Capitolo 8 – Gli Ebrei fino alla loro espulsione dalla Spagna
Le fonti
Italia: a) La comunità di Roma; b) Italia settentrionale e centrale; c) Italia meridionale e Sicilia; d) Sardegna; e) Gli studi e la letteratura
Spagna: a) Il regno di Enrico III; b) Vincenzo Ferrer e Paolo di Burgos; c) La discussione di Tortosa; d) Ultimo periodo di relativo benessere; e) Persecuzioni e violenze contro Marrani ed Ebrei dichiarati; f) Attività dei tribunali dell’Inquisizione; g) Espulsione degli Ebrei dalla Spagna; h) La letteratura
Portogallo
Impero germanico: a) Le persecuzioni nel periodo della lotta contro gli Ussiti; b) Gli Ebrei di Germania durante l’impero di Federico III; c) Gli studi e la letteratura
Polonia e Lituania
Russia e Crimea
Turchia
Èretz Israèl
Le fonti
Molte notizie si ricavano dai racconti ebraici delle persecuzioni, specialmente Shèvet Yehudà di Yehudà ibn Verga (vedi pag. XXX) e ’Èmek Habakhà di Yosèf Hakohen (vedi pag. XXX). Per la Spagna si hanno numerosissimi documenti degli archivi dell’Inquisizione. Sono pure conservate molte relazioni sulle discussioni fra Ebrei e Cristiani. Notizie importanti si rilevano anche da numerosi responsi rituali di rabbini del tempo. Per Èretz Israèl sono importanti le relazioni di Meshullam di Volterra e ‘Ovadià di Bertinoro (vedi pag. XXX).
Italia
a) La comunità di Roma
Roma continuò a costituire il principale centro ebraico d’Italia. La politica dei papi nel secolo XV costituisce una serie di contraddizioni: mentre non venivano abrogate e talvolta erano rinnovate le disposizioni restrittive e spesso i rappresentanti della comunità venivano trattati con atti di disprezzo, i papi stessi violavano le loro disposizioni: quasi tutti ebbero medici ebrei, cosa vietata dai canoni, e concessero loro onori e privilegi; lasciarono inoltre, con decreti speciali, agli Ebrei libertà nel commercio assai maggiori di quello che le disposizioni ecclesiastiche consentivano. Non occorre poi dire che era vietato usare violenze agli Ebrei.
Non va però dimenticato che le concessioni e la protezione venivano dagli Ebrei pagati non solo con le forti tasse speciali a cui erano soggetti, ma con larghi donativi straordinari ogni qual volta si notava il pericolo che le concessioni non venissero accordate o fossero abrogate. In modo particolare, il papa Martino V (1417-1431), che restituì la pace alla Chiesa dopo il grave scisma, si mostrò tendente a proteggere gli Ebrei.
Nel periodo di cui ci occupiamo va notata una tendenza a costituire organizzazioni di varie comunità dell’Italia centrale, sotto la supremazia di Roma, per provvedere ad argomenti di interesse comune. A questo scopo ebbero luogo delle riunioni a Bologna (1416), a cui presero parte rappresentanti di Padova, Ferrara e varie comunità della Romagna e della Toscana, e a Forlì (1418).
Il papa Eugenio IV (1431-1447), dopo che nei primi tempi del suo pontificato continuò la politica di tolleranza e di protezione verso gli Ebrei, tentò in seguito, subendo l’influenza di ecclesiastici spagnoli che ebbero grande importanza nel concilio di Basilea (1442), di fare applicare le note disposizioni restrittive e di limitare la libertà commerciale degli Ebrei, ma anche questa volta il pericolo venne evitato con l’impegno al pagamento annuale di una forte somma. Le contraddizioni e le incertezze della politica papale verso gli Ebrei si manifestarono in modo speciale sotto Niccolò V (1447-1455) che, mentre favorì apertamente l’opera ostile agli Ebrei di Capistrano in Germania (vedi pag. XXX), ondeggiò in Roma fra il rigore e la tolleranza e, mentre non si oppose ad atti di violenza contro gli Ebrei da parte di monaci fanatici, non accolse una proposta di Capistrano stesso secondo la quale tutti gli Ebrei di Roma avrebbero dovuto essere introdotti in una grande nave che li avrebbe trasportati in qualche regione deserta di oltremare. Per la stessa via andò Sisto IV che, mentre favorì le persecuzioni contro i Marrani in Spagna (vedi pag. XXX), non si oppose a che fossero accolti a Roma di Marrani profughi da quel paese. Disposizioni restrittive contro questi furono invece emanate da Innocenzo VIII (1484-1492) che affidò a due cardinali l’incarico speciale di sorvegliarli, fatto in conseguenza del quale alcuni di essi furono imprigionati (1485).
b) Italia settentrionale e centrale
Il centro ebraico principale era quello che si trovava nel territorio della Repubblica di Venezia, che, oltre ad essere potenza marittima di grande importanza, aveva anche allargato i suoi domini sulla terraferma e dominava su Padova, Verona, Brescia ed altre città. Agli Ebrei non era concessa dimora stabile in Venezia, ma essi vi si recavano per esercitare il loro commercio, specialmente di denaro.
Anche a Venezia, come altrove, erano di regola obbligati a portare segni distintivi nel vestiario, ed era loro vietato il possesso di beni stabili e l’esercizio di professioni libere, ad eccezione della medicina; erano inoltre esclusi dalle cariche pubbliche.
A Padova, dove nel secolo XIV fioriva una comunità importante, la condizione degli Ebrei peggiorò quando, al principio del secolo XV, la città passò dal dominio dei Carrara a quello della repubblica veneta; gli Ebrei furono allora soggetti alle restrizioni che vigevano in Venezia. Non mancarono però casi in cui gli Ebrei riuscirono a liberarsi dalle eccessive imposizioni e restrizioni che si volevano loro imporre minacciando di cessare la loro attività di prestatori, cosa che non solo avrebbe danneggiato il commercio, ma avrebbe causato gravi imbarazzi agli studenti che da varie parti accorrevano alla famosa università di Padova e che spesso avevano bisogno di prestiti di denaro.
Altra comunità fiorente fu quella di Ferrara, dove gli Ebrei vissero sotto la protezione dei duchi della casa d’Este, che cercarono di attirare Ebrei nei paesi di loro dominio. Verso la metà del secolo XV gli Estensi riuscirono perfino ad ottenere dal papa Niccolò V autorizzazione formale a stabilire con gli Ebrei degli accordi che permettessero loro dimora stabile a Ferrara e dintorni, costruzione di sinagoghe, libero esercizio di attività bancarie. Particolarmente favorevole agli Ebrei si mostrò il duca Ercole che, nel 1473, dichiarò in un atto ufficiale il suo riconoscimento delle benemerenze degli Ebrei come banchieri.
