E’ stato finalmente tradotto in italiano, ed è questo mese in libreria, un libro straordinario una testimonianza eccezionale sul genocidio armeno del 1915. Un’opera scritta a caldo da una grande personalità dell’ebraismo, Henry Morgenthau uomo intelligente, coraggioso e generoso, la cui azione fu coperta dall’oblio per molti decenni, insieme alla tragedia degli armeni.
Marco Tosatti
E’ stato finalmente tradotto in italiano, ed è questo mese in libreria, un libro straordinario, una testimonianza eccezionale sul genocidio armeno del 1915. Un’opera scritta a caldo da una grande personalità dell’ebraismo, Henry Morgenthau uomo intelligente, coraggioso e generoso, la cui azione fu coperta dall’oblio per molti decenni, insieme alla tragedia degli armeni. Sono le “Memorie dell’ambasciatore americano a Costantinopoli negli anni dello sterminio degli armeni”, che esce per Guerini & Associati a cura di Francesco Berti e Fulvio Cortese (pagine 356, euro 28; prefazione di Pietro Kuciukian; traduzione di Giovanni Maria Seccosuardo).
Henry Morgenthau fu un personaggio centrale nella tragedia del genocidio. Era in una posizione importantissima, centrale per capire che cosa stava accadendo. E si comportò da persona giusta, rese una testimonianza ineccepibile e particolarmente autorevole, perché in quel periodo cruciale (1913-1916) era a Costantinopoli, vicino al centro del potere dell’Impero Ottomano, nel ruolo di ambasciatore degli Stati Uniti (che erano all’epoca ancora neutrali). Lo studio della tragedia del popolo armeno in Anatolia, e in particolare la voluta cancellazione della memoria della loro esistenza su terre abitate da secoli e secoli da parte della Turchia del secolo scorso (e forse anche di quella di oggi….) vede in questo libro un punto miliare, e una fonte ineccepibile; sia per l’imparzialità dello sguardo, sia per la ricchezza della documentazione.
Si tratta, come ha scritto Antonia Arslan, “di un tassello essenziale della storia del Novecento, che rende leggibili e comprensibili molti altri avvenimenti di quell’infuocato inizio di secolo. Il Diario 1913-1916 si inserisce infatti in un filone di ricerca che si va accrescendo in modo impressionante. Negli ultimi anni – dopo tanti decenni di ‘silenzio assordante’ sulla questione armena – si stanno infatti moltiplicando gli studi, le analisi, le pubblicazioni di memorie di testimoni stranieri e di documenti recuperati dagli archivi che integrano, illuminano, chiariscono dati e fatti. Si sono aperti molti archivi diplomatici, fra cui quelli tedeschi e austriaci, che stanno gettando una luce sinistra sulle complicità dei governi dei due imperi nell’attuazione del piano di sterminio, quelli vaticani, quelli francesi; e nuove pubblicazioni escono a getto continuo”.
Citiamo qui solo di passaggio raccomandandone la lettura, “Le Génocide des Arméniens”, dello studioso francese Raymond Kévorkian; e l’opera di uno scrittore armeno-americano Peter Balakian che ha invece scoperto il testo dimenticato di un suo prozio, pubblicato in Russia nel 1922, e lo ha fatto tradurre: “The Armenian Golgotha”. Grigoris Balakian è l’unico sopravvissuto del numeroso gruppo di scrittori, politici e intellettuali che venne deportato da Costantinopoli il 24 aprile 1915, decapitando la nazione armena della sua élite, racconta quell’esilio che fu in realtà una condanna a morte, programmata ed eseguita giorno per giorno con spietata efficienza e brutalità. Balakian, ecclesiastico poliglotta con eccellenti studi a Berlino, fu salvato da un ufficiale tedesco che aveva bisogno di lui come interprete. Citiamo una sola frase del libro di Morgenthau, quasi profetica, rispetto a ciò che accadde nei decenni successivi: “La Germania aveva lucidamente architettato la conquista del mondo”.
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