Capitolo 7 – La Diaspora ebraica nei secoli XIII e XIV
Le fonti
Italia: a) Condizioni e vicende politiche ed economiche; b) Gli studi e la letteratura
Francia: a) La lotta contro le eresie e l’Inquisizione; b) Gli Ebrei di Francia sotto Luigi VIII e Luigi IX; c) Le discussioni religiose, la distruzione dei libri talmudici e le vittime dell’Inquisizione; d) Nuove persecuzioni ed espulsione degli Ebrei; e) Ritorno degli Ebrei e loro espulsione definitiva; f) Gli studi e la letteratura
Penisola iberica: a) Regno di Castiglia; b) Regno di Aragona; c) Regno di Navarra; d) Regno di Portogallo; e) La vita spirituale, gli studi e la letteratura
Germania e paesi limitrofi: a) Condizioni politiche e persecuzioni; b) L’organizzazione delle comunità; c) Gli studi e la letteratura
Inghilterra
Polonia e Lituania
Impero bizantino
Russia
Asia e Africa
Le fonti
Le fonti sono, naturalmente, molto varie e sparse. Tra le principali ricorderemo: atti del papato e dei concili ecclesiastici, documenti dell’Inquisizione, raccolte di leggi, relazioni delle dispute fra Ebrei e Cristiani, numerosi responsi rituali dei rabbini del tempo, cronache sugli avvenimenti contemporanei dei vari paesi, le già citate narrazioni ebraiche sulle persecuzioni (vedi pag. XXX) e altri scritti di Ebrei contemporanei agli avvenimenti, relazioni di viaggiatori che visitarono i vari paesi. Per Èretz Israèl sono in modo particolare importanti le notizie date da Eshtòr Haparchì (vedi pag. XXX) e da R. Moshè ben Nachmàn (vedi pag. XXX).
Italia
a) Condizioni e vicende politiche ed economiche
La comunità più importante d’Italia continuò ad essere quella di Roma, dove dominavano i papi. Anche nel periodo che stiamo studiando, come già abbiamo visto in periodi precedenti, le disposizioni restrittive e ostili verso gli Ebrei, emanate e favorite dalla Chiesa che ne esigeva l’applicazione in tutto il mondo cattolico, a Roma venivano applicate con rigore minore che in altri paesi, e in genere la politica dei papi verso gli Ebrei di Roma tendeva sì a metterli in condizione di inferiorità nei confronti del resto della popolazione, ma non favoriva, anzi spesso chiaramente osteggiava, persecuzioni e azioni che rendessero impossibile o troppo difficile la vita degli Ebrei. Innocenzo III (1198-1216) confermò per gli Ebrei romani le antiche disposizioni, ma dispensò i crociati dal pagamento degli interessi da loro dovuti agli Ebrei; sotto il suo pontificato si riunì il quarto concilio lateranense (1215) che sancì e aggravò le norme che tendevano a tenere gli Ebrei nettamente distinti dal resto della popolazione e, fra l’altro, stabilì che essi dovessero portare sugli abiti un segno visibile che mostrasse la loro qualità di Ebrei; ma neppure questa legge fu sempre rigorosamente applicata a Roma e, in genere, in Italia.
La lotta dei papi contro gruppi cristiani dissidenti, assai viva nella prima metà del secolo XIII, fece talvolta sentire anche in Italia, come in altri paesi (vedi pag. XXX), la sua influenza nei confronti degli Ebrei, e gli Ebrei romani, preoccupati di quel che era avvenuto in Francia, stabilirono un digiuno commemorativo della distruzione del Talmud a Parigi (vedi pag. XXX). A Roma si presentavano non di rado ambascerie di Ebrei di diversi paesi che chiedevano ai papi protezione contro i soprusi dei vari governi.
Il papa Alessandro IV, che riconfermò le restrizioni vigenti, fece però delle concessioni tendenti a favorire il commercio degli Ebrei; ma queste incontrarono opposizioni da parte dei commercianti cristiani. Ostile agli Ebrei si mostrò Carlo d’Angiò che dominò a Roma una decina di anni (1268-1278), ma gli Ebrei riuscirono, col denaro, a stornare i pericoli che li minacciavano. Gli Ebrei ebbero di nuovo a soffrire sotto Bonifacio VII (1295-1303) che non accolse benevolmente la delegazione ebraica che, come di consueto, si presentò a lui in occasione del suo insediamento (vedi pag. XXX); furono poi coinvolti nelle lotte fra questo papa e i Colonna; e fra altro, un Ebreo, Elia De Pomis, fu condannato a morte perché incolpato di avere sostenuto i Colonna (1298).
Nell’Italia meridionale e in Sicilia, dopo che si consolidò il dominio degli Hohenstaufen, le condizioni degli Ebrei furono soggette a continui cambiamenti in relazione ai rapporti, ora amichevoli ed ora ostili, di Federico II coi papi e il clero. In genere però egli non si mostrò ostile agli Ebrei; spesso ne favorì il commercio e nella sua corte a Napoli non mancarono dotti ebrei. Alcune industrie, come la tintoria e la lavorazione della seta, erano prevalentemente in mano di Ebrei. Non pochi di questi si occupavano di agricoltura e, specialmente in Sicilia, della coltivazione delle palme. Non sempre però il re riuscì a prevalere sui signori locali, molti dei quali ecclesiastici, ostili agli Ebrei. Caduto il governo degli Hohenstaufen e, instaurato quello degli Angioini, Carlo d’Angiò (1266-1287), ligio ai dettami della Chiesa, favorì la predicazione antiebraica dei monaci domenicani. Questi furono coadiuvati da apostati ebrei, tra i quali tristemente famoso fu Maniforte di Trani, che, largamente remunerato dal governo, non solo cercò di convertire al Cristianesimo i suoi fratelli, ma indusse il re a dare ordine di confisca dei libri del Talmud e dei formulari di preghiere ebraiche (1270) analogamente a quanto avveniva in Francia sotto Luigi IX fratello di Carlo d’Angiò (vedi pag. XXX), e a prendere severe disposizioni contro i convertiti al Cristianesimo che tornassero all’Ebraismo.
D’altra parte Carlo, riconoscendo che l’attività commerciale degli Ebrei era di notevole vantaggio per lo stato, impose sì gravi tasse, ma spesso li difese da pretese esorbitanti dei feudatari locali. Alle comunità ebraiche lasciò larga autonomia, ma si riservò il diritto di approvare la nomina dei loro amministratori e rabbini. Cessato il dominio angioino in Sicilia (1282) e rimasto solo nel regno di Napoli, il re d’Aragona Pedro III si mostrò anche in Sicilia come in Spagna (vedi pag. XXX) favorevole agli Ebrei.
Nel secolo XIV la popolazione ebraica in Italia si accrebbe notevolmente e nuovi centri si formarono, perché vi trovarono rifugio i profughi da altri paesi, specialmente dalla Francia e dalla Spagna (vedi pag. XXX). Nel periodo durante il quale la sede del papato si trasferì da Roma a Avignone (1308-1379), l’anarchia in preda alla quale si trovò Roma danneggiò notevolmente gli Ebrei, che si videro costretti a pagare tasse a tutti i gruppi che si contendevano il potere. A quanto pare gli Ebrei parteggiarono per Cola di Rienzo. Non si ha però notizia di persecuzioni in Italia nel tempo (1348-49) delle gravi persecuzioni in Germania (vedi pag. XXX).
Nel periodo della lotta fra papi e antipapi che seguì quello avignonese le condizioni degli Ebrei non furono in genere cattive e non pochi medici ebrei servirono i pontefici, nonostante il divieto espresso in questo senso dalle leggi della Chiesa: il papa Bonifacio IX (1384-1404) esentò il suo medico ebreo da tutte le restrizioni che vigevano nei confronti degli Ebrei.
Sugli Ebrei del regno di Napoli, sotto gli Angioini, nel secolo XIV quasi non abbiamo notizie e, per quanto in genere gli Angioini fossero fedeli al clero, non pare che ci siano state violenze e persecuzioni. Il re Roberto d’Angiò (1309-1343) ebbe, come già Federico I (###non sarà Federico II? meglio controllare), dotti ebrei alla sua corte e nel regno di Napoli furono accolti profughi dalla Francia (vedi pag. XXX). In Sicilia, dove continuarono a fiorire molte comunità, come Palermo, Messina, Catania, Siracusa, Marsala, le condizioni degli Ebrei furono analoghe a quelle del regno di Aragona (vedi pag. XXX).
Federico III rinnovò (1310) le restrizioni consuete, ma anche allora pare che esse non fossero generalmente eseguite con tutto il rigore, e in Sicilia, come a Roma, molti Ebrei esercitarono la medicina, anche come medici di corte. Il governo difese spesso gli Ebrei da violenze del popolo, che si verificavano specialmente nei giorni che precedono la Pasqua cristiana: così avvenne per esempio a Palermo nel 1339, e quando, in seguito agli avvenimenti in Spagna, nel 1391-92 (vedi pag. XXX), furono commesse violenze contro gli Ebrei. Furono vietate le conversioni forzate, ma fu anche proibito agli Ebrei convertiti a forza il ritorno palese all’Ebraismo.
Nell’Italia settentrionale, dove non si ebbe mai un governo unitario, le condizioni degli Ebrei furono diverse nelle varie province e città e in genere furono determinate di volta in volta da interessi commerciali e dalla maggiore o minore sottomissione delle autorità locali alle esigenze antiebraiche del clero. Commercianti ebrei furono talvolta ammessi a Venezia e vi fu concessa la residenza a gruppi di Ebrei per tempo determinato, e le concessioni venivano poi non di rado rinnovate, dietro pagamento di notevoli somme e con l’obbligo di versare ingenti contributi a titolo di tasse, in aggiunta a quelle imposte agli altri abitanti. Nel 1399 gli Ebrei, accusati di non aver mantenuto i patti stabiliti dalle concessioni, furono espulsi da Venezia e si stabilirono a Mestre. In seguito essi furono riammessi a Venezia, ma fu loro vietato il possesso fondiario. Essi poi erano soggetti alle solite restrizioni e segni distintivi.
