Capitolo 4 – Gli Ebrei d’Europa fino all’età delle crociate
Le fonti
Italia: a) Italia settentrionale e centrale; b) Italia meridionale e Sicilia; c) Gli studi e la letteratura
Penisola iberica: a) La Spagna musulmana; b) La Spagna cristiana; c) Gli studi e la letteratura
Francia e Germania: a) L’età dei Carolingi; b) Gli Ebrei di Francia dopo l’età dei Carolingi; c) Gli Ebrei di Germania dopo l’età dei Carolingi; d) La cultura, gli studi e la letteratura in Francia e Germania
Penisola balcanica
Europa orientale: a) Espansione degli Ebrei nell’Europa orientale; b) Gli Ebrei e i Catari; c) Gli Ebrei in Russia; d) Gli Ebrei in Polonia e Boemia
Le fonti
Dato che in questo periodo gli Ebrei non avevano più una storia autonoma, servono in gran parte da fonti storiche quelle dei vari popoli in mezzo a cui gli Ebrei vissero, quali cronache, documenti nei vari archivi, iscrizioni diverse, raccolte di leggi e di atti di concili ecclesiastici. Tra le fonti prettamente ebraiche ricorderemo le narrazioni di Ibn Verga (vedi pag. XXX) e Yosèf Hakohèn (vedi pag. XXX) sulle persecuzioni, il Sèfer Hakabbalà di Avrahàm ben Davìd (vedi pag. XXX), il Sèfer Hayuchasìn di Avrahàm Zekhùt (secolo XVI); la Cronaca di Achimà‘atz (vedi pag. XXX); quesiti e responsi rituali. Per i Kazari ha speciale importanza la corrispondenza fra Chasdài ibn Shaprùt e Yosèf re dei Kazari (vedi pag. XXX).
Italia
a) Italia settentrionale e centrale
Oltre che Roma, erano comunità di una certa importanza per lo meno Pavia, Verona e Lucca. Le notizie sono scarsissime. Per le condizioni generali nei territori sotto il regno dei Franchi, che abbatterono quello dei Longobardi e l’impero, vale quanto diremo in seguito per quello che riguarda questi stati. Non abbiamo notizie di vere e proprie persecuzioni, per quanto il clero continuasse la sua propaganda di odio contro gli Ebrei: i papi non si mostrarono in genere ostili a questi e disapprovarono i tentativi di conversioni forzate. Spesso avvenivano discussioni fra teologi cristiani e dotti ebrei nelle quali ciascuno cercava di portare argomenti a favore delle proprie idee religiose, ma esse non ebbero conseguenze pratiche.
Tra i pochi fatti particolari di cui abbiamo notizia, ricorderemo che si parla di un’espulsione di Ebrei ordinata dal re dei Franchi Lodovico II (855); ma pare che essa non sia stata eseguita. Tra i pochi casi conosciuti di conversione di Ebrei al Cristianesimo fece particolarmente impressione, a Roma, quella di un banchiere che era in rapporti di affari col papa; imparentatosi con una famiglia nobile cristiana, ebbe due figli: Pietro e Leone, che diedero origine alla famiglia Pierleoni, da cui uscì più tardi un papa, Anacleto II (1130-1136).
Quando, nel 962, Ottone fu incoronato imperatore, gli Ebrei presero parte alla cerimonia e furono da loro pronunciate parole di augurio e di omaggio in ebraico.
Essendosi manifestata, la vigilia della Pasqua cristiana del 1020, una grave ed insolita perturbazione atmosferica che mieté parecchie vittime, un fanatico greco riuscì a persuadere il papa Benedetto II che il fatto era avvenuto perché gli Ebrei avevano profanato in una sinagoga un’immagine di Gesù, e i presunti colpevoli furono puniti.
Per quanto in genere anche in Europa gli Ebrei si occupassero prevalentemente di commercio, non si formarono importanti comunità nelle repubbliche marinare di Genova e Pisa, forse perché i commercianti cristiani temevano la concorrenza degli Ebrei. Per la stessa ragione non furono ammessi Ebrei a Venezia nei primi tempi dopo la fondazione della città.
b) Italia meridionale e Sicilia
Numerose comunità esistevano in Italia meridionale, come Napoli, Salerno, Capua, Benevento, Bari, Otranto, Venosa, Oria, e in Sicilia, come Palermo, Messina, Catania, Siracusa e Agrigento. Le continue lotte fra Bizantini, Arabi e Normanni che agitarono Italia meridionale e Sicilia nel periodo che stiamo studiando ebbero per conseguenza che, in genere, gli Ebrei fossero lasciati tranquilli, per quanto anch’essi, alla pari degli altri abitanti, soffrissero per le guerre e fossero spesso disturbati nei loro commerci. Anche sotto i Bizantini le condizioni degli Ebrei furono migliori che in altre regioni del loro impero. Le comunità godettero di larghe autonomie e vi fiorirono anche gli studi (vedi pag. XXX).
Sotto i Bizantini ebbe particolare importanza la famiglia dei discendenti di un dotto, di nome Amittài, che visse a Oria verso la metà del secolo IX. Alcuni membri di questa famiglia presero parte alla vita politica del paese e in certe congiunture portarono aiuto ai loro fratelli ebrei. A uno di questi, Shefatyà, medico dell’imperatore Basilio I, si attribuisce il fatto che le comunità dell’Italia meridionale sfuggirono in parte ai decreti antiebraici dell’imperatore (vedi pag. XXX). I membri della stessa famiglia si segnalarono nel campo della letteratura ebraica (vedi pag. XXX-XXX). Sotto i Normanni, cristiani, che posero termine al dominio arabo in Italia meridionale e Sicilia, la situazione degli Ebrei fu analoga a quella dei paesi europei sotto regime feudale (vedi pag. XXX): essi erano considerati come proprietà di grandi feudatari laici ed ecclesiastici, che disponevano di loro come di cose proprie soggette a vendite e donazioni: gli Ebrei erano sottoposti a tasse, spesso assai gravose, ma non si ha notizia di persecuzioni né di conversioni forzate.
