Capitolo 5 – Gli Ebrei d’Europa nell’età delle Crociate
Le fonti
Francia e Germania durante la prima crociata
Francia e Germania durante la seconda crociata
Francia dopo la seconda crociata
Germania e paesi vicini dopo la seconda crociata: a) Germania; b) Austria; c) Boemia; d) Ungheria
Inghilterra
Conseguenze generali delle crociate
Gli studi e la letteratura in Francia settentrionale e Germania: a) Talmud e ritualistica; b) Morale; c) Poesia; d) Storia e relazioni di viaggi
Europa orientale
Italia: a) Italia centrale e settentrionale; b) Italia meridionale e Sicilia; c) Gli studi e la letteratura
Penisola iberica: a) La Spagna musulmana; b) La Spagna cristiana
Gli studi e la letteratura presso gli Ebrei di Spagna: a) Generalità; b) Moshè ibn Ezrà, c) Yehudà Halevì; d) Avrahàm ibn Ezrà; e) Moshè ben Maimòn; f) Yehudà al Charizi; g) Altri scrittori
Gli studi e la letteratura in Francia meridionale e Provenza: a) Generalità; b) te della famiglia Kimchì; c) Ritualisti; d) I Tibbonidi
Penisola balcanica
Le fonti
Molte notizie si desumono dalle cronache di Avrahàm ibn Davìd (vedi pag. XXX), da opere di scrittori ebrei che narrarono delle persecuzioni come Eli’èzer ben Natàn di Magonza, Efràim di Bonn (vedi pag. XXX), Yosèf Hakohèn (vedi pag. XXX), da cronisti cristiani contemporanei agli avvenimenti e da fonti storiche generali del periodo. Notizie importanti sugli Ebrei nei paesi da loro visitati si rilevarono dalle relazioni di viaggi di Binyamìn da Tudela (vedi pag. XXX) e Petachyà di Ratisbona (vedi pag. XXX).
Particolari sulle condizioni interne delle comunità ebraiche e sui rapporti tra Ebrei e non Ebrei si desumono, sparsi qua e là, dai responsi rituali dell’epoca.
Francia e Germania durante la prima crociata
Quando, in seguito alla decisione di papa Urbano II e alla predicazione di Pietro di Amiens, le popolazioni cristiane d’Europa decisero di andare a combattere contro i Musulmani per togliere loro il sepolcro di Gesù e il dominio su Gerusalemme (1096), si formarono delle bande che mossero all’impresa. Gli Ebrei ebbero molto a soffrire a causa di queste, perché capi fanatici di quelle bande istigarono i loro componenti a gettarsi sugli Ebrei, saccheggiarli e trucidarli se non avessero accettato il battesimo e a indurre gli abitanti dei vari paesi ad unirsi a loro e a seguire il loro esempio, perché prima di lottare contro gli “infedeli” dei paesi lontani occorreva annientare gli “infedeli” dei paesi vicini. Si dice che Goffredo di Buglione abbia giurato che non sarebbe partito per l’impresa prima di aver vendicato il sangue di Gesù sugli Ebrei e non li avesse del tutto annientati. Gravi violenze ebbero luogo anzi tutto a Rouen dove furono trucidati tutti gli Ebrei che non aderirono all’apostasia. In Francia pare non ci siano state altre violenze di particolare gravità, che invece furono compiute nei paesi renani e in Germania. Gli Ebrei di Lorena, spaventati di quel che era avvenuto a Rouen, si rivolsero all’imperatore Enrico IV, allora in Italia: egli vietò ai suoi sudditi di usare atti di violenza contro gli Ebrei, ma non fu ascoltato, e fra la primavera e l’estate del 1096 molte migliaia di Ebrei furono trucidati. Proprio a Spira, dove le condizioni degli Ebrei erano particolarmente buone, cominciarono le violenze e, per quanto il vescovo stesso fosse intervenuto a difendere gli Ebrei, molti di essi vennero uccisi; il vescovo punì alcuni colpevoli e accolse gli Ebrei nel suo palazzo e in alcune fortezze. Anche a Worms, appena giunta notizia di quel che era avvenuto a Spira, il vescovo procurò rifugio agli Ebrei, ma ciononostante molte stragi furono commesse e solo in pochi riuscirono a salvarsi accettando in apparenza il Cristianesimo. Le bande invasero perfino il palazzo del vescovo e vi trovarono solo i cadaveri degli Ebrei, perché questi si erano dati la morte essi stessi per non cadere in mano dei nemici. A Magonza il conte stesso, capo della città, guidò i crociati contro gli Ebrei: questi ottennero con denaro protezione dal vescovo, si fortificarono nel suo palazzo e si opposero a mano armata alle violenze degli assalitori, ma ebbero la peggio: quasi tutti furono uccisi o si diedero essi stessi la morte. Il capo degli Ebrei, Kalonimos, riuscì momentaneamente a salvarsi con altri pochi, ma poi furono anche questi trucidati perché rifiutarono il battesimo.
A Colonia, proprio nel primo giorno di Shavu’òt (30 maggio) furono commesse stragi e rapine e vennero profanati e calpestati i libri della Torà. Lo stesso avvenne in altri luoghi; a Ratisbona numerosi Ebrei furono con la violenza immersi nel Danubio a scopo di battesimo. S’intende che, appena partiti i crociati, tutti coloro che avevano commesso apostasia cedendo alla violenza tornarono a praticare pubblicamente l’Ebraismo. L’imperatore Enrico IV, tornato dall’Italia (1097) li autorizzò esplicitamente ad abbandonare il Cristianesimo.
Anche la Boemia fu sede di violenze. A Praga, nonostante l’opposizione del vescovo, furono uccisi molti Ebrei che si opposero al battesimo forzato. Ai superstiti, che decisero di emigrare in Polonia o in Ungheria, il principe vietò di portare con sé i loro averi e confiscò le case da loro abbandonate (1098).
Francia e Germania durante la seconda crociata
In seguito alla decadenza e successiva caduta, dopo alcuni anni di esistenza, del regno cristiano di Gerusalemme (vedi pag. XXX), il papa Eugenio III bandì una nuova crociata (1146-1147) a capo della quale fu il re di Francia Luigi VII e alla quale prese parte l’imperatore Corrado III. Il papa prosciolse dal pagamento dei debiti coloro che partecipassero alla crociata e questa disposizione colpì in modo particolare gli Ebrei molti dei quali, essendo loro preclusa quasi ogni altra occupazione, esercitavano quella di banchieri e prestatori di denaro. Monaci fanatici eccitarono il popolo a violenze analoghe a quelle della prima crociata e i governi a confiscare i beni degli Ebrei per provvedere alle spese delle crociate. I governi non seguirono questo consiglio e il papa e alcuni ecclesiastici si dichiararono anche contrari alle violenze a danno degli Ebrei, ma questo non impedì che tali violenze venissero commesse, come avvenne per esempio a Colonia e a Spira (1146) dove caddero numerose vittime. In alcuni luoghi gli Ebrei riuscirono, col denaro, a ottenere da feudatari e vescovi protezione e diritto di difendersi con le armi in caso di assalto. Gravi violenze contro gli Ebrei, accusati falsamente dell’uccisione di un Cristiano che fu trovato morto, avvennero a Wurzburg (febbraio 1147) e a decine furono uccisi. Durante la marcia degli eserciti dell’imperatore di Francia verso l’Oriente gli Ebrei furono assaliti dalla popolazione in varie città della Francia. Tra altro, si narra che a Ramerupt, nel secondo giorno di Shavu’òt, riuscì a stento a salvarsi, per intercessione di un personaggio influente, Rabbènu Tam (vedi pag. XXX). Passati gli eserciti, gli Ebrei sfuggiti alle stragi uscirono dai loro nascondigli e tornarono a professare pubblicamente l’Ebraismo.