Un notevole numero di Ebrei si stanziò, nella metà del secolo XIV, a Padova, protetti dai Carrara che vi dominavano. Essi si occupavano di commercio, industria e attività bancarie.
Altre comunità esistevano senza dubbio in Lombardia, in Emilia e nelle Marche, ma quasi nulla ne sappiamo fino al termine del secolo XIV.
b) Gli studi e la letteratura
Gli studi biblici, talmudici e di Halakhà continuarono a fiorire nelle yeshivòt specialmente a Roma e nell’Italia meridionale. Tra gli autori di opere su tali argomenti, che ci sono giunte, sono specialmente da ricordare Tzidkyà ben Avraham ’Anau (secolo XIII) di Roma, autore della compilazione rituale###forse meglio “giuridica” o “legale”? Shibbolè Halèket; Yeshayà di Trani ben Mali il vecchio (sec. XII-XIII) che scrisse glosse e discussioni su molti trattati talmudici e commenti a libri biblici; suo nipote, Yeshayà di Trani il giovane, autore di un compendio talmudico analogo a quello dell’Alfasi (vedi pag. XXX); Yitzchàk ben Malkitzèdek di Siponto (sec. XII) autore di un commento a varie parti della Mishnà. È poi da ricordare una specie di parodia delle discussioni talmudiche, dovute a Kalonimos ben Kalonimos (1286-1340), nato in Provenza e poi vissuto qualche tempo in Italia: in essa l’autore tratta dei modi di festeggiare il giorno di Purìm col mangiare e col bere.
Tra i poeti liturgici, alcuni dei quali sotto l’influenza della rinascita della poesia ebraica in Spagna (vedi pag. XXX), ricorderemo specialmente i due Yeshayà di Trani già menzionati, e alcuni membri della famiglia Anau (vedi sopra), Binyamìn e Moshè. Non di rado si sente nelle composizioni liturgiche l’eco di persecuzioni e sventure del tempo. Nella poesia di carattere prevalentemente profano, influenzata sia dalla poesia ebraica di Spagna, sia dalla poesia italiana, occupa un posto preminente Immanuèl ben Shelomò di Roma (sec. XIII-XIV) autore, oltre che di commenti biblici e di scritti filosofici, di una serie di composizioni (Mechabberòt) parte in prosa rimata e parte in poesia, a imitazione del Tachkemonì di Yehudà al Charizi (vedi pag. XXX) dove si tratta dei più svariati argomenti. Nell’ultima di queste composizioni, che sono cinquanta, l’autore descrive in prosa rimata l’inferno e il paradiso, a imitazione della Divina Commedia di Dante. Di Immanuel si hanno anche alcune poesie in volgare italiano.
Nel campo della filosofia sono da ricordare numerose traduzioni in ebraico dall’arabo e dal latino di scritti filosofici, dovute al già ricordato Kalonimos e a Yehudà (Leone) Romano. Il primo di essi scrisse pure un’opera originale morale e satirica intitolata Èven Bòchan (“Pietra di paragone”) contro i difetti morali e il modo di comportarsi diffusi tra i suoi contemporanei.
Anche in Italia furono introdotte e diffuse, nel sec. XIV, le dottrine kabbalistiche (vedi pag. XXX) che ebbero un certo numero di seguaci.
Gli Ebrei in Italia parlavano abitualmente una lingua che era fondamentalmente quella della popolazione in mezzo a cui abitavano, ma che aveva delle caratteristiche speciali e che conteneva anche alcuni elementi ebraici. Si vennero così formando i dialetti giudeo-italiani, rimasti vivi fino a pochi decenni fa e dei quali alcune tracce sono vive tuttora. I documenti scritti più antichi in tali dialetti sono traduzioni dalla Bibbia e dai formulari di tefillòt e anche composizioni liturgiche originali.
Francia
a) La lotta contro le eresie e l’Inquisizione
Nel secolo XII si formarono e si diffusero in Francia, specialmente nella parte meridionale del paese, sette cristiane che discordavano in molti punti dai Cattolici e non riconoscevano l’autorità del papa e del clero da lui dipendente. In conseguenza di ciò, papato, clero e governi furono nel secolo XIII occupati in gran parte nelle lotte contro queste eresie, si formarono degli ordini monastici che ebbero parte importantissima in questa lotta e venne costituito il tribunale dell’Inquisizione che aveva lo scopo di identificare gli eretici, giudicarli, condannarli e poi consegnarli al governo per l’esecuzione della pena, che era per lo più quella di morte. Per quanto tutto ciò non avesse nulla a che fare con gli Ebrei, avvenne, di fatto, che questi, e specialmente quelli che, accettato per forza il battesimo, praticavano segretamente l’Ebraismo, vennero coinvolti nelle persecuzioni contro i Cristiani eretici. Sotto il papa Innocenzo III, che iniziò la lotta e bandì la crociata contro gli eretici, si riunì quel concilio lateranense che, come già sappiamo (vedi pag. XXX), aggravò le restrizioni già imposte agli Ebrei e impose il segno distintivo sugli abiti. A differenza di quel che avvenne in Italia, le disposizioni del concilio furono in genere rigorosamente applicate nella Francia meridionale, e non di rado, quando ciò non avveniva, il papa rimproverò i signori locali per la loro tolleranza verso gli Ebrei. Questi, costretti a esercitare prevalentemente la professione di prestatori di denaro perché quasi ogni altra attività era loro preclusa e perché d’altra parte la Chiesa vietava ai suoi fedeli il prestito a interesse, reso però indispensabile dalle esigenze economiche del tempo, si videro spesso colpiti da leggi che, mentre imponevano loro gravi tasse, dispensavano i Cristiani dall’obbligo di restituire il denaro avuto in prestito. Nella Francia del nord, negli ultimi anni del regno di Filippo Augusto (vedi pag. XXX), le condizioni degli Ebrei rimasero abbastanza buone perché il re mirava più a tutelare i suoi interessi economici, grandemente favoriti dall’attività degli Ebrei e dalle ingenti tasse che essi pagavano, che ad obbedire al papa e al clero. Anzi, non di rado il re ed i signori locali si contesero il diritto di avere Ebrei nel loro territorio e talvolta si stabilirono fra di loro degli accordi per cui essi vietavano agli Ebrei, considerati come possesso dei signori dei vari paesi, di passare da un territorio dominato dal re o da un signore a quello posto sotto il dominio di un altro signore.
b) Gli Ebrei di Francia sotto Luigi VIII e Luigi IX
Disposizioni che danneggiavano gli Ebrei, in quanto dispensavano i Cristiani dall’adempiere in certi casi i loro obblighi verso di essi, furono emanate da Luigi VIII (1223-1226) e gravi persecuzioni ebbero a soffrire gli Ebrei sotto il successore di questo, Luigi IX (1226-1270), detto il Santo ed effettivamente santificato dalla Chiesa.
Sotto questo re non solo vennero rinnovate e aggravate le disposizioni contro gli Ebrei, ma furono emanate nuove norme che resero loro ancora più gravosa la professione di prestatori di denaro che era quasi l’unica loro concessa. Quando poi (1247) Luigi si preparava a partire per la crociata, progettò di espellere tutti gli Ebrei e di confiscarne i beni, ma questo progetto non fu per allora effettuato interamente e solo alcuni Ebrei ne furono colpiti. Tornato dalla crociata dopo alcuni anni, obbligò gli Ebrei a restituire ai loro debitori cristiani o agli eredi di questi le somme che negli ultimi anni avevano riscosse a titolo di interesse (1257). In seguito (1269) obbligò i suoi sudditi ebrei di alcune regioni ad assistere alle prediche di un monaco che mirava a convertirli, e a sottoporre i loro libri ebraici alla censura degli inquisitori. Condizioni simili si ebbero nelle regioni della Francia meridionale soggette ad un fratello del re, Alfonso di Poitiers; un suo decreto di espulsione e confisca (1268) non fu messo in pratica dietro il versamento da parte degli Ebrei di un’ingente somma di denaro. Coloro che versarono forti somme alle casse dello stato furono esentati anche dall’obbligo di portare il segno distintivo sugli abiti (vedi pag. XXX). La politica di questi sovrani e dei loro successori fu in genere determinata da due moventi: obbedire alle ingiunzioni della Chiesa a danno degli Ebrei e accrescere le entrate dello stato a spese di questi.
Nei luoghi dove, di fatto, più che il re dominavano i signori feudali, le condizioni degli Ebrei furono in genere meno cattive perché quei signori si preoccupavano dei danni economici che le persecuzioni contro gli Ebrei avrebbero arrecato al paese. Essi difesero anche talvolta gli Ebrei da violenze del popolo, eccitato dagli ecclesiastici contro di essi; ma non riuscirono ad impedire quelle dei crociati in attesa di partire per l’Oriente (1236), a causa delle quali molti Ebrei furono massacrati o dovettero accettare in apparenza il Cristianesimo.