Anche a Parma, sotto gli Sforza, gli Ebrei godettero di benessere: il duca Galeazzo li esentò ufficialmente dall’obbligo del segno distintivo (1451) e vietò (1466) ai monaci di eccitare il popolo contro di loro.
Altra comunità che assunse importanza nella prima meta del secolo XV è quella di Firenze, dove già da tempo risiedevano Ebrei. Nel 1430, per porre un freno ai prestatori cristiani che esigevano tassi di interesse esorbitanti, gli Ebrei furono invitati dal governo a risiedere in Firenze per esercitarvi il prestito, a condizione che il tasso di interesse da loro richiesto non oltrepassasse il limite del 20% che, per quei tempi, era alquanto basso.
Anche a Firenze, come a Venezia, veniva concessa agli Ebrei residenza temporanea e quindi pesava sempre sopra di loro la minaccia di dovere, al termine del periodo di concessione, sottostare a condizioni più gravose o essere espulsi dalla città. Le condizioni migliorarono a Firenze, e così pure a Pisa, col formarsi del dominio dei Medici.
Anche in Piemonte e nel Monferrato si formarono nel secolo XV importanti centri ebraici, come a Torino, Alessandria, Vercelli, Casale e in altri centri minori. Nelle varie comunità d’Italia si stanziarono spesso profughi dalla Germania, dalla Spagna e dalla Francia. Ai profughi di quest’ultimo paese si deve probabilmente la fondazione delle comunità piemontesi di Asti, Fossano, Moncalvo, nelle quali, fino a che esse esistettero, e cioè fino agli ultimi decenni, si conservò in parte l’antico rito liturgico francese dal quale non rimasero altrove tracce vive.
Anche in Italia non mancarono monaci fanatici che eccitarono la popolazione contro gli Ebrei non solo per motivi religiosi ma, anche, e più frequentemente, per motivi economici, dipingendoli come gente che si arricchiva opprimendo ed impoverendo i Cristiani. Specialmente attivi in questo senso furono Bernardino da Siena e Bernardino da Feltre. I governi dei vari stati d’Italia non videro in genere di buon occhio la loro opera e talvolta ne vietarono esplicitamente l’attività; Bernardino da Feltre fu espulso da Firenze nel 1488; per contro, le istigazioni riuscirono a fare cacciare gli Ebrei da alcune città della Repubblica di Venezia, come Brescia, Vicenza, Bergamo, Treviso (1463-1473); gli interessi commerciali dei prestatori ebrei furono danneggiati dall’istituzione dei Monti di pietà, patrocinata da Bernardino da Feltre con il pretesto di liberare i Cristiani poveri dall’obbligo di ricorrere agli Ebrei. Anche in Italia si ebbero, per quanto meno frequenti e meno gravi che altrove, violenze a seguito di accuse di omicidio rituale.
È da ricordare in modo speciale quello che avvenne a Trento, posta allora sotto il dominio del ducato d’Austria. Il 23 marzo 1475, pochi giorni prima di Pèsach, sparì misteriosamente un bambino cristiano di nome Simone. Il vescovo accusò gli Ebrei di averlo ucciso e furono fatte attive indagini, senza risultato. In seguito il cadavere fu trovato in un rigagnolo presso la casa di un Ebreo, che si affrettò a denunciare la scoperta. Gli Ebrei furono accusati e torturati: alcuni, non resistendo alla tortura, finirono per confessare il delitto che non avevano commesso e molti vennero uccisi. Monaci fanatici narrarono miracoli che avvennero sul cadavere della vittima. Gli Ebrei d’Italia si trovarono in grave pericolo: il doge di Venezia e lo stesso papa diedero ordini per la loro difesa. In seguito risultò chiara la falsità dell’accusa: ciononostante, più tardi la pretesa vittima fu santificata come martire con il nome di San Simonino da Trento.
Nel regno di Napoli le condizioni generali continuarono ad essere quelle del secolo XIV, e quasi nulla sappiamo di avvenimenti particolari. In Sicilia andava facendosi sentire sempre più l’influenza delle tendenze ostili agli Ebrei che si manifestarono in Spagna. Il re Alfonso V obbligò gli Ebrei ad assistere alle prediche di propaganda cristiana di un monaco (1428), ma due anni dopo essi furono dispensati dall’obbligo. Le tasse andarono sempre più aggravandosi, e, oltre a quelle generali, gli Ebrei furono soggetti a tasse individuali speciali in occasione di nascite, matrimoni, stipulazioni di contratti. D’altra parte non si voleva che gli Ebrei abbandonassero il paese e quando, nel 1455, un gruppo di Ebrei di Palermo, Messina e Catania si prepararono ad emigrare in Èretz Israèl, furono bloccati e processati come rei di danneggiare con la loro partenza gli interessi dello stato.
Le condizioni economiche degli Ebrei continuarono ad essere abbastanza buone ed essi poterono continuare a occuparsi, oltre che di commercio, di varie professioni, di agricoltura e di industrie. Il prestito del denaro non ebbe l’importanza che ebbe in altri paesi, e in alcuni luoghi le comunità stesse proibirono ai loro membri di occuparsi di prestito a interesse. Le comunità, in numero di parecchie decine che comprendevano complessivamente circa 100 mila anime, godevano di larghissime autonomie, con tribunali rabbinici e amministrazione propria. A Palermo, al principio del secolo XV, esisteva l’ufficio di un giudice supremo che serviva da intermediario fra le comunità e il governo, ma poi gli Ebrei, che vedevano in questo magistrato una diminuzione della loro autonomia, riuscirono a ottenerne la soppressione. Nei primi decenni del secolo XV si progettò, col consenso del governo, l’istituzione di un parlamento degli Ebrei di Sicilia e di un alto istituto di cultura, ad analogia delle università. Il parlamento si radunò una volta, nel 1489, e in esso si decise di contribuire largamente alle spese del regno di Aragona per la guerra contro quello musulmano di Granada (vedi pag. XXX). Il re promise aiuto e difesa agli Ebrei (1490) ma poi, due anni dopo, quando gli Ebrei furono espulsi dalla Spagna (vedi pag. XXX), la stessa sorte toccò a quelli di Sicilia che, a differenza di quelli di Spagna, non vi erano affatto preparati. Istanze rivolte dai rappresentanti delle popolazioni cristiane a Ferdinando ed Isabella per la revoca del decreto di espulsione in vista dei gravi danni che questo avrebbe arrecato al paese furono respinte: fu solo concessa una dilazione del termine per abbandonare la Sicilia fino al dicembre 1492. Agli espulsi fu concesso di portare con sé soltanto oggetti di prima necessità, tutto il resto dei loro averi venne confiscato. I più si trasferirono nel regno di Napoli ma, come vedremo, non vi rimasero a lungo.
d) Sardegna
Dopo che l’isola fu per qualche tempo sotto il dominio della repubblica di Pisa, passò poi sotto quello del regno di Aragona, e vi immigrarono Ebrei provenienti dalla Spagna, dalla Provenza, dalle Isole Baleari e dalla Germania. Le notizie che abbiamo sono frammentarie. In genere, gli Ebrei si occupavano specialmente di commercio e dello sfruttamento delle miniere. Essi ebbero anche notevole parte nello sviluppo del porto di Alghero. Per lo più gli Ebrei vissero tranquilli in Sardegna per tutto il secolo XIV e non furono sottoposti a gravi restrizioni.
