serriano impossibile poternosi pagare senza de la stancia de quili”, e nonostante la pubblicazione da parte di Pietro Galatino dei frati minori Osservanti di un libello Contra obstinatissimam judaeorum perfidiam Carlo V emanò un editto in data 23 novembre 1520 con cui venivano richiamati nel regno gli ebrei a condizioni particolari. Tuttavia le predicazioni fomentatrici di odio, come quella del frate Francesco di l’Agnelina, continuarono e nonostante il vicerè ordinasse al religioso “inzuriandolo assai” che non più “predicasse contra zudei”, questi fece in modo di ottenere in data 28 aprile 1521 un bando con cui “li ebrei portino barete zale” come in uso a Venezia (17). La situazione degli ebrei diventò sempre peggiore, e nel 1528 a seguito della “invasione et occupatione del regno da Francesi” questi “non potectero negotiar, immo foro perseguitati et sachigiati et andaro dispersi che non posseano stare securi né fare loro industrie” (18).
Come abbiamo già visto, il vicerè don Pedro da Toledo non rese certo più roseo il loro avvenire, e l’emissione dell’editto del 1533 che stabiliva l’espulsione entro sei mesi a pena di gravi sanzioni produsse effetti drammatici. Esso comandava che “maschuli et femine, piccholi et grandi, non exceptuandone alcuno” emigrassero salvo divenire schiavi con la relativa confisca di beni mobili ed immobili (19), in alternativa dovevano convertirsi al cristianesimo.
I sudditi del regno che avevano necessità degli usurai ebrei per far fronte alle loro necessità, protestarono contro tali ordini ed asserirono che gli ebrei rimasti dopo il 1520 “sempre hanno campato modestamente et subvenuto li populi in loro necessità”. A seguito di queste lamentele il sovrano autorizzò il vicerè a raggiungere un compromesso con gli ebrei circa la loro estromissione dal regno. Una folta delegazione delle giudecche pugliesi (20) insieme con i proti di quella di Napoli si recò dal vicerè e, capitanata dall’ebreo don Samuele Habravanel, gli sottopose una proposta di accordo articolata in numerosi articoli relativa alla situazione degli ebrei; questa venne approvata da don Pedro da Toledo il 28 febbraio 1535: in base a questo accordo veniva rinviata di dieci anni l’espulsione insieme ad altre modalità loro favorevoli (21). Le richieste di cui sopra, approvate da Carlo V e debitamente sottoscritte, vennero consegnate agli interessati alla sua partenza da Napoli il 31 marzo 1536.
Ma la fiducia degli ebrei negli accordi raggiunti con le autorità spagnole fu ancora scossa quando in data 10 novembre 1539 fu loro imposto di abitare in luoghi separati ed in ogni circostanza portare il segno di riconoscimento: chiaramente questi inasprimenti preludevano alla loro cacciata. Infatti, dopo un’altra serie di decreti, di proroghe e relativi ricorsi senza esito presentati dagli ebrei, entro il termine ultimo del 31 ottobre 1541 (22) si giunse alla definitiva espulsione dal Regno di Napoli, poiché ormai le decisioni politiche erano state prese.
Note al Capitolo IV
1. MARIN SANUDO, Diarii, III, Venezia 1902, pp. 886, 1439, 1474.
2. D. ANDREOTTI, Privilegi et capitoli della città dei Cosenza, II, Napoli 1869, p. 163.
3. R. COTRONEO, Gli ebrei della giudecca di Reggio Calabria, in “Rivista storica calabrese”, XI, sez. III, nov/dic. 1903, p. 392.
4. F. P. VOLPE, Esposizione di talune iscrizioni esistenti in Matera e delle vicende degli ebrei nel nostro reame, Napoli 1844, p. 26.
