XI. Emancipazione – Seconda e terza guerra d’Indipendenza
Il Regno di Sardegna ha il merito di avere concesso per primo l’emancipazione agli Ebrei d’Italia. Quando, falliti ovunque i moti rivoluzionari del ‘48, tutti i Governi, revocato quanto erano stati costretti a concedere, adottarono i pesanti sistemi della reazione, solo in Piemonte la reazione non venne. Sul re Carlo Alberto si puntavano le speranze di tutti i liberali d’Italia. In Piemonte gli Ebrei erano trattati bene; le loro Comunità (erano molte e sparse su tutto il territorio del Regno) avevano come guida le Comunità di Torino (con rabbino capo Lelio Cantoni) e di Casale. L’opinione pubblica piemontese, sotto l’influenza di spiriti eletti, era generalmente favorevole all’emancipazione ebraica. Dall’opera dei giurista G. L. Maffoni: “Origine delle interdizioni civili israelitiche” a quella dell’ungherese Oetvoes – che spiega come l’emancipazione ebraica si dovesse concedere proprio in forza dei principi cristiani, e, tradotta in italiano, fu pubblicata insieme a uno studio di Giacomo Dina su “La rigenerazione politica degli Ebrei” ; dallo studio, gi’ citato, di Massimo D’Azeglio: “Dell’emancipazione civile degli Israeliti” , pubblicato a Roma e indirizzato al papa, che ebbe vasta risonanza, alla già citata opera di Carlo Cattaneo: “Ricerche economiche sulle interdizioni imposte agli Israeliti” (dì cui due copie furono consegnate alla Cancelleria Aulica di Vienna dalla deputazione colà inviata dagli Ebrei del Lombardo-Veneto), è tutta una serie di pubblicazioni, che vogliono illuminare l’opinione pubblica su questo problema; si nota un fervore d’iniziative, di cui la più importante è indubbiamente la creazione di un Comitato piemontese, presieduto dal conte Roberto D’Azeglio, fratello di Massimo, con l’approvazione e l’appoggio di Vincenzo Gioberti e del conte di Cavour, convinto emancipazionista fino dal suo esordio nella vita politica – che aveva appunto lo scopo di creare tra il pubblico una larga schiera di fautori dell’emancipazione ebraica, tale da poter influire decisamente sul Governo.
Ben presto si notano gli effetti: a Casale, nel 1847, l’Associazione agraria, in un raduno composto da molti partecipanti venuti anche da altri centri, Approva una mozione in favore dell’emancipazione degli acattolici (valdesi ed ebrei); nel novembre dello stesso anno Roberto D’Azeglio invia una circolare ai vescovi del Regno chiedendo il loro parere sull’argomento (e riceve delle risposte per lo più evasive o addirittura negative; prima di Natale viene presentata una petizione firmata da uomini influenti, fra cui quattro prelati; e infine l’8 febbraio del 1848 e posta la prima base per l’emancipazione degli acattolici. Primi ad essere emancipati sono i valdesi: il 17 febbraio. Questa data è solennemente celebrata dai valdesi, fra i quali ancor oggi è diffuso il nome Roberto, dato in onore di Roberto D’Azeglio.
Scoppia la guerra contro l’Austria; al re, in procinto di lasciare Torino, si presenta una deputazione ebraica capeggiata dal poeta banchiere David Levi, da noi già ricordato, per significargli quanta importanza avesse l’esito della guerra per tutti gli Italiani, ma soprattutto per gli Ebrei: sconfitti gli Austriaci, gli ebrei del Lombardo-Veneto avrebbero ottenuto lo stesso trattamento di quelli del Regno Sardo.
Il 22 marzo, il Ministro degli Interni Vincenzo Ricci presenta un memorandum, in cui chiedeva la completa emancipazione ebraica; ed il 29 dello stesso mese (29 marzo 1848) Carlo Alberto, sul campo dì battaglia di Voghera, firma un decreto col quale concedeva tutti i diritti agli ebrei ed agli altri acattolici. Una grande battaglia era vinta; le sconfitte militari della prima guerra d’Indipendenza non poterono offuscarne la gloria. Curioso particolare storico: il decreto di emancipazione per gli Ebrei del Regno di Sardegna fu firmato nello stesso giorno in cui, nel lontano 1516, era stato istituito in Italia il primo ghetto: quello di Venezia.
Ovunque accolta con favore questa legge (tranne che ad Acqui, dove elementi reazionari inscenarono tumulti alla vigilia di Pasqua), 15 giorni dopo la sua pubblicazione veniva emanato un editto, in forza del quale gli ebrei erano ammessi nelle Università e nell’esercito (fino a questo momento avevano combattuto come volontari e non come regolari). Il 7 giugno una mozione presentata in Parlamento dai liberali dichiarava che le differenze religiose non dovevano impedire il pieno godimento dei diritti civili e politici.