La comunità più importante era quella di Cagliari, il rabbino della quale, riconosciuto dal governo, ebbe giurisdizione su tutti gli Ebrei dell’isola.
Nel secolo XV cominciarono a sentirsi le conseguenze della politica spagnola ostile agli Ebrei e queste diventarono assai gravi a partire dai tempi di Ferdinando il Cattolico. Gli Ebrei furono sottoposti alle solite restrizioni, poi vennero dichiarati proprietà del re e fu loro vietato di abbandonare l’isola, a meno che non si trattasse di trasferimenti in altre regioni poste sotto il dominio aragonese. In seguito le leggi restrittive vennero aggravate.
e) Gli studi e la letteratura
Gli studi talmudici e ritualistici risentirono l’influenza delle scuole di Germania e di Francia, dai quali paesi molti dotti trovarono rifugio in Italia. In questo campo si segnalarono specialmente Yehudà Minz, (1460-1508) capo di una importante yeshivà a Padova e Yosèf Coulomb (Colon), nato in Savoia, studente di accademie in Austria e poi rabbino a Mantova: di lui si conservano numerosi responsi. Fra i dotti nati in Italia è specialmente degno di nota ’Ovadyà di Bertinoro, trasferitosi poi in Èretz Israèl, dove morì. Egli è particolarmente importante per il suo commento popolare alla Mishnà, nel quale fornisce di regola l’interpretazione che risulta dalla conclusione della discussione talmudica.
Nel campo della filosofia si segnalò Elia Del Medigo, (1460-1497), nativo di Candia (Creta), attivo in varie comunità d’Italia, come Padova e Firenze, e poi ritornato alla sua isola natale, dove morì. Egli sostenne discussioni con dotti cristiani e impartì lezioni in università; fu suo studente cristiano Pico della Mirandola, che volle essere messo da lui in condizioni di intendere le teorie mistiche ebraiche (vedi pag. XXX), nelle quali riteneva di poter trovare appoggio ai dogmi cristiani. L’opera principale di Elia Del Medigo è quella intitolata Bechinàt Hadà’at: egli si mostra contrario alle teorie mistiche e afferma chiaramente che l’essenza dell’Ebraismo consiste non nella fede in determinati dogmi, ma nell’azione conforme agli insegnamenti della Torà. Sono ancora degni di menzione Yehudà ben Yechièl (1440-1490 circa) detto Messer Leon, autore di scritti di retorica e di logica, e Yochanàn Alemanno, nato in Francia e vissuto lungamente a Firenze, autore fra l’altro di commenti filosofici e mistici a libri biblici.
In Italia gli Ebrei non erano segregati completamente dal resto della popolazione come in altri paesi, e quindi furono vivi anche i loro contatti intellettuali e letterari con i non Ebrei. L’influenza della cultura classica e italiana si fece sentire in parecchi degli scrittori sopra ricordati, e nella letteratura ebraica del tempo si nota anche la tendenza all’imitazione della letteratura italiana. Essa si manifesta in modo particolare in Moshè di Rieti (morto intorno al 1460) autore di un poemetto intitolato Mikdàsh Meàt (Il piccolo santuario) che descrive, ad imitazione parziale della Divina Commedia, una visione del mondo dell’aldilà. Gli Ebrei d’Italia continuavano a parlare i dialetti giudeo-italiani (vedi pag. XXX) e anche del periodo di cui ci stiamo occupando si hanno traduzioni in tale linguaggio dalla Bibbia e dai formulari liturgici.
Dello sviluppo e della diffusione degli studi ebraici in Italia è segno evidente che, appena inventata la stampa, si stamparono in Italia parecchi libri ebraici esegetici, rituali e liturgici. In varie parti d’Italia sorsero tipografie ebraiche ed è relativamente grande il numero degli incunaboli (libri stampati nel secolo XV) ebraici d’Italia di cui sono conservate copie.
Spagna
a) Il regno di Enrico III
Dopo le stragi e le violenze del 1391 (vedi pag. XXX) si ebbe un breve periodo di requie: il re di Castiglia Enrico III, constatando il danno che quelle avevano procurato al paese, privo di molte delle entrate che provenivano al governo da parte degli Ebrei, mostrò una certa tendenza a migliorare le loro condizioni, ma poi cedette alle pressioni dei nobili, esentò questi dal pagamento dei loro debiti verso gli Ebrei e rinnovò disposizioni restrittive, fra cui quella che imponeva il segno distintivo sugli abiti (1405). Qualche beneficio portò agli Ebrei la nomina che il re fece del proprio medico Meìr Alguadez a capo generale degli Ebrei di Castiglia ma, morto Enrico l’anno successivo, le condizioni tornarono a peggiorare.
b) Vincenzo Ferrer e Paolo di Burgos
L’opera di istigazione contro gli Ebrei venne diretta dal domenicano Vincenzo Ferrer e da un Ebreo che aveva apostatato cedendo alle violenze del 1391. Fu questi il rabbino Shelomò Halevì che mutò il suo nome in quello di Paolo di Santa Maria, studiò teologia cristiana in varie città d’Europa, ebbe importanti cariche ecclesiastiche, divenne vescovo di Burgos e fu uno dei principali persecutori dei suoi fratelli. Insignito di alte cariche a corte durante la reggenza che seguì la morte di Enrico III, riuscì a coinvolgere Meìr Alguadez in uno dei soliti processi per profanazione di ostia e a farlo condannare a morte. Privati così gli Ebrei del loro principale sostegno, nel 1412 furono rinnovate e aggravate le leggi restrittive tese a rovinare completamente gli Ebrei nella loro vita economica, a farli scendere nel grado più basso della scala sociale, a togliere loro gran parte delle loro autonomie interne, ad impedire la loro emigrazione dallo stato.