5. S. LOFFREDO, Storia della città di Barletta, II, Trani 1893, p. 520.
6. SUMMO, op. cit., p. 106.
7. Il libro rosso della Università di Trani, cit., doc. n. XXVI, pp. 297-298, par. 35: “Item se supplica ad esso ill.mo es.or che li judei non possano astrengere li citadini et homini de quella et farli satisfare quello devono conseguire per li pigni hanno restituiti in li jorni proximi passati per spacio de cinque anni non obstante qualsevoglia promissione facta a dicti judei per li predicti, etiam medio juramento firmata: et questo circa la sorte ma che la usura li sia remessa. Placet ill.mo D.mo Pro Regi concedere dilationem eo modo et forma in debitis dictorum judeorum pro ut in precedenti capitulo continetur et quod interim durante dilatione non teneantur ad usuras”.
8. Nuova collezione delle prammatiche del Regno di Napoli, IV, p. 99, cit. da FERORELLI, op. cit., p. 217, nota 2.
9. Cfr. L. AMABILE, Il Santo Officio della Inquisizione in Napoli, Città di Castello 1892, p. 14.
10. Idem, pp. 2 , 33 , 35 ss.
11. SUMMO, op. cit., appendice documentale doc. n. XXVII, p. XXI.
12. VITALE, op. cit., pp. 415-416.
13. FERORELLI, op. cit., p. 221, nota 3. Egli, “Da poj la pubblicacione de la regia pragmatica et expulsione de li judei del presente Regno remasto in la cità de Napoli con mogliere figliuoli cognata et fameglia conguidatico et salvi conducto facto per lo ill.mo don Rajmundo de Cardona vicerè et lo cuntenente generale”, ottenne con salvacondotto del 30 giugno 1512 per “li multi servicii” prestati e che “de continuo presta a la Regia Corte et per certi altri respecti” di potere con tutti i parenti e famigliari “stare in la presente cità de Napoli et Regno sencza incorrere in pena alcuna et gaudere li privilegii et prerogative che gaudavano li iudei de quisto Regno in tempo de li rettori de casa de Aragona et andar fora del Regno, tornare et stare”.
14. La presenza ebraica in Puglia fonti documentarie e bibliografiche, Bari 1982, a cura di C. Colafemmina, P. Corsi, G. Di Benedetto, Archivio di Stato di Bari, Sezione A. S. Trani, atti notarili, notaio Carissimo de Adiutorio, doc. 40 p. 68, prot. n. 5, aa. 1523 — 1524, cc. 129 v. — 130 v.
15. Idem, pp. 64 ss., doc. nn. 37,38,42,44,46,47,48,49.
16. SUMMO, op. cit., nota 1: “Mel de Belloinfante sacerdote ebraico, Giuseppe de Eleazer, Angelo Ziego, Daniel Ziego, Sabajus di Angelo de Trani ebrei dichiarano nella curia episcopale di Bitonto pretendono dovere esigere e conseguire dagli ebrei di qualsivogliano terre e città e luoghi conferentisi alle Mundine di S. Leone di Bitonto una gabella di grana 18 per ogni oncia di loro negozii e cose mencantili di qualunque sorte e maniera con grave pregiudizio dei privilegi alla detta Badia di S. Leone di Bitonto che esso nel detto nome e proprie spese dovesse andare a Roma e supplicare il Pontefice che detti ebrei non potessero più essere vessati sulla detta gabella dalla detta Vescovile Curia e tale causa spedisse in forma di Breve. Promettono dare al detto abate D. 16 se farà liberare con una definitiva sentenza essi e tutti gli altri ebrei dalla gravezza di tale gabella”.
17. FERORELLI, op. cit., pp. 223 ss. “Barete Zale” significa berretto giallo.
18. Idem, p. 227, nota 1.
19. Ibidem.
20. La presenza ebraica in Puglia, cit., pp. 78-79, doc. n. 43. Gli ebrei della giudecca di Bari nominano Vitale di maestro Iosep, abitante in Giovinazzo, loro procuratore con l’incarico di recarsi a Napoli e lì insieme con Samuel Habravanel e i proti della giudecca di Napoli, negoziare con il Vicerè o con il Regio Collaterale Consiglio le condizioni per la loro permanenza nel Regno di Napoli.
21. FERORELLI, op. cit., pp. 229-230.
22. VOLPE, op. cit., p. 26.