Francia dopo la seconda crociata
Sotto il regno di Luigi VII le condizioni degli Ebrei, prescindendo da atti di violenza come quelli a cui abbiamo accennato sopra, non erano cattive; le comunità godevano di larghe autonomie, erano dirette da rabbini e maggiorenti e non pochi Ebrei raggiunsero notevole prosperità economica. Ma fin dai tempi di Luigi VII, che pure si mostrò in genere disposto a difendere gli Ebrei, odi religiosi e rivalità commerciali peggiorarono la situazione di questi.
Nel 1171 si ebbe a Blois un caso di calunnia di omicidio rituale (vedi pag. XXX). Un servo del capo della città, avendo visto nei pressi della Loira un Ebreo che aveva in mano un oggetto bianco, riferì al suo padrone che un Ebreo aveva gettato un bambino nel fiume. Il prefetto della provincia fece imprigionare tutti i membri della comunità e poi, in seguito ai risultati della prova usuale nel Medio Evo e conosciuta col nome di “giudizio di Dio”, furono rinchiusi in un fabbricato di legno e invitati ad apostatare. Avendo rifiutato, furono arsi vivi mentre recitavano la preghiera ’Alènu Leshabbèach. Il giorno 20 di sivàn (26 maggio), in cui il fatto avvenne fu, per ordine di Rabbènu Tam (vedi pag. XXX), proclamato giorno annuale di digiuno per gli Ebrei di Francia e di Inghilterra. Dopo questo avvenimento il re dispose che per l’avvenire non fossero condannati gli Ebrei per omicidi di cui non si conoscesse l’autore e ordinò ai funzionari dello stato di proteggere la vita e gli averi degli Ebrei. Ma il successore di Luigi VII, Filippo Augusto (1180-1223) che prestò fede a calunnie antiebraiche che Cristiani fanatici diffondevano, fu un persecutore degli Ebrei. Avendo bisogno di denaro per sopperire alle spese dello stato, poco dopo essere salito al trono (marzo 1181) ordinò l’arresto, di sabato, di tutti i ricchi Ebrei di Parigi che si trovavano nella sinagoga, e li liberò solo dopo il pagamento di ingente somma di denaro. Alcuni mesi dopo prosciolse dal pagamento dei debiti tutti i debitori degli Ebrei a condizione che un quinto dell’ammontare delle somme dovute fosse versato alla cassa dello stato. L’anno successivo (aprile 1182) ordinò che tutti gli Ebrei residenti nei suoi possessi li abbandonassero entro tre mesi autorizzandoli ad esportare i beni mobili ma a lasciare, senza diritto ad indennizzo, i terreni e le case di loro proprietà, che vennero confiscati a favore dello stato. Le sinagoghe vennero trasformate in chiese cattoliche. Gli esuli furono bene accolti dai feudatari della regione di Champagne che erano in lotta col re, ma non sfuggirono interamente alle persecuzioni di questo: un pretesto servì al re per mettere gli Ebrei della città di Bray sulla Senna, in Champagne, nell’alternativa di apostasia o morte: non avendo voluto apostatare, un centinaio ne furono arsi vivi e solo i bambini vennero sottratti all’eccidio (1191).
Avendo, come al solito, bisogno di denaro, Filippo Augusto permise (1198) agli Ebrei espulsi nel 1182 di tornare nei suoi possessi e impose a loro gravissime tasse. Per assicurarsi che gli Ebrei non sfuggissero a queste, fissando la loro residenza in luoghi dove dominavano i feudatari, impose a questi di non accogliere gli Ebrei che prima risiedevano nei suoi possessi diretti, impegnandosi d’altro lato a consegnare a loro quelli, prima residenti presso di loro, che si trasferissero nei suoi possessi. Così gli Ebrei diventarono come possesso del re o dei feudatari e fu tolta loro la libertà di scegliere il luogo di residenza.
Migliori furono le condizioni degli Ebrei nella Francia meridionale e in Provenza, dove i feudatari e i vescovi si mostrarono benevoli verso di loro e dove le comunità, tra cui specialmente notevole quella di Tolosa, ottennero anche, mediante pagamento di denaro, di liberarsi dall’obbligo di sottoporre i loro capi ad atti umilianti nella settimana precedente la Pasqua cristiana.
Nella Francia meridionale gli Ebrei poterono dedicarsi a professioni diverse da quella di prestatori di denaro, e non pochi di essi si occupavano di agricoltura coltivando terreni di loro proprietà o presi in affitto, o avuti in pegno da feudatari loro debitori. Talvolta fu dai feudatari affidata ad Ebrei la riscossione delle tasse e alcuni Ebrei furono addirittura nominati ad uffici pubblici importanti. Alcuni signori però imposero come obbligo ai loro eredi di non nominare Ebrei a cariche pubbliche.
Una delle comunità più importanti del territorio, Narbona, decadde notevolmente perché, in seguito ai dissidi tra i feudatari, tutta la popolazione ebbe a soffrire e specialmente gli Ebrei, molti dei quali si trasferirono in altre citta. Tra le altre comunità di una certa importanza sono da ricordarsi Beziers, Montpellier, Marsiglia.
Germania e paesi vicini dopo la seconda crociata
a) Germania
Sotto l’impero di Federico Barbarossa (1142-1190), che partecipò alla terza crociata, gli Ebrei non ebbero a soffrire in modo particolare; col denaro riuscirono ad ottenere protezione; tentativi di violenza da parte dei partecipanti alla nuova crociata vennero sventati e Ebrei delle città renane che, impauriti a causa di quanto era avvenuto in occasione delle crociate precedenti, erano fuggiti o si erano nascosti, tornarono indisturbati alle loro sedi. L’importanza che gli Ebrei avevano acquistato nel campo economico aveva dimostrato all’imperatore e ai feudatari che le persecuzioni contro di loro si risolvevano in danno per il paese e quindi i sovrani agirono come protettori degli Ebrei, considerati come loro proprietà (vedi pag. XXX). Federico Barbarossa confermò esplicitamente gli antichi diritti degli Ebrei di varie comunità e ne riconobbe dei nuovi, e come compenso di questi impose loro gravi tasse speciali. Sotto il regno di Enrico VI, successore di Federico, si ebbe a Spira (1195) una calunnia di omicidio rituale seguita da gravi atti di violenza e massacri per opera della folla, ai quali assistette impassibile il vescovo; ma l’imperatore e il duca Ottone suo fratello punirono severamente i colpevoli e lo stesso avvenne in conseguenza di disordini e uccisioni da parte dei partecipanti alla quarta crociata. Le autorità non riuscirono però a impedire gravi atti di violenza che avvennero presso Colonia (1187) come vendetta per l’uccisione di una ragazza cristiana compiuta da un Ebreo pazzo.
