Davide Re – 28 giugno 2025
In “Einstein Forever” la fisica e scrittrice porta a teatro il padre della Relatività: «Ha vissuto nella vita un sincero percorso di conversione e di riavvicinamento nei confronti della religione
Gabriella Greison sul padre della Relatività: «Ha vissuto nella vita un sincero percorso di conversione e di riavvicinamento nei confronti della religione» «È sempre attuale e noi abbiamo bisogno dei valori che lui ha promosso» Gabriella Greison: fisica, scrittrice, giornalista e attrice teatrale. Una donna votata alla scienza e all’arte di saperla divulgare. «Sono diventata un’esperta delle vite dei fisici del XX Secolo, quelli che hanno creato il nostro mondo. E mi piace raccontarli», dice senza indugio: «Scrivo dei libri su di loro – aggiunge – che poi diventano copioni per opere teatrali che io stessa interpreto». Greison si ispira a scienziati e personaggi, che da un punto di vista intellettuale e di impegno civile sono riusciti a rimanere sempre attuali, esempi per le generazioni di oggi. È il caso di Albert Einstein, per cui Gabriella ha sul palco uno spettacolo a lui dedicato, intitolato: Einstein Forever (prossima data il 7 luglio a Cadeo, in provincia di Piacenza). Un’opera teatrale scritta (si ispira ad un suo volume pubblicato con Boringhieri) e interpretata da lei stessa che racconta la vita e il pensiero del grande scienziato, con musica dal vivo. È un “inno all’immaginazione” e ripercorre gli anni americani di Einstein e il suo impatto sulla concezione del mondo e dell’universo, tra cui il rapporto con la religione e il tema della pace.
Una parte del mondo dà la parola alle armi per reclamare il diritto ad avere o a negare la bomba atomica. Einstein aveva avvisato di quanto fosse pericolosa questa corsa agli armamenti e di quanto fosse sbagliato piegare la scienza alla politica…
«Einstein è stato quello che ha mandato la lettera a Roosvelt, per paura che ci arrivassero i tedeschi a costruire la bomba. Ma poi quando sono andati da lui dicendogli che la bomba la stavano costruendo veramente gli americani (a guerra finita) se n’è tirato fuori. Ha scritto in articoli sui giornali americani il suo dissenso, e ha espresso le sue opinioni in lettere varie che ho raccolto. “Fintanto che esistono degli eserciti, ogni lite più seria porterà alla guerra. Un pacifismo che non prova di fatto a impedire alle nazioni di armarsi è e deve rimanere impotente”, diceva. Oppure: “Questo argomento (la guerra) mi induce a parlare della peggiore fra le creazioni, quella delle masse armate, del regime militare, che odio con tutto il cuore. Disprezzo profondamente chi è felice di marciare nei ranghi e nelle formazioni al seguito di una musica…[…] E quanto la guerra mi appare ignobile e spregevole! Sarei piuttosto disposto a farmi tagliare a pezzi che partecipare ad una azione così miserabile”. O anche questo: “Io non mi considero il padre dell’energia atomica. La mia parte in questo campo è stata molto indiretta. Non ho previsto, infatti, che si potesse arrivare a produrre l’energia atomica entro il corso della mia vita…”. È poi esplicito in una lettera a Linus Pauling nel ‘54: “Ho commesso un grande errore nella mia vita — quando firmai la lettera al presidente Roosevelt raccomandando la costruzione della bomba atomica… Se avessi saputo che i tedeschi non sarebbero riusciti a produrre una bomba atomica, non avrei mai mosso un dito. O anche: “La pace non può essere mantenuta con la forza; può essere raggiunta solo con la comprensione.” Nel film Oppenheimer di Nolan è bello il suo personaggio, ma c’è un errore storico: Oppenheimer non va mai da Einstein a chiedergli di controllare se i conti erano giusti, ma va da Arthur Compton».
La religione quanto ha influito in Einstein nel suo essere anche anticonformista rispetto alle posizioni bellicistiche del Novecento?
«Einstein ha vissuto nella sua vita un percorso di conversione e di riavvicinamento nei confronti della religione: ha avuto un cambiamento. Ma più in generale Einstein ha avuto due vite diverse, quella europea (dal 1879 al 1933) e quella americana (dal 1933 al 1955). In questi due blocchi si può dire che il cambiamento radicale è avvenuto con il passaggio in America. Leggendo le sue lettere ho trovato il suo percorso. Due i passaggi chiave per capire il cambiamento, il primo da ragazzo, viveva la religione così: si considerava ebreo soltanto dal punto di vista culturale, non religioso. Da giovane, rifiutava l’idea di un Dio personale, ritenendola “una forma di antropomorfismo”. Diceva: “La parola Dio non è niente di più che un’espressione e un prodotto dell’umana debolezza, e la Bibbia è una collezione di onorevoli ma primitive leggende, e anche piuttosto infantili. Per me la religione ebraica, come tutte le altre, è un’incarnazione delle superstizioni più puerili».
