Capitolo 3 – Gli Ebrei in Asia e Africa nel periodo delle origini e dell’espansione dell’Islam
Le fonti
Arabia: a) Gli Ebrei in Arabia prima di Maometto; b) Rapporti fra gli Ebrei e Maometto; c) Espulsione degli Ebrei dall’Arabia
Èretz Israèl: a) La conquista araba di Èretz Israèl; b) Èretz Israèl sotto gli Omàyyadi, gli Abbasidi e i Fatimidi
Babilonia e di Persia: a) Ricostituzione dell’esilarcato e rifioritura delle yeshivòt in Babilonia; b) Gli Ebrei durante la conquista araba della Persia e il dominio degli Omàyyadi; c) Movimenti messianici e di riforma; d) Gli Ebrei sotto gli Abbasidi; e) Decadenza e fine dell’esilarcato
La vita spirituale in Babilonia: a) L’opera dei Gheonìm; b) Lo scisma dei Karaiti; c) Saadyà Gaòn; d) I Gheonìm dopo Saadyà; e) La Masorà; f) La letteratura e le scienze
Gli altri paesi dell’Asia
Africa settentrionale
La vita economica degli Ebrei
Le fonti
Le notizie date in questo Capitolo si desumono da una quantità di fonti svariatissime: per l’atteggiamento di Maometto di fronte all’Ebraismo e agli Ebrei si ha qualche notizia nel Corano stesso; altro, e parecchio per le età successive, negli scritti di autori arabi e di cronisti ebrei medievali. Per quanto riguarda gli Ebrei in Babilonia, gli esilarchi e i Gheonìm, si hanno parecchie fonti ebraiche, fra cui la cronaca detta Sèder ‘Olàm Zutà, la lettera di Sherirà Gaòn (vedi pag. XXX), una relazione di R. Natàn Habavlì, scritta da questo verso la metà del sec. X e diretta agli Ebrei dell’Africa settentrionale. Notizie sparse di grande importanza per tutti gli aspetti della vita ebraica si trovano poi nei responsi dei Gheonìm di cui esistono moltissime raccolte. La letteratura dei Karaiti e gli scritti polemici dei Rabbaniti contro questi ci forniscono i dati per la storia del Karaismo. Per la Masorà servono di fonte gli scritti dei più antichi Masoreti e dei grammatici medievali.
Arabia
a) Gli Ebrei in Arabia prima di Maometto
Non sappiamo esattamente quando si siano formati i primi stanziamenti di Ebrei in Arabia: probabilmente ciò avvenne specialmente per ragioni di commercio, negli ultimi secoli prima dell’Era volgare, ma nulla di preciso ci è noto fino ai tempi di poco anteriori alle origini dell’Islam per opera di Maometto, cioè fino alla seconda metà del sec. VI E.V.
Le varie parti della penisola arabica erano abitate essenzialmente da tribù nomadi e seminomadi di Arabi, ma non mancavano anche elementi che appartenevano a vari popoli, e fra questi Ebrei, che vi costituirono varie comunità, tra cui specialmente importanti e numerose quelle della città di Yathrib, chiamata più tardi Medina, e di Khaybar a nord di Yathrib. Di regola gli Ebrei abitavano in quartieri separati. All’infuori degli Ebrei e di alcuni piccoli gruppi che avevano adottato il Cristianesimo, gli abitanti dell’Arabia erano pagani. Essi costituivano in genere delle unità autonome spesso in lotta con i due imperi che miravano ad estendere il loro dominio su quel paese: impero bizantino e impero persiano. Non erano poi rari i casi di lotte fra le varie tribù nelle quali furono spesso coinvolti anche gli Ebrei; accadde persino che combattenti ebrei si trovassero gli uni di fronte agli altri, a fianco di tribù arabe diverse. Gli Ebrei, pure mantenendosi fedeli ai principi dell’Ebraismo e alle norme della Torà, adottarono lingua e costumi della popolazione dominante; si occupavano specialmente di agricoltura e di commercio, ma molti di essi furono anche dediti alle armi. In genere essi vivevano in buoni rapporti con gli abitanti in mezzo a cui vivevano ed erano da questi stimati.
È ricordato, fra altri, come esempio di fedeltà, un certo Shemuèl ibn ‘Adaya (prima metà del secolo VI), capo di un gruppo ebraico, poeta e guerriero: si narra di lui che ebbe in consegna delle armi dal capo della tribù in mezzo a cui viveva e che, essendosi rifiutato di consegnarle ad un nemico di quel capo, quegli uccise il figlio di Shemuèl davanti ai suoi occhi. Gli Ebrei esercitarono una notevole influenza spirituale sugli Arabi pagani, alcuni dei quali mostrarono tendenze verso il monoteismo: non mancarono casi di vere e proprie conversioni, talvolta anche di capi tribù, seguiti poi dai loro sottoposti. Dopo che anche in Arabia penetrò il Cristianesimo, non di rado vi furono lotte fra Ebrei e Cristiani, determinate non solo da contrasti religiosi ma anche da ragioni politiche, dato che i Cristiani di Arabia sostennero reami nei quali dominava il Cristianesimo, come l’impero bizantino e l’Etiopia. Altre regioni dell’Arabia servirono di luogo di rifugio ad Ebrei di paesi nei quali essi erano perseguitati dai Cristiani.