b) Austria
Solo a partire dal periodo che stiamo studiando si hanno notizie su Ebrei in questo paese. Alla fine del secolo XII esisteva una comunità ebraica a Vienna, e alcuni Ebrei occuparono cariche pubbliche importanti. Il duca Federico I condannò a morte due partecipanti alla quarta crociata (1196) che insieme con altri depredarono ed uccisero un ricco Ebreo di nome Shelomò che era al servizio del duca Leopoldo V, predecessore di Federico.
c) Boemia
Dopo le violenze durante le prime crociate, gli Ebrei riuscirono a risollevarsi, e nella seconda metà del secolo XII, Praga diventò un importante centro ebraico.
d) Ungheria
In questo paese vivevano senza dubbio Ebrei almeno fino dagli ultimi tempi dell’età antica, ma notizie particolari non si hanno che dal tempo delle crociate, quando vi si stanziarono dei fuggitivi dalla Germania e dalla Boemia. Gli Ebrei erano soggetti alle solite restrizioni; ma il governo si oppose alle violenze dei crociati. Tra le comunità ebraiche più importanti che si formarono sono specialmente da ricordare Buda, Pressburg, Tirana###Tirana? Non mi sembra ci sia una città ungherese con questo nome.
Inghilterra
Nulla si sa di Ebrei in questo paese prima della seconda metà del secolo XI, in cui si organizzarono gruppi provenienti da altri paesi e specialmente dalla Francia per ragioni di commercio. L’afflusso di Ebrei nelle isole britanniche si fece più intenso dopo la conquista normanna (1066). Le prime comunità importanti si formarono a Cambridge e a Oxford e più tardi a Londra. La popolazione venne poi accresciuta dai fuggitivi dalla Francia e dalla Germania scampati alle violenze dei crociati. Il re Enrico I (1100-1135) stabilì delle condizioni abbastanza favorevoli per gli Ebrei: libertà di risiedere dove volessero e di trasferire i loro averi con esenzione di tasse; autorizzazione di commerciare in qualunque genere di merce, salvo che in oggetti sacri per i Cristiani; autonomia giudiziaria per le questioni fra Ebrei. Come compenso di tali concessioni essi furono assoggettati a gravi tasse, e ai prestatori di denaro fu imposto di fornire al re qualunque somma venisse loro richiesta e per il tempo da lui voluto. Non pochi Ebrei raggiunsero notevole ricchezza e si costruirono sontuosi palazzi, il che, come al solito, suscitò l’invidia della popolazione dominante, con la conseguenza che essi furono soggetti ad estorsioni arbitrarie. Così, per esempio, Enrico I pretese una forte somma di denaro dagli Ebrei di Londra col pretesto che un medico ebreo non avesse curato bene un Cristiano venuto a morte (1130); Enrico II (1154-1189) decretò che, alla morte di un creditore Ebreo, i suoi crediti passassero non ai suoi eredi, ma allo stato; a garanzia del pagamento di tasse imposte alle comunità furono talvolta trattenuti come ostaggi i loro capi; in occasione della terza crociata (1188) fu imposta agli Ebrei una tassa pari all’ammontare di un quarto dei loro averi, mentre i Cristiani erano obbligati a pagare solo un decimo del valore dei loro beni mobili.
In genere, l’influenza della Chiesa e del clero cristiano non era in Inghilterra molto forte e così non ebbero luogo violenze contro gli Ebrei durante le due prime crociate, ed anzi vi poterono trovare rifugio alcuni degli scampati dalla Francia e dalla Germania. Un’accusa di omicidio rituale, la prima di cui si abbia notizia, venne formulata nel 1146 e sostenuta anche da un Ebreo apostata. L’apostata dichiarò che ogni anno, prima di Pasqua, gli Ebrei estraggono a sorte chi debba essere la loro vittima. Com’è noto, la calunnia che gli Ebrei adoperino sangue cristiano per la preparazione delle azzime venne poi ripetuta numerose volte attraverso i secoli, fino ai nostri giorni. La calunnia non fu quella volta accolta dalle autorità, ma non sempre però queste riuscirono ad impedire atti di violenza contro gli Ebrei, dovuti a motivi religiosi o di concorrenza commerciale. Tuttavia la condizione degli Ebrei in Inghilterra continuò ad essere generalmente buona per qualche tempo e vi trovarono rifugio molti degli espulsi dalla Francia da Filippo Augusto (vedi pag. XXX). Ma le cose cambiarono durante la terza crociata (1189-1190): allora gli Ebrei d’Inghilterra furono soggetti a una sorte analoga a quella a cui furono soggetti i loro fratelli di Francia e di Germania al tempo delle due prime crociate.
Il primo segno dell’inizio di persecuzioni contro gli Ebrei si ebbe quando non fu concesso ai loro rappresentanti di prendere parte alla cerimonia di incoronazione di Riccardo Cuor di Leone, successore di Enrico II (1189). Due membri della delegazione che riuscirono ad entrare nel luogo della cerimonia furono malmenati e cacciati fuori; subito si diffuse la falsa notizia che il re aveva ordinato l’annientamento degli Ebrei, e a Londra ebbero luogo stragi di questi e rapine dei loro averi. Una delle vittime fu il rabbino Ya’akòv di Orléans, allievo di Rabbènu Tam (vedi pag. XXX). Gli inviati del re che cercarono di impedire il proseguire degli atti di violenza non furono ascoltati e corsero essi stessi pericolo di cadere vittime della folla eccitata contro gli Ebrei. Il re avrebbe voluto punire i colpevoli, ma non fu possibile identificarli e raggiungerli. L’ordine dato dal re di non molestare oltre gli Ebrei non impedì che nuove violenze venissero commesse in altri centri e che si facessero più gravi dopo che Riccardo fu partito per la crociata (principio del 1190). Esse giunsero al culmine a York: gli Ebrei si erano chiusi in un palazzo e la folla, istigata da membri del clero e composta in gran parte di crociati, vi pose assedio. Gli Ebrei assediati, quando videro impossibile continuare la resistenza per mancanza di viveri, seguirono il consiglio del rabbino Yom Tov di Joigny e, distrutti i loro averi, si diedero quasi tutti la morte reciprocamente (Shabbàt Hagadòl, 17 marzo 1190). Il giorno dopo i pochi superstiti aprirono le porte del palazzo e si dichiararono disposti a farsi battezzare, ma questo non servì a salvarli: la folla, entrata nel palazzo, ne fece strage. Neppure questa volta fu possibile punire i colpevoli come dichiarò di voler fare il prefetto della provincia.
Le comunità ebraiche d’Inghilterra furono poi gravate di fortissime tasse per sopperire alle spese della crociata, e queste si fecero ancora più gravose dopo che il re, di ritorno dalla crociata, fu fatto prigioniero in Germania: agli Ebrei fu imposta una parte della somma necessaria per il riscatto del tutto sproporzionata a quella che venne versata dalla popolazione cristiana, e nuove vessazioni furono imposte dopo il ritorno del re.