c) Gli studi e la letteratura
Nel periodo di cui ci occupiamo fiorirono senza dubbio gli studi ed esistettero numerose yeshivòt nell’Italia settentrionale, a Roma, nell’Italia meridionale e in Sicilia; ma ci sono giunti solo pochi nomi di dotti abitanti in Italia o di opere certamente scritte in questo paese. Sta di fatto però che dall’Italia si diffusero gli studi nei paesi franco-tedeschi (vedi pag. XXX), che in questi paesi erano noti i dotti di Roma e i dotti d’Italia e celebrate specialmente le yeshivòt di Bari e di Otranto, e che numerose compilazioni di midrashìm appaiono, da molti indizi, realizzate in Italia. A questo paese si deve pure, secondo ogni probabilità, l’opera di carattere storico nota col nome di Yosippòn, di un certo Yosèf ben Guriòn, che raccoglie notizie e leggende dai tempi più antichi fino alla distruzione del secondo Tempio servendosi in gran parte, direttamente o indirettamente, degli scritti di Giuseppe Flavio (vedi vol. I, pag. XXX) per il periodo da lui trattato.
Altra opera di carattere storico a noi giunta e di cui è noto l’autore è lo Scritto (Meghillà) di Achimà‘atz di Oria, che è nella sua parte fondamentale una raccolta di memorie della famiglia di Amittài (vedi pag. XXX) ma che contiene, mescolate a molti racconti di carattere leggendario, notizie sulla storia degli Ebrei sotto l’impero bizantino.
Tra i membri della famiglia di Amittài vanno poi ricordati in modo speciale Shefatyà e il figlio di lui, come il nonno chiamato Amittài, autori di poesie liturgiche di gran pregio, alcune delle quali vengono tuttora recitate dai seguaci del rito tedesco. Anche a Roma fiorirono poeti liturgici seguaci del Kalìr (vedi pag. XXX) tra i quali Shelomò Habavlì (cioè Romano) di cui si conservano composizioni nei formulari di rito italiano e tedesco. Degli studi talmudici ci è documento principale il vocabolario talmudico (detto ‘Arùkh) di Natàn ben Yechièl di Roma, della famiglia Anau, (Min Haanavìm), terminato agli inizi del secolo XI.
Nel campo scientifico e filosofico appartiene al nostro periodo l’opera di Shabbetài Donnolo di Oria (913-982 circa), medico e astronomo. La sua opera principale, detta Tachkemonì, (###potrei sbagliarmi ma mi sembra sia Chakhmonì, senza “Ta” iniziale) è un commento al Sèfer Hayetzirà (vedi pag. XXX).
Il rinnovarsi degli studi nell’Italia meridionale è dimostrato anche dal fatto che, dopo che per molto tempo le iscrizioni sepolcrali si scrissero in greco o in latino, numerose iscrizioni ebraiche appartenenti al secolo IX si trovarono a Venosa.
Penisola iberica
a) La Spagna musulmana
La parte meridionale della Spagna fu conquistata nel 711 dagli Arabi, che posero fine al dominio dei Visigoti. Per qualche tempo essa fece legalmente parte della provincia africana del califfato di Damasco, ma di fatto era sotto l’autorità di un prefetto che risiedeva a Cordova, capoluogo dell’Andalusia; e più tardi, dopo che in Oriente cessò il dominio degli Omàyyadi (vedi pag. XXX), uno dei membri di questa famiglia fondò il califfato di Cordova che divenne uno stato indipendente. Il paese fu però agitato da lotte continue fra capi arabi e berberi che facevano a gara a dimostrare il loro zelo religioso opprimendo Ebrei e Cristiani, e soprattutto questi ultimi per ragioni politiche, dato che essi erano sospetti di accordi con i loro correligionari che dominavano nella parte settentrionale della penisola e che erano in lotta continua con gli Arabi. Le gravi tasse che pesavano sugli infedeli indussero a quanto pare gli Ebrei a prendere parte a una rivolta di Berberi scoppiata nel 718: la rivolta fu sedata e il capo dei rivoltosi, che era un Ebreo, venne messo a morte. Per sfuggire alle vessazioni, numerosi Ebrei emigrarono specialmente in Èretz Israèl, e il governo confiscò i loro beni (719-723 circa). Ma non pare che gli Ebrei siano stati perseguitati, e non presero alcuna parte ad una nuova rivolta scoppiata nel- l’814. Gli Ebrei trassero poi come gli altri beneficio dal ristabilimento dell’ordine interno sotto Abd ar-Rahman III (912-916) fondatore del califfato di Cordova, uomo colto, illuminato, tollerante.
Sotto di lui salì ad alta dignità nello stato l’ebreo Chasdài ibn Shaprùt (910-970 circa), amministratore delle finanze dello stato e incaricato di molte missioni politiche e diplomatiche nelle quali riuscì a risolvere questioni delicate e complicate. Egli fu anche assai benvoluto dai suoi fratelli ebrei che godettero sempre del suo aiuto; favorì gli studi (vedi pag. XXX) e si interessò anche degli Ebrei che vivevano fuori del suo paese (vedi pag. XXX).
Le condizioni degli Ebrei continuarono ad essere buone sotto Al-Hakim II, successore di Abd ar-Rahman, e le comunità godettero di larghe autonomie. Morto Al-Hakim, seguì un periodo di reggenza sotto Al-Mansur, tutore del figlio del califfo. Impegnato in guerre che lo obbligarono a usare tutti i mezzi per accrescere le entrate dello stato, cercò di attirarsi le simpatie degli Ebrei facoltosi, ed uno di questi, ricco industriale nel ramo dei tessuti di seta, di nome Ya‘akòv ibn Giau, fu elevato ad alte cariche ed insignito di grandi onori, poi deposto e imprigionato perché non era riuscito a fare affluire alle casse del califfo le ingenti somme che questi esigeva; in seguito fu liberato e riabilitato per volere del re, ma non reintegrato del tutto nelle sue cariche e nei suoi onori.