b) Rapporti fra gli Ebrei e Maometto
Maometto aveva conoscenze vaghe e confuse dell’Ebraismo, sui principi del quale si fondava in parte la religione da lui fondata. Come assertore del più puro monoteismo, sperava di avere negli Ebrei dei collaboratori e poi anche dei seguaci, e, allo scopo di acquistare le loro simpatie e di attirarli a sé, in un primo tempo introdusse alcuni riti ebraici fra gli usi che impose ai suoi fedeli: oltre che prescrivere la circoncisione, che del resto era praticata dagli Arabi anche prima di Maometto, egli stabilì che i suoi fedeli recitassero le preghiere rivolti a Gerusalemme, digiunassero il dieci del mese del calendario arabo corrispondente a tishrì (###forse aggiungere: “, in concomitanza con il giorno di Kippùr, “?), adottassero riti ebraici relativi alle abluzioni, si astenessero dalla carne di alcuni animali proibiti agli Ebrei, come il maiale (non però il cammello) e di animali macellati in modo diverso da quello prescritto per gli Ebrei. Ma in seguito, quando dovette constatare che, com’è naturale, gli Ebrei si rifiutarono di vedere in lui, come egli si proclamava, l’inviato divino e l’ultimo dei profeti, chiamato a modificare, perfezionare e parzialmente annullare gli insegnamenti dei suoi predecessori Mosè e Gesù e a essere strumento di una nuova rivelazione divina, cambiò il suo atteggiamento verso gli Ebrei, e modificò alcuni degli usi ebraici che aveva adottato. Dopo la grande vittoria di Badr contro i pagani della Mecca (624) cominciò poi a perseguitare gli Ebrei. In un primo tempo fece uccidere singoli Ebrei che lo avevano combattuto. In seguito iniziò una vera e propria guerra armata contro gruppi che si rifiutarono di riconoscerlo come inviato divino: in genere i maschi adulti venivano uccisi, le donne ed i bambini venduti come schiavi; talvolta si limitò a obbligarli ad abbandonare il paese, e alcuni emigrarono in Èretz Israèl, stanziandosi a oriente del Giordano in territori dai quali i Persiani avevano per qualche tempo allontanato i Bizantini (624). Altri si stanziarono in mezzo a gruppi di Arabi ostili a Maometto e talvolta, con l’aiuto di questi, assalirono i Maomettani, ma in genere furono sconfitti, e massacri di Ebrei furono compiuti da Maometto stesso o dai più ragguardevoli dei suoi seguaci. Così furono quasi interamente distrutte le comunità ebraiche di Medina e dintorni e un ricco bottino cadde in mano dei Musulmani. Poco mancò che lo stesso avvenisse alla comunità di Khaybar, ma alla fine Maometto si accontentò di sottoporne gli abitanti ebrei a gravosi tributi.
Si narra che una donna ebrea tentò di avvelenare Maometto in un banchetto: avendo Maometto ingerito solo una piccola quantità di cibo avvelenato dopo che un suo commensale che ne aveva mangiato una maggiore quantità morì, si salvò; ma gli effetti del poco veleno durarono per tutta la vita e Maometto attribuì ad esso la sua morte avvenuta parecchi anni dopo (632). L’avvelenatrice, scoperta, fu condannata a morte. Di tutte le sue stragi e rapine a danno degli Ebrei Maometto era solito vantarsi come di impresa gradita a Dio e compiuta per Suo volere, dato che gli Ebrei si erano, secondo lui, allontanati dal puro monoteismo, religione di Abramo, di cui Maometto si considerava restauratore.
c) Espulsione degli Ebrei dall’Arabia
Come già sappiamo Maometto non aveva distrutto né espulso dall’Arabia tutta la popolazione ebraica; ma i suoi successori immediati, specialmente il califfo Omar (634-644), ritennero che in Arabia, terra sacra dell’Islam, non dovessero risiedere “infedeli” e quindi gli Ebrei rimasti, il numero maggiore dei quali era a Khaybar, ne furono espulsi e trasferiti in Siria (640).
Èretz Israèl
a) La conquista araba di Èretz Israèl
Come è noto gli Arabi musulmani, dopo la morte di Maometto, seguendo gli ordini di questo, iniziarono una guerra che mirava ad imporre dappertutto l’autorità dell’Islam e che riuscì di fatto a instaurare il dominio arabo sul Vicino Oriente, l’Africa settentrionale e alcune regioni dell’Europa. Tra i primi paesi conquistati ci fu Èretz Israèl. La guerra contro i Bizantini duro a lungo (634-640) e con vicende alterne. Sui particolari e su quanto riguarda gli Ebrei si hanno notizie confuse, contradditorie e spesso tendenziose.
Èretz Israèl a occidente del Giordano, a eccezione di un parte della costa, era, nel 638, in mano agli Arabi: in quell’anno Omar entrò da trionfatore in Gerusalemme, dove però non risiedevano Ebrei; si narra che egli iniziò la costruzione della moschea che porta il suo nome nel luogo, indicatogli da un Ebreo convertito all’Islam, dove era stato il Tempio che, del tutto abbandonato dopo i tempi dell’imperatore romano Giuliano (vedi vol. I, p. XXX), era ridotto a un luogo di rovine e di immondizie. Nelle altre parti del paese gli Ebrei si trovarono nelle condizioni che gli Arabi imposero in tutti i paesi del loro dominio, secondo le quali gli “infedeli” non erano molestati purché pagassero forti tributi, non esercitassero pubblicamente il loro culto, non costruissero nuovi luoghi destinati a questo, non montassero cavalli, non fossero vestiti come i Musulmani, non portassero armi, accettassero di ospitare per tre giorni viandanti musulmani. S’intende poi che, analogamente a quanto avvenne delle leggi restrittive relative agli Ebrei in vigore nei paesi cristiani, le disposizioni non vennero sempre osservate con tutto il rigore.