Ancor più severamente di coloro che erano rimasti apertamente fedeli all’Ebraismo furono trattati i Marrani, sospettati di praticare segretamente l’Ebraismo. Vincenzo Ferrer si diede poi a percorrere le regioni del paese per costringere gli Ebrei al battesimo, entrando con una schiera di suoi fedeli nelle sinagoghe con in mano una croce, simbolo del Cristianesimo, e nell’altra un sèfer Torà. Nello stesso tempo le popolazioni venivano eccitate a scagliarsi contro gli Ebrei che non accettavano di commettere apostasia: non pochi Ebrei cedettero e molti Marrani fecero solenni dichiarazioni di voler essere leali cattolici, in tutto e per tutto. Molti altri furono uccisi in varie regioni di Castiglia ed Aragona. La tendenza che si manifestò ad abbandonare il paese tra gli Ebrei rimasti fedeli alla propria fede che non furono trucidati indusse il governo a mitigare le leggi contro gli Ebrei (1414), specialmente quelle che ne intralciavano l’attività economica e ne accentuavano l’inferiorità sociale.
c) La discussione di Tortosa
Altro mezzo, del resto non nuovo (vedi pag. XXX), che tentarono le autorità ecclesiastiche per indurre gli Ebrei alla conversione al Cristianesimo fu quello di imporre delle discussioni fra dotti ebrei e cristiani. In esse, mentre i Cristiani avevano assoluta libertà di parola, agli Ebrei era impedita qualunque espressione che fosse o potesse apparire offensiva per il Cristianesimo, e il contravvenire a questa disposizione poteva avere gravissime conseguenze non solo per chi avesse pronunciato l’espressione ma anche per tutti gli Ebrei del paese. Una fra le più famose di queste discussioni è quella che ebbe luogo a Tortosa, ordinata dall’antipapa Benedetto XIII. Essa durò, con intervalli, dal febbraio 1413 all’autunno del 1414 e fu presieduta, eccetto che nelle due ultime sedute, da Benedetto stesso. La parte di accusatore dell’Ebraismo venne sostenuta da un degno compagno di Paolo di Burgos, l’apostata Yehoshùa’ di Lorca che, accettato il Cristianesimo, assunse il nome di Jeronimo de Santa Fé. Suo scopo era quello di mostrare che non solo i testi biblici, ma anche alcuni passi talmudici appoggiano i dogmi cristiani. La difesa da parte ebraica venne sostenuta da alcuni dei più celebri dotti del tempo, quali Chayìm (Vidal) Benvenisti, Zerachyà Halevì, Yosèf Albo (vedi pag. XXX).
Come al solito, le discussioni non portarono a nessuna conclusione se non quella che l’antipapa, irritato per non aver raggiunto il suo intento, promulgò (1415) nuovi decreti ostili agli Ebrei: fra altro ordinò la distruzione del Talmud e di libri polemici contro il Cristianesimo, vietò agli Ebrei di avere in ogni città più di una sinagoga, confermò le norme che miravano ad evitare rapporti fra Ebrei e Cristiani e addirittura vietò a questi ultimi di accendere di sabato il fuoco per gli Ebrei, che invece furono obbligati ad ascoltare almeno tre volte all’anno prediche di propaganda cristiana. Ma questi decreti cessarono presto di aver valore perché poco dopo Benedetto XIII fu definitivamente deposto. I due apostati Paolo di Burgos e Jeronimo di Santa Fé perdettero molto della loro influenza e si diedero a scrivere libri di propaganda cristiana.
d) Ultimo periodo di relativo benessere
Nuove disposizioni del papa Martino V, col quale ebbe fine lo scisma, nelle quali era esplicitamente dichiarato che esse riguardavano in modo particolare la Spagna, vietarono i battesimi forzati e annullarono quelle di Benedetto XIII; cosicché il governo di Castiglia, che aveva ripetutamente riconosciuto che le restrizioni imposte agli Ebrei erano di danno al paese, tornò a dare loro ampie libertà di commercio e riconobbe loro gli antichi diritti. A capo generale degli Ebrei fu nominato Avrahàm Benvenisti che operò attivamente per il risorgere delle comunità. In una riunione tenutasi a Valladolid (1432) nella quale furono rappresentate le varie comunità si presero importanti decisioni tendenti a migliorare i costumi che negli ultimi tempi si erano alquanto rilassati, ad evitare la prepotenza dei ricchi a danno dei poveri, ad assicurare il funzionamento di istituti di istruzione di vari gradi, a regolare l’attività del rabbinato e delle comunità, a cui erano state restituite le loro autonomie. Le condizioni relativamente buone degli Ebrei irritarono naturalmente i Cattolici fanatici, e il papa Eugenio IV mantenne un atteggiamento ondeggiante ed incerto, ma il governo diede, nel 1443, disposizioni che di fatto annullavano quelle restrittive che il papa aveva cercato di fare rimettere in vigore.
e) Persecuzioni e violenze contro Marrani ed Ebrei dichiarati
La maggior parte dei numerosi Ebrei che, non resistendo alle minacce e alle violenze, avevano in Spagna accettato il battesimo, costituirono, come già sappiamo, il gruppo detto dei Marrani (vedi pag. XXX) che professavano apertamente il Cattolicesimo, ma segretamente continuavano a cercare di vivere la vita ebraica in attesa del momento in cui avrebbero potuto togliersi la maschera senza correre pericoli. Naturalmente questo loro atteggiamento e queste loro aspirazioni non rimasero nascoste alle autorità ecclesiastiche e di stato. Venne così a manifestarsi una tendenza a distinguere i pochi convertiti al Cattolicesimo che lo avevano accettato intimamente e i molti che vi avevano aderito solo in apparenza, a privare questi ultimi dei diritti che, come Cattolici, avevano acquistato, ad allontanarli da alte cariche che occupavano specialmente nel campo finanziario e a punire severamente con pene di varia natura e perfino con il rogo quella che, secondo loro, era apostasia dalla religione cattolica in cui erano entrati. I governi si mantennero incerti sulle misure da adottare e, nei primi decenni del secolo XV, mentre nessuna efficace disposizione legale venne presa contro i Marrani, non si impediva l’opera di Cattolici che indagavano sulla loro vita privata (Inquisizione) e imprigionavano, depredavano, sottoponevano a torture e mettevano a morte coloro che, secondo loro, erano colpevoli di tradimento verso la Chiesa. I Marrani vennero così trattati spesso come Ebrei e peggio di questi, e contro gli uni e gli altri vennero non di rado rivolte le note accuse che già in passato erano servite di pretesto per le violenze contro di loro. Fatti particolarmente gravi con tragiche conseguenze ebbero luogo a Siviglia, a Cordova e in altre città della Spagna. Una proposta che era stata fatta di stabilire i Marrani nella città fortificata di Gibilterra, dietro impegno da parte loro di contribuire alla difesa della Spagna contro assalti dall’Africa, non venne accettata perché i nemici degli Ebrei diedero credito al sospetto che questi si accordassero segretamente coi Musulmani dell’Africa contro i Cattolici della Spagna.
f) Attività dei tribunali dell’Inquisizione
In seguito al matrimonio di Ferdinando, principe ereditario di Aragona, e Isabella, principessa ereditaria di Castiglia (1474), avvenne che tutta la Spagna cattolica, che costituiva ormai la quasi totalità del paese, formò un’unità politica: i regnanti formularono il programma di dare allo stato anche l’unità religiosa. Nel 1480 fu instaurato a Siviglia un primo tribunale dell’Inquisizione per la scoperta e la condanna dei Marrani. Un progetto di Isabella di espellere tutti gli Ebrei dai territori di Siviglia e Cordova non poté essere messo in pratica e fu loro vietato di abitare in comune coi Marrani e nelle loro vicinanze. I Marrani sospetti vennero imprigionati e i Cristiani furono obbligati, sotto pena di gravi punizioni, a denunciare i Marrani che compissero qualche atto che indicasse che essi seguivano pratiche ebraiche. Fu redatta una lista di 37 atti che dimostravano aderenze ai costumi ebraici.