Dopo la morte di Al-Mansur (1002) gli Ebrei ebbero a soffrire in seguito alla conquista dell’Andalusia a opera di bande di Berberi, in conseguenza della quale Cordova fu duramente colpita. Il califfato di Cordova andò sfasciandosi e le varie province si resero di fatto indipendenti. Anche l’unità dell’Ebraismo spagnolo fu annientata: il centro più importante divenne quello di Granada, dove si stabilirono molti di quelli che lasciarono Cordova.
Nello staterello musulmano che aveva per capitale Granada, ebbe grande autorità un Ebreo, Shemuèl Levì ibn Nagdela (o, secondo altri, Nagrela) detto, per via della sua carica, Hanaghìd (il Capo degli Ebrei) (982-1055). Poeta, uomo di stato, talmudista, dotto nelle varie scienze, fautore degli studi delle lettere, guerriero, ebbe importanza non minore di quella di Chasdài ibn Shaprùt. Nativo di Cordova, vi compì i suoi studi; allievo, per la scienza talmudica, di Chanòkh (vedi pag. XXX) e poi, fuggitivo dalla città natale con la famiglia, si trasferì a Malaga, dove aprì una bottega di profumi. Venuto il capo dello stato, l’emiro Habus, per combinazione a conoscenza della sua abilità nella lingua e nella scrittura araba, lo tolse dalla sua bottega e lo elevò ad alte cariche, che egli occupò sotto di lui e sotto suo figlio Badis. Quest’ultimo si mostrò particolarmente grato a Shemuèl che aveva efficacemente contribuito a renderlo successore del padre contro le pretese di un suo fratello minore. Shemuèl, grazie alla sua abilità politica e alle sue doti personali, riuscì a prevalere su non pochi suoi nemici. Uno di questi, ministro di un altro staterello musulmano alleato con quello di Granada, giunse al punto di far muovere guerra a Badis perché si era rifiutato di licenziare l’“infedele” Shemuèl; ma Badis prevalse e il nemico di Shemuèl venne ucciso in battaglia. In occasione di altra guerra, mossa a Badis da un principe fanatico che riteneva Badis non sufficientemente devoto all’Islam, Shemuèl stesso partecipò alla guerra, terminata con la vittoria di Granada.
A Shemuèl successe il figlio Yosèf, ma questi, meno abile del padre, non riuscì a prevalere sui suoi nemici e, quando Granada venne assalita dall’esercito di un altro staterello, Yosèf venne accusato di aver chiamato il nemico e ucciso dalla folla infuriata contro di lui (1066); ne seguì un assalto contro gli Ebrei di Granada, che vennero depredati, e alcuni dei quali furono uccisi. I familiari di Yosef e altri fuggirono a Lucena, e tutti gli Ebrei di Granada furono costretti ad abbandonare il paese e a cercare rifugio in altri luoghi della penisola: nuovi centri importanti nella Spagna musulmana si formarono a Siviglia e a Saragozza; anche in essi degli Ebrei ebbero cariche importanti e fiorirono gli studi (vedi pag. XXX).
b) La Spagna cristiana
Gli Arabi non riuscirono a conquistare tutta la Spagna, e la parte settentrionale rimase ai Visigoti e poi si divise in vari principati cristiani. Pur non essendo state abrogate o modificate le leggi relative agli Ebrei, anche i principi cristiani si videro costretti a servirsi spesso di Ebrei per l’amministrazione degli stati.
Nel secolo XI si formò l’importante regno di Castiglia, che conquistò o rese tributaria parte delle regioni arabe: anche nei loro rapporti con gli stati musulmani i sovrani cristiani si servirono spesso di Ebrei, e antiche disposizioni contro di questi finirono per cadere in disuso.
La tolleranza del re di Castiglia Alfonso VI (1075-1109) verso gli Ebrei suscitò le proteste del papa Gregorio VII (1078), ma queste rimasero senza effetto. Si narra che in occasione di guerre fra Cristiani e Musulmani, con partecipazione di Ebrei in entrambi i campi, le ostilità venivano sospese nei tre giorni festivi per una o l’altra delle religioni: venerdì, sabato e domenica.
c) Gli studi e la letteratura
Nella Spagna musulmana furono dagli Arabi coltivate le lettere e le scienze, ed anche fra gli Ebrei si ebbe una notevole fioritura di studi e di letteratura, a cui diedero notevole impulso Chasdài ibn Shaprùt e Shemuèl Hanaghìd. È da notare che la maggior parte delle opere di Ebrei, all’infuori delle poesie e di quelle di argomento talmudico e rituale, furono scritte in arabo e solo più tardi tradotte in ebraico. Cordova divenne centro importante di studi talmudici dopo che vi si stabilì Moshè, uno dei quattro dotti catturati dai pirati (vedi pag. XXX): egli portò nella sua nuova sede le tradizioni delle yeshivòt babilonesi. Alla sua morte (927) la successione fu oggetto di contesa fra il figlio di lui Chanòkh e un altro suo allievo, Yosèf ibn Abitur di Mérida, al quale si attribuisce una traduzione o compendio in arabo del Talmud per desiderio del califfo Al-Hakim. Chasdài sostenne Chanòkh, che finché egli visse rimase capo spirituale incontrastato dell’Ebraismo di Spagna; ma, morto questo, si riaccesero le contese: le due parti si rivolsero al califfo, e di nuovo prevalse Chanòkh; il suo rivale dovette andare errando di luogo in luogo e non ritornò a Cordova neppure quando, sorti contrasti fra Chanòkh e Ibn Giau (vedi pag. XXX), i fautori di Ibn Abitur lo invitarono a ritornare per occupare il posto di Chanòkh; questi rimase nel suo ufficio fino a che morì in seguito al crollo della tevà del bet hakkenèset sulla quale si trovava nel giorno di Simchàt Torà (1014).