Comunque, certo è che la condizione degli Ebrei migliorò in confronto a quella che era sotto i Bizantini e quindi non c’è da meravigliarsi se, come risulterebbe da una notizia di fonte araba, di cui non si può controllare la veridicità, la caduta della città di Cesarea, sede del governo bizantino, con numerosa popolazione di Ebrei e di Samaritani, in mano degli Arabi, fu dovuta all’opera di un Ebreo (640).
Incerte e contradditorie sono le notizie relative alla conferma e all’abrogazione da parte degli Arabi, subito dopo la conquista, della disposizione che vietava agli Ebrei di risiedere in Gerusalemme (vedi vol. I, p. XXX).
b) Èretz Israèl sotto gli Omàyyadi, gli Abbasidi e i Fatimidi
Dopo che si fu costituito il califfato degli Omàyyadi (660) con sede a Damasco, Èretz Israèl vi appartenne e venne divisa in due parti, di cui una comprendeva la Giudea con capoluogo Ramla e il territorio di Samaria, l’altra la Galilea con capoluogo Tiberiade. Notizie particolari sugli Ebrei ci mancano; ma dato il carattere generale dei califfi Omàyyadi, assai meno fanatici dei loro predecessori e intenti ad allargare e consolidare lo stato più che a fare proseliti all’Islam, è probabile che non ci siano state persecuzioni e che gli Ebrei di Èretz Israèl siano vissuti abbastanza tranquilli godendo di larghe autonomie analoghe a quelle di cui godettero in Babilonia (vedi pag. XXX). Notevole è la tendenza di alcuni califfi a cercare di rendere Gerusalemme, città già sacra agli Ebrei e ai Cristiani, sacra anche ai Musulmani, che le diedero il nome di El Kuds (La Santa).
Nel 750 ebbe termine la dinastia degli Omàyyadi, a cui succedette quella degli Abbasidi (750) che dominò in Èretz Israèl per oltre due secoli. Anche per questo periodo mancano quasi del tutto le notizie sugli Ebrei in Èretz Israèl, che erano abbastanza numerosi in vari centri, fra cui, oltre che Ramla e Tiberiade, Gerusalemme, Tiro, Akko, Haifa, e le cui condizioni generali furono, a quanto pare, non diverse da quelle degli Ebrei di Babilonia, riguardo ai quali le notizie sono molto più abbondanti.
In occasione di lotte fra Musulmani e Cristiani a Gerusalemme, verso la metà del sec. X, gli Ebrei vi si trovarono coinvolti e, a quanto pare, parteggiarono per i Musulmani. Quando, nella seconda metà del secolo, il califfato degli Abbasidi andò sfasciandosi, Èretz Israèl entrò a far parte del califfato dei Fatimidi. Sotto i primi Fatimidi, le condizioni degli Ebrei, tanto in Èretz Israèl che negli altri paesi, furono buone: molti di essi ebbero cariche di stato importanti ed acquistarono notevoli ricchezze.
Il miglioramento generale delle condizioni degli Ebrei in Èretz Israèl ebbe per conseguenza che tornassero a rifiorirvi gli studi e venissero riaperte yeshivòt. I capi di queste, detti Gheonìm (singolare Gaòn), come i capi delle yeshivòt babilonesi, per quanto meno numerosi e meno autorevoli di questi, pensarono che fosse venuto il momento di ridare ad Èretz Israèl quel primato spirituale che era passato alle autorità babilonesi. In modo speciale si tentò di ridare ad Èretz Israèl il diritto di fissare il calendario. Questo tentativo determinò una grave lotta fra Ben Meìr, capo di yeshivà di Èretz Israèl e Saadyà, Gaòn di Sura (vedi pag. XXX). La controversia riguardava l’anno ebraico 4682 (922 dell’E.V.) nel quale secondo Ben Meìr la festa di Pèsach avrebbe dovuto cadere di domenica e secondo Saadyà il martedì successivo. Riusciti vani i tentativi di conciliare le due autorità, avvenne che la festa fu, in quell’anno, celebrata in giorni diversi nei vari centri ebraici. Esisteva il pericolo che la scissione durasse anche in seguito, ma invece fortunatamente ciò non avvenne e finì per prevalere, a partire dall’anno successivo, l’opinione delle autorità babilonesi.
Il centro di Èretz Israèl, per quanto, come detto sopra, meno importante di quello babilonese, esercitò notevole influenza sulle comunità di alcuni paesi, fra cui l’Italia, mentre nella maggior parte di essi rimase incontrastata l’autorità dei Gheonìm babilonesi.