Ma il cambiamento è nel periodo americano ed è quello più interessante…
«Scrive Max Born che dopo una visita ad Einstein nella sua casa a Mercer Street a Princeton, durante gli ultimi anni della sua vita, lo ha visto cambiato, e lo ha trovato “scemo”. Scrive proprio così Born – “scemo” – in una lettera a Niels Bohr. Il motivo è che lo ha visto mentre credeva di parlare con Dio, da solo nella stanza. In età adulta, infatti, Einstein ebbe un ripensamento e ammise l’esistenza di un Dio personale. Disse esattamente questo: “Chiunque faccia scienza si convince che leggi della natura manifestano lo spirito immensamente superiore a quello umano, davanti a cui noi, con le nostre modeste facoltà, non possiamo che essere umili”. Einstein ha iniziato così a pensare che se esiste qualcosa di divino nell’universo deve farsi strada tra di noi ed esprimersi tramite noi, e soprattutto senza che noi facciamo niente. Einstein ha sempre creduto in tutto ciò che è scientificamente provato, ma ha aperto una porta nei confronti di qualcosa o qualcuno con cui poter parlare, al di sopra di tutto. Diceva che se ipotizziamo l’esistenza di un essere intangibile, questo non faciliterà la comprensione dell’ordine che troviamo nel mondo tangibile, ma ci aiuterà nell’assecondare il mistero. Il mistero è un argomento che aveva molto a cuore. E lo voleva mantenere tale».
Perché uno spettacolo oggi su Einstein è estremamente importante?
«Ho deciso di fare questo spettacolo su Einstein adesso, perché i valori che lui ha promosso sono ancora oggi attuali. Idee e concetti di cui ne abbiamo un assoluto bisogno, come il bisogno di religiosità e di pace. Questo spettacolo l’ho realizzato dopo alcune lunghissime chiacchierate con don Umberto della parrocchia della cittadina di Cadeo, vicino a Piacenza, che ho conosciuto più di un anno e mezzo fa, e da allora è rimasto un mio riferimento spirituale. Io mi definisco “alla ricerca”, non mi sento terminata, chiusa, nel mio mondo spirituale. Ho un animo scientifico, prima di tutto, ma quello spirituale lo accarezzo ogni tanto, e cerco di soddisfarlo con tante letture. Il mio spettacolo si conclude con l’ultima cosa che ha fatto Einstein nella sua vita. Nel 1955 fu firmatario assieme a Bertrand Russell dello straordinario manifesto contro la proliferazione delle armi atomiche, più attuale che mai, ecco le frasi che ha condiviso con Russell: “Si apre di fronte a noi, se lo vogliamo, un continuo progresso in felicità, conoscenza e saggezza. Sceglieremo invece la morte, perché non sappiamo dimenticare le nostre contese? Ci appelliamo, come esseri umani, ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate il resto. Se vi riuscirete, si apre la via verso un nuovo paradiso; se no, avete di fronte il rischio di morte universale”. La firma sotto queste parole fu l’ultima, ma veramente l’ultima, azione della sua vita. Questo manifesto portò alla fondazione delle Conferenze Pugwash, incontri periodici tra scienziati di tutto il mondo per discutere di pace, disarmo, etica scientifica. Il movimento vinse il Premio Nobel per la Pace nel 1995»
Ultima cosa, che metodo ha usato per scrivere il libro e poi il copione di Einstein Forever?
«Il mio metodo è sempre lo stesso per ogni libro che scrivo, vado sul posto e faccio ricerche. Prima naturalmente leggo tutto quello che riesco a leggere, anche in inglese e francese, e poi prendo i contatti nei luoghi dove sono conservate le legacy e parto. In questo caso, per scrivere il mio libro su Einstein (che si chiama “Einstein forever” come lo spettacolo teatrale), ho fatto le ricerche a Berna, a Zurigo, a Princeton e a Gerusalemme alla Hebrew University, dove è contenuta la sua legacy per suo volere. È stata un’avventura andare alla Hebrew University, sia perché non si aspettavano di vedere arrivare una donna che voleva trovare materiale su Einstein che lo inneggiasse, sia perché è stato un “viaggione”. Ma ne è valsa la pena. Un’emozione, per esempio, vedere la sua pila di dischi in vinile, che ascoltava con il grammofono. Ne ho fatto una foto, per ricostruire il suo music-box, cioè le musiche che poi suonava con il suo violino come svago, le stesse che faccio suonare nello spettacolo ad un quartetto d’archi. E poi le lettere, tantissime lettere, infinite lettere. È stato bello tenerle in mano. Così come il suo leggìo».
https://www.avvenire.it/agora/pagine/greison-racconto-l-impronta-di-dio-nella-pace-di-einstein