Fra gli allievi di Chanòkh si segnalò il grande statista Shemuèl Hanaghìd, che trovò modo di occuparsi seriamente e profondamente di studi, e che è autore, fra altro, di una “Introduzione al Talmud” che comprendeva una parte storica (andata perduta) e una metodologica, conservata e pubblicata.
Disordini che ebbero luogo in Africa settentrionale obbligarono a emigrare a Cordova e poi a Granada e a Lucena uno dei più grandi talmudisti del tempo, Yitzchàk, detto Alfasi, ossia “di Fez” (1013-1103 circa), perché nato nelle vicinanze di questa città. A lui si deve un estratto dal Talmud che contiene la conclusione delle discussioni in esso esposte: tale estratto costituì la base di tutta la letteratura ritualistica successiva.
Oltre che gli studi talmudici, fiorirono anche la filologia, la poesia, la filosofia. Basi fondamentali per lo studio della lingua e della grammatica ebraica furono poste ai tempi di Chasdài ibn Shaprùt, Menachèm ben Sarùk e Donàsh ben Labràt (secolo X) che polemizzarono aspramente fra di loro; Donàsh fu anche poeta e a lui si attribuisce l’introduzione della metrica araba nella poesia ebraica. Altri insigni grammatici furono Yehudà ben Davìd Chayùg, che stabilì il principio delle radici trilittere, e Jose Merinos ibn Janah (###?) il quale sostenne polemiche con Shemuèl Hanaghìd.
La poesia fu coltivata specialmente da Shemuèl Hanaghìd e dal suo contemporaneo Shelomò ibn Gabiròl. Di entrambi sono giunti a noi numerosi componimenti poetici. Alcuni di quelli del primo sono importanti anche dal punto di vista storico perché riguardano avvenimenti politici e militari ai quali l’autore ebbe parte.
Shelomò ibn Gabiròl, nativo di Malaga, vissuto nei primi decenni del secolo XI e morto in giovane età, è uno dei più grandi poeti ebrei del Medioevo. Le sue poesie sono ispirate spesso a sentimenti di tristezza, dovuti alle dolorose vicende della vita dell’autore, rimasto orfano da bambino e poi vissuto quasi sempre nella solitudine, non compreso dai suoi contemporanei. Parte di esse sono di argomento religioso, ed esprimono l’anelito dell’anima verso il Creatore, il dolore e le speranze di Israele in esilio. Non poche sono inserite nella liturgia di tutti i riti.
Oltre che come poeta, Ibn Gabiròl è notevole come filosofo: una sua opera, “Fonte della vita”, scritta originariamente in arabo, quasi sconosciuta agli Ebrei, fu molto utilizzata da teologi cristiani che la conobbero in una traduzione latina e che ignoravano fosse opera di un Ebreo. Solo nel secolo scorso ne fu riconosciuto l’autore e solo pochi decenni fa venne tradotta interamente in ebraico. Assai nota fra gli Ebrei è invece un’altra opera filosofica, in prosa rimata, intitolata Kèter Malkhùt (Corona del regno), che contiene una descrizione del Creato e le lodi del Creatore. Alcuni usano leggerla nel giorno di Kippur.
Altro filosofo del tempo è Bachya ibn Pakuda, autore del libro scritto in arabo e poi tradotto in ebraico col titolo Chovòt Halevavòt (Doveri dei cuori), un trattato religioso-morale.
Francia e Germania
a) L’età dei Carolingi
Carlo Magno e i suoi primi successori, per quanto ferventi cattolici e strenui sostenitori del papato, si mostrarono in genere benevoli verso gli Ebrei; varie fonti riportano leggende, che hanno però senza dubbio un fondo di verità storica, secondo le quali gli Ebrei aiutarono validamente i Franchi nella lotta che li portò alla conquista di Narbona che era in mano degli Arabi. Le leggi emanate dai Carolingi contengono sì delle norme restrittive riguardo agli Ebrei, ma esse sono più miti di quelle che erano prima in vigore: fra altro, va ricordato che, fermo restando il divieto agli Ebrei di tenere schiavi cristiani, quelli musulmani e pagani non potevano essere battezzati e quindi resi liberi senza il consenso del padrone ebreo.
Fra le disposizioni umilianti nei confronti degli Ebrei emanate dai Carolingi va ricordata quella secondo cui agli Ebrei accusati da Cristiani era imposta nel tribunale giudicante una formula speciale di giuramento nella quale essi, tenendo in mano il libro della Torà, invocavano sopra di sé ogni sorta di maledizioni nel caso che avessero realmente compiuto gli atti di cui erano accusati. Gli Ebrei poi erano sottoposti, alla pari dei Cristiani, al cosiddetto “giudizio di Dio” ma le prove erano per loro ancora più crudeli che per i Cristiani. A partire dai tempi di Lodovico il Pio (814-840) si cominciò ad adottare nei confronti degli Ebrei il sistema della protezione del sovrano, per cui a singoli Ebrei o gruppi di Ebrei, che il sovrano prendeva sotto la sua protezione, venivano accordati diritti speciali che li mettevano quasi alla pari degli altri cittadini. Uno speciale funzionario, detto Magister Judaeorum, sorvegliava affinché i diritti degli Ebrei non fossero violati.