Le buone condizioni non durarono a lungo; l’importanza assunta dagli Ebrei, e così pure dai Cristiani, suscitò il malcontento dei fanatici musulmani, e il califfo Al Hakim (996-1021) applicò con grande rigore le norme restrittive contro gli infedeli, e fece distruggere sinagoghe in Èretz Israèl, e così pure in Egitto e Siria. Alcuni Ebrei cedettero alle violenze e passarono all’Islam, altri emigrarono. In seguito, avendo Al Hakim preteso onori divini dai Musulmani, questi si rivoltarono contro di lui, e allora cominciò a mostrarsi più benevolo verso gli infedeli: sinagoghe distrutte furono ricostruite ed esuli furono autorizzati a ritornare.
Anche i successori di Al Hakim furono in genere tolleranti verso gli infedeli e alcuni Ebrei furono assai influenti nel governo.
Verso la metà del sec. XI, al decadere dell’esilarcato e del gaonato babilonese (vedi pag. XXX) ci fu un tentativo di fare risorgere in Èretz Israèl il patriarcato rappresentato dal Nasì; ma il tentativo non riuscì, per quanto alcuni dotti siano stati insigniti del titolo di Nasì.
Gravi turbamenti agitarono poi Èretz Israèl quando i Turchi Selgiuchidi, che agivano per conto degli Abbasidi, mossero guerra ai Fatimidi e conquistarono parte del paese e, fra l’altro, Tiberiade, Ramla, Gerusalemme (1071). Dopo molti anni di lotte, prevalsero i Fatimidi che scacciarono i Selgiuchidi (1096). Altre parti di Èretz Israèl rimasero, insieme con l’Egitto, sotto i Fatimidi e furono agitate da lotte interne fra gli ultimi Gheonìm e fra questi e i capi degli Ebrei di Egitto e di Babilonia.
Babilonia e Persia
a) Ricostituzione dell’esilarcato e rifioritura delle yeshivòt in Babilonia
La conquista araba dei territori babilonesi ebbe luogo contemporaneamente a quella di Èretz Israèl, negli anni 633-638 circa. Non occorre dire che gli Ebrei, perseguitati dagli ultimi Sassanidi (vedi pag. XXX) non li aiutarono a respingere gli invasori. Capitale della Babilonia, a cui gli Arabi diedero il nome, tuttora vivo, di Iraq, fu Kufa, non distante dalle rovine dell’antica Babel (###non so se volete mettere “Babele” o “città di Babilonia”). Agli Ebrei furono riconfermate le antiche autonomie e tornò a funzionare l’esilarcato (vedi vol. I, pag. XXX). Uno dei discendenti degli antichi esilarchi, Bostenài, occupò la carica, con l’autorizzazione del governo. Anche le antiche yeshivòt di Sura e Pumbedita tornarono a funzionare e a prosperare.
La Babilonia andò affermandosi come centro spirituale di tutto l’Ebraismo. A quanto pare, gli Ebrei sostennero Alì, genero di Maometto, che aspirava al califfato e lo ottenne, prevalendo sui suoi avversari.
b) Gli Ebrei durante la conquista araba della Persia, e il dominio degli Omàyyadi
Alla conquista araba della Babilonia segui quella della Persia, compiuta intorno al 650. Gli Ebrei furono coinvolti in lotte che agitarono il paese e, a quanto pare, si ebbe un arresto nello sviluppo dell’esilarcato e del gaonato. I successori di Bostenài non godettero sempre della stima della popolazione e furono accusati di acquistare con denaro la carica dai dominatori arabi della dinastia degli Omàyyadi. Ci furono anche lotte fra esilarchi e Gheonìm: quelli vollero arrogarsi il diritto di nominare i capi delle yeshivòt, che prima erano eletti dai dotti membri di queste.
Le condizioni migliorarono al tempo del dominio degli Abbasidi, e questo è il periodo della maggiore fioritura del gaonato.
c) Movimenti messianici e di riforma
Gli sconvolgimenti politici che agitarono i paesi dell’Oriente nei secoli VI-VIII, furono da alcuni considerati segni dell’avvicinarsi dell’era messianica, e così sorsero fra gli Ebrei persone che si credettero precursori del Messia e che riuscirono ad avere un numero notevole di seguaci. Tra questi si ricorda Abu Isa (in ebraico Yitzchàk ‘Ovadyà; 685-705 circa) uomo del popolo, di professione sarto, e privo di cultura; i suoi ammiratori dissero che per quanto analfabeta, riuscì miracolosamente a scrivere dei libri. Egli agì in Isfahan, capitale della Persia, e iniziò coi suoi seguaci la rivolta armata contro il califfo per scuotere il giogo straniero. Dopo varie vicende, la rivolta fu sedata e Abu Isa cadde sul campo di battaglia. Secondo le notizie date da alcuni scrittori, avrebbe mostrato tendenze a fondere le tre religioni monoteistiche e avrebbe considerato Gesù e Maometto come profeti, consigliato ai suoi seguaci di leggere oltre che i libri biblici, anche il Vangelo ed il Corano, avrebbe anche introdotto alcuni cambiamenti nei riti e costumi ebraici, imponendo il divieto del divorzio e di mangiare carne e bere vino, e obbligando a sette tefillòt quotidiane. Della setta da lui fondata si hanno tracce in Damasco fino al sec. X. Seguaci di Abu Isa fondarono altre sette nelle quali le tendenze di lui furono portate agli estremi, come abrogazione dell’obbligo di osservare lo shabbàt e le feste, e che finirono con la conversione all’Islam dei pochi loro seguaci.
