VII. La Rivoluzione francese – Il periodo napoleonico
Siamo alla vigilia della Rivoluzione che riconoscerà` agli Ebrei i diritti di cittadini; dalla Francia spira un’aria di libertà, dalla Francia trapelano le nuove idee; nelle condizioni di vita degli Ebrei si avvertono sintomi di miglioramento. Genova li richiama nel 1752 senza imporre loro l’obbligo di vivere nel ghetto: Livorno diventa sempre più importante, e Genova ha bisogno dell’attività ebraica per sostenerne la concorrenza; in Piemonte gli Ebrei ottengono il permesso di aprire stabilimenti tessili fuori della cinta del ghetto; a Parma possono acquistare terreni. A Reggio vive uno dei più grandi librai e collezionisti: Mosè Beniamino Foà, che gode della protezione del Duca e i cui manoscritti si trovano ora nella Collezione di Parma; a Livorno vive Joseph Athias, il cui palazzo è il ritrovo di tutti i dotti dell’epoca. Famoso poeta vernacolo è Salomone Fiorentino, poeta di corte dei Granduchi di Toscana; Lorenzo da Ponte, battezzato nell’infanzia, diventa il librettista di Mozart.
Ancora prima della Rivoluzione francese, l’imperatore Giuseppe Il d’Austria, sotto l’influenza degli illuministi francesi, emana il famoso Editto di Tolleranza (1781-1784), che esonera gli Ebrei austriaci dall’obbligo di portare la rotella gialla e di vivere segregati nei ghetti; naturalmente’ anche gli Ebrei che vivono nelle città italiane sotto la dominazione austriaca: Trieste, Gorizia, Gradisca e Mantova.
Grande sviluppo prende in quest’epoca la Comunità ebraica di Trieste, riconosciuta ufficialmente nel 1746 dall’imperatrice Maria Teresa, madre di Giuseppe 11. Il padre di Maria Teresa, l’imperatore Carlo VI, aveva fondato nel 1719 ad Anversa la Compagnia delle Indie, che poi dovette cedere all’Inghilterra; pensò allora di fare di Trieste il porto dell’Austria e un grande emporio per i commerci con l’Oriente, che potesse fare concorrenza ai porti dell’Europa settentrionale; e concesse alla piccola città adriatica il porto franco. Maria Teresa, che succede al padre nel 1740, attua il piano paterno: ingrandisce la città prosciugando le saline che la circondavano, al cui posto sorge un nuovo quartiere, chiamato appunto Borgo Teresiano, e favorisce lo stanziamento di varie Nazioni (come si diceva allora). La Nazione ebrea è la prima riconosciuta. Da questo momento (1746), la Comunità ebraica di Trieste si avvia ad una fase di prosperità e importanza nella vita cittadina. Il “segno giudaico” è stato abolito a Trieste già nel 1738; e dal 1753 gli Ebrei triestini possono abitare anche fuori del ghetto (il nuovo ghetto è quello di Via Beccherie e stradine laterali, occupato dopo l’abbandono del vecchio ghetto di Corte Trauner, presso Via Capitelli); molti Ebrei affluiscono a Trieste dalla Repubblica Veneta (S. Daniele del Friuli) dopo il 1777, come già detto.
L’influenza di questo Editto di tolleranza si fa, sentire anche in Toscana, dove regna il Granduca Leopoldo e dove già dal 1768 gli Ebrei possono far parte dei Consigli comunali; a Livorno poi entra a far parte del Consiglio comunale una rappresentanza della Comunità stessa.
Qualche indizio di maggior libertà per gli Ebrei si comincia a notare un po’ dappertutto; c’è una tendenza ad alleggerire le restrizioni antiebraiche, tranne che nello Stato pontificio, dove esse continuano a pesare e ad essere applicate con l’antico rigore.
Il 14 luglio 1789 scoppia in Francia la Rivoluzione.