In molte città della Francia, specialmente meridionale, vi erano fiorenti comunità ebraiche e in genere gli Ebrei vivevano, non perché costretti, ma per loro volontà, in quartieri speciali che godevano di autonomie comunali. L’atteggiamento benevolo dei Carolingi verso gli Ebrei è dovuto in gran parte a ragioni economiche e politiche, dato che gli Ebrei, per la conoscenza che molti di essi avevano di varie lingue e per le relazioni che avevano nei vari paesi, costituirono un elemento di grandissima importanza per il commercio e per le relazioni diplomatiche con l’Oriente. A capo di un’ambasceria di Carlo Magno al califfo Harun ar-Rashid era un Ebreo di nome Yitzchàk. Carlo il Calvo ebbe un Ebreo per medico.
L’atteggiamento dei Carolingi, in conseguenza del quale si strinsero rapporti amichevoli fra Ebrei e Cristiani, suscitò naturalmente l’opposizione di ecclesiastici ed anche di papi che ripetutamente cercarono di richiamare sovrani e alti funzionari all’osservanza rigorosa delle norme dettate dalla Chiesa che erano legge di stato in altri paesi cattolici. Specialmente attivo in questo senso fu Agobardo, vescovo di Lione, che cercò con tutti i mezzi di indurre il sovrano a mutare politica e di eccitare la popolazione contro gli Ebrei; ma non ebbe in genere successo, neppure dopo che avvenne un latto clamoroso che mostrava i pericoli che derivavano al Cristianesimo dai rapporti amichevoli fra Ebrei e Cristiani: un alto prelato di nome Bodo si convertì all’Ebraismo, assunse il nome di El‘azàr, fondò una famiglia ebraica ed emigrò a Saragozza (839). L’attività antiebraica di Agobardo fu poi continuata dal suo successore Amulo.
Lo smembramento e poi la decadenza del regno dei Carolingi, in conseguenza dei quali le varie regioni furono di fatto in mano a feudatari laici ed ecclesiastici, peggiorò la condizione degli Ebrei che furono sottoposti agli arbitri dei signori locali, non sempre a loro favorevoli. In un concilio di ecclesiastici, tenutosi a Meaux presso Parigi (845) si decise di rinnovare tutte le antiche leggi restrittive contro gli Ebrei, ma non pare che i sovrani si siano in genere uniformati a queste decisioni. Non mancarono però casi di conversioni forzate al Cristianesimo. Oltre a ciò gli Ebrei erano spesso soggetti a subire umiliazioni e percosse dal clero e dalla popolazione fanatica, specialmente nella settimana precedente la Pasqua cristiana. Talvolta gli Ebrei cercarono di reagire e ne nacquero lotte violente anche con spargimento di sangue; altre volte riuscirono a liberarsi mediante il pagamento di somme di denaro ad istituti religiosi cristiani.
b) Gli Ebrei di Francia dopo l’età dei Carolingi
Dopo che nella Francia centrale e settentrionale si affermò il dominio dei Capetingi (987) gli Ebrei ebbero per qualche tempo molto a soffrire. La morte di Ugo Capeto (996) diede occasione allo spargersi di una voce secondo la quale il re sarebbe stato avvelenato dai suoi medici ebrei. Una decina di anni più tardi, sotto il regno di Roberto, si manifestò un largo movimento contro gli Ebrei, originato dal fatto che si attribuirono a un iniziativa di questi ultimi le persecuzioni contro i Cristiani del califfo egiziano Hakim, per quanto questi abbia perseguitato gli Ebrei non meno dei Cristiani. Così pure venne sparsa la voce che alcuni Ebrei d’Europa, forse di Francia, avessero consigliato ai Musulmani di Èretz Israèl di distruggere la chiesa del Sepolcro di Gesù in Gerusalemme; molti prestarono fede a questa voce e gravi violenze furono commesse contro gli Ebrei per alcuni anni (1007-1010): gli Ebrei in Limoges, per sfuggire all’imposizione di convertirsi al Cristianesimo, abbandonarono tutti la città. A Rouen molti Ebrei furono uccisi o si diedero volontariamente la morte per sfuggire al battesimo forzato. Le persecuzioni ebbero poi fine in seguito all’opera di un certo Ya‘akòv ben Yekutièl che recatosi a Roma riuscì ad ottenere, mediante doni ai cardinali e al papa, che questi desse ordine di farle cessare.
Nella Francia meridionale, ai tempi di Lodovico il Bonario (893-922), sottomesso alla Chiesa più dei suoi predecessori, venne decretato che tutti i terreni agricoli e i fabbricati in possesso di Ebrei nel territorio di Narbona, dai quali per antica consuetudine, vigente prima ancora che Ebrei ne fossero divenuti proprietari, alcuni istituti ecclesiastici percepivano tasse, fossero tolti ai proprietari ebrei e diventassero proprietà della Chiesa. Il decreto non ebbe però mai piena esecuzione e gli Ebrei non furono interamente spogliati, forse per concessioni speciali o dietro pagamento di forti somme.
Tra i casi in cui le autorità difesero gli Ebrei va ricordato quello che avvenne nel 1065, quando una banda di volontari francesi cristiani che si proponeva di andare a combattere contro i Musulmani di Spagna iniziò le sue imprese con saccheggi e violenze contro gli Ebrei. Uno dei più autorevoli signori di Narbona, di nome Berengardo, si oppose efficacemente agli assalitori e fu per questo anche encomiato dal papa Alessandro II, il quale rimproverò anche il vescovo di Narbona che non si era mosso in soccorso degli Ebrei.
c) Gli Ebrei di Germania dopo l’età dei Carolingi
Sotto i sovrani della dinastia sassone le condizioni degli Ebrei non subirono notevoli cambiamenti, ed essi continuarono in genere a godere della protezione dei sovrani e dei feudatari laici ed ecclesiastici, che di solito li favorivano per la grande importanza che essi avevano nella vita commerciale ed economica del paese. Gli Ebrei costituivano varie comunità nei paesi renani (Metz, Colonia, Magonza, Worms), in Sassonia (Magdeburgo, Merseburg) e Baviera (Ratisbona).