Il 6 febbraio 1481 ebbe luogo a Siviglia in forma pubblica e con grande solennità il primo auto da fé (“atto di fede”) che consisteva nel bruciare sul rogo Marrani condannati per aver compiuto atti dimostranti aderenza all’Ebraismo: sei Marrani furono arsi vivi; nei dieci mesi successivi furono condannati al rogo circa 300 Marrani e molti altri furono sottoposti ad altre pene. Tutti i beni dei condannati furono confiscati. Intimoriti così i Marrani, gli inquisitori dichiararono che avrebbero assolto coloro che avessero confessato le loro colpe passate, si fossero impegnati ad abbandonare in seguito le pratiche ebraiche e avessero rinunciato a parte dei loro averi a favore dello stato. Alcuni si dichiararono pronti ad aderire, ma non ottennero nulla, perché fu poi anche loro richiesto di denunciare parenti ed amici che seguissero pratiche ebraiche; a questo quasi tutti si opposero e così perdettero ogni diritto al perdono. Il capo degli inquisitori, il domenicano Tommaso Torquemada, noto per il suo fanatismo e la sua crudeltà, giunse fino al punto di pretendere dai rabbini che denunciassero i Marrani che frequentassero le sinagoghe. Naturalmente i rabbini non obbedirono e molti di essi abbandonarono la Spagna. Persino il papa Sisto IV, avuto notizia di quel che era avvenuto da Marrani profughi a Roma, protestò contro gli eccessi dell’Inquisizione, accusò il governo di essere mosso più che da zelo religioso da avidità di guadagno, richiese che le condanne fossero pronunciate solo in seguito a maggiore ponderazione e che i condannati potessero appellarsi al papa stesso, ma ciò non valse a nulla e il papa fu costretto a desistere dalle sue richieste. Furono istituiti tribunali di inquisizione in varie città e le vittime, in seguito a denunce non sempre controllate e a processi sommari, andarono moltiplicandosi sia in Castiglia che in Aragona. I condannati venivano in genere arsi vivi: coloro che dopo la pronuncia della condanna si dichiaravano pentiti venivano invece strangolati e poi il loro cadavere veniva arso. Molti uomini e donne subirono il rogo o esalarono l’ultimo sospiro pronunziando ad alta voce il primo verso dello Shemà’. Venivano anche sottoposte a processo e condannate persone già defunte e in tal caso il loro cadavere veniva disseppellito e arso. Gli orfani dei condannati venivano collocati in monasteri per essere educati al Cattolicesimo. Le cose giunsero a tal punto che alcuni Marrani, d’accordo con Cattolici imparentati con loro, assalirono ed uccisero uno degli inquisitori più crudeli (1485): l’ucciso venne santificato e alcuni degli uccisori furono arrestati e messi a morte dopo crudeli tormenti; gli altri furono condannati in contumacia e i loro beni vennero confiscati.
I Marrani che accettarono di pentirsi furono obbligati a percorrere le strade della città in processione, indossando abiti da penitenti, ma ciononostante non ebbero che diritti civili limitati, furono esclusi dalle cariche pubbliche e dal commercio e furono sottoposti a limitazioni nel vestiario che mostrassero la loro inferiorità rispetto agli altri cittadini.
Mentre si infieriva così severamente e crudelmente contro i Marrani, gli Ebrei rimasti apertamente fedeli all’Ebraismo furono lasciati in pace. Questa apparente stranezza è dovuta al fatto che il regno di Castiglia-Aragona, impegnato nel penultimo decennio del secolo XV in aspra lotta contro gli ultimi residui di dominio musulmano in Spagna, a Malaga e Granata, aveva bisogno del denaro ebraico e delle capacità di parecchi Ebrei, ai quali si continuarono ad affidare importanti incarichi finanziari: tra questi è in modo speciale da ricordarsi Yitzchàk Abravanèl (vedi pag. XXX).
g) Espulsione degli Ebrei dalla Spagna
Clero e governo non tardarono a convincersi che la lotta spietata contro i Marrani non avrebbe mai ottenuto i suoi risultati fino a che fossero esistiti Ebrei nel regno. L’idea di espellerli, più volte balenata, non venne messa in pratica per le ragioni indicate alla fine del paragrafo precedente. Ma, conclusasi vittoriosamente la lotta contro i residui dei Musulmani con la caduta di Malaga (1487) e poi di Granada (fine del 1491) nulla più si opponeva all’idea di realizzare l’unità religiosa alla Spagna con l’eliminazione degli Ebrei. Quelli di Malaga e Granada furono uccisi o venduti schiavi o riuscirono ad emigrare. Parte degli schiavi furono poi riscattati dagli Ebrei di Spagna e trasferiti in Africa. Celebrando la vittoria sui Musulmani, Ferdinando e Isabella decisero di completarla espellendo gli Ebrei.
Preparato il terreno con le solite calunnie contro gli Ebrei, e dipinti questi come tendenti a distruggere il Cristianesimo e come istigatori dei Marrani a continuare a professare l’Ebraismo, il decreto di espulsione di tutti gli Ebrei venne firmato da Ferdinando e Isabella tre mesi dopo la caduta di Granada, con la decisione che fra il 1° Maggio e il 31 Luglio 1492 tutti gli Ebrei senza eccezione dovessero lasciare il territorio dello stato, autorizzati a portare con sé i loro averi, ad eccezione di oro, argento, oggetti di valore. Qualsiasi Ebreo che si trovasse nel regno dopo il 31 Luglio sarebbe stato messo a morte, a meno che non accettasse il battesimo. Alcuni influenti Ebrei, fra cui Yitzchàk Abravanèl cercarono di fare revocare il decreto offrendo forti somme di denaro, ma invano. Si dice che il re non sarebbe stato contrario ad accettare, ma che cedette di fronte alle pressioni del Torquemada, che agirono sulla sua coscienza di fervente cattolico.