Conseguenze generali delle crociate
Le violenze commesse dai crociati e dai loro seguaci contro gli Ebrei ebbero per conseguenza l’accentuarsi dell’avversione di questi contro i Cristiani, non considerati più soltanto come seguaci di una religione diversa che per indurre gli Ebrei ad abbracciarla limitavano i loro diritti e cercavano di rendere la loro vita impossibile, ma come crudeli nemici che miravano a fare strage di loro. La separazione fra Ebrei e Cristiani si fece ancora più netta che in passato, i rapporti fra di loro meno frequenti e ispirati a sentimenti di sospetto e di odio; i quartieri ebraici diventarono quasi piccoli comuni con amministrazione propria. Gli Ebrei convertiti per forza al Cristianesimo e poi, come fecero i più, tornati all’Ebraismo furono particolarmente odiati dai Cristiani e non sempre bene accolti fra gli Ebrei che non avevano mai ceduto e che vedevano in loro quasi dei traditori, per quanto le autorità rabbiniche avessero in generale vietato di ricordare loro la propria apostasia. I pochi Ebrei che finirono per aderire completamente al Cristianesimo e che non tornarono ai loro fratelli una volta passato il pericolo si fecero essi stessi strumento in mano al clero nella sua lotta contro gli Ebrei e non di rado presero parte a sostegno del Cristianesimo a discussioni che spesso avvenivano e fornirono ai nemici degli Ebrei elementi di cui si potessero servire nella discussione.
Le condizioni di pericolo in cui sentirono di trovarsi gli Ebrei ebbero poi anche per conseguenza il formarsi di associazioni fra varie comunità, i rabbini delle quali discussero problemi di interesse generale e presero importanti decisioni. Particolarmente importante fu l’associazione delle comunità di Spira, Worms e Magonza, le decisioni della quale, in tempi alquanto posteriori, sono note come Takkanòt Shum (parola formata dalle iniziali dei nomi delle tre comunità).
Gli studi e la letteratura in Francia settentrionale e Germania
a) Talmud e ritualistica
Gli studi ebraici furono concentrati prevalentemente sul Talmud; dalla famiglia e dalla scuola di Rashì nacque la scuola dei Tosafisti, autori di Tosafòt, “aggiunte”, che consistono specialmente in spiegazioni di passi talmudici per i quali non parve esatta o sufficiente l’interpretazione di Rashì e in discussioni tendenti a risolvere contraddizioni apparenti che si notano nella letteratura talmudica. Tra i più antichi tosafisti della famiglia di Rashì sono da ricordare R. Meìr, suo genero e i due figli di questo: R. Ya’akòv detto Rabbènu Tam e R. Shemuèl (Rashbàm, cioè Rabbènu Shemuèl ben Meìr). Quest’ultimo completò anche il commento del nonno al quale mancavano alcune parti e scrisse un conciso commento letterale alla Torà. Altro tosafista di cui sono conservate molte interpretazioni è R. Yitzchàk Hazakèn (il vecchio), figlio di R. Shemuèl. Le interpretazioni di questi e di molti altri Maestri, date da loro oralmente nelle yeshivòt nelle quali si radunavano i dotti e i loro studenti, furono poi messe per iscritto in raccolte, molte delle quali sono giunte fino a noi: una di queste, detta Tosafòt per antonomasia, è stampata, oltre al commento di Rashì, in quasi tutte le edizioni del Talmud.
Dalla scuola di Rashì nacquero anche varie compilazioni rituali e liturgiche, nelle quali sono conservati insegnamenti di lui e dei suoi scolari. Non occorre dire poi che di lui stesso e di suoi discepoli si hanno numerosi responsi (teshuvòt) a quesiti a loro rivolti.
b) Morale
Tra gli autori di opere morali è da ricordare R. Yehudà Hechassìd (1150-1210 circa) a cui si attribuisce il libro assai noto e popolare detto Sèfer Hachassidìm, che contiene però, a quanto pare, anche aggiunte posteriori. Questo libro si propone di indirizzare il lettore ad una vita ispirata all’amore di Dio e del prossimo in tutte le sue manifestazioni. I suoi insegnamenti sono fondati su quelli della Torà, dei Profeti e dei Maestri e si ispirano, in alcuni particolari, a tendenze mistiche ed ascetiche.
c) Poesia
I sentimenti di dolore, di rassegnazione, di sdegno, di speranza in un avvenire migliore e nella futura redenzione nati dalle persecuzioni furono espressi in numerosi componimenti poetici, destinati specialmente ad essere inseriti nella liturgia dei giorni del 9 di av e di Kippur. Autori di essi sono molti dei dotti che abbiamo menzionati in precedenza. Uno dei più famosi di questi componimenti, che ha inizio con le parole Unetannè Tòkef, tuttora recitato nei giorni di Rosh Hashanà e Kippùr dagli Ebrei di rito italiano e tedesco e anche da alcuni di rito spagnolo, è attribuito a un certo R. Amnon di Magonza. Di lui si narra che, mutilato e martoriato per non avere voluto accettare il Cristianesimo, si fece portare nel giorno di Rosh Hashanà al bet hakkenèset e collocare presso l’ufficiante durante la tefillà di Musàf e che, quando questi fu giunto alla Kedushà, lo pregò di permettergli di “santificare il nome di Dio”, recitò la sua composizione ed esalò l’ultimo respiro: apparso in sogno qualche giorno dopo ad un grande rabbino, gli dettò il suo componimento e lo incitò a diffonderlo nei vari paesi della Diaspora.
d) Storia e relazioni di viaggi
Descrizioni di particolari sulle persecuzioni furono composte da Eli’èzer ben Natàn di Magonza e da Efràim di Bonn. Il primo ci narra delle stragi del 1096 (note col nome di Ghezeròt Tatnù; persecuzioni dell’anno ebraico 4856); il secondo delle persecuzioni successive durante gli anni 1146-1196. Altri racconti sulle persecuzioni nell’epoca della prima crociata furono scritti da Shelomò ben Shim’òn di Magonza e da un autore anonimo: questi due ultimi scritti, rimasti sconosciuti per molto tempo, vennero scoperti e pubblicati soltanto negli ultimi decenni del secolo scorso.
Notizie storiche, mescolate con molte leggende, su varie comunità ebraiche sono dovute a Petachyà di Ratisbona che, negli anni 1170-1180, visitò Boemia, Polonia, Russia, Crimea, Caucaso, Mesopotamia, Siria, Èretz Israèl.