c) Le discussioni religiose, la distruzione dei libri talmudici e le vittime dell’Inquisizione
Nel tempo della lotta della Chiesa cattolica contro gli eretici invalse l’uso di frequenti discussioni religiose non solo fra Cattolici e aderenti a sette considerate eretiche, ma anche fra Cattolici ed Ebrei. Tra queste ebbe speciale importanza quella originata dalle calunnie di un apostata ebreo, Nicola Donin, contro il Talmud, da lui descritto come libro immorale, contrario ai principi della religione, e pieno di ingiurie contro Gesù e i cristiani. Fu ordinata dal governo una discussione sull’argomento; i Cattolici vi furono rappresentati dallo stesso Donin, gli Ebrei da alcuni dei più insigni Maestri del tempo come Yechièl di Parigi e Moshè di Coucy (vedi pag. XXX). Naturalmente, la conclusione fu la condanna del Talmud come libro eretico e pericoloso. Di conseguenza furono confiscate e arse tutte le copie che si trovarono in mano degli Ebrei: ben ventiquattro carri pieni di esse furono pubblicamente bruciati a Parigi (1242). Così fu eseguito l’ordine che fin dal 1214 il papa Innocenzo III aveva dato al re di distruggere i libri ebraici ritenuti dannosi per il Cristianesimo. Il fatto fece enorme impressione in tutto il mondo ebraico: a Roma fu stabilito di ricordare l’avvenimento con un digiuno, fissato per la vigilia dello shabbàt in cui si legge la parashà di Chukkàt; le poesie liturgiche del tempo sono spesso ispirate a questa sventura o contengono allusioni ad essa. Anche in altri luoghi vennero in seguito confiscati e distrutti libri ebraici: in seguito gli Ebrei riuscirono col denaro ad ottenere da autorità laiche una qualche difesa dalle pretese dell’Inquisizione ecclesiastica. Come conseguenza delle persecuzioni, gli studi talmudici cessarono quasi del tutto in Francia e molti dotti emigrarono; R. Yechièl di Parigi si trasferì in Èretz Israèl. Oltre ai libri degli Ebrei furono poi per decisione dei tribunali dell’Inquisizione talvolta arsi gli Ebrei stessi; così a Troyes fu condannata al rogo la famiglia Chatelin, i membri della quale, condannati in seguito a calunnia di omicidio rituale, non aderirono alla proposta di salvarsi accettando il battesimo. Due anni dopo fu arsa a Parigi una coppia di Ebrei (1288) accusati di avere profanato un’ostia consacrata.
d) Nuove persecuzioni ed espulsione degli Ebrei
Il re Filippo III (1270-1285) si mostrò del tutto sottomesso al papato e agli inquisitori: norme restrittive nei riguardi degli Ebrei emanate dalle autorità ecclesiastiche ebbero forza di legge; fra altro venne proibita agli Ebrei la residenza nei villaggi perché gli ecclesiastici temevano che la popolazione locale, per lo più semplice ed ignorante, potesse facilmente essere indotta dagli Ebrei ad accettare idee non conformi alle dottrine della Chiesa. In modo particolare ci si accanì contro Ebrei che, accettato il battesimo, tornarono poi all’Ebraismo e contro coloro che favorirono il loro ritorno: fu arso vivo a Tolosa un rabbino che fece seppellire in cimitero ebraico un Ebreo che aveva accettato il battesimo e che poi aveva dichiarato il suo pentimento e il suo desiderio che non si tenesse conto di quel suo atto.
Filippo IV il Bello (1285-1314), nonostante le sue lotte col papato e la sua volontà di diminuire l’autorità della Chiesa e del clero nei suoi domini, perseguitò gli Ebrei ancor più che i suoi predecessori: anche sotto il suo regno furono messi a morte Ebrei per denuncia dell’Inquisizione; avido di denaro come era, fu severissimo nella riscossione delle tasse degli Ebrei e stabilì gravi pene pecuniarie per coloro che non portassero il segno distintivo sugli abiti (vedi pag. XXX), dirottò verso le casse dello stato il pagamento di parte degli interessi dovuti agli Ebrei, fece arrestare degli Ebrei ricchi e non li liberò se non dopo che ebbero dichiarato l’ammontare degli interessi da loro percepiti in passato e lo ebbero versato interamente a lui; alla fine (luglio 1306), decise la confisca di tutti i beni degli Ebrei e la loro espulsione col permesso di portare con sé un solo abito, alcune vettovaglie per il viaggio e una piccolissima somma di denaro. I beni degli Ebrei furono venduti all’asta, nel corso di parecchi anni affinché non venissero svalutati data la loro grande quantità. Pochi Ebrei che, specialmente a Tolosa, accettarono il battesimo, rimasero nel paese. Gli espulsi emigrarono in parte in Lorena e in regioni della Francia che erano di fatto sotto il dominio dei feudatari locali e non del re, altri in varie regioni d’Europa.
e) Ritorno degli Ebrei e loro espulsione definitiva
I gravi danni economici che l’espulsione degli Ebrei arrecò al paese indussero il re Luigi X a cedere alle pressioni che gli vennero da buona parte della popolazione e a riammettere gli Ebrei (1315) proponendo loro condizioni che, per quanto assai gravose, erano tali da far loro credere che avrebbero avuto almeno garantita la loro sicurezza personale e avrebbero potuto esercitare la loro attività abituale. Molti degli Ebrei che non avevano trovato sistemazione nelle nuove residenze ritornarono e riacquistarono a prezzo elevato i beni che erano stati loro confiscati. Ma oltre al fatto che le condizioni loro proposte non furono sempre osservate, il governo non fu in grado di difendere gli Ebrei da persecuzioni organizzate dal popolo istigato dal clero. Tra queste sono specialmente da ricordare quelle conosciute come persecuzione dei pastori e persecuzione dei lebbrosi. La prima (1320) ebbe origine da un pastore fanatico che, indotto da visioni ad agire contro gli infedeli e promuovere una nuova crociata, raccolse intorno a sé una schiera di pastori e contadini che assalirono i quartieri ebraici di Tolosa e dei luoghi vicini facendo strage di Ebrei. L’altra persecuzione, che mieté anch’essa molte vittime, ebbe origine dal fatto che, essendosi ritenuto che alcuni lebbrosi, irritati per la loro segregazione, avessero avvelenato pozzi ed acque di fiumi, gli Ebrei furono accusati di averli indotti a questi atti e di avere loro fornito i veleni (1321). Altre circostanze poi ostacolavano l’attività degli Ebrei come prestatori di denaro: il governo, che percepiva forti tasse dagli interessi, li incoraggiava ad esigerli alti; ma d’altro canto quando i debitori si lagnavano i governi se la prendevano con gli Ebrei. Così molti di questi incominciarono ad uscire volontariamente dal paese nel quale erano da poco rientrati. Scaduto nel 1380 il termine per il quale era stata concessa la nuova residenza degli Ebrei, il re Carlo VI rinnovò il permesso a condizioni analoghe a quelle precedenti. Per le solite ragioni avvennero nuovi atti di violenza e nuove stragi di Ebrei e alla fine il re emise un nuovo decreto di espulsione (1394) che comprendeva, non occorre dire, la confisca dei beni che gli Ebrei, nonostante tutto, erano riusciti ad acquistarsi negli ultimi decenni. Alcuni Ebrei rimasero in regioni non del tutto sottomesse al regno di Francia: il Delfinato che era autonomo, parte della Provenza, Avignone che era sotto i papi.
f) Gli studi e la letteratura
Gli studi talmudici continuarono a fiorire nelle antiche yeshivòt fino alla confisca e alla distruzione dei libri talmudici. Fra i dotti del tempo e specialmente da ricordare il già menzionato Yechièl di Parigi (vedi pag. XXX). Dopo le persecuzioni contro il Talmud si sentì il bisogno di compendi rituali, fra i quali sono degni di nota il Sèfer Mitzvòt Gadòl di Moshè di Coucy (vedi ivi ###va bene “ivi”?) e il Sèfer Mitzvòt Katàn di Yitzchàk di Corbeil.
I dotti di Francia presero parte attiva a controversie che si accesero in relazione agli scritti del Maimonide (vedi pag. XXX). Tra i più fieri suoi oppositori è da ricordare Shelomò di Montpellier che, d’accordo con altri rabbini contemporanei, decretò la scomunica contro i libri del Maimonide e contro coloro che li studiavano (1232). Come reazione a questo atto, alcuni rabbini di Beziers, Lunel e Narbona dichiararono nulla quella scomunica, dirigendola invece contro tutti coloro che offendevano il Maimonide. Allora Shelomò di Montpellier e i suoi seguaci, approfittando del fatto che l’Inquisizione cattolica agiva al tempo energicamente contro gli eretici, giunsero al punto di invitare l’Inquisizione stessa ad agire contro quelli che essi consideravano eretici ebrei, e cioè contro i seguaci del Maimonide. Di conseguenza, il legato pontificio in Francia ordinò (1233) la confisca e la distruzione degli scritti filosofici del Maimonide.
Le condizioni degli Ebrei in Francia fino alla loro espulsione non erano certo tali da favorire gli studi: solo nelle regioni meridionali della Francia, che sfuggirono in parte alle persecuzioni (vedi pag. 88 ###aggiustare num pagina), sono da notare alcuni dotti e scrittori di una certa importanza. Fra questi, il più celebre è Levì ben Gereshòn (1288- 1345) designato generalmente come Ralbàg, dotto delle scienze ebraiche, matematica e astronomia. Nella sua opera filosofica Milchamòt Adonài trattò di vari argomenti di filosofia religiosa, mostrandosi seguace del Maimonide e ancor più di lui vicino alla filosofia aristotelica. Egli è anche autore di commenti di carattere filosofico alla Torà e ad altri libri biblici.
Penisola iberica
a) Regno di Castiglia
La riconquista cristiana del regno di Castiglia, già in mano dei Musulmani, nella prima metà del secolo XIII, liberò gli Ebrei dalle persecuzioni del fanatismo musulmano (vedi pag. XXX) e in genere segnò un miglioramento nelle condizioni degli Ebrei, per quanto qualche violenza sia stata commessa contro di loro, come a Toledo (1212), da gruppi di fanatici cattolici in lotta contro gli eretici.
Il re Ferdinando il Santo (1217-1252), per quanto cattolico devotissimo, non emanò leggi ostili agli Ebrei conformi a quelle stabilite dalla Chiesa e non obbedì alle richieste dei papi che lo invitarono a farlo, e vide negli Ebrei degli alleati contro i Musulmani; il suo successore Alfonso X (1252-1281) emanò sì, in obbedienza alla Chiesa, le norme relative agli Ebrei da questa stabilite, ma non solo non ne curò la messa in pratica; egli stesso le trasgredì apertamente. Così gli Ebrei non furono molestati né obbligati a portare il segno distintivo sugli abiti, ed ebbero anche importanti cariche di stato e posti onorevoli nella corte come medici e scienziati; ad un Ebreo, Yitzchàk ibn Sid (###ibn Sid o Said?), vengono attribuite le tavole astronomiche note col nome di tavole alfonsine, dal nome del re.