Di una vera e propria persecuzione si ha notizia a Magonza: le cause non sono note, ma forse essa va messa in rapporto a voci ostili agli Ebrei che si erano sparse. L’imperatore Enrico II decise l’espulsione dalla città di tutti gli Ebrei che non accettassero il battesimo (1012). Pochi cedettero e fra questi un figlio di Rabbènu Ghereshòm (vedi pag. XXX); gli altri emigrarono. Il decreto fu revocato dopo un anno; gli emigrati ritornarono in gran parte e quasi tutti quelli i connvertiti a forza ritornarono pubblicamente all’Ebraismo, ma il figlio di Rabbènu Ghereshòm morì prima di poter fare questo.
Condizioni particolarmente favorevoli furono concesse agli Ebrei di Lipsia. Nel 1084 il vescovo della città assegnava loro, dietro pagamento di una certa somma, un quartiere speciale, circondato da mura come difesa da assalti della folla, e accordava loro piena libertà di commercio: nel 1090 l’imperatore Enrico IV li metteva sotto la sua protezione, concedeva loro larghi diritti, vietava le conversioni forzate.
d) La cultura, gli studi e la letteratura in Francia e Germania
Fino al tempo di cui ci occupiamo non vi è notizia di studi ebraici nei paesi franco-germanici, come del resto anche presso le popolazioni di quei territori non vi era grande vita culturale. Nel periodo che stiamo studiando si formarono due centri ebraici di studi: uno nella Francia settentrionale, paesi renani, Alsazia e Lorena, l’altro nella Francia meridionale e Provenza.
La cultura ebraica nel primo di questi centri venne dall’Italia: si ricorda come fondatore degli studi in quei paesi Kalonimos di Lucca, chiamato da uno dei Carolingi: o Carlo Magno o uno dei suoi successori. Sull’opera sua e dei suoi seguaci e scolari ci mancano notizie particolari: sta il fatto che, verso la metà del secolo X, il centro franco-germanico si era reso indipendente dai Gheonìm babilonesi, e a un dotto di nome Yehudà ben Meìr, detto Leontin, venivano rivolte domande da vari paesi d’Europa: a quanto pare, egli fondò una yeshivà a Magonza. Di grandissima importanza fu il suo allievo Rabbènu Ghereshòm ben Yehudà (960-1030 circa) soprannominato Meòr Hagolà (Luminare della Diaspora). Fu studioso del Talmud, pose particolari cure alla fissazione e alla conservazione del suo testo, fu autore di commenti al Talmud e di numerose risposte a quesiti rituali, è poi celebre per le sue takkanòt (disposizioni legali), da lui emanate per i paesi franco-germanici per un periodo di tempo limitato, accettate poi subito in tutta l’Europa e in seguito gradatamente estese a quasi tutta la Diaspora per tutti i tempi. Fra esse sono da ricordare il divieto della poligamia, se non in casi eccezionali, il divieto di divorziare senza il consenso della moglie, il divieto di leggere lettere destinate ad altri senza il consenso del destinatario, il divieto di rinfacciare l’apostasia a chi, compiutala per sfuggire a gravi persecuzioni, ritorna all’Ebraismo appena cessato il pericolo. A Rabbènu Ghereshòm si attribuiscono pure disposizioni per l’organizzazione delle comunità.
Rabbènu Ghereshòm ebbe numerosi studenti: fra gli allievi di alcuni di questi ebbe e ha tuttora grandissima importanza R. Shelomò ben Yitzchàk o Yitzchakì, generalmente conosciuto come Rashì, parola formata dalle iniziali del suo nome. Nacque a Troyes nel 1040, studiò in varie yeshivòt, a Worms e a Magonza, e poi fondò una yeshivà nella sua città natale, Troyes. Sua cura principale fu di raccogliere le interpretazioni tradizionali del Talmud, quali erano state fornite dai più illustri Maestri del tempo che le avevano ricevute dai loro insegnanti, che a loro volta le derivavano dagli insegnamenti dei Gheonìm. Egli andò annotando queste interpretazioni e, basandosi su queste, a cui aggiunse sue spiegazioni personali, compose un commento a quasi tutto il Talmud.
Questo commento, che in forma concisa e piana contiene spiegazioni di parole e di concetti, chiarisce la discussione talmudica prevenendone e risolvendone le difficoltà. Esso rese possibile che la comprensione del Talmud, riservata fino allora solo a quei pochi che potevano frequentare assiduamente Maestri che lo spiegassero a voce, diventasse patrimonio di tutti. Il commento di Rashì prevalse su tutti quelli composti in precedenza, e diventò così diffuso e popolare che fino ad oggi costituisce un sussidio indispensabile a chiunque studi il Talmud, e tutte le numerose edizioni che di questo furono pubblicate dai primordi della stampa fino ad oggi lo contengono. Si può dire che senza il commento di Rashì il Talmud sarebbe incomprensibile.
Rashì compose anche un commento a quasi tutti i libri biblici, più diffuso per la Torà, più breve per gli altri libri. Questo commento, che contiene ora spiegazioni letterali e grammaticali, ora spiegazioni midrashiche, ora spiegazioni halakhiche, diventò anch’esso popolarissimo e costituisce fino ad oggi, specialmente per la Torà, la base dello studio di questa secondo i sistemi tradizionali.
Rashì scrisse poi una grande quantità di risposte a quesiti che gli vennero rivolti, e molti suoi insegnamenti sono raccolti in compilazioni redatte da suoi studenti.
Gli ultimi anni della sua vita coincidono con quelli delle persecuzioni del tempo delle crociate (vedi pag. XXX) e, secondo una leggenda, egli predisse a Goffredo di Buglione la conquista di Gerusalemme, il suo breve dominio e la sua caduta. Rashì morì nella sua città natale nel 1105.
