La storia di Giobbe è conosciuta. Giobbe è un uomo intero, diritto che evita il male. Persino D-o lo porta come modello umano agli Angeli. Il Satàn provoca D-o: ” Se è così giusto, avrà la sua convenienza, perché Tu lo ripaghi benissimo; mettilo alla prova e vedremo se rimane integro verso Te “. D-o consegna Giobbe nelle mani del Satàn, che prima lo riduce in povertà, poi gli fa perdere figli e figlie ed infine lo colpisce gravemente nel corpo. Giobbe urla la sua protesta. I suoi amici tentano di consolarlo e di darsi, tutti assieme, una spiegazione: ” Se ti capitano tutte queste disgrazie, vuol dire che hai fatto qualcosa di male “. Giobbe rifiuta di ammettere una colpa inesistente e tempesta D-o, contestando l’ingiustizia del suo dolore. Arriva a maledire il giorno della sua nascita e poiché ritiene che il male non ha nessuna ragione di esistere, conclude che la vita e la creazione sono senza senso. D-o è costretto a rispondere: ” Dove eri tu, mentre Io creavo l’universo? Chi sei tu per comprendere la completezza delle mie azioni? “. Giobbe non si pronuncia sul contenuto della risposta, ma si accontenta del fatto che D-o gli abbia risposto in prima persona. D-o risarcisce Giobbe di tutti i danni che ha dovuto subire. Da notare: il Satàn non partecipa alla discussione di Giobbe con gli amici, e neppure a quella con D-o.
La trama di questa storia, che è parte fondamentale del Tanàkh, è provocatoria: è proprio vero che praticare la giustizia porta il bene e che praticare l’ingiustizia porta il male? E se fosse vero il contrario? D-o è capace di spiegare, superando le ipocrisie moralistiche degli uomini di troppa fede, il significato del dolore universale e delle catastrofi umane?
Secondo i maestri del midràsh: ” Moshè ha scritto la toràh, la vicenda di Bil’àm (il profeta che voleva maledire gli ebrei) ed il libro di Giobbe ” (TB.BB 15a). Contro la maggioranza dei maestri che ritengono Giobbe un personaggio storico reale, R. Shemuèl bar Nachmàni afferma che ” Giobbe non è mai esistito e tutta la sua storia è un’allegoria ” (TB. BB 15a).
Rabbi Iehudàh haNassì ritiene che: ” Se il libro di Giobbe è stato scritto soltanto per spiegare i fatti della generazione del Diluvio, sarebbe sufficiente ” ( Ber. R 26:18)
Con quale gioco di specchi il Talmud guarda il testo biblico? Le tre ipotesi midrashiche riferite sollevano, se considerate insieme, interrogativi speculari:
a) Moshè non aveva abbastanza da fare con la scrittura (sotto dettatura) della toràh? Per quale motivo si sarebbe messo a scrivere, mantenendosi anonimo, una tragedia su fatti che forse erano accaduti ma che lui non aveva visto o che forse non erano neppure avvenuti? Per quale motivo avrebbe scelto di scrivere proprio la storia di Giobbe? Aveva avuto una profezia o sosteneva, con una sua seconda identità, una protesta contro D-o? Perché la storia di Bil’àm, che è scritta dentro la toràh, viene presentata come una storia a sé, in qualche modo fuori della toràh? Quale rapporto esiste tra la storia di Bil’àm e quella di Giobbe? Di nuovo: perché Moshè viene presentato come uno scrittore free-lance ?
b) Il Talmud, per rafforzare l’ipotesi di R.Shemuèl bar Nachmàni che Giobbe è un personaggio immaginario, fornisce un esempio parallelo. Quando Davìd ha mandato a morire Uriàh e ha sposato Batshèva’, il profeta Natàn per potergli contestare la colpa, ha raccontato a David la storia di un pastore ricco che aveva rubato l’unica pecora di un pastore povero. Con rabbia, David ha condannato il pastore ricco ed il profeta Natan ha svelato a David che, fuori metafora, stava parlando di lui (Shem. 2°,12:1-8). Il Talmud sostiene che rispetto alla vicenda di David, non ha importanza se la storia dei due pastori è immaginaria o meno. Quale significato ha questa ipotesi talmudica su un parallelismo tra Moshè con il libro di Giobbe da una parte e Natàn con la storia dei due pastori dall’altra? In particolare, dove sta l’equivalente di David nella storia di Giobbe?
c) Rabbi Iehudàh haNassì è il compilatore della Mishnàh, il nucleo del Talmud. In un certo senso Rabbi Iehudàh sta alla Toràh orale come Moshè sta alla Toràh scritta. Percéè proprio Rabbi Iehudàh sostiene che la storia di Giobbe è una interpretazione esistenziale del Diluvio, il prototipo della catastrofe universale? Perché, anche secondo Rabbì Iehudàh, proprio Moshè, il redattore della toràh scritta, avrebbe sentito il bisogno esistenziale di dare la sua interpretazione sui fatti del Diluvio? La correlazione fra Giobbe ed il Diluvio vuol dire che D-o, con il Diluvio, ha consegnato il mondo nelle mani del Satàn? Oppure, più semplicemente, Rabbì Iehudàh mette sulla bocca di Giobbe la propria richiesta categorica di ottenere una spiegazione morale sull’esistenza del male? Ed in quale modo Rabbi Iehudàh collega Moshè con il Diluvio oltre che con Giobbe?