Europa orientale
a) Polonia
Le persecuzioni degli Ebrei in Germania determinarono il formarsi di una forte corrente migratoria verso oriente, e così si costituirono notevoli centri ebraici in Polonia, dove in genere gli Ebrei trovarono protezione ed appoggio dal governo, che talvolta sancì gravi pene contro chi commettesse violenze contro di loro. Verso la fine del secolo XII fu affidato agli Ebrei il conio delle monete, e si conservano alcune di queste con incisioni in lettere ebraiche. Si stanziarono Ebrei in tutte le parti della Polonia, e anche in Slesia, su cui dominarono principi polacchi. Verso il 1200 esisteva presso Breslavia un villaggio abitato interamente da Ebrei.
b) Russia
Il gruppo di Ebrei che si era stanziato nel principato di Kiev (vedi pag. XXX) continuò a svilupparsi e la sua importanza è dimostrata dal fatto che gli Ebrei parteciparono a sconvolgimenti politici che vi ebbero luogo. Anche in Russia, dove emigrarono profughi dalla Germania, gli Ebrei ebbero notevole parte nella vita economica del paese e nel commercio del denaro. Ad Ebrei fu affidata anche la riscossione delle tasse, il che suscitò contro di loro l’avversione della popolazione. Gli Ebrei abitavano, a quanto pare, in quartieri speciali.
In Crimea si ha notizia di stanziamenti di Karaiti.
Italia
a) Italia centrale e settentrionale
Le crociate, che causarono tanto danno e tanto spargimento di sangue nell’Europa centrale e settentrionale, non influirono sugli Ebrei di Roma, capitale del Cattolicesimo da cui le crociate erano state bandite, e del resto d’Italia.
Il Papato e il clero erano occupati nelle lotte contro l’impero e in lotte interne fra i papi e antipapi e gli Ebrei furono lasciati tranquilli. Ebrei influenti di Roma, avuta notizia degli eccessi antiebraici di Francia e di Germania, si fecero rappresentanti e difensori dei loro sventurati fratelli e riuscirono ad ottenere dai papi lettere che raccomandavano la moderazione, che non produssero però generalmente effetti notevoli. I papi furono in genere protettori degli Ebrei, proibirono conversioni forzate e atti di violenza; nuove disposizioni contro gli Ebrei non furono prese e le antiche, per quanto non abrogate, non furono applicate con grande rigore; concessioni precedenti furono confermate. Gli Ebrei continuarono ad essere sottoposti a gravi tasse annuali e a imposizioni speciali in occasione dell’insediamento dei papi e in altre circostanze straordinarie. Un discendente della famiglia apostata dei Pierleoni (vedi pag. XXX) nel tempo delle lotte fra papi e antipapi fu sostenuto da uno dei partiti ed occupò per alcuni anni il seggio pontificio col nome di Anacleto II (1130-1138) prevalendo sul suo concorrente Innocenzo II. Quando quest’ultimo divenne poi papa dopo la morte di Anacleto, non rinnovò, come avevano fatto i suoi predecessori, le concessioni a favore degli Ebrei, ma ciononostante la condizione di questi non peggiorò. Alessandro III (1149-1181) ebbe come suo ministro delle finanze un Ebreo di nome Yechièl, nipote di R. Natàn autore del ’Arùkh (vedi pag. XXX). Radunatosi il concilio lateranense che doveva prendere delle decisioni in conseguenza delle mutazioni avvenute in Europa in seguito alle crociate, gli Ebrei furono seriamente preoccupati; ma per quello che li riguardava, quel concilio non fece che rinnovare le antiche restrizioni che del resto non erano mai state abrogate.
Oltre che a Roma, esistevano gruppi di Ebrei abbastanza importanti a Mantova, Pisa e Lucca. Ebrei di passaggio, per ragioni di commercio, si trovarono spesso a Genova e a Venezia, ma pare che, per ragioni di rivalità commerciale, non fosse in genere loro consentita residenza stabile nei territori di queste repubbliche.
b) Italia meridionale e Sicilia
Le condizioni degli Ebrei sotto i Normanni e poi sotto i primi Hohenstaufen continuarono ad essere generalmente buone, e al grande sviluppo agricolo, commerciale e industriale di quelle regioni cooperarono notevolmente gli Ebrei accanto ai Greci e agli Arabi. La coltura del baco da seta e l’industria della seta furono in parte notevole in mano agli Ebrei. Tra le comunità più importanti sono da ricordare nella penisola Napoli, Salerno, Amalfi, Benevento, Trani, Brindisi, Otranto e in Sicilia Messina e Palermo.
c) Gli studi e la letteratura
Gli studi fiorirono specialmente a Roma e nell’Italia meridionale. Come nel centro franco-germanico, anche in Italia, fino a verso la metà del sec. XII, i dotti ebrei si occuparono quasi esclusivamente di studi talmudici e furono in frequenti rapporti con i dotti di quel centro.
Nella seconda metà del secolo, specialmente dopo che Avrahàm ibn ’Ezrà (vedi pag. XXX) risiedette per parecchi anni in varie comunità d’Italia (1140-1145), si coltivarono anche studi esegetici e grammaticali.
La poesia liturgica seguì da principio le orme del Kalìr (vedi pag. XXX) e più tardi subì le influenze dei poeti della scuola arabo-spagnola (vedi pag. XXX).
Penisola iberica
a) La Spagna musulmana
Alla fine del secolo XI e al principio del successivo la Spagna musulmana fu dominata da fanatici Almoravidi provenienti dall’Africa settentrionale; ma gli Ebrei non furono molto colpiti dal loro zelo per l’Islam e, data la posizione importante che avevano nel paese, riuscirono col denaro a resistere a tentativi di conversioni forzate. Le cose peggiorarono quando il dominio degli Almoravidi fu abbattuto dagli Almohadi, provenienti anch’essi dall’Africa (vedi pag. XXX), ancor più fanatici dei loro predecessori. Dopo le violenze commesse contro gli Ebrei in Africa, fecero altrettanto nella penisola iberica, distrussero le sinagoghe di Siviglia (1147) e di Cordova (1148) e anche altre comunità furono duramente colpite. Un piccolo numero di Ebrei accettò in apparenza l’Islam, i più emigrarono specialmente nella Spagna settentrionale, che era sotto il dominio cristiano (vedi il paragrafo seguente).
b) La Spagna cristiana
Data l’ostilità e le continue lotte fra Musulmani e Cristiani, questi, che dominavano in Aragona, Castiglia, Navarra, accolsero volentieri gli Ebrei profughi dalle regioni meridionali della penisola ed affidarono a parecchi di loro importanti cariche. In modo particolare si mostrò benevolo Alfonso VI di Castiglia, nonostante i rimproveri rivoltigli dal papa, e nella sua capitale Toledo tolta ai Musulmani (1085) tornò a fiorire una comunità importante. Gli Ebrei parteciparono anche alle guerre del regno di Castiglia, e una sconfitta subita nel 1108 diede occasione a violenze contro gli Ebrei, istigate da un vescovo che li incolpò della disfatta: il re diede ordine di punire i colpevoli delle violenze, ma il suo ordine non fu eseguito perché nel frattempo egli morì.
I successori di Alfonso VI non mutarono la politica benevola verso gli Ebrei. Posizione molto importante ebbe, sotto Alfonso VII (1126-1157) Yehudà ibn ’Ezrà che contribuì alla riorganizzazione delle comunità ebraiche e fu riconosciuto capo (nasì) dì queste. A Toledo venne anche fondata un’importante yeshivà. Vi si stanziarono pure dei Karaiti, ai quali, per iniziativa di Yehudà ibn ’Ezrà, furono imposte dal governo delle restrizioni, che impedirono loro di prosperare molto.