Nel periodo di cui trattiamo furono anche erette, in varie città, in aperta violazione delle leggi ecclesiastiche, sontuose sinagoghe che gareggiavano in bellezza con le chiese cattoliche. Qualche grave incidente colpì gli Ebrei che furono coinvolti nelle lotte fra il principe ereditario Sancho e il padre; sotto il regno di Sancho furono oppressi da gravi tasse, del pagamento delle quali furono considerate responsabili le comunità. Queste godevano di larghe autonomie; gli Ebrei avevano giurisdizione interna propria, talvolta perfino in materia penale. Il benessere degli Ebrei e l’influenza da loro esercitata non tardarono però a suscitare e ad aggravare le opposizioni per ragioni di concorrenza economica e di zelo religioso; queste però non riuscirono, durante il regno di Ferdinando IV (1295-1312), a ottenere che fossero imposte all’attività degli Ebrei nuove restrizioni. Dopo la morte di Ferdinando, durante la reggenza di sua madre Maria e del principe Juan Manuel, furono, per influenza dei nobili e del clero, emanati dei decreti che limitavano l’attività degli Ebrei e li mettevano, dal punto di vista sociale, al di sotto degli altri cittadini; ciò non impedì tuttavia ai reggenti di continuare a servirsi di amministratori ebrei e di trattare alcuni di essi con onore e distinzione. Le stesse condizioni durarono sotto il regno di Alfonso XI (1325-1350) che affidò incarichi importanti a due Ebrei, Yosèf Benvenisti e Shemuèl ibn Yakàr. In seguito però le manovre dei nobili e del clero, a cui si aggiunsero contrasti fra Yosèf e Shemuèl, ebbero per conseguenza che entrambi fossero destituiti e incarcerati; il primo morì in prigione e il secondo fu torturato e messo a morte. Le cose giunsero poi a tal punto che uno dei più fieri nemici degli Ebrei, Gonzalo Martinez, che aveva provocato la caduta di Yosèf e di Shemuèl, propose la confisca di tutti i beni degli Ebrei e la loro espulsione. Però la proposta, che apparve ai più dannosa per l’economia del paese, non venne accolta. Ogni pericolo cessò per il momento dopo che Martinez, ribellatosi al governo, fu condannato a morte (1339).
L’azione dei nemici degli Ebrei riuscì ad ottenere che fossero messi ostacoli alle attività di questi, che furono anche perseguitati dal punto di vista religioso in conseguenza dell’opera dell’apostata Avnèr di Burgos; in seguito a discussioni fra questo e dotti Ebrei, fu imposto agli Ebrei di omettere nella preghiera la recitazione del paragrafo “Velamalshinìm” considerato come offensivo per i Cristiani.
Gli Ebrei furono coinvolti nelle lotte fra il re Pedro IV (1350-1396) il Crudele e suo fratello Enrico di Tristamare. Pedro non fu ostile agli Ebrei e ne ebbe alcuni come ministri, quindi il partito a lui avverso considerò gli Ebrei come nemici: contro gli Ebrei di Toledo si slanciarono gli uomini di Enrico, molti furono uccisi e i loro negozi vennero saccheggiati (sabato 7 maggio 1399).
Nuovi pericoli minacciarono gli Ebrei quando Shemuèl Halevì Abulafia, ministro delle finanze di Pedro, fu accusato di aver oppresso la popolazione e di avere agito più nell’interesse proprio che in quello dello stato. La vita principesca che egli conduceva e gli ingenti tesori che furono trovati nascosti nel suo palazzo confermarono le accuse e Shemuèl, sottoposto a torture, morì (1360). A Shemuèl si deve la costruzione della sontuosa sinagoga di Toledo, più tardi trasformata in chiesa cattolica. Pedro non mutò però il suo atteggiamento benevolo verso gli Ebrei e questi, che gli rimasero fedeli, ebbero molto a soffrire per il rinnovarsi e l’aggravarsi delle lotte fra lui ed Enrico. I sostenitori di quest’ultimo sparsero perfino la diceria che Pedro fosse ebreo. La lotta finì con la vittoria di Enrico e l’uccisione di Pedro (1396). Si narra che quando il papa Urbano V ne ebbe notizia, disse che i fedeli avevano ragione di rallegrarsi della fine di quel crudele che si era mostrato benevolo verso gli Ebrei e i Musulmani. Non occorre dire che la vittoria di Enrico, rimasto sovrano incontrastato, peggiorò le condizioni degli Ebrei e molte delle richieste del clero e della nobiltà vennero accolte.
Le comunità ebraiche, già impoverite e quasi rovinate nel periodo della guerra civile, furono oppresse da nuove e gravi tasse che venivano riscosse con estremo rigore e con atti di violenza. Il re però non credette di poter fare a meno di affidare ad Ebrei le finanze dello stato e questo fu causa di nuove ed irreparabili sventure per gli Ebrei. Yosèf Pigion, che occupò una carica finanziaria di alta importanza, si attirò l’odio non solo della popolazione castigliana, ma anche di quella ebraica: egli fu poi dagli Ebrei accusato di calunnia a danno degli Ebrei stessi presso il governo e come tale condannato a morte da un tribunale rabbinico. Le sentenze di pena capitale di questo dovevano essere confermate e rese esecutive dal re. Giovanni, succeduto a Enrico, firmò il decreto di condanna nel giorno stesso della sua incoronazione, forse, senza neppure leggerlo. Yosèf fu messo a morte e il re, resosi poi conto di quel che era avvenuto, condannò a morte i membri del tribunale che avevano emanato la sentenza di condanna capitale (1380). Di conseguenza, furono diminuite e quasi ridotte al nulla le competenze dei tribunali rabbinici non solo in materia penale ma persino in materia civile e da allora in poi andò gradatamente diminuendo l’influenza degli Ebrei negli affari di stato; il re si impegnò a non nominare ministri ebrei. Anche lo zelo religioso cattolico andò aumentando: gli Ebrei furono frequentemente obbligati a discussioni con membri del clero: in esse era data a questi ampia libertà di parola, mentre agli Ebrei era vietato, con minaccia di gravi pene, pronunciare frasi che fossero giudicate offensive per la religione cristiana. Come patrocinatori del Cristianesimo comparvero spesso Ebrei apostati. Il programma del Cattolicesimo in Castiglia era ormai quello di sterminare completamente gli “infedeli” musulmani, ebrei ed eretici. La cosa era naturalmente più facile per gli Ebrei, che erano i più deboli e che non potevano contare sull’appoggio di alcuna potenza straniera. Eccitata dal clero fanatico, capitanato da Fernando Martinez, la popolazione si scagliò al massacro e alla spoliazione di tutti gli Ebrei, che erano la grande maggioranza, che non vollero accettare il battesimo. Anche molte sinagoghe furono distrutte e spogliate dei loro arredi. Le comunità un tempo fiorenti di Siviglia, Cordova, Toledo cessarono quasi di esistere. Alcuni tentativi di difesa da parte del governo e di autorità locali vennero fatti, ma furono per lo più inefficaci e sotto il regno di Juan I e la reggenza della madre di lui Leonora, il clero fanatico e i suoi seguaci ebbero praticamente mano libera (ultimo decennio del secolo XIV). Le violenze contro gli Ebrei giunsero al culmine nel 1391, anno nel quale il popolo eccitato dal Martinez fece a Siviglia strage di parecchie migliaia di Ebrei, mentre altri furono venduti schiavi o costretti al battesimo. In altre città popolate da Ebrei fu seguito l’esempio di Siviglia.
b) Regno di Aragona
La politica del regno di Aragona nei confronti degli Ebrei nel secolo XIII sotto i re Giacomo I (1213-1276), Pedro III (1276-1285) e Alfonso III (1286-1291) è caratterizzata da due tendenze contrarie: da una parte quella di favorire gli Ebrei, dei quali i re avevano bisogno per procurarsi il denaro necessario a provvedere sia ai bisogni dello stato che a quelli personali, e dall’altra quella di mostrarsi ossequienti al papato e al clero che miravano a privare gli Ebrei di ogni diritto e ad indurli ad abbracciare il Cristianesimo. Per quel che riguarda la vita economica e sociale, quei re si mostrarono in genere di fatto benevoli verso gli Ebrei; questi furono gravati di enormi tasse ma furono loro lasciate ampie libertà di attività nel commercio, soprattutto come prestatori, nell’artigianato e nell’agricoltura; furono loro assegnati per risiedervi e per coltivarli territori conquistati ai Musulmani; furono applicate con larghezza o non applicate affatto norme restrittive già in vigore o adottate per compiacere le autorità ecclesiastiche; furono nominati Ebrei a cariche di stato e di corte nonostante l’opposizione ecclesiastica. Le comunità ebbero larghissime autonomie e i quartieri nei quali risiedevano gli Ebrei vennero a costituire quasi dei piccoli stati dentro lo stato: i re però si riservarono il diritto di approvare la nomina dei loro capi e alcune delle loro decisioni, specialmente in materia penale, e talvolta si intromisero nelle questioni fra Ebrei, non di rado per sostenere gli interessi di persone a loro legate. Nel campo religioso, la politica aragonese fu molto ligia ai dettami del papato e del clero e gli Ebrei furono spesso obbligati ad assistere, persino nelle sinagoghe, a discorsi di ecclesiastici aventi lo scopo di convertirli e a sostenere delle discussioni religiose. Fra queste è specialmente celebre quella, tenutasi a Barcellona (1263) nella quale fu rappresentante dei Cristiani l’apostata Pablo Cristiani e degli Ebrei ###MANCA UN PEZZO DI FRASE.
Ebrei e Cristiani ci lasciarono relazioni contradditorie sul modo come terminò la discussione; quello che è certo è che a un certo momento venne interrotta e che Moshè ben Nachmàn, accusato e minacciato per le sue parole non gradite ai Cristiani, dovette, per salvarsi, abbandonare la Spagna emigrando in Èretz Israèl (1267) dove morì.