Forse non è possibile fornire una risposta punto per punto a questi interrogativi, ma certamente è necessario considerare la violenza morale di questo processo interpretativo.
I Maestri inquadrano il contesto politico in cui Moshè viene al mondo. ” Tre personaggi hanno partecipato alla decisione del Faraone di far buttare i bambini ebrei nel Nilo: Bil’am, Giobbe e Itrò “(TB Sotàh 11a). Bil’am, che diede l’idea, morì dopo 120 anni combattendo contro gli ebrei; Giobbe, che tacque, dopo 120 anni trovò le sue disgrazie; Itrò, che fuggì perché non voleva farsi complice, dopo 40 anni diventò suocero di Moshè e dopo 80 anni raggiunse il popolo d’Israele sotto il Sinai, suggerendo a Moshè come praticare un sistema giudiziario giusto.
Il concetto è chiaro: Bil’am, Giobbe e Itrò sono tre figure della responsabilità-solidarietà umana: quando la persecuzione è già decisa si può collaborare con i persecutori, oppure tacere, oppure rifiutarsi e fuggire.
Giobbe è il mezzo giusto che tace. Qualunque sia stato il suo cuore, Giobbe ha lasciato capire al Faraone di essere dalla sua parte ed è quindi incluso nella decisione della persecuzione.
Ma il discorso non è finito; Moshè è il bambino che la figlia del Faraone tira fuori dalle acque, spezzando la persecuzione. Nella storia di Moshè la toràh sviluppa un rovesciamento rispetto alla storia del Diluvio: a) la persecuzione è decisa da un tribunale umano; b) la persecuzione viene fermata da un gesto di solidarietà semplice e non eroica; c) Moshè dovrebbe morire imprigionato nella sua piccola culla-arca, se fuori della culla-arca qualcuno non fermasse il Diluvio.
Moshè diventerà un liberatore soltanto perché qualcuno lo ha salvato. La storia di Moshè ribalta la storia di Noach. D-o non salva Moshè e Moshè non si salva da solo. La sopravvivenza di Moshè dimostra che persino un singolo individuo si può costituire come Altro contro la decisione di un popolo di annichilire un altro popolo.
E se Nòach avesse costruito, anche contro D-o, un’Arca per tutta l’umanità? E se Nòach non avesse costruito nessuna Arca e fosse fuggito? Perché Nòach ha taciuto prima e durante il Diluvio?
Torniamo al primo Midrash da cui siamo partiti: Moshè ha scritto la parashà di Bil’am ed il libro di Giobbe per raccontare la sua storia e per interpretare, con la sua esperienza, la storia del Diluvio:
1) Bil’am è il persecutore segreto che consiglia il Faraone come portare il popolo ebraico al suicidio di massa e che, una generazione dopo, cercherà di maledire gli ebrei , fingendo di rispettare il volere di D-o.
2) Itrò è l’uomo che contrasta la persecuzione senza fare nessun gesto eroico; in un certo senso Itrò obbliga D-o a darsi da fare per salvare gli ebrei. Itrò tornerà ad avere un rapporto collettivo con gli ebrei soltanto dopo che D-o li ha salvati tutti, rompendo le acque del Mar Rosso.
3) Giobbe è l’uomo del silenzio che deve imparare ad urlare, quando riesce a comprendere in prima persona l’assurdità del dolore umano. Per il Midràsh il grido di Giobbe dopo lo svelamento della sua personale preistoria non è più un grido individuale; Giobbe ha scoperto che il suo dolore è il dolore di ogni essere umano e che il suo silenzio alla corte di Faraone è, in sostanza, la vera causa del dolore umano.
4) Moshe deve scrivere il libro di Giobbe. Il bambino che è stato salvato per un piccolo gesto di solidarietà umana è il prototipo vivente di come gli uomini possano salvare gli uomini. L’uomo che è stato perseguitato dentro la culla-arca, e che è stato tirato fuori dalle acque, deve dire in qualche modo a D-o che l’Arca di Nòach è stata un campo di sterminio dentro e fuori il Diluvio.
Nel Talmud è detto che Rabbì Iehudàh haNassì è stato piagato nel corpo perché non aveva capito ed aveva banalizzato la sofferenza di una mucca portata al macello. Rabbì Iehudàh ha capito, sulla sua pelle, che il libro di Giobbe collega il dolore dell’umanità con il dolore dei singoli individui, attraverso la presa di coscienza e l’assunzione di una doppia responsabilità.
E’ una coincidenza che non può essere casuale. Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh, contro il principio di mantenere la toràh orale nella sua forma orale, dopo il secondo massacro compiuto dai romani contro gli ebrei. La motivazione con cui Rabbì Iehudàh mette per iscritto la Mishnàh è la stessa che lui attribuisce all’autore del libro di Giobbe: protestare contro il Diluvio, annullandolo. Mentre scrive la toràh orale, Rabbì Iehudàh HaNassì continua a far parlare la toràh scritta.
Settembre 1998 – Shalom