d) Gli Ebrei sotto gli Abbasidi
La dinastia degli Abbasidi che successe a quella degli Omàyyadi (750) e che fissò poco dopo la sua capitale a Bagdad aveva un programma di maggior devozione ai principi più rigorosi dell’Islam, ma questo non determinò in genere un peggioramento delle condizioni degli Ebrei. Norme speciali su questi non furono emanate: si cercò di mantenere e di aggravare la distinzione tra fedeli (Musulmani) e infedeli (non Musulmani), ma si trattò in genere di una distinzione nelle manifestazioni esterne della vita (vedi pag. XXX) tendente a mettere in rilievo l’inferiorità di questi di fronte a quelli, dominatori quelli, soggetti questi, ma ai vari gruppi di “infedeli”, Ebrei compresi, si lasciarono larghe autonomie e libertà interna. E anche le norme restrittive non furono sempre applicate col medesimo rigore, e le cose cambiavano a seconda della maggiore o minore sottomissione dei vari califfi e dei vari prefetti delle provincie (vizir) alle esigenze dei capi religiosi dei Musulmani che miravano a rendere quanto meno onorevole fosse possibile la condizione degli infedeli. Quello che sempre era imposto a questi era il pagamento di tasse speciali che erano come un castigo per la loro infedeltà e per mezzo delle quali essi acquistavano dai dominatori il diritto di essere tollerati e non molestati. Tra i califfi è da ricordare Harun ar-Rashid (786-809), un ministro del quale stabilì ni modo esatto a quali gravezze gli Ebrei dovessero essere sottoposti e a quali pene, talvolta anche crudeli, dovessero essere condannati i restii o morosi, e quali segni esteriori di inferiorità dovessero essere imposti agli infedeli: fra questi, segni visibili nel vestiario. Sotto Harun ar-Rashid e uno dei suoi successori Al-Mamun (813-833) fiorirono le scienze e le lettere, e questo influì anche sugli Ebrei; di lui si dice che, tollerante per natura, finì poi per cedere ai fanatici musulmani e usò grandi rigori verso gli infedeli e in modo speciale verso gli Ebrei che furono allontanati da cariche pubbliche di amministratori ed esattori che prima occupavano, per quanto ciò fosse considerato contrario alle disposizioni del Corano. Del tutto fanatico e quindi rigoroso osservatore delle norme contro gli infedeli fu Al-Mutawakkil (847-861): le tasse vennero aggravate e i segni distintivi sugli abiti furono moltiplicati; venne confiscato un decimo delle case appartenenti ad infedeli, sinagoghe (e così pure chiese) che erano state costruite illegalmente vennero abbattute; si stabilì che le tombe degli infedeli non fossero visibili al di sopra della superficie del terreno; fu vietato ai figli degli infedeli lo studio nelle scuole dei Musulmani; secondo alcune fonti fu vietato agli infedeli anche di servirsi dei bagni pubblici dei Musulmani e di tenere alle loro dipendenze lavoratori musulmani. Come al solito è probabile che le norme non venissero sempre applicate esattamente: specialmente quelle relative al vestiario pare si potessero facilmente trasgredire mediante pagamenti ai capi delle province. Non risulta poi che gli Ebrei siano stati ostacolati nell’esercizio del commercio e delle professioni libere, come quelle della medicina e dell’insegnamento.
Questa situazione continuò, con l’alternarsi di periodi di maggiore e minore rigore, senza modificazioni sostanziali, fino allo smembramento del califfato di Bagdad verso la metà del secolo X. Il dominio degli Abbasidi diventò puramente nominale, mentre i veri dominatori furono i Turchi Selgiuchidi e prevalsero le idee dei Musulmani più fanatici.
e) Decadenza e fine dell’esilarcato
A partire dal secolo IX l’Ebraismo di Babilonia, che pure tanta importanza esercitò sugli Ebrei dispersi nei vari paesi, fu turbato da gravi e frequenti lotte tra gli esilarchi e i Gheonìm, ed anche fra i capi delle principali yeshivòt. I limiti di competenza fra esilarchi e Gheonìm non erano ben nettamente distinti, e quindi sorsero spesso fra di loro dei conflitti, e ciascuno dei due capi dell’Ebraismo babilonese riteneva di dover esercitare una certa autorità sull’altro e persino di avere il diritto di nominare o revocare l’altro. Qualche volta vi furono addirittura due esilarchi o due Gheonìm di una stessa yeshivà, ciascuno dei quali riconosciuto da una parte della popolazione, e in certi casi anche i califfi presero parte alle contese, sostenendo e riconoscendo l’uno o l’altro dei rivali, e di conseguenza i contendenti all’esilarcato cercarono talvolta di ottenere con denaro l’appoggio del governo, cosa che fu, com’è naturale, aspramente biasimata dai Gheonìm. Le lotte si intrecciarono talvolta con quelle tra Rabbaniti e Karaiti (vedi pag. XXX). Specialmente aspre furono le lotte fra l’esilarca Davìd ben Zakkài e Saadyà ben Yosèf (882-942), che proprio per invito di Davìd era stato chiamato a occupare la carica di Gaòn di Sura (928). L’origine del conflitto si dovette al fatto che Saadyà, a differenza del suo collega di Pumbedita, si rifiutò di approvare una sentenza dell’esilarca in materia di eredità, che egli riteneva non conforme alla giustizia e determinata da interessi personali dell’esilarca. Saadyà e Davìd ben Zakkài si scomunicarono e destituirono reciprocamente; il governo parteggiò per l’esilarca e destituì Saadyà, contro il quale i suoi avversari mossero accuse di eresia e di non esatta osservanza di certe mitzvòt; a tali accuse Saadyà rispose. Dopo circa sette anni di lotte i due contendenti si accordarono (937) e tornarono senza contrasti a occupare le loro cariche; pochi anni dopo morirono entrambi: l’esilarca nel 940 e Saadyà nel 942.