Dato il breve tempo che intercorreva dalla pubblicazione del decreto al giorno in cui scadeva per gli Ebrei il termine per la loro residenza, è evidente che essi dovettero vendere quasi per nulla i loro beni stabili: si dice che una casa ricchissima fu data in cambio di un asino, una vigna produttiva per un pezzo di stoffa. Così i poveri Ebrei di Spagna, oltre che dovere abbandonare il paese dove i loro padri si erano stanziati fino dai tempi del dominio romano e al quale avevano reso tanti servigi, ne uscirono in condizioni di miseria senza sapere dove avrebbero trovato rifugio. Pochissimi cedettero alle istanze di monaci che approfittarono delle circostanze per indurli ad abbracciare il Cristianesimo. Si calcola che circa 20.000 Ebrei abbiano abbandonato la Spagna entro il 2 agosto, dopo che fu concessa una proroga di due giorni. La dolorosa emigrazione ebbe luogo nei giorni vicini a quello del 9 di av (corrispondente in quell’anno proprio al 2 agosto) che simboleggia le sventure di Israele. Gli esuli ripararono specialmente in Portogallo. Africa settentrionale, Italia, Turchia dando origine alle comunità sefardite (in ebraico si designa la Spagna con il nome Sefaràd) sparse in vari paesi. Molti perirono durante il viaggio.
h) La letteratura
Gli avvenimenti che abbiamo narrato sopra ebbero per conseguenza che gran parte della letteratura ebraica in Spagna nella prima metà del secolo XV abbia carattere apologetico ebraico e polemico anticristiano, con lo scopo di rafforzare il sentimento ebraico negli Ebrei rimasti fedeli e soprattutto nei Marrani. Tra gli scrittori del tempo è da ricordare Yitzchàk ben Moshè Halevì, noto con nome spagnolo Profiat Duran. Accettato apparentemente il Cristianesimo in seguito alle persecuzioni del 1391 (vedi pag. 91-92###mettere numero pagine corretto), deciso a ritornare pubblicamente all’Ebraismo, si trasferì nella Francia meridionale dove attese un suo compagno che, alla pari di lui, si proponeva di emigrare in Èretz Israèl. Ma il compagno mutò pensiero e preferì restare cristiano. Profiat gli scrisse allora una lettera ironica nota, per via di una frase che vi ricorre ripetutamente, col nome di Al tehì kaavotèkha (“Non essere come i tuoi padri”) nella quale, sotto l’apparenza di consigliare il lettore ad abbandonare la fede dei padri, mette di fatto in luce l’assurdità dei dogmi cristiani. Lo stesso autore compose pure uno scritto apertamente polemico contro il Cristianesimo intitolato Kelimàt Goyìm (“Vergogna dei Goyìm”, cioè dei Cristiani), un commento al Morè Nevukhìm del Maimonide (vedi pag. XXX), un’opera grammaticale, una sul calendario ebraico e una raccolta di notizie sulle persecuzioni contro gli Ebrei nei vari paesi: quest’ultimo scritto non ci è giunto.
Tra gli altri polemisti del tempo ricorderemo ancora il rabbino Shim’òn ben Tzèmach Duran che, fuggito nel 1391 da Palma, nell’isola di Maiorca, si trasferì ad Algeri dove succedette a R. Yitzchàk ben Shèshet. Di lui si conserva pure un gran numero di risposte a quesiti rituali. Morì nel 1444.
Importante opera di filosofia religiosa è il Sèfer Hayikkarìm (Libro dei fondamenti ###dovrebbe essere Ha’ikkarim, secondo le regole di Morashà) di Yosèf Albo (vedi pag. XXX), allievo di Chasdài Crescas (vedi pag. XXX). Pur non esaminando direttamente i principi del Cristianesimo, l’autore si propone di dimostrare, oltre che la superiorità della fede sulla ragione, quella dell’Ebraismo in confronto agli altri sistemi religiosi. Secondo lui la dottrina ebraica poggia su tre principi (in opposizione ai tredici del Maimonide): esistenza di Dio, divinità della Torà, premio e pena a seconda delle azioni.
Anche durante il secolo XV continuarono le lotte tra i fautori e gli avversari delle teorie del Maimonide (vedi pag. XXX): in questo campo si segnalarono tre membri della famiglia Shem Tov che rappresentano tendenze diverse.
Il più autorevole degli scrittori dell’epoca è Yitzchàk Abravanèl (vedi pag. XXX) profugo in Spagna dal Portogallo (vedi qui sotto) e poi, dopo l’espulsione degli Ebrei dalla Spagna, in varie comunità d’Italia. Più che per i suoi scritti filosofici, in cui si dimostra avversario delle teorie del Maimonide, è importante per il suo ampio commento alla Torà e a molti altri libri biblici.
Anche le dottrine kabbalistiche (vedi pag. XXX) furono coltivate e in questo campo è specialmente notevole il commento di Moshè Botarel al Sèfer Hayetzirà (vedi pag. XXX).
Portogallo
Negli ultimi anni del secolo XIV e nei primi del successivo la condizione degli Ebrei in Portogallo continuò ad essere buona, e molti degli Ebrei che in seguito alle persecuzioni del 1391 in Spagna avevano accettato il battesimo emigrarono in Portogallo e là tornarono a vivere apertamente da Ebrei.
Uno di questi fu Shemuèl Abravanèl, nonno di Yitzchàk (vedi sopra), che si stabilì a Lisbona: il figlio di lui Yehudà ebbe importanti cariche pubbliche finanziarie che passarono poi a Yitzchàk. Monaci e fanatici cattolici non mancavano di cercare di indurre il governo a mutare politica e ad eccitare la popolazione contro gli Ebrei, e furono effettivamente emanate disposizioni restrittive che però non furono in genere rigorosamente osservate, ed Ebrei continuarono ad occupare cariche importanti. Va pure segnalato che il re Juan I vietò a Vincenzo Ferrer (vedi pag. XXX) l’ingresso nel suo regno.
Particolarmente benevolo verso gli Ebrei si mostrò, nei primi anni del suo regno, Alfonso V (1447-1481), ma poi non poté fare a meno di cedere in parte alle pressioni dei fanatici. Le condizioni, peggiorarono sotto Juan II (1487-1495) e il governo mostrò tendenze sempre più accentuate ad imitare la Spagna. Yitzchàk Abravanèl, coinvolto nelle lotte fra il re e il duca di Braganza, fra gli amici del quale era annoverato, corse grave pericolo quando il duca fu condannato a morte, e riuscì a trovare rifugio a Toledo (1483). Il re di Portogallo confiscò tutti i suoi averi.
