Capitolo III: Gli ebrei a Trani dalle origini al dominio aragonese
1. La fondazione della comunità ebraica ed il periodo normanno
Abbiamo visto nel capitolo precedente come sia certa la presenza di comunità ebraiche in Puglia fin dall’epoca romana e poi ancora per tutto l’alto Medioevo. Ciò premesso, bisogna aggiungere che le origini della comunità di Trani sono controverse; infatti a questo proposito le opinioni divergono: alcuni autori citati da Giovan Battista Beltrani (1) ritengono che i primi ebrei siano arrivati a Trani dopo la loro espulsione dai regni di Castiglia e d’Aragona verso il 1144 (fra questi F. Ughelli, D. Forges Davanzati, A. D’Aprea e G. Del Giudice), mentre altri, fra cui lo stesso Beltrani (2) e Bedarride (3), ritengono che gli ebrei si sarebbero stanziati in questa località in gran numero prima del 1000 d.C., contemporaneamente alle incursioni dei saraceni, in tal senso si esprime pure Ferorelli (4), avvalorando così la seconda tesi, mentre Colafemmina (5) ritiene che il primo nucleo di ebrei a Trani derivi da comunità in fuga dalla Spagna islamica a seguito dell’intolleranza degli Almohadi.
Il loro numero si accrebbe certamente in maniera ulteriore quando Bari, che si era consegnata spontaneamente all’imperatore bizantino Manuele Comneno, fu distrutta per ritorsione nel 1156 da Guglielmo I il Malo; probabilmente molti dei suoi abitanti ebrei fuggirono trasferendosi a Trani apportando in quella comunità il loro tradizionale amore per lo studio e la cultura (6). Altro incremento si ebbe in questa città al tempo della espulsione degli ebrei dalla Francia voluta da re Filippo Augusto; come conseguenza di tale evento alcuni di essi si sarebbero quindi stabiliti a Trani verso il 1182. Tuttavia anche in Italia in quel periodo gli ebrei vennero perseguitati sulla base di assurde accuse di sacrilegio; a tale proposito Bedarride ricorda che a seguito di un’imputazione di tal genere a Trani ne vennero uccisi un numero considerevole (7).
L’insediamento di una colonia ebraica a Trani e la sua considerevole espansione nel tempo va senza dubbio ricercata nelle vaste prospettive commerciali che il suo porto permetteva; infatti questo fu per alcuni secoli epicentro delle attività economiche con le Repubbliche marinare e con l’Oriente. A questo proposito è necessario considerare che la giudecca, il quartiere ebraico di Trani, era strettamente collegata al porto ed occupava il nucleo principale della città antica all’interno della prima murazione longobardo-bizantina (8). Il quartiere giudaico attualmente detto di S. Donato occupava buona parte di questo primitivo perimetro cittadino ed è tuttora ricordato nella toponomastica con antiche incisioni sui muri indicanti via La Giudea, via Sinagoga, via Della Giudecca, vico La Giudea, via Moisè da Trani ed altre ancora. Quindi, se si considera l’attuale via La Giudea e il largo Scolanova dove sorge tuttora l’omonima sinagoga, fino a giungere in prossimità della porta antica e a tutta la fitta rete di viuzze e vicoli che s’intersecano in questa zona si può facilmente constatare che gran parte del primitivo nucleo cittadino era abitato da ebrei. Pertanto, la tesi avanzata circa l’esistenza di una comunità ebraica a Trani sin dai primi secoli dell’era cristiana, sia pure non provata, presenta una sua validità proprio nell’ubicazione della giudecca che come abbiamo visto coincideva con il nucleo originario della città (9).
Nell’ambito urbano descritto sorgevano ben quattro sinagoghe poi trasformate in chiese. Questa trasformazione avvenne intorno al 1380, al tempo di Carlo III di Durazzo in cui molti ebrei del luogo furono indotti a convertirsi al cristianesimo, e le sinagoghe presero il nome di San Leonardo Abate, S. Pietro Martire, SS. Quirico e Giovita e Santa Maria in Scolanova; le prime due vennero in seguito demolite ma se ne conosce sicuramente il luogo dove erano edificate, mentre sopravvivono quella dei SS. Quirico e Giovita (in seguito chiamata S. Anna) e quella di Santa Maria in Scolanova, verosimilmente la più antica in quanto è possibile sia stata edificata tra la fine del XII secolo e l’inizio del XIII da ebrei immigrati a Trani dalla Germania (10), mentre quella di S. Anna è di costruzione più recente, infatti venne completata nel 1247, data riportata su una lapide marmorea tuttora esistente (11). E interessante ricordare che queste ultime sono le uniche sinagoghe, edificate nel Medioevo, che sopravvivono nel Mezzogiorno italiano. Inoltre gli ebrei possedevano un proprio cimitero situato fuori le mura della città oltre la chiesa della Trinità della Cava (ora chiamata S. Francesco), sul lato destro della strada marittima che portava dall’abitato urbano alla penisola di Colonna.
Riportate le tesi più accreditate circa l’origine della comunità ebraica di Trani e la sua ubicazione nell’ambito cittadino, ricordiamo che i Normanni, anche per Trani, ripresero la loro tradizionale politica di porre gli ebrei sotto la giurisdizione ecclesiastica; abbiamo già illustrato i motivi di questa tendenza generale in ogni caso anche per questa città avvenne la cessione della giudecca al vescovo da parte di re Guglielmo I con un privilegio del 1155. Prima di questo mutamento di situazione giuridica, gli ebrei di Trani avevano goduto di notevole agiatezza, anzitutto erano aumentati al numero di 200 famiglie come riferisce Beniamino da Tudela (12), inoltre erano dediti a numerose attività commerciali ed artigianali come la tintoria di panni e la confezione di vasi (13), oltre che al concedere mutui. I forti guadagni ottenuti attraverso l’esercizio di queste attività permisero loro di acquistare numerosi beni immobili: di ciò dà conferma Beltrani documentando l’acquisto fatto dall’ebreo Iacobo di Trani per tre once d’oro di un fondo di ulivi nel luogo detto Curti posseduto da Marco figlio di Afalone, di Molfetta (14).
Tuttavia, col passaggio sotto il potere ecclesiastico, questa loro situazione di benessere, ottenuta soprattutto attraverso l’esercizio del cambio monetario e del prestito su pegno in quanto protetti dalla costituzione Usurariorum nequitiam (1231), si attenuò.
Anzitutto gli arcivescovi cercarono in ogni modo di impedire agli ebrei la proprietà immobiliare, anche se in una nota attribuita al giureconsulto Andrea Bonello viene affermato “il niun diritto” degli arcivescovi sui beni trasmessi ai giudei da cittadini tranesi (15). A tale proposito bisogna considerare che la facoltà di possedere beni immobili non era un particolare privilegio degli ebrei di Trani ma riguardava le condizioni più o meno vantaggiose di cui godevano le comunità giudaiche in Stati diversi (16); d’altronde, per queste, l’essere sottoposte al potere delle curie ecclesiastiche relativamente a tutti i loro atti di diritto civile e penale costituiva un grave pregiudizio, infatti gli ebrei erano praticamente equiparati agli stranieri, ma diversamente da questi, ad esempio dai veneti che erano sottoposti alla loro giurisdizione nazionale (17) attraverso il proprio console, essi dovevano sottostare alla volontà dell’arcivescovo, cui dovevano corrispondere un tributo annuo oltre a tutte le tasse che comportavano le loro attività.