Questo stato di cose ebbe tristi conseguenze nella vita delle comunità, e David ben Zakkài fu l’ultimo esilarca riconosciuto dal governo e da tutta la popolazione ebraica. Dopo la sua morte l’esilarcato andò dissolvendosi in corrispondenza allo sfasciarsi della dinastia degli Abbasidi, sotto la quale era fiorito. L’esilarcato rimase qualche tempo vacante e nulla sappiamo degli ultimi discendenti di Bostenài.
La vita spirituale in Babilonia
a) L’opera dei Gheonìm
Già sappiamo che i Gheonìm furono i capi delle principali yeshivòt, a Sura e Pumbedita, e che la Babilonia divenne il centro spirituale dell’Ebraismo. L’importanza grandissima dei Gheonìm consiste principalmente nel fatto che essi riuscirono a fare considerare in tutti i paesi della Diaspora ebraica il Talmud, a cui era stata data l’ultima mano dai Savoraìm (vedi vol. I, pag. XXX), come fonte esclusiva del rito e del diritto ebraico. La loro attività, sia nell’insegnamento che nelle opere da loro scritte, consistette nello spiegare il Talmud, nel ricavare dalle discussioni in esso contenute le norme da seguire in tutte le manifestazioni della vita ebraica, e nell’indurre gli Ebrei di tutti i paesi ad attenersi alle norme da loro ricavate. Essi vennero così, di fatto, a ricostituire un’autorità centrale ebraica che aveva cessato di funzionare dopo che, al termine dell’età antica, era stato soppresso il patriarcato e non esisteva più il Sinedrio. La loro autorità era del tutto morale, fondata sulla grande considerazione in cui erano tenuti. Essi le diedero un appoggio, minacciando di chèrem (specie di scomunica, che metteva chi ne era colpito fuori della comunità ebraica) chi non si attenesse alle norme da loro stabilite, e con questo mirarono ad evitare pericolose scissioni. Da tutte le parti del mondo ebraico venivano loro rivolte domande sia per avere delucidazioni sul testo talmudico, sia per risolvere casi rituali e giuridici che di volta in volta si presentavano. Le soluzioni venivano discusse fra i dotti nelle yeshivòt e poi comunicate ai richiedenti. In riunioni a cui prendeva parte il popolo, specialmente allo shabbàt e all’avvicinarsi delle grandi solennità, come già nell’età talmudica venivano comunicate le spiegazioni e le decisioni di interesse generale. Quello che è giunto a noi degli scritti dei Gheonìm (molto, ma certo solo piccola parte di quello che essi scrissero) è costituito in gran parte da risposte (teshuvòt) che essi diedero alle domande (sheelòt) che a loro vennero rivolte. E così ebbe origine la vastissima letteratura dei Responsi (Sheelòt Uteshuvòt) dati da Maestri dall’età dei Gheonìm in poi.
I Gheonìm iniziarono anche la raccolta di norme pratiche rituali e giuridiche (halakhòt) disposte talvolta nell’ordine che le varie mitzvòt hanno nella Torà, talvolta seguendo l’ordine delle discussioni nel Talmud, talvolta ordinate per argomenti. Essi redassero pure i primi formulari liturgici (siddurìm) che venivano a stabilire formule fisse delle tefillòt. Il più antico di questi siddurìm è attribuito a Rav ‘Amràm, Gaòn di Sura (856-874). Sia nella liturgia che in vari particolari rituali si vennero a determinare delle differenze fra gli usi babilonesi e quelli di Èretz Israèl, e i primi finirono per prevalere quasi interamente.
Gli scritti dei Gheonìm sono in gran parte in aramaico, in parte in ebraico e in parte in arabo. Intorno agli ultimi Gheonìm vedi più avanti (pag. XXX-XXX).
b) Lo scisma dei Karaiti
Abbiamo sopra accennato ad alcuni movimenti da cui nacquero delle sette ebraiche che, dopo essere state in vita per qualche tempo, sparirono senza lasciare traccia (vedi pag. XXX); dobbiamo ora parlare di un altro movimento che diede luogo a un vero e proprio scisma, e che ancora oggi ha degli aderenti, per quanto non numerosi: è questo il movimento dei Karaiti che, ridando vita in un certo senso a quello, da molti secoli scomparso, dei Sadducei (vedi vol. I, pag. XXX), rappresenta una reazione contro l’opera, perfettamente riuscita, dei i###, di mettere il Talmud alla base della vita e del diritto ebraico, e mira a dichiarare privi di qualsiasi valore gli insegnamenti tradizionali della Torà shebe‘àl pe (Legge orale), sui quali è invece, come è noto, basato il Talmud.