Vivevano allora in Francia circa 40 mila Ebrei, di cui 500 a Parigi. Nel clima pre-rivoluzionario era già stato agitato il problema ebraico; l’Accademia reale delle scienze e delle arti di Metz aveva bandito nel 1787 un concorso su questo tema: “Ci sono dei mezzi per rendere gli Ebrei più utili e più felici in Francia?” . Un sacerdote illuminato, l’abate Gregorio, aveva così risposto: “I torti e le sciagure degli Ebrei accusano il nostro contegno verso di loro” . E il 3 agosto 1789 l’abate Gregorio, deputato agli Stati Generali, tentava di porre il problema ebraico davanti all’Assemblea Costituente. Ma si dovette attendere fino al 27 settembre 1791 perché’ i diritti dell’uomo e del cittadino fossero estesi a tutti gli Ebrei di Francia. Quanto agli Ebrei italiani, essi dovettero attendere fino all’arrivo delle milizie francesi nel 1796.
Nel periodo precedente l’avanzata delle milizie francesi essi ebbero ancora a soffrire. Nel 1790 il Granduca Leopoldo va in Austria, per succedere al fratello Giuseppe II; in Toscana si forma un Consiglio di Reggenza, di cui fanno parte elementi reazionari. Scoppiano gravi disordini a Livorno, perché si è diffusa la voce che un ebreo ha asportato un marmo da una chiesa con lo scopo di servirsene per decorare una sinagoga. Questa è chiamata l’”insurrezione di S. Giulia” , che dura tre giorni; il quartiere ebraico è preso d’assalto. Eccessi antiebraici anche a Firenze; un massacro viene evitato solo per l’intervento diretto dell’arcivescovo. A Roma, nel 1793, viene assassinato il rappresentante della Repubblica francese; il popolaccio, in preda a furore antirivoluzionario, assalta il ghetto tentando di appiccarvi il fuoco; per frenare l’insurrezione popolare, le Autorità rimettono in vigore l’Editto sopra gli Ebrei del 1775, il cui rigore negli ultimi tempi si era andato ammorbidendo.
Ad Ancona si nomina una commissione per stabilire il colore del segno distintivo degli Ebrei; si ordina di murare le finestre che guardano verso l’esterno del ghetto; il rabbino viene arrestato insieme ai capi della Comunità soltanto perché un mercante ebreo è trovato con una coccarda tricolore.
Ma nel marzo del 1796 il giovane generale Bonaparte entra in Italia a capo di un esercito francese, che portava le idee della Rivoluzione. Dove entrano i Francesi, sono abolite le differenze religiose. Il re di Sardegna, dopo soli 15 giorni, è costretto a firmare il trattato di pace per salvare i suoi possedimenti; gli Ebrei del Piemonte si schierano con entusiasmo dalla parte dei liberatori. A Fossano oratore ufficiale è Abramo Sinigaglia. Ad Acqui, conquistata dopo la battaglia di Montenotte, il giovane
Abramo Azarià Ottolenghi, che diventerà poi rabbino della sua città, pubblica un proclama sul significato dell’Albero della libertà. Si racconta che in Piemonte un prete entrasse in una sinagoga per congratularsi con gli Ebrei per la riconquistata libertà. Tutti i liberali d’Italia guardano fiduciosi alla Francia; ed è facile comprendere come la gran maggioranza degli Ebrei abbracciasse con entusiasmo le nuove teorie, sebbene degli ortodossi disapprovassero le idee antireligiose della Rivoluzione. Ma i pregiudizi antiebraici erano ancora tenacemente radicati; e perfino dei rivoluzionari suggeriscono che le spese di guerra siano sostenute dalla nobiltà, dal clero e dagli Ebrei.
Napoleone avanza; sconfigge gli Austriaci al ponte di Lodi (10 maggio 1796); il duca d’Este viene scacciato da Modena; quindi il Ducato va a far parte della Repubblica Cispadana (poi ingrandita col nome di Cisalpina) creata nell’ottobre del 1796, insieme alle Legazioni ex-pontificie di Bologna e Ferrara: la prima parte d’Italia in cui gli Ebrei sono veramente emancipati. A interessante ricordare che a Bologna, sull’Albero della libertà vengono messe, come simbolo di giustizia, le Tavole della Legge.