Nella Francia meridionale e in Provenza gli studi si orientarono specialmente verso il Midràsh e l’esegesi. Tra gli autori più noti ed importanti è da ricordarsi Moshè Hadarshàn, “il predicatore”, di Narbona, vissuto verso la fine del secolo X e il principio dell’XI, autore di commenti midrashici ed omiletici, dei quali si servi anche Rashì. Fra gli interpreti della Torà nel suo senso letterale sono specialmente notevoli Menachèm ben Chelbò (metà del sec. XI) e Yosèf Kara, della generazione successiva (da non confondersi con Yosèf Karo, del secolo XVI). Anche nei paesi franco-germanici fiorì la poesia liturgica, e quasi tutti i dotti del tempo sono autori di componimenti di questo genere, in molti dei quali si sente l’eco delle persecuzioni.
A differenza di quello che avvenne in Italia e nella Spagna araba, paesi dove all’epoca si ebbe una importante fioritura culturale in senso generale, gli studi degli Ebrei nel centro franco-germanico furono rivolti esclusivamente al campo specificatamente ebraico, biblico e talmudico, dato che la cultura nelle popolazioni non ebraiche in quei paesi era al tempo tutt’altro che fiorente. A questo si deve anche il fatto che gli scritti a cui abbiamo sopra accennato siano tutti in lingua ebraica per quanto il linguaggio abituale degli Ebrei fosse quello delle popolazioni in mezzo a cui vivevano, con qualche caratteristica speciale. Questo linguaggio serviva per le necessità quotidiane della vita, ma non si prestava ad esprimere concetti non del tutto materiali. È poi da notarsi che, appunto perché gli Ebrei parlavano abitualmente la lingua del paese, gli scrittori ebrei traducono talvolta nella lingua parlata, francese o provenzale o germanica, parole difficili dei testi che spiegano.
Penisola balcanica
Le condizioni generali furono quelle dei soggetti all’impero bizantino, che già conosciamo (vedi pag. XXX). Quando, nel secolo Vili###CHE SECOLO?, gli Arabi tentarono la conquista dei paesi balcanici e giunsero fino a Costantinopoli, gli Ebrei, com’è naturale, si auguravano che essi prevalessero e si fecero in loro più vive le speranze della prossima redenzione messianica analoghe a quelle che si erano manifestate in Persia e in Siria (vedi pag. 26, 33 ### controllare numeri pagine). Gli Arabi furono respinti e le condizioni rimasero immutate; l’imperatore Leone III Isaurico (717-741) tentò, ma senza effetto, di costringere gli Ebrei ad accettare il Cristianesimo. La lotta iconoclastica iniziata contro il culto delle immagini fu anch’essa causa di sofferenze per gli Ebrei, perché i sostenitori di quel culto accusarono questi di aver parte nel movimento iconoclasta, quasi volessero giudaizzare il Cristianesimo. La vittoria dei sostenitori del culto delle immagini (787) ebbe per conseguenza che si rinnovassero e aggravassero disposizioni non solo nei confronti degli Ebrei rimasti fedeli all’Ebraismo, ma anche di quelli che, passati apparentemente al Cristianesimo, erano sospetti di coltivare in segreto tradizioni e consuetudini ebraiche. Durante l’impero di Michele II (820-829) e del figlio di lui Teofilo (829-843), lontani entrambi dal fanatismo cristiano, gli Ebrei vissero in pace, ma le persecuzioni si rinnovarono sotto Basilio I (867-886) fondatore della dinastia macedonica. Dopo avere tentato invano di attirare al Cristianesimo gli Ebrei con la persuasione, con la promessa di vantaggi e onori e obbligandoli a discussioni che miravano a mostrare la verità dei dogmi cristiani, passò a vietare l’osservanza della Torà, e si dice abbia distrutto un gran numero di comunità dell’impero. A queste persecuzioni sfuggirono in parte le comunità dell’Italia meridionale grazie all’influenza di Shefatyà (vedi pag. XXX), medico dell’imperatore che riuscì a guarire da grave infermità una sua figlia.
Diverso da Basilio fu il figlio e successore di lui Leone VI (886-911) che revocò alcune delle disposizioni antiebraiche del padre e permise di far tornare pubblicamente all’Ebraismo coloro che, cedendo alla violenza, avevano formalmente accettato il Cristianesimo. Molte restrizioni stabilite da Giustiniano rimasero però in vigore; ma pare non siano state osservate rigorosamente. Fra altro Leone VI stabilì e confermò per gli Ebrei chiamati a testimoniare una forma speciale ed umiliante di giuramento, analoga a quella stabilita dai Carolingi (vedi pag. XXX).
Di persecuzioni e apostasie forzate si ha notizia ai tempi dell’imperatore Romano Lecapeno (920-944) e dei suoi successori.
Nonostante le violenze e le persecuzioni, suscitate per lo più dal clero e assecondate dagli imperatori a questo sottomessi, le condizioni economiche di coloro che riuscirono a salvarsi si mantennero abbastanza buone; gli Ebrei continuarono ad occuparsi con successo di commercio e di industria, specialmente di quella della seta, e le comunità continuarono in genere a godere di larghe autonomie.
Per quel che riguarda gli studi e la letteratura nella penisola balcanica, vale in genere quello che è stato detto per l’Italia meridionale (vedi pag. XXX) e di molti scritti e raccolte anonime dell’epoca, specialmente nel campo midrashico, è difficile stabilire con sicurezza se il luogo della loro composizione sia in Italia o nella penisola balcanica.