Impero germanico
a) Le persecuzioni nel periodo della lotta contro gli Ussiti
Nel primo decennio del secolo XV le condizioni degli Ebrei, soggetti all’imperatore e alle autorità locali, rimasero immutate. Ma gravi sventure dovettero soffrire gli Ebrei in conseguenza della lotta che, durante l’impero di Sigismondo (1411-1437), fu intrapresa contro l’eresia degli Ussiti. Nessun rapporto correva fra questi e gli Ebrei, ma avvenne qualche cosa di simile a quello che era avvenuto in Francia in conseguenza della lotta contro altre eresie (vedi pag. XXX). Lo zelo religioso che induceva i Cattolici a lottare contro gli Ussiti, nemici del Cattolicesimo, li spinse a perseguitare anche gli Ebrei. Oltre al fatto che gli ingenti mezzi finanziari richiesti dalla lotta furono in notevole misura tratti da nuove tasse imposte alle comunità ebraiche, i combattenti che muovevano verso la Boemia contro il movimento degli Ussiti commisero ogni sorta di violenze contro gli Ebrei dei paesi per i quali passarono. Da Colonia (1424) e da Magonza (1438), dopo aver subito numerosi atti di violenza, gli Ebrei furono espulsi con la solita conseguenza della confisca dei beni.
Più gravi ancora furono i fatti che avvennero in Austria sotto il duca Alberto V. Oltre che dei soliti atti di profanazione, gli Ebrei furono calunniosamente accusati di dare aiuti agli Ussiti e le cose giunsero a tal punto che, il 23 maggio 1420, fu dato ordine di arresto e confisca dei beni di tutti gli Ebrei ricchi residenti in Austria, mentre gli altri vennero espulsi o battezzati per forza. Anche là, come in Spagna, ci furono, ma in misura minore, casi di accettazione apparente del Cristianesimo; alcuni si diedero volontariamente la morte. Rinnovatesi le accuse di profanazione di cose sacre, circa duecento Ebrei vennero arsi vivi nel marzo 1421. I pochi superstiti vennero espulsi dall’Austria. Per maggiore sventura degli Ebrei, Alberto V salì sul trono imperiale, e fortunatamente non vi durò che due anni (1437-1439): il fatto più grave che avvenne in questo periodo fu la sua autorizzazione concessa alla città di Augsburg, dietro lauto compenso in denaro, di espellere gli Ebrei: l’espulsione avvenne nel 1440, dopo la morte di Alberto.
Terminata vittoriosamente la lotta contro gli Ussiti, nuove disposizioni vennero prese, allo scopo di rafforzare il Cattolicesimo, contro gli Ebrei e tutte le antiche restrizioni furono rinnovate e aggravate. Degno di nota è il fatto che negli istituti cattolici di istruzione superiore religiosa fu introdotto l’insegnamento dell’ebraico e dell’aramaico per facilitare agli ecclesiastici il compito di convertire gli Ebrei.
b) Gli Ebrei di Germania durante l’impero di Federico III
L’imperatore Federico III (1440-1492), che fu impegnato in molte lotte e guerre e che quindi aveva gran bisogno di denaro, pensò che senza gli Ebrei non avrebbe potuto procurarselo e quindi li riammise in tutti i territori dai quali erano stati espulsi, dopo averne avuta esplicita autorizzazione dal papa Niccolò V, che ordinò anche al clero di non opporsi alla riammissione degli Ebrei. Nonostante le tendenze di Federico III non del tutto ostili agli Ebrei, questi ebbero molto a soffrire durante il suo impero, specialmente per le violenze suscitate dal francescano italiano Giovanni da Capistrano che fu dal papa Niccolò V inviato in Germania con l’incarico di estirparvi i residui dell’eresia ussita e che, come di consueto, approfittò dell’occasione per incitare le popolazioni contro gli Ebrei servendosi delle solite calunnie.
Fatti particolarmente gravi avvennero nel 1453 a Breslavia, dove oltre quaranta Ebrei vennero arsi vivi dopo che il rabbino, per non avere la medesima sorte, si era impiccato nella prigione in cui era stato rinchiuso.
Le notizie del famoso processo di omicidio rituale a Trento (vedi pag. XXX) eccitarono ancora più gli animi dei Cattolici istigati dal Capistrano e in molti luoghi vennero inscenati processi analoghi a quello di Trento con le solite conseguenze di stragi di Ebrei. Azioni dell’imperatore e persino del papa per indurre alla calma e alla giustizia nei confronti degli Ebrei risultarono in genere inefficaci di fronte all’eccitazione delle folle spalleggiate il più delle volte dalle autorità locali, spesso in lotta con l’imperatore, e che gli contendevano il diritto di proprietà sugli Ebrei. Da parecchie città dove questi risiedevano da tempi antichissimi essi furono espulsi.
c) Gli studi e la letteratura
Separati come erano dalla popolazione circostante a loro ostile, nessun rapporto culturale ebbero gli Ebrei con i non Ebrei e la letteratura ebraica del tempo è interamente dedicata ad argomenti di interesse esclusivamente ebraico e quasi soltanto talmudico e ritualistico. Si tratta per lo più di responsi a quesiti rituali e di raccolte su usi della vita ebraica, specialmente per quello che riguarda la liturgia. Non mancarono naturalmente, come nei periodi precedenti, autori di componimenti liturgici occasionati dalle persecuzioni, ma essi ebbero assai meno fortuna di quelli ispirati dai massacri del tempo delle crociate e della peste nera, e pochi di essi rimasero vivi nella liturgia.
Le persecuzioni diedero anche occasione alla scrittura racconti che le narrassero, per lo più anonimi, in ebraico o in giudeo-tedesco (yiddish). È pure da ricordare qualche composizione di carattere morale e ascetico ad imitazione del Sèfer Hachasidìm (vedi pag. XXX). Eco delle polemiche e delle discussioni fra Ebrei e Cristiani si ha nel Sèfer Hanitzachòn di Yom Tov Lifman Moelhausen di Praga che ha lo scopo principale di difendere gli Ebrei da accuse mosse a questi dai Cristiani di alludere a loro in espressioni delle tefillòt dove si accentua la distinzione fra Israele ed i popoli idolatri o si implora la distruzione dei malvagi.
Polonia e Lituania
Come già sappiamo (vedi pag. XXX), il principe lituano Jagellone (1386-1434), che riunì in un unico regno sotto di sé la Lituania e la Polonia, per quel che riguardava gli Ebrei fu oscillante fra l’ossequio alla Chiesa e gli interessi economici dello stato. Durante il suo regno non mancarono in Polonia violenze, rapine e uccisioni a danno degli Ebrei, accusati di profanazione di cose sacre ai Cattolici o di falsificazione di monete, ma il re ed il governo cercarono, entro certi limiti, di proteggerli. Specialmente degno di ricordo è il processo che il re volle fosse intentato contro alcuni abitanti di Cracovia nelle case dei quali fu trovata grande quantità di denaro e di oggetti preziosi rapinati agli Ebrei; il processo durò a lungo, ma non ne conosciamo l’esito. I disordini che si manifestarono nell’impero germanico a seguito della lotta contro gli Ussiti (vedi pag. XXX) ebbero ripercussioni anche in Polonia. Il re dovette cedere alle pressioni del clero e dei nobili ed emanare disposizioni che praticamente venivano a dispensare dal pagamento dei debiti contratti con Ebrei, ad obbligare questi a restituire i terreni che avevano ricevuto a garanzia del pagamento di debiti, e a stabilire che per il futuro essi potessero prestare solo dietro pegno di oggetti mobili e non con cambiali o ipoteca di terreni.