Il 3 giugno 1796 viene occupata Verona; le porte ,dei ghetto sono bruciate sulla pubblica via. I Francesi, avanzando, occupano ancora Padova e Rovigo. Nel febbraio del 1797, dopo la sconfitta austriaca a Rivoli, Mantova si arrende. Napoleone, qual fulmine di guerra, marcia contro lo Stato pontificio e occupa le Romagne prima che il papa avesse il tempo di trattare la pace. I Francesi entrano a Cento, a Lugo; dovunque alla loro entrata sono immediatamente aboliti tanto l’obbligo della segregazione (ghetto) che quello del “segno giudaico” (rotella o cappello giallo). A Cento è la Guardia civica proveniente da Ferrara, che una notte brucia le porte del ghetto nella piazza principale.
Napoleone prosegue nella sua avanzata trionfale. Ad Ancona gli Ebrei vivevano momenti di ansietà, minacciati sia dai reazionari che dagli stessi liberali, ugualmente in pericolo se portavano o se non portavano il “segno giudaico” . I Francesi giungono ad Ancona (e si ritiene che al loro seguito vi fossero anche degli ebrei accorsi in aiuto ai correligionari) e arrivano nel ghetto proprio quando questo era assediato dal popolaccio; strappano dal capo degli Ebrei i cappelli gialli e puntano sui loro petti la coccarda tricolore. Anche qui, immediata abolizione del segno giallo e del ghetto. Ad Ancona 3 ebrei entrano subito a far parte del Consiglio comunale; Salvatore Morpurgo è chiamato a far parte di un importante delegazione politica. Malgrado questi onori, più della metà della tassa di 240 mila piastre imposta alla città di Ancona dai vincitori, viene addossata alla Comunità ebraica. Conseguenza di queste disposizioni sarà il crollo di alcune ragguardevoli famiglie anconetane, tra cui la famiglia Consolo, là cui Ragione (come era chiamato il banco di prestiti) aveva una vastissima cerchia di affari; famiglia che, appena partite le milizie francesi che occupavano la città, emigrò a Trieste, emporio allora in piena ascesa.
Il 16 maggio 1797 è la volta di Venezia. Conquista facile per i Francesi, perché la gloriosa Repubblica si arrende ingloriosamente. L’ultimo Doge, di fronte all’imminente pericolo, non ha saputo fare altro che esclamare: “Stanote no semo sicuri gnanca nel nostro leto”. A far parte del nuovo Consiglio comunale entrano 3 ebrei; gli Ebrei sono assunti nella Guardia Civica, che fa una grande parata nel ghetto, dove viene eretto solennemente l’Albero della libertà; le porte del ghetto sono levate dai cardini e poi bruciate, mentre il popolo esultante danza la carmagnola. La parola “cittadino” entra nell’uso comune anche fra gli Ebrei (si dice per esempio: “Cittadino rabbino”) e tutti i loro documenti sono intestati con le fatidiche parole: libertà, fraternità, uguaglianza.
Nel settembre del 1797 il generale Saliceti lancia un proclama da Bologna, col quale egli garantisce agli Ebrei libertà di culto.
Il 10 febbraio 1798 il generale Berthier entra a Roma. Cinque giorni dopo viene proclamata la Repubblica Romana; la stessa sera gli Ebrei gettano via il cappello giallo. Dopo due giorni l’Albero della libertà viene eretto nel ghetto. Il 20 febbraio il papa lascia la città, e il giorno seguente (21 febbraio 1798) gli Ebrei, con grandi coccarde tricolori, ascoltano a Monte Cavallo il proclama del generale francese che li dichiara cittadini con parità di diritti.
Ma quando, nella primavera del 1798, Napoleone parte per l’Egitto, e l’Italia rimane indifesa, i reazionari hanno il sopravvento, e gli eventi precipitano. Di questa paurosa reazione le prime vittime sono gli Ebrei: Roma viene occupata dalle truppe napoletane, che impongono loro forti tasse; essi sono costretti, a causa degli eccessi, a rimanere per settimane rinchiusi nel ghetto. Disordini antiebraici scoppiano anche a Pesaro, Urbino e, più gravi, a Senigallia, con morti e feriti e, naturalmente, saccheggio. Molti ebrei di queste città cercano rifugio ad Ancona, ancora in mano francese, e il generale Le Monnier accoglie tutti i profughi dichiarando che tutti i cittadini sono uguali, senza differenza di religione.