2. Gli ebrei al tempo degli Svevi
Con provvedimento del 15 aprile 1195 (18) l’imperatore Enrico VI confermò il privilegio accordato da re Guglielmo nel 1155 all’arcivescovo di Trani relativo alla concessione della giudecca, tuttavia immediatamente dopo emise un altro atto che limitava fortemente i precedenti; partendo dal presupposto di dover dare protezione a tutti i suoi sudditi, in particolare a coloro “Qui proprio destituuntur auxilio”, affermò che la diversità di fede non consentiva a che gli ebrei fossero sottoposti a provocazioni e violenze per farli convertire al cristianesimo e pertanto li poneva tutti sotto la sua protezione, prevedendo inoltre una multa di 50 libre “Aurei purissimi” nei confronti di quegli ecclesiastici, baiuli, giudici o cittadini di qualsiasi grado o condizione che avessero a molestarli o a carpire loro del denaro in qualsiasi modo (19), e stabilì altresì una limitazione di quanto dovuto all’arcivescovo riducendo il tributo a questi dovuto dai giudei in 38 once meno una terza annuali. Tuttavia continuò a mantenerli sotto la giurisdizione ecclesiastica salvo che per i delitti di lesa maestà. Appare evidente che gli ebrei di Trani non erano ritenuti cittadini ma solo sudditi cui era imposto un canone annuo per dimorare in città ed operare liberamente nelle proprie attività e professioni; tuttavia essi venivano tutelati nelle loro persone e cose e potevano esercitare senza restrizioni il loro culto.
Con l’ascesa al trono di Federico II le condizioni degli ebrei tranesi migliorarono ulteriormente; in un primo tempo egli procedette a nuove ed ampie concessioni ratificando inoltre quelle già esistenti, infatti confermò il pagamento delle tasse per il commercio, il macello e la tintoria oltre all’obbligo di prestare alla curia vescovile quelle prestazioni che precedentemente erano dovute alla corona. In un secondo momento però prevalse in Federico II la propensione a far tornare gli ebrei sotto la giurisdizione diretta dello Stato, annullando il potere vescovile nei loro confronti. Inoltre con un privilegio del 1221 avocò a sé la supremazia sui giudei “Qui non solum ad xristicolas sed ad cuiuslibet cultus nobis subditas nationes protectionis nostre extenditur” (20), e sempre nel 1221, considerati i servigi resi alla Corona dalla comunità ebraica tranese, confermò la protezione già voluta da suo padre nei confronti di questa e ripropose l’annualità fissa da versarsi alla curia vescovile riducendola tuttavia con la frase “iuxta propriam facultatem”, ma soprattutto stabilì che nessun cristiano potesse testimoniare contro un ebreo e viceversa (21). Va notato che queste disposizioni costituenti uno speciale privilegio relativo ai soli ebrei tranesi vennero poi estese nel 1231 a tutti i giudei del regno in base alla considerazione che la diversità di credo rendeva questi “Infestos, omnique alio auxilio destitutos” ai cristiani (22).
Federico II, resosi certamente conto della grande operosità della comunità ebraica tranese e dei vantaggi che essa arrecava all’economia del regno, ne favorì in ogni modo i commerci e le attività; sempre nel 1231 l’imperatore attribuì a questa comunità l’esclusiva nel commercio della seta grezza (23); inoltre va evidenziato che gli ebrei avevano il quasi completo monopolio della tintoria e praticamente controllavano tutto il piccolo commercio. Essi erano particolarmente attivi nell’ambito della fiera di Trani, istituzione tipica del periodo svevo che veniva organizzata ai primi di giugno di ogni anno, durava sette giorni ed era essenziale ai fini degli scambi commerciali, per cui in seguito re Manfredi esentò da qualsiasi imposta tutte le contrattazioni che avvenivano durante tale manifestazione.
Importantissimo provvedimento destinato ad incentivare l’economia fu la disposizione con cui Federico autorizzava l’esercizio legale dell’usura da parte degli ebrei al tasso annuo del 10%, che ebbe vigore anche a Trani e contribuì notevolmente allo sviluppo di quella comunità ebraica, anche se fin dal tempo del già citato Bonello da Barletta l’Università di Trani non manteneva gli impegni presi con i suoi abitanti ebrei, determinando quindi un peggioramento delle loro condizioni economiche.
Una riflessione approfondita merita lo sviluppo culturale che si ebbe nella comunità ebraica di Trani nei secoli XII e XIII. Infatti la cultura ebraica locale, frutto dell’antica tradizione biblico-talmudica, trovò la sua linfa nelle 200 famiglie ebraiche abitanti a Trani intorno al 1160 (24), alla cui testa erano rabbi Heliac, rabbi Natan l’Esegeta e rabbi Saqah. In seguito, l’imperatore Federico II, uomo poliedrico e dotto egli stesso, amò circondarsi di sapienti e uomini di cultura, fra cui molti ebrei; fra essi è da citare Iaqob ben Abbamari Anatoli medico di Corte a Napoli ed amico di Michele Scoto, il filosofo ed astrologo ufficiale del sovrano. Tutto ciò premesso, è opportuno ricordare che Trani fu centro di notevole cultura ebraica proprio nel periodo della decadenza culturale della comunità di Bari, la cui dottrina si spense contemporaneamente all’intensificarsi di quella tranese. Infatti erano tranesi due dei più grandi maestri dei secoli XII — XIII, Isaia ben Mali detto l’Anziano e suo nipote Isaia ben Eliah; il primo svolse il suo insegnamento in Italia, Grecia, Macedonia e Palestina favorendo una interpretazione moderata della legge mosaica, il secondo fu l’autore delle Pisqe Halachot [Decisioni normative], che sono il primo codice rituale ebraico composto in Italia. Tuttavia questi due maestri fioriti nell’ambito culturale tranese migrarono poi nelle comunità dell’Italia settentrionale: con ogni probabilità Trani non offriva più condizioni adeguate per il loro insegnamento a causa dei diversi indirizzi socio-economici che si stavano affermando in quella città (25).
L’opera di lungimirante condiscendenza svolta da Federico II nei confronti degli ebrei tranesi si protrasse nel tempo: questi finanziarono i suoi discendenti a partire da Manfredi, che conosceva l’ebraico, per giungere a Corrado IV (26), serbando sempre nel cuore il ricordo della benevolenza dimostrata dal grande imperatore nei loro confronti.
3. Conseguenze del dominio angioino
L’avvento degli Angioini nel regno comportò un generale peggioramento nella condizione delle comunità ebraiche. Ciò si verificò anche a Trani; il passaggio sotto i nuovi dominatori fu traumatico per gli ebrei di questa città: aumentarono le imposizioni di ogni genere per cui nel 1296 Trani “cum iudeis” fu tenuta a sborsare per quarantacinque focolari altre 11 once, e ancor prima, quando Carlo venne a Trani nel 1266, i suoi ebrei insieme agli altri cittadini furono costretti a pagare una maggior tassa di 600 once d’oro insieme ad altre 100 once “Pro felici adventu nostro et familiae nostre” (27).
Inoltre, prescindendo dal ripristino del segno distintivo di cui abbiamo già parlato, si perseguirono con zelo accanito le conversioni degli ebrei cercando di ottenerle con ogni mezzo, dalle minacce alla concessione di notevoli privilegi ai neofiti. A Trani nel 1294 furono esentati da qualsiasi pagamento fiscale ben 310 ebrei che avevano abiurato la propria fede; Giovanni da Trani essendosi convertito al cattolicesimo venne esonerato dal concorrere alla concessione dei mutui che gli ebrei erano costretti ad accordare all’erario: “Johanni dicto de Trano, civi Neapolis, iudeo converso noviter ad fidem catholicam provisio quod non compellatur in mutui praestantis” (28). Così pure a Manoforte, rabbi di una delle sinagoghe di Trani, convertitosi nel 1267 alla religione cattolica, Carlo I concesse un emolumento annuo di 6 once d’oro su tutti gli incassi della tintoria in premio del grande fervore con cui aveva abbracciato il nuovo credo e rinunziato alla “giudaica infedeltà” e per l’impegno di costui a riportare nuovi ebrei “ad viam veritatis” attraverso una solerte opera di proselitismo (29), egli infatti accusò i suoi vecchi compagni di fede di possedere libri blasfemi nei confronti di Cristo e Maria, come il Talmut il Carrboct ed il Sedur (30). A seguito delle sue insistenze re Carlo ordinò nel 1270 ai giustizieri ed ufficiali del regno di provvedere al sequestro di tali opere inviandole subito alla sua Corte (31).