Anche in Aragona, come in Francia, (vedi pag. XXX) furono emanate disposizioni per la confisca dei libri ebraici, ma essi furono lasciati agli Ebrei a condizione che ne venissero cancellate parole e frasi ritenute offensive per il Cristianesimo. Nel secolo XIV i sovrani divennero più ligi ai dettami delle autorità ecclesiastiche e non furono più nominati Ebrei alle più alte cariche dello stato. Anche in Aragona si sparse la calunnia contro gli Ebrei quando (1348) scoppiò in Europa la “peste nera” (vedi pag. XXX) e molti Ebrei caddero vittime degli assalti di popolazioni cristiane, che solo in alcuni casi vennero frenate dalle autorità. Si ripeterono allora episodi analoghi a quelli che ci sono conosciuti dalla storia degli assalti dei crociati in Germania e Francia alla fine del secolo XI (vedi pag. XXX) e l’esempio delle violenze commesse in Castiglia nel 1391 (vedi pag. XXX) fu seguito anche nel regno di Aragona. I casi in cui gli Ebrei, per salvarsi, cedettero e, almeno in apparenza, accettarono il Cristianesimo furono assai numerosi: essi però, in genere, cercarono di seguire almeno in parte segretamente i riti ebraici nella speranza che venisse il giorno in cui avrebbero potuto ritornare apertamente alla vita ebraica, Si formò così un gruppo notevole di “Ebrei in segreto” che vennero poi designati col nome di Marrani (in ebraico anusìm, “costretti”). Contro di questi agì in modo severo e spietato l’Inquisizione cristiana che sottopose a processo e condannò i sospettati di seguire pratiche ebraiche, come pure punì severamente Ebrei che tentassero di far ritornare gli apostati all’Ebraismo. Nell’ultimo decennio del secolo XIV il regno di Aragona seguì poi interamente, per quello che riguarda gli Ebrei, le vie percorse da quello di Castiglia.
c) Regno di Navarra
Questo regno fu governato, a partire dalla fine del secolo XIII, da principi della famiglia reale di Francia, e gli Ebrei, che erano numerosi specialmente a Pamplona, Tudela, Estella, risentirono delle scosse che subirono i loro fratelli di Francia durante il regno di Luigi IX e di Filippo il Bello (vedi pag. XXX). Nel regno di Navarra trovarono rifugio alcuni degli espulsi dalla Francia nel 1306, ma in seguito ebbero molto a soffrire dagli assalti della popolazione cristiana, che fecero molte vittime, e verso la fine del secolo XIV la popolazione ebraica era di molto diminuita, i pochi rimasti erano oppressi da gravi tasse e i loro averi e le loro vite erano continuamente in pericolo.
d) Regno di Portogallo
Parecchie decine di comunità ebraiche, la principale delle quali era Lisbona, esistevano in Portogallo quando questo paese si costituì come regno indipendente. La condizione degli Ebrei fu generalmente buona; alte cariche di stato, specialmente finanziarie, furono in mano di Ebrei e per questo i re del Portogallo furono più volte rimproverati dai pontefici. L’amministratore generale delle finanze dello stato, quasi sempre ebreo, era nello stesso tempo capo delle comunità ebraiche. Solo il re Alfonso IX (1325-1327) si mostrò molto ossequiente alla Chiesa e applicò con rigore la disposizione per cui gli Ebrei dovevano portare sugli abiti segni visibili che li distinguessero dal resto della popolazione.
Durante il regno di Ferdinando I (1367-1383) avvennero degli assalti contro la popolazione ebraica perché il ministro ebreo delle finanze, Don Yehudà, aveva fatto coniare, per ordine del re stesso, monete d’argento di lega molto bassa: la popolazione insorse ad un tempo contro il governo e contro l’esecutore ebreo dei suoi ordini.
Negli ultimi anni del secolo gli Ebrei ebbero molto a soffrire per i torbidi che agitarono il regno durante le lotte di successione.
e) La vita spirituale, gli studi e la letteratura
Gli scritti del Maimonide diedero luogo, come già sappiamo, (vedi pag. XXX) a violente dispute tra suoi avversari e suoi fautori. Come reazione alla scomunica pronunciata da Shelomò di Montpellier (vedi ivi ###”ivi”?) in Spagna furono lanciate scomuniche contro di questo e i suoi seguaci, mentre altri dotti si schierarono dalla parte di Shelomò. Le opposizioni al Maimonide si fondarono in parte sull’accusa a lui fatta che con la compilazione del Mishnè Torà (vedi pag. XXX) veniva a distogliere dallo studio del Talmud, ma soprattutto erano rivolte contro la sua opera filosofica e le parti filosofiche del Mishnè Torà, in quanto si accusava il Maimonide di aver posto la fede sotto il controllo della filosofia, come se fosse necessaria la conferma di questa per dimostrare la verità dei principi rivelati. Gli avversari del Maimonide lo considerarono responsabile di un certo lassismo nell’osservanza di alcune mitzvòt che si notò nei paesi spagnoli. A nulla servirono i tentativi di Moshè ben Nachmàn (vedi pag. XXX) per cercare di mettere pace fra i contendenti e le lotte si fecero ancora più vive dopo che Shelomò di Montpellier si rivolse alle autorità ecclesiastiche (vedi pag. XXX), atto che ebbe anche per conseguenza che egli fosse abbandonato da alcuni che in principio lo avevano seguito.
Nel campo degli studi biblici e talmudici è in primo luogo da ricordare il già più volte menzionato Moshè ben Nachmàn (1195-1270) medico e filosofo autore di commenti talmudici del tipo di quelli dei tosafisti (vedi pag. XXX) e di un commento alla Torà che, pur mirando alla spiegazione letterale del testo, non è privo di influenze mistiche e kabbalistiche (vedi pag. XXX).
Altro talmudista e ritualista di grande autorità è Shelomò ben Avrahàm (Rishbà) (1245-1310), alunno del precedente, del quale sono conservati oltre tremila responsi e alcune opere di argomento rituale, tra cui specialmente notevole Toràt Habàyit. Egli ebbe anche importanti cariche di stato e scrisse un’opera polemica per ribattere gli argomenti del monaco domenicano Raimondo Martin che voleva trovare nel Talmud argomenti a favore del Cristianesimo. Grande impulso agli studi in Spagna diede anche Ashèr ben Yechièl (Rosh) che, emigrato dalla Germania in seguito a persecuzioni (vedi pag. XXX), diventò capo della yeshivà di Toledo (1305), portò nelle accademie di Spagna gli insegnamenti e i metodi di studio di quelle della Germania mentre prima di allora scarsi erano i rapporti fra i due centri, e lottò energicamente contro tendenze all’assimilazione che si notavano in certi ambienti dell’Ebraismo spagnolo. Egli è autore di un compendio talmudico analogo a quello dell’Alfasi (vedi pag. XXX) nel quale naturalmente tiene conto degli studi fatti dai tempi dell’Alfasi ai suoi. Di grandissima importanza è poi l’opera rituale del figlio di lui, Ya’akòv, detta Arba’à Turìm, (“Quattro serie”) perché divisa in quattro grandi parti: Òrach Chayìm (sui riti quotidiani e festivi); Yorè De’à (sulle norme relative ai cibi e a vari argomenti di applicazione non quotidiana); Èven Ha’èzer (sul diritto matrimoniale); Chòshen Mishpàt (sul diritto civile). Questa opera è la più importante raccolta rituale###”rituale” va bene? O meglio “giuridica” o “halakhica”? sistematica dopo quella del Maimonide e servì di base a quasi tutte le compilazioni posteriori. A differenza del Mishnè Torà, i Turìm trattano solo dei riti che hanno applicazione nel periodo dell’esilio e della Diaspora.
Di numerosi altri ritualisti che vissero in Spagna nel secolo XIV si conservano molti responsi, commenti e compendi. Fra questi ci basterà ricordare Davìd Abudrahàm, di Siviglia, a cui si deve un compendio sui riti delle tefillòt e del bet hakkenèset, Menachèm ben Zèrach, autore dell’opera rituale e morale Tzedà Ladàrekh nella quale si cerca anche di spiegare il motivo di molte mitzvòt; Yom Tov ben Avrahàm (Ritbà), autore di commenti a trattati talmudici; Yitzchàk ben Shèshet (Rivàsh) fiero avversario degli studi filosofici, emigrato poi nell’Africa settentrionale, del quale si hanno molti responsi, Vidàl di Tolosa e Nissìm di Gerona, autori di commenti rispettivamente all’opera rituale di Maimonide e a quella dell’Alfasi. Parte assai notevole della letteratura ebraica di Spagna e Provenza nel secolo XIV è dedicata alla polemica fra fautori del Maimonide e suoi avversari (vedi pag. XXX), polemica che poi ebbe il carattere di controversie analoghe a quelle che in quel tempo agitavano anche il mondo cristiano e quello musulmano intorno alla possibilità o impossibilità di conciliare i principi della ragione e i risultati delle ricerche filosofiche con i dati della religione rivelata. Tra i sostenitori di teorie opposte a quelle del Maimonide è da ricordare in modo speciale Chasdài Crescas.