Anche in Toscana scoppiano disordini: a Firenze, a Pitigliano e, peggio, a Siena, dove si aggrediscono gli Ebrei al grido di: “Viva Maria”. E quando gli Austriaci occupano la Toscana, impongono agli Ebrei un forte tributo (che verrà poi rimborsato dal Granduca). Occupano pure il Veneto, che è funestato da disordini. Eccessi antiebraici a Chieri, Alessandria, Acqui, Fossano (dove vogliono bruciare Abramo Sinigaglia).
Torna a echeggiare per le vie d’Italia la “Gnora Luna”; un sacerdote pensa di trasformarla in commedia; e col titolo “Il matrimonio ebraico”, è rappresentata la prima volta a Ferrara nel 1798, e poi a Modena in occasione del passaggio del papa sulla via dell’esilio. Disordini anche a Milano e Bologna. Ha successo un libello antiebraico di un certo Benedetti dal titolo: “Gli ebrei smascherati” .
Gli Austriaci vogliono liberare dai rivoluzionari i territori da loro occupati, e fra i deportati c’è Zaccaria Carpi da Revere (Mantova), che lascio una relazione in ebraico sulla sua lunga prigionia. Anche il rabbino di Elba, Salomon Finzi, è rinchiuso in carcere perché accusato di attaccare il clero nel suo poema: “Il Messia verrà” .
Ma nel maggio del 1800 Napoleone, “primo console” , torna in Italia; nel giugno vince gli Austriaci a Marengo. Per i primi quindici anni del secolo sono i Francesi che dominano in Italia, o di fatto o di nome; gli Ebrei riacquistano tutti i diritti, sono ammessi nelle scuole pubbliche, occupano cariche importanti. Nel 1809 Napoleone annette lo Stato pontificio all’Impero francese; ed anche gli Ebrei romani, che in quest’epoca sono circa 3 mila, vengono a godere di pieni diritti.
Napoleone, ormai Imperatore dei Francesi (dal maggio 1804) vuole avere il dominio e il controllo su tutti. Siccome le popolazioni dell’Alsazia e Lorena presentarono all’Imperatore le loro lagnanze attribuendo agli Ebrei la causa di tutte le loro sciagure,
Napoleone volle esaminare il problema ebraico: nel 1806 esso fu discusso due volte al Consiglio di Stato; e in lui maturò l’idea di convocare il Sinedrio. Un Napoleone non poteva accontentarsi di una semplice Assemblea rappresentativa; doveva essere il Sinedrio, come nei tempi antichi, autorevole e venerando come l’antico Sinedrio, di cui doveva essere una copia precisa. Nel luglio del 1806 si riunì a Parigi l’Assemblea dei notabili ebrei composta da 112 deputati, sotto la presidenza di Abramo Furtado di Bordeaux, per preparare il Sinedrio; che fu convocato nel febbraio dell’anno seguente. Da ogni parte giunsero rappresentanti, anche dalle Comunità italiane: 13 rappresentanti dal Piemonte, 16 da tutto il resto d’Italia. Le figure più significative fra i partecipanti sono il Rabbino di Mantova. Abramo Cologna e Mosè Formiggini, futuro redattore del Codice commerciale del Regno italico. Ma non tutti gli Ebrei sono d’accordo: il rabbino di Marsiglia, un italiano (Costantini di Livorno), invitato a partecipare al Sinedrio, dichiara di non riconoscere l’autorità dell’Imperatore nelle questioni riguardanti gli Ebrei; Jacob Israel Carmi da Reggio ci lascia delle lettere da cui si rileva come non tutti fossero convinti di servire in tal modo la causa dell’ebraismo. Al Sinedrio fu presentata la seguente dichiarazione: “L’Ebreo considera il suo paese natale come sua patria, e ritiene suo dovere difenderla” . E tutti i delegati, in piedi, gridarono: “Fino alla morte!” . Un’ordinanza promulgata l’anno seguente a Madrid disponeva che ogni dipartimento con almeno 2 mila ebrei dovesse avere un concistoro, mentre un Concistoro centrale, con sede a Parigi, doveva controllare le organizzazioni locali. Furono così istituiti in Francia 10 concistori dipartimentali. Quest’organizzazione voluta da Napoleone esiste tuttora in Francia.
Ed anche l’Italia ebbe così i suoi concistori.