In realtà queste conversioni, che avvenivano attraverso concessione di privilegi ai neofiti, non portarono a risultati duraturi in quanto angherie e sopraffazioni continuarono in maniera sempre maggiore anche nei confronti dei convertiti, che pertanto preferivano tornare alla loro antica religione. La situazione degli ebrei peggiorò poi a tal punto che il re stesso intimò al castellano di Trani di far cessare tali persecuzioni (32). D’altra parte, non era soltanto l’odio religioso a determinare questa situazione: gli ebrei tranesi disponevano di ingenti ricchezze in contante per cui subivano da parte dell’erario l’imposizione forzosa a concedere mutui che solo eccezionalmente venivano rimborsati; se ne conoscono ben cinque a Trani, di cui tre da 100 once ciascuno, uno da 150 e uno da 833 (33). Nello stesso tempo s’imponevano maggiori tasse sulle attività da loro esercitate; significativo è il caso dei maggiori diritti di bucceria (34) richiesti agli ebrei che praticavano il mestiere di macellaio ed ai loro correligionari consumatori di carne (35); non solo, ma gli ufficiali regi asportavano dalle case degli ebrei tutte le masserizie, per cui re Carlo, informato di ciò, vietò tassativamente tali soprusi, riservandosi però, con un provvedimento indubbiamente singolare, l’uso di tali suppellettili insieme alla propria curia nei momenti di sua permanenza nella città (36).
Anche l’avidità degli arcivescovi di Trani si era risvegliata di fronte all’atteggiamento della nuova autorità regia che aveva tollerato tali situazioni di arbitrio. Essi non si accontentarono più del consolidato tributo di 38 once meno una terza, ma cercarono di carpire con ogni mezzo denaro ai giudei tenendoli in carcere fino ad ottenere quanto loro richiesto, in questo imitati dallo stesso castellano di Trani; addirittura l’arcivescovo giunse a riscuotere, al di fuori da ogni provvedimento legislativo, tasse speciali sui mestieri e sulle industrie. Carlo I, di fronte a tali fatti che determinavano l’abbandono della giudecca, non fu insensibile ed emanò provvedimenti di riduzione delle tasse per le famiglie ebraiche.
I cittadini tranesi inviarono poi nel 1277 un ricorso al sovrano, denunciando che la curia arcivescovile opprimeva anche i neofiti pretendendo somme di denaro da questi e minacciando di scomunica quei giustizieri e baiuli che si fossero opposti a tali abusi, informandolo inoltre che a seguito di tali prevaricazioni gli ebrei lasciavano la città per cui l’Università veniva gravata dalle imposte non più pagate da questi. Tuttavia la situazione non migliorò ed inevitabilmente lo stato della comunità ebraica di Trani continuò a peggiorare. Non solo Carlo I aveva rinnovato, ben due volte, nel 1272 a Nicola e nel 1280 ad Ottobono patriarca di Antiochia, la concessione di tenere nella dogana di Trani un chierico che “diebus singulis continue recipiebat decimam proventus eius dohanae”, ma confermò all’arcivescovo le concessioni fiscali sulle decime della dogana di Trani e Barletta oltre che sul cero pasquale (37).
Con Carlo II sul trono, la condizione degli ebrei a Trani peggiorò, nonostante li avesse posti direttamente sotto la sua protezione, anzi il tributo che gli stessi avevano fino ad allora versato al fisco per particolari occasioni fu tramutato nel 1291 in tributo ordinario (38), ed obbligò inoltre gli ebrei a portare il segno distintivo, come risulta dagli atti del notaio Francesco Strigalicio di Trani (39), e consentì la trasformazione di tutte le sinagoghe in chiese cattoliche, avvenuta intorno al 1382, ed il passaggio del cimitero ebraico ai frati dell’ordine di S. Domenico (40). Ben diversa fu la posizione di questo sovrano nei confronti dei neofiti: non solo li esentò dal pagamento di collette ed altre imposte ma deliberò che i loro eredi non dovessero pagare tasse in misura superiore a quella dovuta dai cristiani.
Appare evidente che sotto il dominio dei primi sovrani angioini, a seguito dei provvedimenti restrittivi da loro presi, la situazione degli ebrei a Trani si era deteriorata. Di ciò fu cosciente re Roberto d’Angiò: egli era allarmato dallo stato d’impoverimento della giudecca di Trani, in cui diminuivano le famiglie ebraiche spaventate dalle continue vessazioni cui erano sottoposte dagli arcivescovi, infatti tale spopolamento determinava automaticamente una diminuizione degli incassi per il Regno.
Abbiamo già fatto cenno nel precedente capitolo che re Roberto, al fine di porre termine a tutto ciò, autorizzò 21 ebrei tranesi (fra cui Giacobbe figlio del notaio Leone, Bartolomeo di Pietro di Bari e Angelo di Trani) a portare armi da difesa durante i loro viaggi d’affari, inoltre prescrisse a tutti i cittadini tranesi il rispetto per gli ebrei evitando di implicare gli stessi in processi calunniosi; in definitiva sotto il suo regno vennero rispettati gli usi e le credenze dei giudei che poterono esercitare a Trani l’usura con l’autorizzazione del sovrano, addirittura su richiesta dei cristiani che ne traevano vantaggi indiretti (41).
Nonostante sotto la regina Giovanna I si vietassero molestie nei confronti dei convertiti al cristianesimo che abiuravano per tornare alla loro fede originale (“Universis iudaeis Apulia quod non molestentur ad consegnandos iudeos ad fidem cristianam conversos et deinde iudaismum reversos”), gli arcivescovi di Trani continuarono a sottrarre ai neofiti grandi somme di denaro, ed in questa città nel 1377 si determinò persino una controversia fra l’Università e l’arcivescovo Jacopo Tura Scottini sul suo diritto a percepire determinate somme durante le fiere annuali, ne seguì un tumulto popolare capitanato da un certo Pascarello de Marra (42) e venne inviato un ricorso alla regina in cui si documentavano le pretese dell’arcivescovo nei confronti degli ebrei convertiti e tutte le ingiustizie da questi subite; tuttavia la vertenza, in seguito, fu composta con un accordo che conservava all’arcivescovo i diritti controversi.
Ovviamente non è da ritenersi che questo esposto ufficiale fosse dettato da una forma di affetto nei confronti dei nuovi cristiani: la vera ragione era che, diminuendo il numero degli ebrei che emigravano spaventati da questa situazione, non si avevano più conversioni e quindi le tasse e le collette pesavano maggiormente sulla comunità cristiana tranese.
Nel 1385 re Carlo III di Durazzo concesse al condottiero Alberigo da Barbiano il dominio sulle città di Trani e Giovinazzo (43), probabilmente come pegno per il pagamento delle mercedi alla sua compagnia di ventura. Sulla base di questo provvedimento immediatamente Alberigo si appropriò dei proventi rivenienti agli arcivescovi dalla giudecca di Trani e fondati sugli antichi privilegi loro concessi dagli imperatori svevi.