Nel tempo di cui ci stiamo occupando cominciò pure la diffusione in Spagna e poi in altri paesi della dottrina mistica nota col nome di Kabbalà. Quali siano le prime origini di questa dottrina non è noto: i suoi seguaci la fanno risalire fino al tempo dei patriarchi, e uno dei suoi primi documenti scritti è il Sèfer Hayetzirà (vedi pag. XXX). Si tratta di insegnamenti, per molto tempo trasmessi oralmente a un ristretto numero di iniziati, tendenti a spiegare come fu creato il mondo, come si esercita l’azione di Dio su di esso, come si possa, con l’esercizio delle mitzvòt e di altri atti, influire sul mondo superiore costituito da esseri intermediari fra la divinità e il mondo sensibile, e persino fare dei miracoli. Verso la fine del secolo XIV venne pubblicato e diffuso il testo classico più importante delle dottrine kabbalistiche, detto Zòhar (“Splendore”), in forma di commento alla Torà, in lingua aramaica nel quale la Torà viene spiegata come contenente allusioni alle dottrine mistiche. Esso venne attribuito a R. Shim’òn ben Yochài, uno dei più illustri Tannaìm (vedi vol. I, pag. XXX), ma molti ritengono che, pur contenendo elementi antichi, sia invece stato composto al tempo della sua pubblicazione. D’allora in poi e fino ad oggi esso è tenuto in grande onore da gruppi di Ebrei di vari paesi che seguono le sue dottrine e che sono detti kabbalisti, mentre altri considerano quelle dottrine come non rispondenti ai veri principi dell’Ebraismo e dovute ad influenze straniere. Tra i cultori di scienze profane vanno specialmente ricordati il già citato Levì ben Ghereshòn, autore di un trattato di astronomia; Avrahàm ben Chiyà di Barcellona, autore di un trattato di geografia astronomica, il viaggiatore Eshtòr Haparchì autore di opera geografica intitolata Kaftòr Vafèrach.
Germania e paesi limitrofi
a) Condizioni politiche e persecuzioni
La situazione generale degli Ebrei continuò ad essere quella di possesso privato dell’imperatore (vedi pag. XXX) che da un lato li proteggeva come se fossero stati cosa sua e d’altro lato ne disponeva a suo piacere. Ma, di fatto, le condizioni politiche dell’impero nel secolo XIII fecero sì che l’imperatore cedesse in un certo senso i suoi diritti sugli Ebrei alle autorità locali, feudatari laici ed ecclesiastici e amministratori di provincie e città, e così le condizioni degli Ebrei furono soggette a continui cambiamenti a seconda dei tempi e dei luoghi. Di comune vi era che, esclusi dalle associazioni artigiane cristiane, non potevano che occuparsi di commercio e, date le limitazioni che anche in questo campo erano loro imposte, dovevano agire quasi esclusivamente come prestatori di denaro ad interesse, e che il fanatismo religioso dava luogo frequentemente a rapine e massacri di Ebrei da parte della popolazione cristiana, contro la quale poco o nulla potevano le autorità governative e locali, anche quando credevano di intervenire.
Ripetutamente avvenne che, se si trovavano dei Cristiani uccisi o morti per cause ignote, venivano incolpati gli Ebrei di averli uccisi per motivi religiosi, specialmente per servirsi del loro sangue per la festa di Pèsach. Quando non avveniva che gli accusati fossero massacrati dalla folla, si intentavano dei processi che finivano spesso con la condanna degli Ebrei, anche perché talvolta questi, non potendo resistere alle sofferenze della tortura, finivano per confessare delitti che non avevano commesso. In seguito ai risultati di un’inchiesta ordinata dall’imperatore Federico II (1236), questi dichiarò infondate le accuse di omicidio rituale e vietò di punire gli Ebrei in base ad accuse non provate; il papa stesso Innocenzo IV, aderendo alle richieste di un’ambasciata di Ebrei di Germania, dichiarò false le accuse (1247); ma a poco giovò tutto questo. Non occorre poi dire che gli Ebrei continuavano a essere gravati di tasse e soggetti a tutte le discriminazioni che esigeva la Chiesa; e, se qualche sovrano tentava di alleggerirle, veniva rimproverato dal papa e dalle autorità ecclesiastiche. Gli Ebrei ebbero poi anche a soffrire a causa delle invasioni dei Mongoli: essi furono accusati di essere d’accordo con questi per abbattere i governi cristiani. Tali accuse vennero anche alimentate dal fatto che, siccome aveva un certo credito fra gli Ebrei l’idea secondo cui il Messia sarebbe venuto nel sesto millennio dell’era ebraica e l’anno 1241 (5001 dell’era ebraica) era appunto il primo di tale millennio, alcuni pensarono che i Mongoli potessero essere gli strumenti della provvidenza divina per punire i persecutori degli Ebrei e per liberarli dalla loro soggezione. Particolarmente grave si fece la condizione degli Ebrei nel periodo di lotte e disordini che seguirono la morte di Federico II (1254-1273), durante il quale essi furono completamente alla mercé delle autorità locali: stragi e condanne in seguito a calunnie di omicidio rituale divennero cosa abituale, e le leggi restrittive, specialmente quelle che tendevano a distinguere gli Ebrei dai Cristiani e a limitare la libertà dei primi nei giorni che precedono la Pasqua cristiana, si fecero più rigorose, ma come al solito, non sempre furono completamente osservate.
Il periodo dei primi sovrani della casata degli Asburgo (1273-1298) è segnato soprattutto dall’inasprimento delle tasse imposte agli Ebrei: molti di questi cercarono di emigrare, ma i loro beni venivano confiscati e, se venivano scoperti nel tentativo di uscire dal paese, erano severamente puniti. Fra le vittime di questa disposizione è da ricordarsi il rabbino Meìr di Rothenburg (vedi pag. XXX) che, scoperto per denuncia di un apostata durante la sua fuga mentre si trovava in Lombardia, venne imprigionato e morì in carcere (1293), per quanto si fosse tentato di riscattarlo col denaro: neppure il suo cadavere fu consegnato agli Ebrei, e questi poterono seppellirlo in una tomba ebraica solo dopo 14 anni e mediante pagamento di un forte riscatto. Continuarono poi le stragi per accuse di omicidio rituale e di profanazione di ostie consacrate: particolarmente numerose furono le vittime provocate dall’azione di un certo Rindfleisch, che si fece condottiero di schiere di assassini di Ebrei. Una delle vittime fu il rabbino Mordechài ben Hillèl (vedi ivi ###”ivi”? segnare pagina). Parecchie comunità furono interamente distrutte e solo pochi si salvarono accettando il battesimo.
Le condizioni migliorarono alquanto sotto Alberto di Asburgo (1298-1308) che impose gravi pene agli abitanti di luoghi che non si opponessero efficacemente alle violenze contro gli Ebrei. Il leggero miglioramento fu però di breve durata e durante l’impero di Lodovico il Bavaro (1314-1347) le sofferenze degli Ebrei si fecero ancora più gravi ed acute. In omaggio al principio secondo il quale gli Ebrei erano proprietà dell’imperatore questi, a scopo di lucro, vendeva o dava in pegno singoli Ebrei o intere comunità ad amministrazioni locali che li opprimevano in ogni modo.
Intanto l’odio contro gli Ebrei, ai quali nessuna attività era lecita all’infuori del prestito ad interesse, cresceva ogni giorno, motivata dal forte interesse che essi percepivano autorizzati dal governo che, naturalmente, incamerava poi come compenso per la protezione accordata agli Ebrei, a titolo di tasse di varia natura, gran parte di quegli interessi, e che talvolta dispensava addirittura i debitori dal pagare interessi e capitale. Continue si fecero, per iniziativa del clero fanatico, le calunnie di omicidio rituale e di profanazione di ostie, seguite da rapine, massacri e conversioni forzate. Si organizzarono persino delle bande armate di “castigatori degli Ebrei” che si atteggiavano a crociati mossi da zelo religioso contro quelli che essi dicevano uccisori, tredici secoli prima, del loro dio, e che ora accusavano di continuare i loro delitti trafiggendo le ostie consacrate, dalle quali il clero fanatico faceva credere alla plebe ignorante che colasse il sangue della divinità ferita. Non mancarono casi in cui, come già nel passato, autorità centrali e locali e persino papi ed ecclesiastici cercarono di frenare la plebe inferocita, ma per lo più le conseguenze pratiche di azioni di questo genere furono pressoché nulle.
Le violenze contro gli Ebrei, le stragi e la rapina dei loro averi giunsero poi al colmo quando scoppiò in Europa la terribile pestilenza nota col nome di peste nera, che fece molte migliaia di vittime (1348-49). Si sparse la voce che la pestilenza fosse dovuta al fatto che gli Ebrei avessero avvelenato i pozzi, e a nulla valse il fatto che il papa stesso avesse smentito la stolta diceria; il popolino, sia per fanatismo religioso sia per amor di rapina, vi prestò fede e si diede al massacro degli Ebrei e al saccheggio dei loro averi. Della diceria si trovò conferma nel fatto che le vittime della pestilenza fra Ebrei, per quanto numerose, furono in proporzione meno frequenti che fra i Cristiani, forse in conseguenza della vita più regolare ed igienica che gli Ebrei conducevano ed alle maggiori precauzioni che essi presero per evitare il diffondersi del male. Migliaia di Ebrei furono sgozzati e arsi vivi in Savoia, Svizzera e specialmente in Germania. Minori furono le vittime nella Francia meridionale, per quanto là avesse avuto origine la calunnia. Non mancarono casi in cui Ebrei stessi, per non cadere in mano delle bande inferocite, diedero fuoco alle proprie case e vi perirono. Talvolta gli Ebrei tentarono la resistenza, ma questo non ebbe altro effetto che inferocire ancor più gli assalitori irritati per l’uccisione di pochi di loro da parte degli Ebrei.
In alcuni luoghi parte della popolazione cristiana cercò di difendere gli Ebrei, ma senza risultati. Alle stragi e ai saccheggi, in alcune città, diede anche indirettamente incoraggiamento l’imperatore Carlo IV, che pure in un primo tempo aveva cercato di frenare le violenze contro gli Ebrei; in seguito autorizzò l’amministrazione di alcune città a prendere dalla comunità ebraica il corrispondente all’ammontare di forti somme di denaro che quelle amministrazioni gli dovevano, così fu in pratica assicurata l’impunità ai saccheggiatori degli averi degli Ebrei. In molti luoghi il clero fece distruggere le sinagoghe e costruire al loro posto chiese cristiane. Gli averi degli Ebrei di cui non si appropriarono i saccheggiatori e in particolare i beni stabili furono divisi fra il governo centrale e le amministrazioni locali. Si calcola che circa 300 comunità ebraiche vennero distrutte in seguito alle violenze dovute alla “peste nera”.