Alfonso VIII (1166-1214) ebbe dei ministri ebrei e affidò loro anche delle missioni diplomatiche. Gli Ebrei parteciparono, con le armi e con il denaro, alla lotta contro gli Almohadi che avevano assalito il regno di Castiglia e che per poco non riuscirono ad espugnare Toledo.
Anche in Aragona e specialmente a Saragozza, tolta ai Musulmani da Alfonso I e diventata capitale del regno (1118), e a Barcellona, capoluogo della Catalogna, annessa al regno di Aragona, vivevano numerosi Ebrei, nelle stesse condizioni della Castiglia. Notevoli estensioni di terreno erano proprietà di Ebrei, altri esercitavano il commercio, specialmente con Italia, la penisola balcanica, l’Egitto, Èretz Israèl, l’Africa settentrionale; ed è notevole il fatto che i contratti venivano talvolta redatti in due lingue: latino ed ebraico. Altri Ebrei coltivavano la medicina e varie scienze, ed alcuni di essi ebbero parte attiva nella vita politica del paese. Una piccola comunità, che diede i natali a vari dotti, esisteva a Gerona.
Nel regno di Navarra è specialmente da ricordarsi la comunità di Tudela, dove fu dato agli Ebrei la facoltà di difendersi in una fortezza nel caso di assalti (1170).
Gli studi e la letteratura presso gli Ebrei di Spagna
a) Generalità
Nel periodo di cui ci occupiamo la Spagna ebbe un’importanza grandissima nel campo degli studi e della letteratura e divenne il centro spirituale dell’Ebraismo d’Europa: vennero particolarmente coltivate, oltre agli studi talmudici e rituali, la poesia e la filosofia; specialmente si segnalarono: Moshè ben Ya’akòv ibn ‘Ezrà, Yehudà ben Shemuèl Halevì, Avrahàm ibn ’Ezrà, Moshè ben Maimòn, Yehudà al Charizi.
b) Moshè ibn ’Ezrà
Visse dal 1070 al 1138 circa. Nato da famiglia ragguardevole di Granada, acquistata vasta cultura talmudica, letteraria e filosofica, si diede alla poesia ebraica ed è autore di numerosi componimenti di argomento profano e sacro. Da giovane inneggiò all’amore ed ai piaceri; innamorato di una nipote, e da questa corrisposto, ebbe il dolore, espresso in varie poesie, di vederla data dal padre in moglie ad altro, e quindi abbandonò la città natale, andò errando e poi risiedette in Castiglia. Nuovo dolore ebbe quando ricevette la notizia che l’amata nipote era morta di parto e compose poesie di argomento triste. Più tardi si dedicò del tutto alla poesia liturgica. Notevole la sua corrispondenza poetica con Yehudà Halevì che conobbe durante la sua residenza in Castiglia.
Oltre che le poesie in ebraico, Moshè ibn ’Ezrà scrisse in arabo un trattato filosofico e uno di storia e critica letteraria, con riguardo speciale alla letteratura araba ed ebraica, dal secolo X al suo tempo.
c) Yehudà Halevì
Yehudà Halevì (in arabo Abu al-Hassan) è considerato il più grande dei poeti ebrei del Medio Evo. Nacque a Toledo e poi si stabilì nella Spagna musulmana dove acquistò cultura in vari campi. Negli studi talmudici ebbe fra i suoi maestri Yitzchàk Alfasi (vedi pag. XXX). Studiò pure medicina e la esercitò a Toledo, dove prese moglie; in seguito passò a Cordova.
Le poesie di Yehudà Halevì sono di natura e di carattere diverso; alcune di esse furono composte in onore di suoi conoscenti ed amici, sono pregevoli da punto di vista artistico e ci forniscono indicazioni storiche, ma i componimenti più caratteristici del nostro poeta sono quelli in cui egli esprime i suoi sentimenti verso la terra d’Israele e Gerusalemme, e verso il popolo d’Israele in esilio. La terra è desolata e in mano di stranieri, gli Ebrei vi sono perseguitati non meno che nella Diaspora, ma ciononostante è a essa che anela l’anima del poeta, che ora ne celebra il passato, ora ne piange le sventure presenti, ora ne immagina lo splendore futuro, e sempre aspira a passare là i suoi giorni e pensa a realizzare il suo desiderio di trasferirvisi. Gli amici lo sconsigliano, fanno presente i pericoli del viaggio, le difficoltà della vita in mezzo a nemici, vogliono dimostrargli che il paese ha ormai, di fatto cessato di essere terra sacra, ma non riescono a dissuaderlo. Mortagli la (###MANCA UN PEZZO) desiderio di trasferirvisi. Molte sue poesie, le ultime in ordine di tempo, furono composte durante il lungo viaggio di mare, e descrivono a volte il mare, le tempeste, i disagi della navigazione, mentre a volte esprimono i sentimenti del poeta che vede avvicinarsi il momento desiderato. Il poeta fece diverse fermate, e dappertutto, specialmente in Egitto, si cercò di trattenerlo, ma inutilmente. Egli proseguì il suo viaggio, e, a quanto pare, raggiunse la terra d’Israele, ma nessuna sua poesia scritta lì ci è giunta. Una leggenda, che non ha grande probabilità di corrispondere in tutti i suoi particolari alla realtà storica, narra che egli morì ucciso da un Arabo che lo fece calpestare dal suo cavallo alle porte di Gerusalemme, mentre, prostrato in preda all’entusiasmo, cantava una delle sue poesie in onore della sacra città. Nulla sappiamo sul tempo e le circostanze della sua morte e è possibile che la leggenda di cui sopra sia eco del fatto che egli sia morto di morte violenta per opera di Musulmani. Yehudà Halevì è anche da ricordare come autore di una importante opera di filosofia religiosa, da lui scritta in arabo: il Kuzarì. Prendendo occasione dai contatti che il re dei Kazari ebbe con dotti di varie religioni prima di convertirsi all’Ebraismo (vedi pag. XXX) l’autore mette in bocca al dotto ebreo che lo indusse ad accettare l’Ebraismo una dimostrazione dell’autenticità delle tradizioni di questo e della necessità di considerarle come vere, e una esposizione dei principi dell’Ebraismo.
d) Avraham ibn ’Ezrà
Avrahàm ben Meìr ibn ’Ezrà (1092-1167 circa) è autore di poesie, in parte profane e in parte sacre, di valore artistico assai inferiore a quello dei componimenti di Moshè suo zio (vedi sopra, lettera b) e, non occorre dire, di Yehudà Halevì. Egli è invece molto importante come autore di commenti di carattere scientifico a libri biblici tendenti a spiegarne il senso letterale e ad illustrarne i principi. È pure autore di scritti filosofici e grammaticali. Nacque a Toledo e risiedette qualche tempo a Cordova e in altre città della Spagna musulmana. Fu per qualche tempo in Oriente e poi in Italia a Roma, Salerno, Mantova, Lucca, esercitandovi una notevole influenza (vedi pag. XXX). In Italia scrisse i suoi commenti a gran parte dei libri biblici. Fu poi in Francia, Provenza, Inghilterra; tornato nella Francia meridionale, vi condusse a termine i suoi commenti biblici e varie opere grammaticali. Decise infine di trascorrere i suoi ultimi giorni nella terra dove nacque; si mise in viaggio ma morì prima di terminarlo, a Calahorra. Gli ultimi suoi anni furono amareggiati dal fatto che un suo figlio, recatosi a Bagdad e fatta lì amicizia con un Ebreo passato all’Islam, ne seguì l’esempio.
e) Moshè ben Maimòn
È questi il più notevole e il più celebre dei dotti e degli scrittori che nacquero e passarono la prima parte della loro esistenza in Spagna dove ebbero i fondamenti della loro cultura.