A Carlo Alberto, che – per non accettare le umilianti condizioni di armistizio imposte da Radetzki dopo la sconfitta di Novara – abdica nel 1849, succede il figlio Vittorio Emanuele 11, che mantiene la costituzione e con essa il decreto di emancipazione ebraica. In seguito, questa costituzione sarà estesa a tutta Italia. Ministro di Vittorio Emanuele, dal 1852, è il conte di Cavour, provato amico degli ebrei (e dagli elettori ebrei sempre appoggiato); suo segretario è Isacco Artom; direttore del giornale “L’Opinione” , organo della politica cavouriana, è l’avvocato Giacomo Dina. In Francia viene fondato da un ebreo, l’ingegner Carvallo, un giornale dello stesso nome: “L’Opinion” , che sostiene la politica cavouriana. Cavour prepara con somma saggezza ed estrema cautela la seconda guerra d’Indipendenza; ottiene da Casa Rothschild i fondi per fare la guerra contro l’Austria, con la scusa apparente che servivano per costruire la ferrovia del Cenisio. Fino al 1880 Casa Rothschild sovvenzionò la costruzione di tutte le ferrovie d’Europa; per principio Casa Rothschild ha sempre rifiutato prestiti per spese militari.
Ma tranne che nel Regno di Sardegna, la reazione grava ora su tutta l’Italia; ovunque domina l’oscurantismo, che opprime patrioti od ebrei e costringe gli uni e gli altri ad emigrare e a cercare rifugio in Piemonte o altrove. Fra gli esuli sono anche Isacco Pesaro Maurogònato e Leone Carpi. Nel 1858 avviene a Bologna il “caso Mortara”, un caso di oblazione che fa enorme impressione in tutte le nazioni d’Europa e negli Stati Uniti; provoca l’intervento, generoso ma inutile, di monarchi e uomini di Stato. Ma questo clamoroso caso di oblazione convince anche molti buoni cattolici dell’opportunità che il potere temporale sia diviso da quello spirituale.
Nel 1859 scoppia la seconda guerra d’Indipendenza; Cavour era riuscito a fare stringere un’alleanza militare tra il Piemonte e la Francia; alleanza sostenuta dagli Ebrei francesi, che contribuiscono con offerte volontarie alle spese militari. Il 27 aprile hanno inizio le ostilità. Lo stesso giorno il Granduca di Toscana, impressionato da una dimostrazione popolare, scappa da Firenze; viene formato un Governo provvisorio, a far parte del quale è chiamato Sansone D’Ancona col compito di presiedere alle Finanze ed ai Lavori Pubblici. Il 30 aprile la costituzione del ‘48, poi abrogata, che aboliva le differenze religiose, viene rimessa in vigore in Toscana.
La vittoria di Magenta (4 giugno 1859) è decisiva per l’esito della guerra; l’8 giugno Vittorio Emanuele Il e Napoleone III fanno il loro ingresso trionfale in Milano, accolti dalla popolazione acclamante; l’11 giugno il duca di Modena e la duchessa di Parma scappano dai loro Ducati; il 12 giugno Bologna si ribella apertamente al Governo pontificio, seguita da Ravenna e Perugia. Il 13 giugno viene decretata l’uguaglianza religiosa a Modena; il 4 luglio in Lombardia, il 10 agosto nelle Romagne (ex-legazioni pontificie di Bologna, Ferrara, Forlì e Ravenna).
Garibaldi intanto avanzava alla testa del Corpo dei Cacciatori delle Alpi, di cui faceva parte anche Scott (Carlo Alessandro Blumenthal di Londra).
Una delle principali cause che indussero Napoleone III a firmare l’armistizio di Villafranca, era l’ostilità dei clericali francesi alla campagna d’Italia, preoccupati che da questa guerra la dominazione papale ne fosse indebolita; e fu proprio la speranza di vedere indebolita tale dominazione, che indusse gli Ebrei francesi a sostenere questa guerra.
La Toscana e l’Emilia (nuova denominazione data da Luigi Carlo Farini alla regione formata dall’unione dei due Ducati di Modena e Parma e delle Legazioni delle Romagne), in seguito a plebiscito, vengono annesse al Regno Sabaudo; Nizza e la Savoia passano alla Francia. Da questo momento la Comunità ebraica di Nizza entra nel novero delle Comunità francesi.