Nello stesso 1385 succede a Carlo III il figlio Ladislao, che confermò ad Alberigo la concessione paterna su Giovinazzo che, pur mancandone le prove, si ritiene dovesse valere anche per Trani (44). In seguito con diploma del 3 febbraio 1413 re Ladislao dispose che in questa città si dovessero eleggere ogni quattro mesi sedici cittadini come amministratori dell’Università, di cui otto nobili, sei popolani e due neofiti, in modo che si alternassero per quanto possibile tutti gli idonei al governo: “Ac libere universitas ipsa possit et voleat sex decim ex suis concivibus; octo videlicet ex nobilibus, sex ex popolaribus et duos ex neophitis dicte civitatis, singuli quidem negotiis deputare” (45). A proposito di questo documento esiste fra gli studiosi una diversità di opinioni: infatti sia Pertile (46) che Ferorelli (47) reputano che a Trani, fatto del tutto eccezionale, fossero ammessi a governare anche gli ebrei, mentre Summo (48) ritiene questa tesi errata, sia dal punto di vista documentale in quanto nel diploma si parla esplicitamente di neofiti, sia dal punto di vista giuridico, in quanto essendo gli ebrei esclusi dai diritti politici non potevano certamente partecipare al governo cittadino.
Questa situazione durò fino al 1422, anno in cui Giovanna II, su istanza dell’arcivescovo di Trani Francesco Carosio suo consigliere, con un privilegio del 27 febbraio 1422 reintegrava la curia in tutti i suoi diritti sulla “Judaicam tranensem cum neoffidie” e relativi proventi di cui era stata “indebite et iniuste, se tenores dictorum privilegiorum et litterarum, destituta et spoliata”. Ma il suo disposto non venne eseguito immediatamente, per cui la regina con un diploma inviato a Stasio Griffi capitano di Trani e ad Antonio Barone capitano di Barletta ripetè il suo ordine evidenziando meglio i diritti arcivescovili: le decime sui proventi della baiulazione e della difesa, il possesso della giudecca e la giurisdizione sugli ebrei, eccettuate le cause di sangue riservate alla regia Corte ed infine il diritto di esigere dagli stessi ogni anno un’imposta. Inoltre ordinò che tutti gli ebrei ed i neofiti tranesi fossero tenuti a prestare giuramento di fedeltà come vassalli della Chiesa: “Iudeos siquidem supra ipsorum lege, neophidos vero supra evangeliorum libro” (49). Tuttavia essi durante il suo regno poterono “conversari, mercari et praticari” con i cristiani, “et alia facere more hebrehorum” (50).
Indubbiamente la condizione degli ebrei a Trani era peggiorata sotto gli Angioini rispetto al periodo svevo, tuttavia se si esaminano con attenzione i provvedimenti generali emanati da re Roberto e poi da Giovanna I, Ladislao e Giovanna II, che naturalmente valevano anche per Trani, si noterà che i primi due sovrani sottrassero gli ebrei ai soprusi dei cristiani, mentre i secondi eliminarono tutte le limitazioni imposte precedentemente dalle leggi civili ed ecclesiastiche. Invero, le restrizioni più severe furono fatte osservare dagli Angiò avvicendatisi prima di Roberto, mentre ad esempio i privilegi particolari emessi da Ladislao vennero generalizzati a tutte le giudecche del regno, Trani compresa. Il peggioramento che si verificò durante il regno di Giovanna II non fu dovuto alla politica globale della regina (di cui bisogna ricordare ancora la concessione del 31 agosto 1427 fatta agli ebrei per l’esercizio del prestito sul pegno) ma all’influenza che i suoi consiglieri ecclesiastici esercitarono su di lei perorando una legislazione antiebraica.
4. L’ambiguità della politica aragonese
Con il passaggio sotto gli Aragonesi, si aprì una nuova stagione per gli ebrei di Trani, dopo il poco felice periodo degli Angioini, anche se in Terra di Bari nella prima metà del XV secolo la comunità ebraica della città era ancora fra le più importanti.
Alfonso I d’Aragona giunse nel regno con la fama di amico e protettore degli ebrei, e rispose alle speranze che erano in lui riposte con una serie di riforme permissive. Ciò indusse nuove immigrazioni di giudei in Puglia a seguito della loro espulsione dalla Spagna, ed infatti troviamo a Trani sotto il suo dominio un gran numero di ebrei nuovi arrivati, fra cui il rabbino Berachia ben Natronai ed il celebre Abarbanel, che visse poi oscuramente a Monopoli (51), come pure vediamo in seguito, nel 1487, risiedere a Trani il banchiere Musce che prestava su pegno, uomo “facultoso e di bona quantità de dinari” (52), né si può dimenticare quel Moisè da Trani, ancor oggi presente nella toponomastica della città nato intorno al 1500 dalla famiglia di due noti ebrei tranesi chiamati Isaii (53).
Anche sotto la dinastia aragonese gli ebrei continuarono per tutto il 1400 ad abitare nelle giudecche, inoltre grazie alla politica liberale di Alfonso I poterono erigere liberamente in tutto il regno le proprie “Moschete” (54) nel cui ambito, o attiguamente, sorgevano le loro scuole. Su queste gli ecclesiastici alcune volte, con la complicità delle autorità civili locali vantavano diritti di vigilanza ormai caduti in disuso, il che naturalmente comportava degli abusi. A questo proposito re Ferdinando I impedì sempre drasticamente ogni manifestazione, infatti nel 1492 impose al capitano di Trani di “castigare multo bene” alcuni giovinastri i quali quando gli ebrei aprivano “le loro scuole per dire loro officii, continuamente le menano ad petre et fanno de multi acti desonesti in modo che non possono stare in dicte scole” (55): a dimostrazione della vivacità della vita sociale nella giudecca di Trani in quel periodo sono i numerosi documenti che la riguardano e che indicano una grande intensità di rapporti giuridici (56).
A questo proposito Colafemmina avanza l’ipotesi che nel XV secolo, a seguito dell’espansione economica delle loro attività, gli ebrei avessero incominciato ad abitare anche in un rione, attualmente chiamato “Il casale”, ubicato fuori dell’antica giudecca a ridosso della seconda murazione di Trani, quella federiciana. Ciò sarebbe comprovato dalla esistenza di una via ebrea proprio in quella zona dove sarebbe avvenuto il presunto miracolo dell’ostia fritta (57).
A seguito della maggiore tolleranza dei cristiani verso gli ebrei durante questo periodo, le conversioni al cristianesimo nel regno furono pochissime almeno fino al 1492, e quindi il numero dei cosiddetti neofiti fu minimo. A questa tendenza fece eccezione la città di Trani nella cui giudecca i convertiti furono numerosi, tanto da formare un gruppo compatto di cittadini che, pur mantenendo probabilmente usi e costumi ebraici, assurse nella nostra città a posizioni di particolare importanza in quanto Trani era diventata il centro del commercio di Venezia con la Puglia. Essi, fin dai tempi degli Angioini di Durazzo, avevano partecipato in numero di due al governo cittadino, né ci è dato sapere se questo privilegio particolare si sia protratto nel tempo. Tuttavia è certo che un convertito, Pietro de Bostumis, partecipò nel 1430 alle trattative che portarono alla conferma dell’autonomia di cui l’Università tranese godeva nei suoi rapporti con Venezia, quindi è credibile ritenere che le disposizioni in questo senso emanate da re Ladislao fossero rimaste in vigore. Anche a Trani era vigente la norma di ordine generale emanata da Alfonso I nel 1456, per cui gli ebrei venivano sottoposti alla giurisdizione civile sottraendoli a quella ecclesiastica. Tale disposto rimase in vigore fino alla venuta di Carlo VIII, e solo in atti seguenti al 1495 troviamo nomi di cristiani novelli; in ogni caso sul finire del dominio aragonese non sembra siano giunti a Trani ebrei profughi dalle zone in cui erano stati espulsi, infatti il 21 febbraio 1495 l’ambasciatore di Milano a Napoli scriveva che “Li judei sono stati tagliati a pezze et li marani sono salvati in mare”, è dubbio se l’ambasciatore si riferisse a precedenti neofiti o a veri marrani (58); tuttavia, per quanto riguarda Trani, probabilmente egli alludeva ai cristiani novelli.