Moshè ben Maimòn, noto nelle lingue europee col nome di Maimonide, e designato presso gli scrittori ebrei come Rambàm, parola formata dalle iniziali delle parole Rabbì Moshè ben Maimon, nacque la vigilia di Pèsach del 1135 a Cordova; il capo della comunità ebraica della città era suo padre, allievo dell’Alfasi (vedi pag. XXX).
Nella città natale Moshè si acquistò negli anni della prima giovinezza le basi di una vasta e profonda cultura. Caduta Cordova in mano degli Almohadi (vedi pag. XXX) Maimòn e la sua famiglia abbandonarono la loro residenza e andarono errando per varie città della Spagna, nelle quali Moshè estese ed approfondì la sua cultura nel campo talmudico e filosofico, nella letteratura araba e nella medicina. Nel 1158 cominciò a scrivere in arabo un commento alla Mishnà che terminò in una decina di anni. Nel 1148 si stabilì con la famiglia a Fez, che era sotto il dominio dei fanatici Almohadi che imponevano l’Islam con la violenza. È possibile che la famiglia di Maimòn stesso abbia dovuto per qualche tempo accettare in apparenza la religione di Maometto. Certo il Maimonide scrisse un opuscolo in ebraico (Igghèret Hashemàd) a giustificazione parziale di coloro che, per sfuggire alla morte, si comportavano in questo modo e consigliò loro di mantenersi nel cuore fedeli all’Ebraismo, osservarne in segreto i precetti ed emigrare al più presto in luoghi dove potessero senza pericolo cessare la finzione. E così fece la famiglia di Maimonide, che nel 1165 si diresse verso Èretz Israèl dove giunse dopo un viaggio disastroso. Sbarcati ad Akko e visitati i luoghi sacri, partirono per l’Egitto e si stanziarono a Fostat (Cairo antica) dove morì Maimòn (1166). Moshè trasse per qualche tempo i mezzi di sussistenza dal commercio, dedicando agli studi il tempo libero. Ma dopo che suo fratello David, col quale era in società, perì naufragando insieme con tutta la mercanzia, abbandonò il commercio e si diede ad esercitare la medicina, e per molti anni fu medico di corte del sultano d’Egitto Saladino e medico privato del prefetto della provincia, e nello stesso tempo fu capo delle comunità ebraiche del Cairo e di tutto l’Egitto. La fama della dottrina del Maimonide si sparse in breve per tutto l’Oriente, oltre che in Spagna, e a lui venivano rivolti quesiti ai quali egli rispondeva. Mori nel 1204 e fu sepolto a Tiberiade. Le sue occupazioni come medico e come capo della comunità e giudice che lo tenevano impegnato tutto il giorno non gli impedirono di continuare i suoi studi talmudici, filosofici e di medicina. In tutti questi campi ci giunsero numerosi documenti del suo sapere, ma le sue maggiori opere, oltre al commento alla Mishnà sopra ricordato, sono il Mishnè Torà in ebraico e il Morè Nevukhìm in arabo.
Il Mishnè Torà (lett. “Ripetizione della Torà”) è designato anche col nome di Yad Hachazakà perché diviso in 14 grandi parti (libri) e il valore numerico delle lettere ebraiche che formano la parola yad è 14. Esso contiene, ordinato per argomenti suddivisi in libri, trattati, capitoli e paragrafi, tutto il materiale del Talmud riguardante la Halakhà; ma non riferisce discussioni né varietà di opinioni né cita fonti, bensì dà, in forma concisa, la norma da seguire così come essa risulta, secondo il Maimonide stesso e i suoi predecessori sui quali egli si basa, dalla discussione talmudica, la quale è per lo più nel Talmud ancora aperta. L’opera abbraccia tutti gli argomenti, sia quelli che avevano al tempo dell’autore applicazione pratica, sia quelli che avevano allora, come hanno ora, un valore puramente teorico; quindi, per esempio, egli tratta anche in tutti i loro particolari dei riti del Tempio, dei sacrifici, dell’impurità. In alcuni trattati l’autore esprime anche quali sono, secondo lui, i principi fondamentali dell’Ebraismo e le credenze rispondenti al vero secondo gli insegnamenti di questo. Queste parti, come pure alcuni passi del commento alla Mishnà e specialmente l’introduzione al trattato Avòt che è una dissertazione di psicologia e di morale, in otto capitoli, rappresentano qualche cosa di mezzo fra l’attività ritualistica del Maimonide e quella filosofica di cui è documento principale il Morè Nevukhìm.
Il Mishnè Torà, per quanto non approvato da tutti i dotti contemporanei e delle generazioni immediatamente posteriori (vedi pag. XXX) ebbe subito larghissima diffusione e costituì la base di tutta la letteratura halakhica successiva.
Nel More Nevukhìm (“Guida degli smarriti”) scritto per un suo studente, il Maimonide si propone di togliere i dubbi che nacquero certamente nella mente di coloro che, profondamente convinti della verità degli insegnamenti dei libri sacri e al tempo stesso studiosi di filosofia, rimangono come smarriti sul problema del come accettare al tempo stesso l’insegnamento dei libri sacri, certamente veritiero perché di origine divina, e quelli della filosofia a cui conduce la ragione, guida non meno sicura, insegnamenti che appaiono talvolta contradditori. Il Maimonide si propone di far vedere che la contraddizione in genere non esiste; ciò che i libri sacri insegnano è in sostanza lo stesso a cui portano i ragionamenti della filosofia aristotelica, seguita dal Maimonide e ritenuta giusta dalla grande maggioranza dei dotti del Medio Evo. La contraddizione apparente è dovuta alla differenza nel modo di presentare le cose o a errori di interpretazione: se si interpretano esattamente i testi sacri e quelli filosofici cadono quasi tutte le contraddizioni. Nei rari casi in cui non è possibile eliminarle, la verità è nei testi sacri, e gli insegnamenti di Aristotele sono dovuti a ragionamenti errati del filosofo, per cui le conseguenze a cui egli giunge non sono logicamente necessarie. In nessun caso l’insegnamento dei testi sacri ci porta ad opinioni o credenze contrastanti con la ragione umana.
f) Yehudà al Charizi
L’ultimo, in ordine di tempo, dei più importanti fra i poeti ebrei di Spagna del nostro periodo è Yehudà al Charizi (1165-1225 circa). Nativo di Spagna, forse di Barcellona, dove emigrò da Siviglia la sua famiglia in seguito alle persecuzioni degli Almohadi (vedi pag. XXX) abitò a lungo nella Francia meridionale. Egli tradusse in ebraico e poi imitò componimenti poetici arabi.