Europa orientale
a) Espansione degli Ebrei nell’Europa orientale
Non ci sono noti i particolari dell’espansione degli Ebrei dalle rive del Mar Nero e del Bosforo (vedi pag. XXX) verso i paesi dell’interno dell’Europa orientale. Senza dubbio essa fu soprattutto in conseguenza delle loro relazioni commerciali con le varie tribù semibarbare che abitavano quei paesi e alle quali essi fornivano prodotti di paesi di civiltà più avanzata. Altra causa fu la spinta verso il nord determinata dalle persecuzioni dei Bizantini. Certo si è che nel secolo Vili###aggiustare secolo notevole popolazione ebraica doveva esserci in Crimea e nelle regioni fra il Caucaso, il Don e il Volga.
b) Gli Ebrei e i Kazari
Fra le popolazioni del territorio sopra indicato, ebbe per la nostra storia particolare importanza il popolo dei Kazari. Questi erano in origine una tribù di nomadi che si aggirava intorno al Caucaso e ai confini dell’Armenia, ed ebbero occasione di venire a contatto con gli Ebrei di questi paesi e della Persia. Le conquiste arabe in Asia li spinsero verso l’Europa ed essi finirono per costituire uno stato di una certa potenza con capitale Itti (###NOTA: credo fosse Itil il nome giusto), presso la foce del Volga, assoggettarono parecchie tribù slave e minacciarono anche i territori confinanti soggetti all’impero bizantino. I Kazari, che erano idolatri, si trovavano da tempo in rapporti con Ebrei e Musulmani; da parte dell’impero bizantino si cercò di convertirli al Cristianesimo, e così essi vennero ad essere influenzati da tutte e tre le religioni monoteistiche, e non furono rare le conversioni all’una o all’altra di queste. L’Ebraismo riuscì a farsi strada specialmente fra le classi sociali più elevate e si narra che uno dei loro re di nome Bulan, dopo incertezze, finì per accettare l’Ebraismo e a indurre buon numero dei suoi sudditi a fare altrettanto; verso la metà del secolo VIII, e per oltre due secoli, i Kazari costituirono uno stato nel quale tutti gli alti funzionari erano ebrei e che allargò notevolmente i suoi confini. Nello stato erano però ammessi, con parità di diritti, i seguaci di tutte le religioni: Musulmani, Cristiani e pagani.
La posizione geografica del paese era tale da favorire grandemente il commercio, e così lo stato raggiunse un notevole grado di prosperità economica, e attirava a sé Ebrei di altri paesi, specialmente profughi dall’impero bizantino. I rapporti dei Kazari con questo non furono in genere amichevoli e frequenti guerre ebbero luogo nella prima metà del secolo X, specialmente durante il regno di Romano I ostile agli Ebrei (vedi pag. 51###controllare coerenza num pagina). Popolazioni varie sostenevano ora l’uno ora l’altro dei contendenti; e non di rado passavano dall’una all’altra parte. Ultimo re dei Kazari fu Yosèf (923-965 circa) che ebbe in moglie una figlia del re degli Alani, convertitosi anch’egli all’Ebraismo. Yosèf, avuta notizia delle persecuzioni di Romano I contro gli Ebrei, prese a sua volta a perseguitare i Greci cristiani del suo regno. Si giunse a una nuova guerra e i Bizantini furono per qualche tempo aiutati dai Russi del principato di Kiev: la guerra si svolse con varie vicende, intrecciate anche col variare delle relazioni, non sempre amichevoli, fra Bizantini e Russi. La vittoria definitiva toccò a questi ultimi, che posero fine al regno dei Kazari (1016). Gli abitanti non ebrei di questo si sparsero e si confusero con altre popolazioni; gli Ebrei si unirono ai loro confratelli di Crimea e di Turchia, parte dei quali avevano aderito allo scisma dei Karaiti (vedi pag. XXX); altri emigrarono in Spagna. L’ultimo re ebreo dei Cazari, Yosèf, fornì a Chasdài ibn Shaprùt (vedi pag. XXX) dietro sua richiesta notizie sulla storia e le condizioni, allora ancora floridissime, del suo regno. La sua lettera è giunta fino a noi.
c) Gli Ebrei in Russia
Durante questo periodo, il centro principale degli Slavi in Russia fu il principato di Kiev. È naturale che ragioni di commercio abbiano attirato Ebrei in questo paese, specialmente dal regno dei Kazari. Prima che i Russi accettassero il Cristianesimo (988) gli Ebrei esercitarono una certa propaganda parallela e contrastante a quella dei Bizantini, ed abbiamo notizie di discussioni fra i rappresentanti delle tre religioni monoteistiche nelle corti di principi pagani dell’Europa orientale. Dopo che nel principato di Kiev il Cristianesimo diventò la religione della maggior parte della popolazione, si fece sentire l’influenza del clero, disposizioni analoghe a quelle vigenti nell’impero bizantino furono prese nei confronti degli Ebrei e venne esercitata, a partire dal secolo XI, propaganda per la conversione di questi al Cristianesimo. Di vere e proprie persecuzioni o conversioni forzate non abbiamo notizie.
d) Gli Ebrei in Polonia e Boemia
A quanto pare i primi abitanti ebrei di questi paesi vi giunsero dalla Germania, e certo ve ne erano prima del prevalere del Cristianesimo, parecchi anni prima che in Russia. Non pare che allora gli Ebrei avessero a soffrire e una leggenda narra che ad un Ebreo fu offerto nel secolo IX il regno di Polonia, ma che egli rifiutò. Si dice pure che un’ambasceria di Ebrei della Germania chiese, verso la fine del secolo IX, il permesso di stanziarsi in Polonia per un gruppo di Ebrei, che il permesso fu dato, e che agli immigrati venne assicurata protezione. Per quanto manchino notizie precise, pare certo che almeno a partire dal secolo X degli Ebrei fossero stanziati in vari luoghi della Boemia e della Polonia. Dopo il prevalere del Cristianesimo anche in questi paesi si limitarono i diritti degli Ebrei, in particolare per quel che riguarda il commercio degli schiavi, che in quelle terre era assai diffuso.