La problematica relativa ai cristiani novelli (detti pure neofiti) ed alla funzione da loro svolta per lo sviluppo commerciale e civile delle giudecche merita un maggiore approfondimento specialmente per quanto riguarda Trani, in quel tempo la più importante fra le colonie ebraiche di Puglia sotto il profilo demografico e commerciale. Abbiamo visto come abiure e conversioni si erano già avute in seguito a pressioni e minacce fin dai tempi dei primi Angioini, ma è accertato che avvenne una conversione su larga scala solo con Carlo II (59). Si formò così una numerosa classe di cristiani convertiti che operarono particolarmente a Trani per oltre due secoli, che segretamente conservarono la fedeltà ai loro riti ed all’antica religione, e questo atteggiamento comportò da parte delle autorità ecclesiastiche e civili un clima di sospetto e di molestie per cui molti abiurarono nuovamente tornando alla fede dei loro padri. Già nei primi anni del secolo XIV vi erano molti “Neophidi relapsi in pristinum errorem qui maculant fidem” (60). Tuttavia ad un certo punto non si parlò più di neofiti, come si riscontra nel diploma regio che conferma all’arcivescovo Castelar la giurisdizione sulla giudecca (61).
Ora è significativo che mentre nei documenti ufficiali e mercantili si ricordino e si qualifichino sempre gli ebrei e i mercanti, si perda traccia dei neofiti mentre le famiglie dei De Bostunis, Ajello, De Gello, Gentile e Zarulo sicuramente formate da ebrei convertiti, sono sempre considerate come grandi famiglie mercantili legate da interessi e rapporti commerciali con Venezia e Firenze (62). Ma c’è di più: quando Alfonso d’Aragona impose all’Università di Trani un’ammenda di 40.000 ducati a seguito degli avvenuti tumulti, le ricevute per i pagamenti più ingenti sono a nome dei soliti mercanti De Bostunis, Gentile e De Gello. Ciò dimostra la loro importanza finanziaria, inoltre essi non sono più associati agli ebrei che in quell’occasione vennero sottoposti a tassazione speciale e separata (63).
E chiaro che i vecchi neofiti avevano ormai assunto una tale importanza economica per cui, dimenticata la loro origine, si parla sempre di loro come mercanti, ed il vederli come maggiori contribuenti in momenti di particolare richiesta di tasse e di tributi speciali è un fattore che porta a confondere le due categorie di mercanti e neofiti senza più alcuna distinzione fra essi.
La nobiltà di sangue tranese, invidiosa della florida posizione economica di questo ceto che ormai dominava nel commercio ed era riuscito ad inseririsi anche nel governo dell’Università, istigò numerose persecuzioni nei loro confronti per cui gli ebrei convertiti cristiani, ormai sempre qualificati come mercanti, emigrarono numerosi, verso la fine del ’400, nelle città di Molfetta e Barletta (64).
Nel contempo il futuro re Federico ordinò il sequestro delle loro proprietà, non per privarli dei loro averi ma, come ebbe a dichiarare in seguito, per garantirli ed evitare che fossero danneggiati (65); tuttavia le loro vicissitudini continuarono anche a seguito dei continui cambiamenti di governo avvenuti in quel tormentato periodo. Frattanto Trani era passata sotto il dominio di Venezia e l’Università di Molfetta chiese al nuovo governo spagnolo che “li mercanti de Trano chiamati cristiani novelli quali stanno in Molfetta con loro robbe, casamente, possessioni, mogliere et figliuoli siano assicurati in havere et in persona et che possano con loro brigata et robbe stare et habitare et traficare con loro mercantie per tucto el regno salvi et securi, senza esserne molestati per qualsivoglia causa” (66).
Nondimeno alcuni di questi erano rimasti o ritornati a Trani a seguito della promessa di dissequestro dei loro beni da parte del governatore veneziano, ed è documentata la restituzione ad essi di immobili a seguito di azioni giudiziarie, ma solo nei confronti dei mercanti più autorevoli come Salvatore, Tullio ed Andrea De Bostunis. Di loro il vescovo Lambertini, intorno al 1520, scrisse che “Judaizarunt e adhuc judaizant”. Viene così dimenticata la triplice distinzione fra ebrei, neofiti e mercanti; lentamente i neofiti scomparvero come categoria mescolandosi al resto della popolazione e dimenticando la loro origine (67), ma formando una categoria ricca e potente: quella dei mercanti che nei secoli successivi operò pure nella vita amministrativa dell’Università.
La protezione degli Aragonesi nei confronti degli ebrei permise anche a Trani un grande sviluppo delle loro attività: vi furono tintori, conciatori, beccai e fornai, ma essendo questa una città marinara prevalsero i commercianti; tuttavia l’attività di gran lunga da questi preferita fu il prestito del denaro: la cosìddetta usura.
Gli ebrei la esercitavano in quanto autorizzati, sotto la protezione dei sovrani e delle stesse autorità cittadine. Dovevano però, per l’esercizio di tale attività, versare alla regia curia una somma di denaro che nel 1452 ammontava a 1000 ducati; sempre nel 1452 Alfonso I per costringere al pagamento coloro che non avevano ancora versato detta somma, negava ai morosi la sua autorizzazione. Il prestito usurario avveniva con pegno o senza pegno; in pegno si acquisivano beni mobili o immobili; se il debito non veniva saldato entro il periodo stabilito il bene pignorato veniva esitato al maggior offerente. Se il prestito veniva effettuato senza pegno il concedente si premuniva di una “Polisa facta de mano de ipso debitore” o di un “Publico istrumento de mutuo” od altre “Legitime et autentiche scripture” (68). Il denaro non veniva concesso solo ai cristiani ma i prestiti avvenivano anche fra ebrei: nel 1494 al giudeo Leone de Isaac di Trani, in quanto debitore nei confronti di mercanti cristiani ed ebrei, fu concessa una dilazione di pagamento solo dal suo correligionario Simone de Israele, anch’esso della giudecca di Trani; egli inoltre invocò la protezione reale per non avere “ad morire in presone” (69). A riprova della grande importanza della comunità ebraica tranese in quel periodo bisogna rilevare che due dei più importanti banchieri dell’Italia meridionale furono fin dal 1458 in questa città Nasan ed Abramo Lubell (70) e nel 1487 quel Musce di cui abbiamo già parlato.
Per quanto riguarda l’imposizione fiscale, nel periodo aragonese l’importo delle tasse che ogni singolo ebreo doveva pagare a Trani, come del resto in tutto il regno, era preceduto dal cosiddetto apprezzo. Questo era un vero e proprio inventario delle ricchezze possedute, che veniva eseguito quando il fisco verificava un cambiamento della condizione economica dei singoli ebrei o della loro consistenza numerica; l’incarico veniva affidato ad un funzionario regio coadiuvato da rappresentanti delle giudecche retribuiti da queste. Nel 1494 essi erano in provincia di Bari Alessandro Longo e messer Pietro de Ragona (71), che per la loro opera ricevevano rispettivamente dieci e quindici carlini al giorno, mentre nei giorni festivi ebraici incassavano le sole spese necessarie.