La causa occasionale dello scisma va ricercata in uno degli episodi delle lotte che agitarono l’esilarcato e il gaonato di cui sopra abbiamo fatto cenno (vedi pag. XXX-XXX). Morto, nel 765, un esilarca della famiglia di Bostenài senza lasciare figli, due fratelli, di cui uno di nome ‘Anàn, aspirarono alla carica. Ne nacque una lotta fra i partigiani dell’uno e dell’altro dei fratelli. I Gheonìm osteggiarono ‘Anàn, forse perché questi era sospetto di sostenere idee non del tutto approvate dai capi delle yeshivòt e anche contrarie al Talmud, e riuscirono ad ottenere dal califfo che fosse riconosciuto come esilarca il fratello di ‘Anàn. I fautori di ‘Anàn non riconobbero il fratello di lui e così si misero in opposizione col governo che fece imprigionare ‘Anàn (767): chiamato dinanzi al califfo, riuscì a farsi liberare e si dichiarò apertamente fondatore di una setta che respingeva il Talmud e le tradizioni rabbiniche. La setta, che ebbe numerosi seguaci, prese il nome di setta dei Karaiti dal verbo ebraico karà da cui deriva mikrà (Bibbia) perché essi sostennero di desumere le norme della vita ebraica soltanto da quello che è scritto nei libri sacri, giudicando non autentiche e prive di autorità le tradizioni talmudiche e gli insegnamenti dei Maestri. Siccome però, com’è noto, non è possibile applicare praticamente queste norme basandosi solo sulla lettera di quanto è scritto senza una qualche interpretazione, così diedero nuove interpretazioni non di rado lontane dalla lettera del testo non meno di quelle date dalla tradizione rabbinica, cosicché, di fatto, anziché seguaci di quella lettera, diedero a questa interpretazioni che si distinguevano da quelle dei loro oppositori, detti Rabbaniti, solo per il fatto di non avere alcun appoggio nella tradizione. Siccome poi i Karaiti ritennero ogni singolo Maestro autorizzato a stabilire la Halakhà secondo la sua interpretazione personale dei testi, non ebbero mai un sistema unitario, e ogni gruppo di Karaiti si regolò secondo le norme date dal proprio Maestro, spesso in contrasto con quelle date da altri anche su argomenti di grande importanza. Sono giunte a noi parecchie raccolte delle halakhòt dei Karaiti, la prima delle quali composta da ‘Anàn stesso, ed esse, diverse fra di loro in molti punti, hanno in comune soltanto il rifiuto delle tradizioni rabbiniche, e talvolta sono più rigorose di queste, talvolta meno.
Il Karaismo varcò presto i confini della Babilonia, e un notevole nucleo di Karaiti si formò anche in Èretz Israèl: secondo alcune notizie, ‘Anàn stesso vi si sarebbe trasferito e vi avrebbe fondato una sinagoga. Com’è poi naturale, dati i principi su cui il Karaismo si fondava, esso si divise, nei secoli VII-IX, in una quantità di sette, spesso in lotta fra di loro. Più tardi, nel secolo X, si ebbe una certa unità perché i loro capi si convinsero che la tradizione ha la sua importanza e accettarono come obbligatori certi usi invalsi da lungo tempo, anche se non richiesti dalla lettera della Torà liberamente interpretata. Fra i sostenitori di questo principio è da ricordarsi uno dei più insigni dotti Karaiti, Ya‘akòv el Karkasanì; autore di commenti a libri biblici, di opere rituali e filosofiche, tutte in arabo.
c) Saadyà Gaòn
Saadyà ben Yosèf, Gaòn di Sura, che già abbiamo avuto occasione di ricordare parecchie volte, è una delle figure più notevoli alla fine del secolo IX e nella prima metà del successivo. Nacque a Fayyum nell’alto Egitto nell’882 e acquistò profonda conoscenza della Bibbia, del Talmud e delle varie scienze. La sua attività è in parte collegata con lo scisma dei Karaiti. Il fatto che questi affermassero di fondare le loro idee e i loro insegnamenti sul testo biblico indusse i Rabbaniti a studiarlo più profondamente di quanto non facessero in precedenza, per potere rispondere ai loro avversari, e di qui nacque anche la necessità di darsi a studi di lingua ebraica. In questi campi ha particolare importanza Saadyà: all’età di vent’anni compose un vocabolario ebraico, poi scrisse un libro di grammatica, scienza che era in fiore anche presso gli Arabi del tempo, e fu autore di una traduzione araba e di un commento della Bibbia nella stessa lingua, abitualmente parlata dagli Ebrei dell’Oriente. Mentre ancora era in Egitto, scrisse un’opera per confutare i Karaiti. Nel 919 passò in Èretz Israèl, poi in Siria e quindi in Babilonia, e prese parte, come già sappiamo (vedi pag. XXX), alla grave controversia sulla fissazione del calendario, riuscendo a far prevalere la sua opinione: della sua nomina a Gaòn di Sura e del resto della sua vita abbiamo parlato sopra (vedi pag. 28###). Fra le sue opere principali vanno ricordate, oltre quelle di argomento rituale e giuridico, ancora il libro filosofico scritto da lui in arabo, e poi tradotto in ebraico col titolo Sèfer Haemunòt Vehade‘òt (Libro delle credenze e delle opinioni) nel quale l’autore si propone di spiegare i principi dell’Ebraismo e dare loro dei fondamenti logici, confutando principi contrari di altre religioni e di sette ebraiche dissidenti. A proposito di queste è da notare che ci furono persino dei movimenti che tendevano non solo, come quello dei Karaiti, a negare autorità al Talmud, ma perfino alla Torà e alle tradizioni e agli insegnamenti in essa contenuti. Di Saadyà sono pure conservati il Sìddur, formulario liturgico, con riti relativi alle varie tefillòt, e vari suoi componimenti liturgici.