Cessata la furia delle persecuzioni non migliorò la condizione degli Ebrei rimasti o ritornati in Germania, specialmente durante l’impero di Venceslao (1378- 1400). Questi, per incamerare denaro, era solito cedere alle amministrazioni delle città il possesso degli Ebrei, allo stesso modo in cui cedeva altri diritti, come quello allo sfruttamento di miniere. Le città, che avevano bisogno degli Ebrei come prestatori di denaro, aderivano e poi toglievano ad essi gran parte dei loro guadagni. In alcuni casi i debitori degli Ebrei furono dispensati dal dovere di pagarli purché versassero ad amministrazioni locali o al governo parte della somma di cui erano debitori. Gli Ebrei furono poi non di rado, quando una volta ridotti in miseria non erano più fonte di guadagno, espulsi dalle loro residenze e costretti a cercarsi nuove sedi. Le persecuzioni violente non cessarono: specialmente grave per le centinaia di vittime fu quella del 1389 a Praga, occasionata dal fatto che un oggetto sacro ai Cristiani che era in mano di un ecclesiastico fu colpito per caso da terra che ragazzi ebrei si gettavano l’uno all’altro giocando per strada. Siccome il fatto avvenne nel giorno della Pasqua cristiana, l’assalto agli Ebrei venne giustificato dal fatto che gli Ebrei in quel giorno non erano autorizzati ad uscire dalle loro case o dal quartiere da loro abitato. Altre persecuzioni ebbero per pretesto che gli Ebrei non osservavano sempre rigorosamente gli obblighi per distinguersi chiaramente nel vestiario dalla popolazione cristiana.
In alcuni dei paesi confinanti con la Germania propriamente detta, come Austria, Boemia, Ungheria, gli Ebrei, che avevano avuto qualche respiro nel secolo XIII, ebbero poi nel secolo successivo, in seguito alle vicissitudini politiche, sorte non migliore di quella dei loro fratelli.
b) L’organizzazione delle comunità
L’unico aspetto relativamente buono della vita degli Ebrei in questa triste epoca derivava dal fatto che, appunto perché essi erano considerati fuori dalla società e dalla legge, godevano di una notevole autonomia interna nelle comunità organizzate sotto la direzione dei rabbini e dei capi, che risolvevano le controversie fra i membri della comunità e, quando lo ritenevano necessario, emanavano speciali disposizioni ed esercitavano funzioni di polizia e di tutela dell’ordine nei quartieri ebraici e provvedevano alla ripartizione delle tasse imposte dalle autorità, del pagamento delle quali erano responsabili le comunità. Queste poi esigevano, naturalmente, dai loro membri le tasse occorrenti per le necessità delle comunità stesse e i contribuenti eleggevano i vari capi ed amministratori senza ingerenza del governo. Raramente avveniva che controversie nell’interno delle comunità venissero portate davanti alle autorità non ebraiche. Questioni che andavano al di là dei limiti delle singole comunità continuavano ad essere discusse e risolte in riunioni di rappresentanti di varie comunità che avevano interessi comuni (vedi pag. XXX).
Notevoli disposizioni furono emesse contro i delatori, altre per regolare i rapporti commerciali fra Ebrei e fra questi e non Ebrei; altre, parallele a quelle emesse dalle autorità non ebraiche, tendenti a fare sì che gli Ebrei restassero, anche con segni esterni, ben distinti dal resto della popolazione. A capo delle comunità stava un rabbino che era di regola anche il direttore della yeshivà locale. Egli era assistito da altri dotti e da maggiorenti. Egli stesso, o membri influenti della comunità, servivano, quando ciò era necessario, da intermediari fra la comunità e le autorità governative. L’importanza che assunse così il rabbinato fece sì che si rinnovasse la consuetudine, cessata dopo la soppressione dell’antica semichà (vedi vol. I, pag. XXX), che le funzioni rabbiniche venissero esercitate soltanto da chi ne aveva avuto speciale autorizzazione dai suoi Maestri.
c) Gli studi e la letteratura
Due cause contribuirono a far sì che nei tristi tempi di cui abbiamo narrato le vicende principali si verificasse in Germania una grande fioritura di studi talmudici. Da una parte avvenne che gli Ebrei trovarono nello studio della Torà l’unico conforto loro concesso; d’altra parte dato che, come è naturale, le numerose questioni che venivano sottoposte alle decisioni degli organi della comunità andavano risolte secondo lo spirito e le norme del diritto ebraico, fu necessario approfondire lo studio delle fonti di questo e applicarlo alle esigenze determinate dalle condizioni in cui vennero a trovarsi gli Ebrei.
Tra i talmudisti del tempo sono in modo speciale da ricordarsi R. Yitzchàk di Vienna (1180-1260 circa) detto, dal titolo della sua opera rituale, Or Zarùa, e i martiri già ricordati, Meìr di Rothenburg (vedi pag. XXX), allievo di R. Yitzchàk e Mordekhài ben Hillèl, discepolo di Meìr di Rothenburg. Più famoso e importante di tutti è R. Ashèr ben Yechièl (vedi pag. XXX), anch’egli alunno di R. Meìr di Rothenburg che, sfuggito alle persecuzioni, si trasferì in Savoia e poi in Spagna.
All’infuori degli studi talmudici, nel tempo di cui ci occupiamo non furono coltivati in Germania altri studi, e i rabbini si mostrarono contrari non solo allo studio delle scienze profane ma anche a quello della filosofia religiosa ebraica, che fiorì in Spagna, e in particolare alle teorie del Maimonide. Continuarono poi a fiorire le tendenze mistiche ed ascetiche dell’età precedente (vedi pag. XXX). Le sventure e le stragi diedero origine ad una quantità di componimenti liturgici ad esse ispirati e che vi alludevano chiaramente; essi furono specialmente destinati al giorno di Kippùr (selichòt), del 9 di av e degli altri digiuni commemorativi delle sventure nazionali (kinòt). Parecchi di essi sono dovuti a R. Meìr di Rothenburg.
Inghilterra
Come in altri paesi, così pure in Inghilterra gli Ebrei erano considerati schiavi del re e suo possesso. Alla fine del secolo XII il governo, allo scopo di controllare le attività commerciali degli Ebrei affinché questi non potessero sfuggire agli oneri che erano loro imposti, ordinò che tutti i documenti di credito e i conti dovessero essere redatti in doppio esemplare, di cui uno destinato agli archivi di stato. Per il controllo degli affari degli Ebrei fu costituita una speciale magistratura, costituita da Cristiani ed Ebrei, che ebbe pure l’incarico di esigere le tasse e le multe imposte a questi ultimi.
Il re Giovanni senza Terra (1199-1216) confermò e allargò i diritti degli Ebrei che gli sborsarono una forte somma e per qualche tempo tutelò effettivamente i diritti accordati; ma poi impose tasse esorbitanti, l’esazione delle quali avveniva spesso con estrema severità e crudeltà: si narra che ad un ricco Ebreo che resisteva alle pretese esose del governo furono successivamente strappati sette denti fino a che egli cedette. Nella rivolta dei nobili contro il re, quelli, considerando le proprietà degli Ebrei come averi del re, le saccheggiarono senza riguardo, e nella costituzione proclamata nel 1215 molte restrizioni furono imposte agli Ebrei. Tali condizioni indussero molti ad emigrare ed alcuni dotti si trasferirono in Èretz Israèl. Dopo un breve periodo di relativo benessere degli Ebrei durante la reggenza per la minorità di Enrico III, le condizioni peggiorarono sotto questo re (1216-1272).
Le lotte dei nobili contro il re acuirono l’odio contro gli Ebrei, protetti dal re, e la conseguenza fu che la “protezione” che gli Ebrei pagavano a carissimo prezzo al re divenne quasi del tutto inefficace, mentre le pretese del re per accordarla si andavano di mano in mano facendo sempre più gravose e il clero riusciva ad esigere la rigorosa applicazione dei decreti del concilio lateranense del 1215 (vedi pag. XXX). Venne fondato uno speciale istituto per la conversione degli Ebrei e questi si videro costretti ad abbandonare la sontuosa sinagoga che si erano costruiti a Londra e a vederla trasformata in chiesa cristiana. Nel corso di sei anni (1226-1232) le tasse imposte agli Ebrei vennero quasi quintuplicate e in seguito (1239) ogni Ebreo fu costretto a dare un terzo dei suoi averi. Allo scopo di facilitare la riscossione delle tasse fu vietata agli Ebrei la residenza in molti luoghi ed essi furono concentrati in alcune città. Le comunità, che vennero ridotte al numero di venticinque circa, costituivano una organizzazione riconosciuta dal governo, e di questo approfittava il governo rendendola responsabile del pagamento delle tasse dovute dagli Ebrei. A capo di esse stava un funzionario ebreo detto “l’anziano degli Ebrei” che fungeva soprattutto da esattore delle tasse e che fu talvolta ritenuto personalmente responsabile per questo ed obbligato a spogliarsi dei suoi averi per soddisfare alle esigenze del re. Non mancarono poi pure in Inghilterra accuse di omicidio rituale con le solite conseguenze: le pretese vittime furono talvolta santificate; gli accusati vennero talvolta assolti mediante pagamento di forti somme; se messi a morte i loro averi passavano al re. Alcuni Ebrei furono condannati a morte dopo un lungo processo e lunghi anni di prigionia e trascinati al patibolo in mezzo a torture, perché accusati di aver circonciso un bambino cristiano, che essi affermarono di ritenere che fosse ebreo (1230).