Vi furono ebrei che per non doversi sottoporre all’apprezzo concordarono con il fisco il pagamento di una tassa fissa da pagarsi annualmente ma, per particolari contingenze, si verificò che alcune persone non venissero incluse nell’apprezzo generale, e si procedeva pertanto all’apprezzo parziale, che veniva effettuato da un ufficiale regio del luogo e dagli stessi rappresentanti della giudecca. Questa seconda forma di apprezzo veniva richiesta da chiunque potesse provare una diminuzione delle proprie ricchezze ed in alcune occasioni l’istanza era presentata collettivamente da più ebrei e da una o più giudecche di una intera provincia. Come conseguenza di quanto sopra esposto, chi dimostrava di essere caduto in miseria non era più tenuto a pagare imposte, tuttavia il fisco non rinunciava a questi mancati introiti ma si rivaleva su tutti i giudei contribuenti o eventualmente solo su quelli più ricchi aumentandone la quota annuale dei versamenti da effettuare.
Questo si verificava a Trani nel 1458, nonostante esistesse un privilegio per cui nessun ebreo, una volta pagato l’importo stabilito, poteva “essere costricto per la rata de li altri che non pagassero” (72). Ancora a questo proposito ricordiamo che in data 20 luglio 1482 la Sommaria, da Napoli, su ricorso di Benedetto Thoros ed altri giudei di Trani ordinava al precettore di Terra di Bari “pro Benedicto Thoros de civitate Trani et aliorum iudeorum dicte civitatis” di dividere fra tutti gli ebrei facoltosi della provincia il residuo insoluto dei contributi fiscali dovuti da alcuni giudei di Trani che erano diventati poveri (73), come pure la stessa camera della Sommaria con provvedimento del precedente 9 giugno 1482 aveva ordinato al precettore di terra di Bari di non costringere il già citato Benedetto Thoros, giudeo di Trani, a pagare importi al fisco più del dovuto (74). La situazione ed il regime fiscale su esposti vengono poi dimostrati da numerosi altri provvedimenti riguardanti ebrei di Trani emessi dalla stessa Sommaria e reperiti da Colafemmina nell’archivio di Stato di Napoli (75).
Alfonso I d’Aragona abolì nel 1443 le collette sostituendole con imposte ordinarie e contribuzioni fisse annuali. A questo proposito in seguito re Ferdinando ordinò con rescritto del 20 novembre 1458 che gli ebrei tranesi che non avessero ancora pagato la rata delle tasse imposta da Alfonso fossero tenuti a rimborsare quelli che avevano effettuato i versamenti al loro posto (76); le imposte straordinarie erano dovute solo per speciali circostanze, inoltre il parlamento stabilì che l’esazione di collette straordinarie dovesse avvenire solo per tre specifici casi: l’incoronazione del sovrano, il suo matrimonio e quello di altri appartenenti alla famiglia reale oltre che per lo stato di guerra. Tuttavia alcune giudecche, non volendo inimicarsi le autorità del luogo, preferirono in alcune occasioni rinunciare ai loro privilegi, contribuendo alle tasse straordinarie che gravavano sui cristiani. Ciò avvenne a Trani, dove gli ebrei usarono “per alcuno tempo donare ciascuno anno al quondam Pandolfo da Senegaglia ” fino alla sua morte nel 1491, ducati 6 “a ciò che ve li havesse de aiutare et favorire in le cose ve li fossero occorse” (77).
Certo, la situazione degli ebrei sotto gli Aragonesi è del tutto particolare: infatti, se da una parte quanti di loro erano giunti a posizioni di grandissima potenza finanziaria cercavano di ottenere sempre nuovi privilegi attraverso cospicue sovvenzioni in denaro alla Corona, d’altro canto i sovrani, sempre contesi fra la loro avidità e la ragion di Stato, concedevano favori e nominavano ad alti incarichi funzionari ebrei, salvo poi ad annullare tutto questo alla prima occasione, come pure permisero l’usura per loro vantaggio ma annullarono regolarmente i debiti contratti. Tipico è il caso degli ebrei di Trani e Barletta che nel 1442 donarono, non certo spontaneamente, ad Alfonso per i suoi bisogni la somma di 250 ducati e dovettero pagare alla fine del suo regno una forte multa per le agitazioni cittadine che erano avvenute.
In realtà Alfonso I si dimostrò sempre (e molto più dei suoi successori) protettore ed amico degli ebrei, tant’è vero che nel 1456 li sottrasse alla giurisdizione arcivescovile, e nominò il giudeo Francesco Martorel baiulo esclusivamente competente per tutte le cause civili e criminali giudaiche, stabilendo che gli ebrei rispondessero dei loro atti solo a questo, e chiarì che detta carica rispondeva all’esigenza di proteggerli in tutto il regno. Il successore di Alfonso, Ferdinando I, confermò questo privilegio cui avevano aderito le giudecche di Puglia fra cui quella di Trani e mantenne in carica il Martorel. In seguito gli ebrei, non soddisfatti di questa giurisdizione, chiesero l’annullamento di tale carica ed il sovrano concesse “che si debbano considerare in perpetuo il potere del re e del duca di Calabria don Alfonso e che d’ora in avanti siano annullati e revocati tutti i privilegi di messer Martorel” (78). Si può quindi ritenere che il ritorno degli ebrei sotto la regia giurisdizione imposto da Alfonso I nel 1456 ponesse fine a quella duplicazione di competenze fra potere laico ed ecclesiastico sulle giudecche che si protraeva da secoli dopo essere stata creata al tempo dei Normanni, riportando finalmente gli ebrei all’unica dipendenza dal potere civile.
Tuttavia gli arcivescovi non si dettero per vinti ed a Trani attesero il verificarsi di circostanze favorevoli per il ripristino del loro potere sulla giudecca: il vicario con “li homini et preiti soi” faceva “detracii, vilipendii, iniurie et mancamenti personali a li iudei” e li ostacolava nell’adempiere ai “loro esercitii in loro case” finchè al sopraggiungere dell’invasore Carlo VIII nel 1495 riuscì ad ottenere conferma dell’antico privilegio normanno (79).
Frattanto nella giudecca di Trani la vita quotidiana proseguiva secondo le consuetudini ebraiche con i propri sacerdoti che leggevano ogni sabato il Pentateuco e garantivano l’osservanza della legge mosaica, i rabbini che stabilivano il lecito ed il proibito, scomunicavano i malfattori, emettevano sentenze sui matrimoni. Essi dovevano essere i “docturi iudaichi” i quali stabilivano “lige et ordinaciune in loro lege pel bono regimento ben consone al ben vivere de li iudei ” ed i proti scelti “in dui o tre fra li più ricchi, idonei et sufficienti ed acti per lo governo della iudeca”, che conservavano tutti i documenti relativi ai privilegi concessi dai sovrani o da altre autorità alla comunità ebraica (80). Numerosi erano i matrimoni nella giudecca i cui atti erano redatti da un notaio ebreo; in mancanza di questo si ricorreva ad uno cristiano. Dagli atti notarili risulta che alla figlia di Gaudio Levi da Trani andarono once 50 e Leonetta sposata a Lazzaro di Trani avendo fatto conservare lo strumento dotale presso suo padre Jacobo e poiché non riusciva a riaverlo da Joia che, dopo la morte di suo padre si era risposata con mastro Samuele Spagniuolo, si rivolse direttamente al sovrano nel 1488 (81).
Nonostante la tendenza generale ad una politica liberale nei confronti degli ebrei esercitata dai regnanti aragonesi, alcune volte la politica di Ferdinando si orientò verso maggiori restrizioni ed i suoi provvedimenti nei confronti degli ebrei di Trani contribuirono ad abbassare ancor più lo status giuridico della loro comunità, infatti con un editto valevole per gli ebrei di Terra di Bari e di Otranto e quindi anche per la comunità tranese, viene negata validità ai loro libri contabili “non obstantibus privilegiis”, inoltre si proibisce ai giudei cittadini di amministrare giustizia ed in un altro articolo di detta disposizione si nega la possibilità per gli ebrei di vendere i pegni usurari anche se dopo l’anno non venivano saldati i debiti dai cristiani (82). Lo stesso Ferdinando però il 21 febbraio 1468, su richiesta dell’Università di Trani che a proposito di fiere e mercati periodici chiedeva: “Item che piacza ad sua Maestà havere per recomendati gli Judei romanischi e da quilli di Terra de Bari et che li piacza ad sua Maestà fareli spaczar certi capituli iustificati a ciò che possano vivere tra l’altri et non essere descacciati”, concede il suo assenso a questa istanza (83).
