VI. I Ghetti – “L’Editto sopra gli Ebrei” – I “casi di oblazione”
Alla fine del Seicento quasi tutti gli Ebrei d’Italia sono ormai rinchiusi nei ghetti (quelli del Piemonte un po’ più tardi: all’inizio del secolo successivo). I ghetti italiani sono formati o di un grande cortile rettangolare, lungo il quale sono allineate le case, coi negozi e le abitazioni intercomunicanti, il tipico chatzèr, ossia cortile (rimane ancora, esattamente com’era al tempo della segregazione, quello di Cento, veramente caratteristico); oppure di una via o di una piazza centrale nella quale sboccano viuzze laterali secondarie (Ancona, Ferrara, Modena, Trieste), o di un complesso di stradine formanti un piccolo quartiere nel centro (Bologna, Pesaro); oppure anche, i più piccoli, di una sola contrada coi due portoni agli sbocchi (Lugo, Carpi, Urbino). I più importanti sono quelli di Roma (5 porte), Ferrara, (Sporte), Ancona e Venezia (il più antico). I portoni del ghetto si aprono all’alba e si chiudono al tramonto, sorvegliati durante la notte, come abbiamo già detto, da guardiani cristiani pagati dalla Comunità ebraica. A Venezia una gondola gira di notte nei canali che circondano il ghetto; così i guardiani sorvegliano che l’isolamento sia assoluto. Nessun ebreo può abitare fuori del ghetto, ne uscire dalla cinta senza il “segno giudaico” (rotella gialla o bianca e rossa, o cappello a pari di zucchero giallo, o con nastri gialli; per le donne: velo giallo che copre a guisa di mantelletto testa e spalle; come già ricordato, il distintivo delle meretrici). Può andare in viaggio solo con un permesso speciale, per una ragione ben definita (Per esempio: per visitare la Fiera di Senigallia) col “segno giudaico” bene in vista (soltanto la Repubblica Veneta permetteva agli Ebrei di passaggio di girare tre giorni senza il segno giudaico), e abitare in un albergo fissato dalle autorità (a Bologna: “Al Cappel Rosso”) (5) in via Fusari, che ancora esiste col nome: “Cappello” ).
(5) A facile comprendere perché quell’albergo era chiamato così: ci andavano gli Ebrei, che portavano il grande cappello color arancione, che li faceva ben notare.
Gli Ebrei si adattano alle nuove condizioni di vita. La società del ghetto ha quasi ovunque la stessa fisionomia: si compone di tre classi sociali: banchieri, cenciaioli e sussidiati. Alcune Comunità ebraiche del tempo sono organizzate in modo esemplare; molti ghetti diventano centro di studi, ai quali gli Ebrei si dedicano la mattina presto e la sera tardi, prima e dopo la giornata di lavoro, nelle jeshivòth per adulti. Al tempo dei ghetti gli ebrei italiani eccellono fra gli ebrei d’Europa per gli studi ebraici: Livorno viene chiamata “la piccola Gerusalemme” (titolo dato in seguito anche a Gorizia); a Ferrara vive e opera Isacco Lampronti, famoso medico e talmudista, autore dell’opera Páchad Itzchak; a Padova il cabbalista Moshè Chajim Luzzatto, che fa anche parte del Tribunale rabbinico di quella città. Gli studi cabbalistici sono la conseguenza di quel fervore mistico che si manifesta in tempi di miseria materiale e schiavitù politica.
Una menzione particolare merita la Comunità di Mantova, sviluppatasi per la protezione dei Gonzaga. Sono sempre le Signorie che favoriscono gli Ebrei, sia perché, come abbiamo già ricordato, dei loro prestiti ha bisogno il principe per tenere una Corte brillante, sia perché ne ha bisogno il popolo minuto, suo principale sostenitore. Le repubbliche invece, formate di una borghesia dedita ai commerci, spesso respingono gli Ebrei perché ne temono la concorrenza. Dopo l’assedio di Mantova del 1629 (ce ne parla il Manzoni nei “Promessi Sposi” ), l’anno seguente gli Ebrei sono espulsi dalla città; ma in seguito sono richiamati. Nel 1708 il ducato di Mantova passa all’Austria; da quest’anno fino al 1859 gli Ebrei mantovani condividono la sorte degli Ebrei dell’Austria. A Sabbioneta presso Mantova è sorta una Comunità fin da quando questa città si è staccata dal ducato di Mantova; Comunità che continua a esistere fino all’emancipazione.
Due grandi Comunità dello Stato pontificio: Roma e Ancona, non possono coltivare gli studi, oppresse come sono da preoccupazioni, angosce e difficoltà di ogni genere.
Dalla metà del XVII secolo in qualche paese (Olanda, Inghilterra, America), gli Ebrei godono ormai di una quasi parità di diritti rispetto ai Cristiani, con qualche sola limitazione di ordine politico; in Italia invece sono tenuti in condizione di umiliante inferiorità. Le conseguenze di tale situazione sono:
1) esodo dalle varie Comunità italiane o verso Livorno, la cui Comunità aumenta di numero e di importanza, o verso l’Europa settentrionale (specialmente in Inghilterra);
2) apostasia. Gli apostati sono sempre stati i peggiori nemici del loro sangue; l’apostata livornese Paolo Medici svolge la sua velenosa propaganda con scritti che hanno notevole diffusione.