Molti Ebrei si proponevano di emigrare, ma questo era vietato dalle leggi se non in seguito all’ottenimento di un permesso speciale. Un permesso collettivo di emigrazione chiesto nel 1254 venne negato. Di quando in quando il re vendeva o affittava gli Ebrei ad altri e quindi quelli venivano a trovarsi alla mercé di questi, che talvolta si mostrarono più umani del re. Alle volte, essendo il re debitore di prestatori stranieri non ebrei, specialmente italiani, il re concesse loro, come estinzione del suo debito, di percepire le tasse dovute dagli Ebrei, e non occorre dire come essi approfittarono della concessione (1265). Gravi violenze e rapine subirono gli Ebrei nel periodo dell’aspra lotta dei nobili contro il re (1262-1266). Essi, privati di ogni mezzo legale per provvedere al loro sostentamento, si videro costretti a cercare di eludere la legge che vietava il prestito ad interesse, includendo questo nel capitale, come del resto solevano fare i prestatori cristiani, ai quali le leggi della chiesa vietavano il prestito ad interesse, o a partecipare ad imprese illecite, come quella della falsificazione delle monete, allora molto diffusa fra i non Ebrei. Nel 1278 parecchie centinaia di Ebrei furono condotti al patibolo a Londra come colpevoli di questo reato. Neppure l’artificio di includere l’interesse nel capitale serviva spesso a garantire agli Ebrei che almeno il capitale sarebbe stato restituito, perché la legge disponeva che, se il debitore cristiano non pagava il debito all’Ebreo, questi non poteva far confiscare averi del debitore per una somma superiore alla metà dell’ammontare del debito. Anche dal punto di vista spirituale non si dava requie agli Ebrei. Non solo essi erano costretti ad ascoltare i discorsi dei domenicani tendenti a convertirli, ma nel 1282 il re ordinò la chiusura di tutte le sinagoghe di Londra che erano rimaste dopo la confisca della sinagoga principale (vedi pag. XXX).
Il papato incoraggiava il clero inglese ad agire per la conversione degli Ebrei, e furono mosse lagnanze perché si tollerava che alcuni di questi cercassero di far tornare all’Ebraismo quelli che, cedendo alle persecuzioni, avevano apostatato e persino che si cercasse di convertire all’Ebraismo Cristiani di nascita. Le sofferenze degli Ebrei in Inghilterra ebbero termine soltanto quando Edoardo I, dopo aver tenuto chiusi in carcere per tre anni numerosi Ebrei per costringerli al pagamento di una forte somma, decretò l’espulsione di tutti gli Ebrei dalla Guascogna, che apparteneva al suo regno, e poi anche da tutta l’Inghilterra (1290). Il decreto fu emanato il 18 luglio e doveva avere esecuzione completa entro il 1° novembre, con minaccia di pena di morte agli Ebrei che fossero rimasti nel paese dopo quella data: i beni stabili, salvo concessioni eccezionali, venivano tutti confiscati, mentre i beni mobili potevano essere venduti o esportati. Molti Ebrei, durante il viaggio per mare alla ricerca di nuove sedi, furono derubati dei loro averi dai capitani delle navi, altri morirono durante il viaggio. I pochi superstiti si stabilirono in Francia, dove però, come già sappiamo, non rimasero a lungo (vedi pag. XXX).
Polonia e Lituania
Il centro ebraico di Polonia si formò e andò sviluppandosi a partire dal secolo XII, per opera di profughi dalla Germania, in seguito alle gravi persecuzioni di cui furono vittime gli Ebrei dal periodo delle Crociate in poi. Essi vi portarono la loro esperienza commerciale e contribuirono allo sviluppo economico del paese. Scarse sono le notizie fino alla metà del secolo XIII. Nel 1264, Boleslao, principe di Kalish, stabilì ufficialmente le norme relative agli Ebrei, plasmate in gran parte su quelle che vigevano in Germania e nei paesi vicini prima delle persecuzioni. Ampi diritti ed autonomie furono concessi agli Ebrei, senza tener conto delle restrizioni stabilite dalla Chiesa, che allora non era molto potente in Polonia. Notevole, fra l’altro, che non solo fossero vietati i battesimi forzati e le condanne per omicidi rituali non rigorosamente provati da testimonianze precise, ma era anche minacciata la pena di morte per gli accusatori quando fosse provata la calunnia. Contro questa tolleranza si sollevò il clero, incoraggiato dal papa, e in numerose riunioni di ecclesiastici furono stabilite e anche aggravate le restrizioni vigenti in altri paesi, con la motivazione che, non avendo il Cristianesimo ancora profonde radici in Polonia, era tanto più necessario difendersi dalle influenze degli Ebrei. Non sappiamo se e quali effetti abbia avuto questa azione. La scarsità delle notizie non ci permette neppure di stabilire quali comunità esistessero alla fine del secolo XIII: sappiamo che mancava quasi completamente la cultura ebraica e che, sia per l’istruzione elementare che per l’esercizio di funzioni rituali e la soluzione di quesiti, si doveva ricorrere a Maestri e dotti della Germania.
Le persecuzioni del secolo XIV accrebbero la popolazione ebraica in Polonia. Unificatasi la Polonia in un solo regno, Casimiro il grande (1333-1370) che in genere favorì l’immigrazione dalla Germania anche di non Ebrei, estese a tutto il regno le disposizioni di Boleslao e le confermò in modo speciale in alcune province: agli Ebrei fu lasciata ampia libertà di commercio e di movimento e non pochi di essi acquistarono ed ebbero cariche di stato. Alcune limitazioni furono però loro imposte nella regione della Piccola Polonia per iniziativa di possessori di terreni della zona (1347), istigati probabilmente dal clero. Anche in Polonia si ebbero persecuzioni e massacri in seguito allo scoppiare della peste nera (vedi pag. XXX), ma pare che esse si siano limitate alle regioni limitrofe alla Germania.
Nel secolo XIV esistettero comunità importanti per lo meno a Cracovia, Posen, Kalish, Levov (Leopoli): gli Ebrei abitavano in quartieri speciali, ma non erano segregati dal resto della popolazione. Tentativi di aggravare le restrizioni, che non ebbero effetto durante il regno di Casimiro, che, secondo notizie di cui non si può stabilire il valore, avrebbe avuto da una donna ebrea figli ebrei, ebbero invece conseguenze, ma a quanto pare non molto gravi, durante il regno di Lodovico d’Angiò (1370-1382) e soprattutto sotto Ladislao II Jagellone (1386-1434), diffusore del Cristianesimo ed estirpatore del paganesimo in Polonia: la sua politica verso gli Ebrei ondeggiò fra l’ossequio alla Chiesa e le necessità economiche del paese che lo spingevano a favorire gli Ebrei. Nel 1399 è da registrare a Posen una persecuzione per accusa di profanazione di ostia che condusse al rogo il rabbino della comunità e un buon numero dei suoi maggiorenti.
In Lituania, dove pure fiorirono parecchie comunità, la condizione degli Ebrei continuò ad essere buona anche dopo che in Polonia, con la quale era collegata avendo in comune il re, cominciò a spirare, come abbiamo visto, un vento non favorevole.
Impero bizantino
Pochissimo sappiamo della storia degli Ebrei nell’impero bizantino nei secoli XIII e XIV. Dopo che gran parte dell’impero venne conquistato dai Crociati e si fondò l’impero latino, gli Ebrei furono soggetti contemporaneamente all’odio dei conquistatori, del tutto ligi alle disposizioni della Chiesa, e dei Greci a loro soggetti. Anche nelle parti dell’impero che rimasero soggette ai Greci gli Ebrei furono perseguitati. Le condizioni migliorarono alquanto dopo che l’impero latino di Costantinopoli venne abbattuto da Michele Paleologo (1261). Nulla di preciso sappiamo sulla sorte degli Ebrei nel periodo di decadenza e smembramento dell’impero bizantino, durante il quale esso cadde in gran parte in mano della repubblica di Venezia e dei Turchi, e quella dominò sulle isole e questi su gran parte dell’Asia Minore. Le conquiste turche furono in genere viste dagli Ebrei come una liberazione e i Turchi musulmani videro negli Ebrei loro alleati contro i Greci cristiani. Lo stesso avvenne anche quando buona parte della penisola balcanica cadde in mano dei Turchi: particolarmente importante, anche dal punto di vista spirituale e degli studi, fu la comunità di Adrianopoli.
Russia
Anche per questo paese sappiamo pochissimo e non abbiamo notizie sulle ripercussioni che ebbero sugli Ebrei gli sconvolgimenti che agitarono i paesi posti sulle rive del Mar Nero e del Mar Caspio in conseguenza delle conquiste dei Genovesi, dei Tartari e dei Mongoli. Diventate quelle regioni importantissime per gli scambi commerciali fra Europa e Asia, aumentò in esse, soprattutto per immigrazioni dall’impero bizantino, la popolazione ebraica formata in parte da Karaiti, specialmente in Crimea.
Asia e Africa
Quasi nulla sappiamo di quello che avvenne in Egitto, Siria ed Èretz Israèl durante il dominio dei successori di Saladino e di quello dei Tartari, dei Mamelucchi e dei Mongoli durante il secolo XIII. Nelle regioni occidentali dell’Africa settentrionale erano, a quanto pare, rigorosamente osservate le norme che tendevano a tenere gli Ebrei in condizioni di grave inferiorità di fronte al resto della popolazione. La visita al Cairo di un ministro musulmano (1301) che si mostrò sdegnato della libertà di cui godevano Ebrei e Cristiani in Egitto indusse il sultano di questo paese ad emanare norme restrittive gravose, ma pare che, ad eccezione di quelle che riguardavano le tasse, esse non siano state in seguito applicate rigorosamente. In Èretz Israèl, Gerusalemme era in condizioni di estrema miseria e desolazione, e ad essa continuavano ad affluire pellegrini in occasione delle grandi festività. Migliori condizioni economiche si avevano nell’interno della Galilea dove gli Ebrei si occupavano soprattutto di manifatture e nella regione costiera dove, specialmente a Giaffa e Akko, essi avevano grande parte nel commercio con l’estero.
Anche in Egitto e in Èretz Israèl la popolazione ebraica fu agitata dalle lotte fra sostenitori e oppositori del Maimonide, i discendenti del quale occuparono in Egitto la carica di naghìd (vedi pag. XXX) che però aveva perduto molta della sua importanza.