Fra le sue opere è specialmente da ricordare quella detta Tachkemonì, nella quale, ad imitazione di modelli arabi, narra, parte in prosa rimata e parte in poesia, le avventure spesso strane di due personaggi e li fa trattare di argomenti di varia natura, e mette loro in bocca sentenze, proverbi, motti arguti. A quanto pare, viaggiò molto; fu anche in Èretz Israèl dopo che i Crociati si furono allontanati da Gerusalemme (1218). Yehudà al Charizi tradusse dall’arabo in ebraico il Morè Nevukhìm del Maimonide, e alcune parti del suo commento alla Mishnà.
g) Altri scrittori
Fra i numerosi altri scrittori nati e vissuti in Spagna è da ricordare Avrahàm ibn Daud (in ebraico ben David) di Toledo, designato con parola formata dalle iniziali del suo nome Raavàd con l’aggiunta dell’appellativo “primo” per distinguerlo da un altro scrittore, un po’ posteriore, dello stesso nome (vedi sotto, lettera c). Egli visse fra il 1110 e il 1180 circa, ed è autore, oltre che dell’opera filosofica Emunà Ramà (“Fede elevata”), di una cronaca detta Sèfer Hakabbalà (“Libro della tradizione”) dalle origini ai suoi tempi, ricca di notizie che non si hanno da altre fonti.
Altro scrittore di argomenti filosofici, poco anteriore al precedente, è Yosèf ibn Tzaddìk (morto nel 1140); di matematica, astronomia, geografia e cronologia, oltre che di filosofia, si occupò Avrahàm bar Chiyà (morto intorno al 1136).
Importante specialmente per le notizie che dà intorno alle comunità ebraiche da lui visitate in varie regioni di Europa, Asia ed Africa settentrionale, è il libro di viaggi (massaòt) di Binyamìn da Tudela. Egli, partito da Saragozza, viaggiò per circa tredici anni fra il 1160 e il 1173.
Gli studi e la letteratura in Francia meridionale e Provenza
a) Generalità
La letteratura ebraica in Francia meridionale e Provenza fu notevolmente influenzata da quella degli Ebrei di Spagna specialmente dopo che, spostatosi verso la Spagna cristiana nel nord della penisola il centro spirituale ebraico di Spagna, furono più vivi e frequenti i rapporti fra gli Ebrei della penisola iberica e quelli dei paesi franco-provenzali confinanti.
b) I dotti della famiglia Kimchì
Negli studi di esegesi biblica e grammatica si segnalarono specialmente alcuni membri della famiglia Kimchì, di origine spagnola e trasferitisi poi a Narbona: Yosèf e i suoi due figli Davìd e Moshè. Yosèf, morto intorno al 1170, scrisse un commento a libri biblici, poesie liturgiche, trattati grammaticali, e tradusse dall’arabo in ebraico il libro Chovòt Halevavòt (vedi pag. XXX). Gli si attribuisce un opuscolo contenente discussioni fra un Ebreo fedele ed un apostata. Dei due suoi figli il primo, Moshè, è noto quasi soltanto da citazioni, mentre molto abbiamo di Davìd, designato con le parole formate dalle iniziali del suo nome, Radàk (Rabbì Davìd Kimchì). Egli è uno dei più importanti commentatori di quasi tutti i libri biblici secondo il significato letterale, di una grammatica (Sèfer Hamichlòl) ###Michlòl o Mikhlòl?, di un vocabolario (Sèfer Hashorashìm) ebraico e di vari scritti grammaticali.
c) Ritualisti
Nel campo della letteratura rituale sono specialmente celebri, nella seconda metà del sec. XII, Zekharyà Halevì di Gerona e Avrahàm ben Davìd di Posquières, autori di osservazioni polemiche sulle opere rituali rispettivamente dell’Alfasi (vedi pag. XXX) e del Maimonide (vedi pag. XXX).
d) I Tibbonidi
Due membri della famiglia Tibbòn sono specialmente noti come traduttori in ebraico di importanti opere scritte originariamente in arabo. Yehudà ibn Tibbòn (1120-1190 circa), proveniente anch’egli dalla Spagna e stabilitosi a Lunel, tradusse in ebraico l’opera Emunòt Vede’òt di Saadyà (vedi pag. XXX), il Tikkùn Middòt Hanèfesh, scritto di filosofia morale del Gabiròl (vedi pag. XXX), il Chovòt Halevavòt (vedi pag. XXX), il Kuzarì (vedi pag. XXX) e altre opere di scrittori ebrei di Spagna.
Shemuèl ibn Tibbòn (1150-1230 circa), figlio di Yehudà, medico di professione, risiedette in vari luoghi e alla fine a Marsiglia. Egli tradusse in ebraico il Morè Nevukhìm del Maimonide (vedi pag. XXX), parte del suo commento alla Mishnà (vedi pag. XXX) e altri suoi opuscoli. È anche autore di alcuni scritti esegetici e filosofici di non grande importanza.
Penisola balcanica
La decadenza dell’impero bizantino nell’età delle crociate e le lotte fra Cristiani orientali ed occidentali fecero sì che diminuisse la pressione sugli Ebrei, e non abbiamo notizie di persecuzioni, come del resto poco sappiamo delle vicende degli Ebrei. Le sventure degli Ebrei dell’Europa centrale e gli avvenimenti in Èretz Israèl ebbero per conseguenza l’accentuarsi della speranza che l’era messianica fosse vicina, e il formarsi della convinzione che i tragici avvenimenti di cui si ebbe notizia fossero quei perturbamenti che la tradizione indicava come segni della prossima venuta del liberatore. A Salonicco si sparse la voce che era apparso il profeta Elia, precursore del Messia, e molti Ebrei vendettero i loro beni e abbandonarono le loro occupazioni in attesa del miracoloso ritorno in Èretz Israèl. Ma le speranze furono deluse dopo che Gerusalemme cadde in mano dei Crociati (vedi pag. XXX).
Fra le comunità più notevoli sono da ricordarsi Salonicco, Costantinopoli, Gallipoli, Patrasso, Lepanto, Tebe, gli abitanti delle quali si occupavano di agricoltura e di industria, specialmente di quella della seta. Nelle città marittime molti si davano al commercio. Anche nelle isole come Mitilene, Chio, Samo, Rodi, Cipro, abitavano Ebrei. In alcuni luoghi vivevano Karaiti e anche appartenenti ad una setta che celebrava il sabato dalla mattina di questo giorno alla mattina della domenica.
Anche gli studi ebbero una certa fioritura e ci sono noti nomi di dotti: è da ricordarsi fra l’altro l’opera midrashica detta Lèkach Tov di R. Tovià ben Eli’èzer, contemporaneo della prima crociata; ci risulta che anche la poesia fosse coltivata. Gli studi talmudici pare non fossero molto in fiore, e per contro appartengono al tempo di cui ci occupiamo alcune opere rituali importanti di autori karaiti, fra le quali è specialmente da ricordarsi il Sèfer Eshkòl Hakòfer di Yehudà Hadassa.