Il fatto che la Lituania fosse sotto il sovrano della Polonia non ebbe per conseguenza che gli Ebrei di Lituania venissero soggetti alle violenze e alle restrizioni da cui erano afflitti in Polonia. Gli Ebrei, che si stanziarono in Lituania al più tardi verso la fine del secolo XIV, vi godettero libertà e diritti e si occuparono in varie attività e non in quella di prestatori di denaro. Delle stesse condizioni godettero gli Ebrei di Kiev che, dopo la conquista dei Tartari, venne a far parte del principato di Lituania. Quando poi Casimiro Jagellone, già principe di Lituania, diventò re di Polonia (1447-1492) la sorte degli Ebrei in questo paese diventò uguale a quella della Lituania: ampi diritti furono dati agli Ebrei e neppure il famigerato Capistrano (vedi pag. XXX) e altri fanatici riuscirono a indurre il re a mutare condotta. Quando però una grave sconfitta subita dalla Polonia (1454) fu considerata dall’opinione pubblica, istigata dal clero fanatico, come una punizione divina per la benevolenza del re verso gli Ebrei, Casimiro non poté fare a meno di emanare decreti restrittivi che, a quanto pare, non ebbero effetto, perché documenti successivi dimostrano che gli Ebrei continuarono nelle loro attività e alcuni di essi occuparono importanti cariche di stato. Avvennero talvolta in varie città dei disordini e delle violenze contro gli Ebrei e le autorità locali lasciarono fare, ma il re impose a queste autorità multe in denaro e fece punire i colpevoli. L’ostilità delle popolazioni, assecondate in genere dalle autorità locali, fece però sì che in alcune importanti città della Polonia come Cracovia, Leopoli ed altre, nelle quali gli Ebrei esercitavano importanti attività commerciali, fossero imposte a queste delle gravi limitazioni.
Russia e Crimea
Le rive del Mar Nero erano in parte in possesso della repubblica di Genova, gli abitanti della quale fondarono un’importante colonia commerciale nella citta di Teodosia o Caffa, che avevano tolto ai Tartari: là ragioni di commercio avevano indotto a stanziarsi elementi di varie popolazioni, fra cui anche Ebrei: al principio del secolo XIV si trovarono abbastanza numerosi, sia Rabbaniti che Karaiti, e la repubblica di Genova, che continuava ad escludere gli Ebrei dal suo territorio in Italia, si mostrò benevola e tollerante verso di loro nella sua colonia e vietò al vescovo di intromettersi nelle questioni religiose dei vari popoli che vi risiedevano. Le condizioni non mutarono quando la repubblica di Genova cedette Caffa al Banco di S. Giorgio (1454); quando poi la Crimea passò in mano dei Turchi, le condizioni migliorarono ancora e si stabilirono stretti rapporti fra gli Ebrei di Crimea e quelli di Costantinopoli, della Polonia e della Lituania.
In Russia la popolazione ebraica aumentò specialmente per immigrazioni dalla Polonia e dalla Lituania e si ha notizia, negli ultimi decenni del secolo XV, di un notevole movimento di passaggio all’Ebraismo da parte di Cristiani: contro questi Cristiani ebraizzanti agì violentemente il vescovo di Novgorod (1487). Fra i pochi fatti che ci sonò noti ricorderemo che il veneziano Messer Leone, medico di Ivan III, fu condotto al patibolo perché un figlio di questo, da lui curato, venne a morte (1490).
Turchia
Di mano in mano che le varie parti dell’impero bizantino cadevano in mano ai Turchi, le condizioni degli Ebrei nella penisola balcanica andavano facendosi migliori, e la Turchia diventò il principale luogo di rifugio per gli Ebrei perseguitati in Europa e specialmente nei paesi germanici. Particolare attrattiva presentava la Turchia anche per la sua vicinanza ad Èretz Israèl, ed essa venne considerata quasi una tappa per raggiungere la terra dei padri.
Caduto poi definitivamente l’impero bizantino (1453), gli Ebrei furono, in tutti i paesi che ne avevano fatto parte, trattati alla pari degli altri cittadini. A capo dell’Ebraismo in Turchia fu posto il rabbino Moshè Capsali, che aveva di fronte al governo la stessa posizione che avevano il Muftì musulmano e il Patriarca cristiano: egli venne ad essere in Turchia quello che era stato l’esilarca in Babilonia (vedi vol. I, pag. XXX): l’amministrazione della giustizia degli Ebrei, completamente autonoma, era sotto la sua autorità ed egli rappresentava la popolazione ebraica presso il governo. Gravi dissensi sorsero fra di lui ed altri rabbini, non solo in Turchia, ma anche in altri paesi. Tra i suoi oppositori ricorderemo Yosèf Colon di Mantova (vedi pag. XXX), ma alla fine il Capsali riuscì a prevalere sui suoi avversari e a mantenere la sua alta posizione. Dopo l’espulsione degli Ebrei dalla Spagna, la Turchia divenne il centro principale dell’Ebraismo sefardita.
Èretz Israèl
I non numerosi Ebrei che abitavano in Èretz Israèl e specialmente a Gerusalemme vivevano per lo più in condizioni assai misere e spesso dovettero soffrire per l’oppressione sia dei Musulmani che dei Cristiani. Non di rado poi erano agitati anche da discordie interne. Il desiderio di molti Ebrei d’Europa di trasferirsi nella terra dei padri non poteva essere soddisfatto per l’ostilità degli appartenenti alle due altre religioni che consideravano il paese come terra a loro sacra. Specialmente è da ricordare che, in seguito a controversie sorte tra i Francescani e un ricco ebreo che era riuscito ad acquistare dal Sultano d’Egitto il possesso della parte del monte Sion nella quale si trovano la “tomba di David” e una chiesa francescana, il papa, per punire gli Ebrei che secondo i Cristiani offendevano con quel possesso la dignità di questi, vietò ai possessori cristiani di navi di trasportare Ebrei in Èretz Israèl (1428), cosicché l’accesso a questo paese diventava difficilissimo e irto di pericoli. Fra coloro che, dopo gravi peripezie, riuscirono a raggiungere il paese desiderato ricorderemo i due Ebrei d’Italia Meshullàm di Volterra che vi giunse nel 1481, e il rabbino ’Ovadià di Bertinoro (vedi pag. XXX) che vi giunse nel 1488.