Nella seconda metà del 1400 i rapporti fra gli ebrei e la comunità cristiana peggiorarono notevolmente. Si cercò di vessarli con qualsiasi pretesto: approfittando del divieto per i giudei di “conoscere carnalmente meretrici e donne cristiane”, venne arrestato per tali motivi nel 1491 Ventura figlio di Abramo di Trani, nonostante le sue vibrate proteste in quanto egli asseriva che “mai tale cosa se ponerà in vero” (84).
L’intervento del re fu solerte a punire le manifestazioni antiebraiche avvenute nel 1491, 1492 e 1493 a Trani durante la settimana santa, malgrado queste fossero state precedentemente proibite con la seguente disposizione: “Qualsevoglia università et altra persona che a gli iudei et a chiascuno de loro de venerdì santo o de qualsevoglia altro dì o de nocte facesse petreate o altri insulti o iniurie casche in pena de ducatorum mille et altra pena ad arbitrio de soa M.ta reservata et li officiali siano tenuti sopto la dicta pena favorire li dicti iudei et procedere contro quilli che contrafaranno” (85). Inoltre con provvedimento del 3 luglio 1494 la Sommaria ordinò al capitano di Trani di impedire al vicario vescovile della città di continuare a sobillare preti e laici contro gli ebrei (86).
Alla notizia dell’invasione di Carlo VIII, si propagarono violenti tumulti antiebraici, molte giudecche in Puglia vennero rovinate economicamente per cui, quando verso il finire del 1495 venne richiesto a molti ebrei pugliesi il saldo “di certi residui per li loro debiti de li pagamenti passati” e questi riuscirono a dimostrare che “acteso loro povertà et che foro tucti sachizzati, non porriano al presente nullo modo pagare”, fu ordinato ai commissari fiscali il 20 novembre dello stesso anno di “soprasedere a la exaccione de dicti residui debiti per dicti iudei et presertim per quelli di Trano, finchè altramente serrà previsto et ordinato, ad ciò che possano pigliare fiato interea ” (87).
In quel periodo tumultuoso che dopo la morte di Ferdinando I, l’abdicazione di Alfonso II e la successione di Ferdinando II, vide violenze e saccheggi di numerose giudecche, gli ebrei di Trani riuscirono ad evitare queste dolorose situazioni rinunciando con atto legale ad ogni loro credito, tuttavia in seguito non vollero riconoscere detta rinuncia dichiarando che essa era stata loro strappata in stato di necessità.
Intanto, dopo la sua calata nel regno Carlo VIII proseguì una politica oltremodo equivoca nei confronti degli ebrei: egli richiese anzitutto il pagamento delle tasse non versate interamente ad Alfonso II, ma nel contempo permise loro di commerciare e vivere con la promessa di non vessarli. A riprova di ciò basta considerare che ordinò la restituzione dei beni sottratti agli ebrei nonché il pagamento dei debiti contratti nei confronti di questi al netto degli interessi, oltre al mantenimento di particolari privilegi da lui concessi ed uno di questi, quello del 2 aprile 1495, riguardò proprio gli ebrei di Trani: “Item Judaicam dicte civitatis Trani: propterea fuit pro ipsius parte M.t iure humiliter supplicatum ut privilegia et iura ipsa prerogativas et gratias de speciali gratia confirmare et quatenus opus est de novo concedere benignus dignaremur” (88).
D’altronde anche l’aragonese Alfonso II dall’esilio prese una posizione non certo benevola nei confronti degli ebrei, tant’è che nel suo testamento consigliava al figlio Ferdinando II di rivedere tutti i privilegi concessi alle giudecche, in particolar modo circa l’uso del segno distintivo e l’esercizio dell’usura. Il figlio di Alfonso II, Ferdinando II, riuscì a scacciare i francesi dal regno, ma in cambio dell’aiuto ottenuto dovette cedere a Venezia diverse città marinare di Puglia, fra cui Trani. Egli riprese la politica favorevole agli ebrei, disponendo il ripristino del tribunale speciale per questi e sospendendo l’esazione delle imposte. Tuttavia le violenze antiebraiche non cessarono, infatti da due lettere, una del 1496 e l’altra del 1497, si rileva che due mercanti ebrei di Trani, Gilberto de Doctunis e Costantino de Gello che avevano portato le loro greggi a pascolare in agro di Gravina, vennero derubati e con violenza spogliati di tutti i loro averi (89).
Nel titolo di questo paragrafo abbiamo accennato ad una presunta ambiguità della politica aragonese nei confronti degli ebrei. Forse sarebbe più aderente alla realtà parlare di ambivalenza: infatti, sia pure in un quadro generale di politica ad essi favorevole tenuta dagli Aragonesi, non solo mutarono in momenti diversi gli atteggiamenti più o meno permissivi dei singoli regnanti, ma variò anche di volta in volta il comportamento di ciascun sovrano nei loro riguardi.
Ciò fu dovuto ad una serie di ragioni di cui le principali furono: la necessità dei sovrani di ottenere finanziamenti in momenti particolari dai banchieri ebrei che naturalmente premevano per ottenere privilegi a favore delle loro comunità, in secondo luogo le pressioni di determinati ambienti cattolici da sempre contrari ai giudei, che si opponevano a queste concessioni, ed infine i molti sovrani succedutisi in un tempo relativamente breve, cosa che impedì alla dinastia di perseguire un atteggiamento decisamente univoco e filoebraico.
In ogni caso si può senz’altro affermare che il periodo aragonese, sia pure inframmezzato da tumulti e vessazioni, fu per la comunità ebraica di Trani il più felice per la sua espansione economica, prima della definitiva espulsione dal Regno di Napoli.
Note al Capitolo III
1. G.B. BELTRANI, Sugli antichi ordinamenti marittimi della città di Trani, Barletta 1873, p. 56.
2. Ibidem.
3. BEDARRIDE, op. cit., p. 107.
4. FERORELLI, op. cit., p. 48.
5. COLAFEMMINA, op. cit., p. 101.
6. Idem, p. 103.
7. BEDARRIDE, op. cit., p. 181.
8. B. RONCHI, Indagine sullo sviluppo urbanistico della città di Trani dall’XI al XVIII secolo, Fasano 1984, p. 41.
9. E. SPACCUCCI, G. CURCI, Storia dell’ostia miracolosa di Trani, Napoli 1989, p. 36.
10. COLAFEMMINA, op. cit., p. 116.
11. Idem, p. 114. La tabella menzionata recita testualmente: Nell’anno cinquemila e sette dalla creazione [1247] fu edificato questo santuario per mano di un gruppo amico della congregazione, con una cupola alta e decorata e una finestra che s’apre alla luce e porte nuove per la chiusura, il pavimento al di sopra ordinato e sedili per starvi gli apparatori del canto. Perché sia la sua pietà ricordata dinanzi a Colui che abita negli splendidi cieli. Detta tabella è collocata all’interno della sinagoga sulla parete settentrionale.