Alla Spedizione dei Mille (1860) prendono parte otto ebrei fra i quali il capitano veneziano Davide Uziel, il colonnello Enrico Guastalla (da noi già ricordato) e uno studente tedesco, Adolph Moses, che poi andrà in America, dove farà il rabbino. Nello stesso anno, con la battaglia di Castelfidardo del 18 settembre, ha inizio, per opera del generale Cialdini a capo dell’esercito piemontese, la liberazione delle Marche; dopo la vittoria dei Piemontesi, Ancona resiste dieci giorni ancora, assediata per terra e Per mare, e difesa dalle milizie pontifice con a capo il generale Lamoricière; ma il 29 settembre deve capitolare. Durante l’assedio viene distrutto il Tempio Levantino, per dar posto alla costruzione dello scalo Lamoricière; ma forse, oltre che da ragioni belliche, quest’ordine era stato dettato da animosità verso la Nazione ebrea, che doveva ottenere, con l’entrata delle milizie sarde, pieni diritti civili e politici. Difatti il R. Commissario per le Marche Lorenzo Valerio, non appena insediatosi in Ancona, decretava che: “La differenza di religione non porta alcuna differenza nel godimento e nell’esercizio dei diritti civili e politici. Sono quindi abolite tutte le interdizioni a cui andavano per lo addietro soggetti gli israeliti e i cristiani acattolici” . (Nel 1860 c’era ad Ancona anche una Comunità greco-ortodossa, che durò ancora circa un ventennio; nel 1880 non c’erano più Greci-ortodossi in quella città).
Il 17 marzo 1861 il Regno d’Italia viene solennemente proclamato dal Parlamento italiano, al quale tutte le regioni annesse hanno inviato i loro deputati; lo statuto sardo del 1848 entra in vigore in tutto il Regno. Viene così ratificata l’emancipazione ebraica, già riconosciuta nelle varie regioni con relativi decreti, in forma ufficiale.
Ma a Roma le condizioni degli Ebrei sono sempre gravi. Pio IX, da quando, dopo il crollo della Repubblica Romana, è ritornato da Gaeta trionfante e pieno di rancore, ha al suo fianco come segretario di Stato il cardinale Antonelli, fiero oppositore dei patrioti e di qualsiasi riforma. Dopo la caduta della Repubblica Romana, il vacillante Stato pontificio si è servito di soldati stranieri per reprimere i moti delle popolazioni: francesi a Roma e austriaci nelle province. E dopo la liberazione delle province, nella Capitale è rimasto il presidio francese. In questa Roma oppressa da inquisitori e presidiata da milizie straniere, tristissime sono le condizioni degli Ebrei: i giornali stranieri del tempo riportano le impressioni dei visitatori del ghetto di Roma, miserabile quartiere, la cui vista suscita pietà; Sir Moses Montefiore, inviato a Roma a capo della “missione Mortara” , nella sua relazione al Board of Deputies of British Jews (Assemblea rappresentativa ebraica) dice che le condizioni degli ebrei romani sono pietose oltre ogni dire. E tali continuano ad essere anche dopo la costituzione del Regno d’Italia. Le antiche interdizioni sono state ulteriormente inasprite. Il fanciullo Mortara, ormai divenuto per tutta Europa simbolo della oppressione pontificia, è trattenuto prigioniero a Roma e avviato al sacerdozio. Nel 1864 avviene nella stessa Roma un altro caso di oblazione (Coen), che fa fremere di sdegno gli stessi cattolici: un ragazzo viene chiamato con un pretesto nella Casa dei Catecumeni (un prete lo chiama per fargli portare al calzolaio un paio di scarpe) e sparisce per sempre. Alcuni cristiani vogliono venire in aiuto agli ebrei, e perché abbia fine una tragica ironia, presentano al papa una petizione in cui chiedono che gli ebrei siano almeno esonerati dall’obbligo di versare il tributo alla Casa dei Catecumeni.
Nel 1866, con la 111 guerra d’Indipendenza, le Comunità del Veneto entrano a far parte delle Comunità italiane. Sotto la dominazione austriaca gli Ebrei non dovevano subire particolari vessazioni, ma non erano loro riconosciuti pieni diritti; con l’annessione del Veneto al Regno d’Italia, tutti i cittadini sono dichiarati – con decreto del governatore del re – uguali di fronte alla legge senza distinzione di fede religiosa.
L’anno seguente Garibaldi tenta di liberare Roma coi suoi legionari, fra i quali combattono alcuni ebrei; e infine, nel 1870, ritirate da Roma le milizie francesi in seguito allo scoppio della guerra franco-prussiana, le truppe italiane, al comando del generale Lamarmora, entrano a Roma. Di queste fa parte anche Riccardo Mortara, fratello di Edgardo, che, rapito all’età di meno :di 7 anni, è diventato sacerdote cattolico. Presidente della Comunità ebraica di Roma è da molti anni Samuele Alatri; ha rappresentato l’ebraismo romano in tutti i negoziati col Governo pontificio; ha assistito Sir Moses Montefiore nell’infelice “missione Mortara” ; ed ora fa parte della deputazione che deve comunicare al re i risultati del plebiscito. Il 2 ottobre Roma è annessa al Regno d’Italia; 11 giorni dopo un decreto reale abolisce tutte le differenze religiose.