Le condizioni degli Ebrei italiani peggiorano ancora; si delinea un ulteriore inasprimento delle già dure restrizioni; nel 1733, sotto il pontificato di Clemente XIII, il cardinale Petra prepara un minuzioso codice antiebraico con nuovi pesantissimi obblighi e imposizioni; codice che poi viene rinnovato nel 1746 sotto il papa Benedetto XIV (il bolognese Prospero Lambertini).
Nel 1755 a Ferrara l’Inquisizione ordina che siano spezzate le lapidi del cimitero ebraico e proibisce di metterne delle altre. Nel 1757 muore Isacco Lampronti, il già citato famoso medico e talmudista ferrarese, e non si è mai saputo dove sia stato sepolto.
Ovunque nello Stato pontificio si procede alla confisca e alla distruzione dei libri ebraici.
In quest’epoca – metà del XVIII secolo – i sentimenti del popolo, continuamente aizzato contro gli Ebrei, si manifestano col canto di una ballata popolare fiorentina: “La gnora Luna”. là questa una canzone volgarissima, che narra con particolari grotteschi e tali da muovere il riso e il diprezzo, contrattempi avvenuti durante un matrimonio ebraico. Viene cantata ovunque, provocando ovunque gravi disordini (a Mantova, Ferrara, Verona, Alessandria, Livorno). Si ignora chi sia veramente l’autore de “La gnora Luna” c’è chi ritiene si tratti di un apostata, pieno di livore verso i suoi ex-correligionari; secondo altri, sarebbe un giovane debitore cristiano, che voleva vendicarsi del suo creditore ebreo che lo aveva mandato in prigione; secondo altri ancora, un fiorentino cieco, soprannominato “becco sudicio”. Chiunque ne sia stato l’autore, e da quali sentimenti ispirato, certamente “La gnora Luna” ha avuto diffusione e successo.
Il quinquennio del pontificato di Clemente XIV, il romagnolo Giovanni Vincenzo Antonio Ganganelli (1769-1774), rappresenta per gli Ebrei un po’ di pace, un respiro, una pausa. Da cardinale il Ganganelli era stato inviato dal papa Clemente XIII a Jampol in Polonia per fare un’inchiesta, sollecitata da una ambasceria inviata al papa dagli Ebrei di quella città, su un presunto omicidio rituale. Il resoconto del Ganganelli (di cui una copia, che si trovava presso la Comunità di Roma, fu scoperta dallo storico Abramo Berliner), spiega che si trattava di un caso di suggestione collettiva. Questo papa, che ha coraggiosamente soppresso l’Ordine dei Gesuiti (erano già stati espulsi da quasi tutte le nazioni), cerca di migliorare le condizioni degli Ebrei viventi nello Stato pontificio, di risollevare le Comunità ebraiche dallo stato di miseria morale e materiale in cui le avevano gettate i suoi predecessori; le sottrae alla diretta giurisdizione del Sant’Uffizio, e difende i diritti delle famiglie ebree sui figli oblati (bambini battezzati in stato di incoscienza, che venivano strappati alla famiglia e rinchiusi nella Casa dei Catecumeni). Ma purtroppo il suo pontificato è breve. Gli succede Pio VI, che subito (1775) emana un Editto sopra gli Ebrei, che è uno dei documenti più mostruosi di persecuzioni che la storia dell’umanità ricordi: alle antiche misure persecutorie, ulteriormente inasprite, vengono aggiunte delle altre. L’Editto si compone di 24 clausole, di cui ricorderemo queste:
1. L’Ebreo che passi una notte fuori del ghetto è condannato a morte.
2. Il “segno giallo” deve essere portato anche entro la cinta del ghetto (finora gli Ebrei dovevano portarlo quando uscivano dal ghetto).
3. Sono proibiti i cortei funebri.
4. È proibito lo studio del Talmud.
5. È proibita la vendita al Cristiani di pane, carne, latte.
6. È proibito tenere negozi fuori del ghetto.
7. È proibito avere domestici cristiani, quindi anche di servirsi delle cosiddette “donne del fuoco” (le donne cioè che andavano nelle case degli Ebrei per accendere il fuoco di sabato).
8. Sono proibite le relazioni coi vicini cristiani.
9. È proibito agli argentieri cristiani di fare lampade a sette bracci per uso rituale.
10. È proibito invitare i Cristiani nelle sinagoghe.
11. È proibito ai Cristiani entrare nelle sinagoghe.
12. È proibito guidare carri a Roma o nelle vicinanze.
13. I rabbini sono ritenuti responsabili della frequenza alle prediche coattive.
14. È proibito agli Ebrei l’ingresso nelle chiese e nei monasteri.
15. È proibito avvicinarsi alla “Casa dei Catecumeni” .