12. BENIAMINO da TUDELA, op. cit., p. 24, cit. da FERORELLI, op. cit., p. 48, nota 4.
13. SUMMO, op. cit., p. 50.
14. FERORELLI, op. cit., p. 48, nota 5.
15. BELTRANI, op. cit., p. 65.
16. P. H. MERLIN, Repertorio universale e ragionato di giurisprudenza, VII, Napoli 1827, p. 22.
17. Questo stato giuridico dei veneti dimoranti in tutto il Regno è sancito in un diploma di Roberto principe di Taranto che nel 1363 confermava a Pietro Mocenigo console veneto in Puglia accordi più antichi. Cfr. Arch. gen. di Venezia — Senato, Secr Pacta. n. 221-224. Serie I. Busta II, n. 234, cit. da G.B. BELTRANI in Degli ebrei che dimorarono nella città di Trani…, p. 66, nota 1. Come pure un diploma del 12 agosto 1361, emesso dal re di Napoli ribadiva il diritto dei veneziani dimoranti nel Regno di essere giudicati nelle cause civili dai loro consoli.
18. A. PROLOGO, Le carte che si conservano nell’archivio del capitolo metropolitano della città di Trani, Barletta 1877, doc. n. LXXXIII, pp. 173-174.
19. Idem, doc. n. LXXXIV, pp. 175-176.
20. Idem, doc. n. 105, p. 216.
21. Ibidem.
22. Cfr. J.L.A. HUILLARD-BRãHOLLES, Historia diplomatica Friderici secundi, Paris 1859, IV, pp. 1 ss.
23. COLAFEMMINA, op. cit., p. 113.
24. Idem, p. 101.
25. Idem, pp. 103-104.
26. Cfr. H. BASNAGE, Histoire des Juifs depuis Jesus—Christ jusq’au presente, La Haye 1716, IX, XIX, § V, cit. da Ferorelli, p. 52, nota 4.
27. V. VITALE, Trani dagli Angioini agli Spagnoli, Bari 1912, pp. 10-11.
28. SUMMO, op. cit., p. 56.
29. FERORELLI, op. cit., p. 54.
30. Il termine “Talmut” è una deformazione linguistica di “Talmud”. Cfr. nota n. 17, cap. II. Il termine “Carrboct” si riferisce ad altro testo sacro, mentre con il termine “Sedur” si identifica il libro delle preghiere.
31. G. DEL GIUDICE, Codice diplomatico del Regno di Carlo I e II d’Angiò, Napoli 1863, pp. 200 ss.
32. C. MINIERI RICCIO, Brevi notizie intorno all’Archivio Angioino di Napoli, Napoli 1862, p. 97.
33. FERORELLI, op. cit., p. 62. Si conoscono due soli casi di restituzioni di mutui concessi dai giudei di Trani nei seguenti documenti del grande archivio di Napoli: “Judeis Trani provisio pro restitutione mutui unciarum centum”, reg. 1271 A. f. 105; “Universitati hominum et judeorum Trani provisio pro restitutione mutui unciarum 833”, reg. 1271 A. f. 182.
34. “Bucceria” in italiano antico era il nome dato alla mercatura del bestiame.
35. BELTRANI, op. cit., p. 74.
36. DEL GIUDICE, op. cit., pp. 315-316.
37. BELTRANI, op. cit., p. 49, nota 2.
38. Cfr. A. DE APREA, Syllabus membranarum ad regiae Siciliae pertinentium, Napoli 1882, II, p. 182.
39. E. ROGADEO, Manoscritti inediti, XL, ebrei, cit. da Summo, op. cit., p. 59, nota 2.
40. Cfr. VITALE, op. cit., p. 17. Inoltre in una raccolta di manoscritti conservata nella biblioteca comunale di Trani: gli Zibaldoni di Vincenzo Manfredi si legge: “Carolus II, andegaventis rex conventui fratlum praedicatorum de Trano, in subsidium confectionis operis, terram unam vacuam concedit, si tam extramoenia dictae civitatis Trani in qua fuit cemeterium seu locum sepulturae judeourum civitatem eiusdem”.
41. SUMMO, op. cit., p. 60.
42. G.B. BELTRANI, Il conte Alberigo da Barbiano, la regina Giovanna e gli ebrei di Trani, Roma 1877, p. 5.
43. ID., Sugli antichi ordinamenti marittimi della città di Trani cit., p. 49.
44. VITALE, op. cit., p. 97.
45. Il libro rosso della Università di Trani, a cura di G. Cioffari e M. Schiralli, Bari 1995, doc. XXII, pp. 34-38.
46. A. PERTILE, La storia del diritto italiano, Torino 1884, III, pp. 28 e 211.
47. FERORELLI, op. cit., p. 58.
48. SUMMO, op. cit., p. 64.
49. VITALE, op. cit., pp. 131-132.
50. N.F. FARAGLIA, Codice diplomatico sulmonese, Lanciano 1898, p. 263.
51. BELTRANI, op. cit., pp. 77-78.
52. FERORELLI, op. cit., p. 77.
53. M. GARRUBA, Serie critica dei sacri pastori baresi, Bari 1884, p. 301.
54. La “Moscheta” detta pure sinagoga era il luogo dove gli ebrei si radunavano “Ad orandum iuxta ritum eorum”, oltre a compiere gli atti amministrativi e a celebrare tutti gli atti solenni della loro vita.
55. FERORELLI, op. cit., p. 102.
56. C. COLAFEMMINA, Documenti per la storia degli ebrei a Trani nei secoli XV—XVI, in “Sefer Yuhasin”, Bari, II-III (1985-1987), pp. 19-23 e pp. 94-102.
57. Questa tesi ci è stata espressa dal prof. C. Colafemmina in un colloquio avuto a riguardo della situazione degli ebrei a Trani sotto il dominio degli Aragonesi.
58. “Marrano” è l’epiteto dispregiativo con cui in Spagna si indicavano gli ebrei convertiti.
59. U. CASSUTO, Un ignoto capitolo di storia ebraica, Firenze 1916, p. 404.
60. MINIERI RICCIO, Notizie storiche tratte da 62 registri angioini nell’Archivio di Stato di Napoli, Napoli 1877, p. 34.
61. VITALE, Un particolare ignorato di storia pugliese: neofiti e mercanti, Napoli 1926, p. 5.
62. Idem, p. 6.
63. Idem, p. 7.
64. Idem, p. 11.
65. Ibidem.
66. Idem, pp. 13-14.
67. Idem, p. 16.
68. SUMMO, op. cit., p. 83 e doc. n. 17 in appendice.
69. FERORELLI, op. cit., p. 147.
70. Idem, p. 150.
71. Idem, p. 151.
72. SUMMO, op. cit., p. 76.
73. C. COLAFEMMINA, Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’Archivio di Stato di Napoli, Bari 1990, pp. 42-43.
74. ID., Documenti per la storia degli ebrei a Trani nel secolo XV, in “Sefer Yuhasin”, Bari 1985, I, p. 1.
75. ID., Documenti per la storia degli ebrei in Puglia nell’Archivio di Stato di Napoli cit., pp. 38, 55, 89.
76. VITALE, Trani dagli angioini agli spagnoli cit., p. 680, doc. n. 28.
77. FERORELLI, op. cit., p. 172.
78. SUMMO, op. cit., p. 86 e doc. n. 18 in appendice.
79. BELTRANI, op. cit., p. 7.
80. FERORELLI, op. cit., pp. 104-105.
81. Idem, p. 113.
82. SUMMO, op. cit., pp. 93-94. L’editto citato dalla Summo risulta in capitoli inediti compresi nel libro rosso della città di Molfetta, documento n. 102, conservato fra le bozze di stampa non pubblicate da G. Beltrani e conservate nella biblioteca comunale di Trani.
83. Ibidem.
84. FERORELLI, op. cit., p. 191.
85. Idem, p. 190.
86. COLAFEMMINA, op. cit., doc. n. 160, p. 154.
87. Idem, doc. n. 193, p. 180.
88. SUMMO, op. cit., p. 100.
89. Idem, p. 101.