Le leggi persecutorie cui sono soggetti gli Ebrei nelle Terre del Papa in questo secolo, hanno ripercussioni anche altrove: a Genova gli Ebrei sono espulsi nel 1737 (ma per breve tempo, perché poi vengono richiamati); a Modena, fondato il Monte di Pietà, sono aboliti i banchi di prestiti; a Finale (provincia di Modena) viene istituito il ghetto per la piccola Comunità che lì risiede. A Parma si proibisce agli Ebrei di sostare più di 24 ore (non avevano mai avuto permesso di residenza stabile, fin da quando, nel 1562, erano stati accettati nel Ducato da Alessandro Farnese col permesso di aprire 16 banchi, poi ridotti a 8, ma con la proibizione di risiedere nelle due capitali: Parma e Piacenza); a Correggio (Parma) si tenta di istituire il ghetto, ma poi ci si accontenta di proibire agli Ebrei di portare il bastone (ordine che viene poi revocato); tutte le piccole Comunità del Ducato (Busseto, Cortemaggiore, Borgo San Donnino) sono ricattate con la minaccia di espulsione. Nel Regno di Sardegna sono rimesse in vigore le antiche interdizioni, sentite in modo particolare dagli Ebrei di Nizza e di Acqui.
Ma le conseguenze più gravi di questa politica antiebraica le risentono gli Ebrei della Repubblica Veneta. La condotta a Venezia veniva rinnovata ogni ,dieci anni; e nel 17.77, allo scadere della condotta, questa viene rinnovata a dure condizioni. Sono queste:
1) Agli Ebrei è permesso di esercitare il solo mestiere di cenciaioli (la cosiddetta strazzaria). In seguito a tale restrizione, gli Ebrei di Padova non possono più dedicarsi all’industria degli argentieri da loro iniziata e portata a grande sviluppo.
2) Gli Ebrei non possono risiedere dove non esiste un ghetto. Naturalmente, nessun nuovo ghetto veniva istituito. Conseguenza di tale legge è lo scioglimento delle Comunità minori di recente formazione, di cui la più importante è quella di S. Daniele del Friuli. Da questa Comunità molti Ebrei passano allora entro il vicino territorio austriaco, ingrossando le già esistenti Comunità di Trieste, Gorizia e Gradisca (6). Fra questi neo-immigrati vi è pure la famiglia di Samuele Davide Luzzatto, che nascerà appunto a Trieste.
(6) Degli appartenenti a queste tre Comunità (Johel Pinckerle di Gorizia, Mosè e Giacobbe Marpurger di Gradisca e Ventura Parente di Trieste) avevano ottenuto dall’imperatore Ferdinando II, quale riconoscimento dell’aiuto da loro prestato nella guerra contro i Veneziani, tutti i privilegi che venivano concessi ai Hof-juden dell’Impero (diritto di viaggiare per tutti i territori dell’Impero senza “segno giudaico” , divieto di essere espulsi e poi richiamati con l’obbligo di sborsare forti somme, diritto di abitare a Vienna, di fare indisturbati i loro commerci nelle loro case o botteghe). Questo decreto fu inviato a tutti i principi secolari e religiosi. La pergamena originale, in data: Vienna, 12 marzo 1624, munita del sigillo imperiale, si trova nell’archivio della Consulta Israelitica di Gorizia.
Intanto nello Stato pontificio si continua ad incrudelire contro gli Ebrei: il codice inumano del 1775 viene ulteriormente inasprito. Si ripetono i casi di oblazione (della frequenza di questi casi siamo informati anche dalle lettere di papa Benedetto XIV), i battesimi forzati. Nel 1783 (alla vigilia della Rivoluzione francese!) avviene a Roma un fatto che desta profonda impressione perfino fra i Cristiani: una notte vengono ricercati dalle Autorità 3 orfani ebrei che vivevano con la nonna, perché richiesti da un loro lontano parente cristiano; la Comunità, allarmata, li fa uscire nascostamente dal ghetto. Ne segue una serie di arresti e una petizione presentata al papa; il memorandum è firmato da 12 avvocati cristiani. Ma tutto è inutile: la Comunità ebraica di Roma, malgrado i suoi sforzi coraggiosi per salvare i suoi figli, rimane sempre sconfitta in questi casi.
In tutte le Comunità italiane si notano in quest’epoca sintomi di decadenza; tre secoli di vita nel ghetto hanno dato questo risultato: decadenza fisica: l’ebreo è basso di statura e col sistema nervoso rovinato; e morale: superstizione al posto della cultura, e mancanza di dignità da parte dei poveri. Giacche nei periodi di decadenza si accentua sempre il doloroso fenomeno ebraico dei poveri senza dignità che vivono a carico dei correligionari abbienti.
Unica città dove gli Ebrei possono vivere tranquilli è la sola città d’Italia che non ha mai avuto un vero ghetto: Livorno, porto commerciale del Granducato di Toscana sempre più importante per i suoi traffici; è perciò che verso questa città affluiscono Ebrei da altri centri.