d) I Gheonìm dopo Saadyà
Con Saadyà il gaonato era giunto al suo più alto grado; dopo di lui comincia la decadenza; ma ancora sono da notarsi alcune figure di grande importanza, specialmente Sherirà e il figlio di lui Hai. Dopo che venne chiusa la yeshivà di Sura (948). Sherirà, capo di quella di Pumbedita (968-998 circa) diventò il capo incontrastato dell’Ebraismo babilonese; oltre che per i suoi responsi rituali è noto per la Igghèret (Lettera) in aramaico, nella quale egli, per aderire a richieste fattegli dai dotti di Kairuan (vedi pag. XXX), traccia la storia della trasmissione della Torà dalla Mishnà fino ai suoi tempi, dando notizie abbondanti sull’età dei Gheonìm. Anche Sherirà e il figlio di lui Hai, suo coadiutore a partire dal 986 circa e poi suo successore, ebbero a soffrire da parte dei loro avversari. Per ragioni non ben note, furono loro mosse delle accuse presso il califfo; Sherirà e Hai furono imprigionati e privati dei loro averi e poi reintegrati. Sherirà morì quasi centenario e Hai ereditò la sua carica (998-1038). Di lui restano responsi e scritti di argomento rituale, redatti quasi tutti in arabo e più tardi tradotti in ebraico; si occupò anche di grammatica e di filosofia.
Durante la vita di Hai fu anche riaperta la yeshivà di Sura, a capo della quale fu per qualche tempo (1010-1035) il suocero di Hai, Shemuèl ben Chofnì, anche egli ritualista e filosofo; ma le due yeshivòt cessarono di funzionare pochi anni dopo la morte di Hai e di Shemuèl, e così ebbe fine la preminenza spirituale di Babilonia sulla Diaspora ebraica.
La rapida decadenza delle yeshivòt fu dovuta in gran parte allo sfasciarsi dell’unità politica del califfato, smembratosi in vari stati spesso in lotta fra di loro. Questa situazione rese assai difficile che affluissero, come prima, forti contributi da tutto l’Oriente; e gli ultimi Gheonìm, in conseguenza delle ristrettezze economiche in cui si trovarono, dovettero spesso inviare dei loro delegati a raccogliere offerte in vari paesi. Una tradizione che può avere del leggendario, ma che ha senza dubbio un fondamento storico, afferma che quattro dotti, inviati a raccogliere offerte, furono catturati dai pirati e portati da questi in quattro paesi distinti per essere venduti come schiavi; riscattati dagli Ebrei dei rispettivi paesi, vi si stanziarono e vi importarono lo studio talmudico e le tradizioni dei Gheonìm. Così, come vedremo, si formarono nuovi grandi centri di studi in Africa settentrionale e in Europa.
e) La Masorà
Fino all’età dei Gheonìm non esistevano segni scritti che indicassero le vocali del testo biblico, la posizione dell’accento delle parole, le pause e la divisione dei versi, e tutto si conservava per tradizione e si trasmetteva oralmente. Nell’età dei Gheonìm sorsero scuole di masoreti, ossia “uomini della tradizione”, che, oltre che curare l’esatta conservazione del testo e fissarlo definitivamente nei pochi casi in cui vi erano delle incertezze, provvidero a notare con segni tutto quello che, come detto sopra, prima si conservava per tradizione orale, e a redigere regole ed elenchi che chiarissero i vari punti. Il complesso di tutto questo ha il nome Masorà, tradizione. Anche a questo lavoro diede notevole spinta lo scisma dei Karaiti che, fondandosi sul testo biblico, ne ebbero speciale cura: i Rabbaniti, per combatterli, dovettero averne cura non minore.
Per quel che riguarda i segni delle vocali e degli accenti e altre notazioni sussidiarie si ebbero vari sistemi, di cui i tre principali sono quello babilonese, quello di Èretz Israèl meridionale (Yehudà) e quello di Tiberiade. Quest’ultimo, che è il più perfezionato, finì per prevalere ed è quello che è oggi adottato in tutte le edizioni della Bibbia: degli altri si sono conservati frammenti in manoscritti, parte dei quali vennero poi pubblicati a scopo di studio. Fra le scuole principali di masoreti tiberiensi si ricordano quelle di Ben Ashèr e di Ben Naftalì, che divergevano fra di loro per alcuni particolari.
f) La letteratura e le scienze
Nel corso della nostra trattazione abbiamo avuto talvolta occasione di ricordare opere scritte nell’età dei Gheonìm. Dobbiamo ora aggiungere che, per influenza della fioritura scientifica e letteraria che si notò presso gli Arabi sotto i califfi, si sviluppò una letteratura ebraico-araba di argomento ebraico e dovuta ad autori ebrei in lingua araba. Si hanno, oltre a scritti polemici di Karaiti e di Rabbaniti a sostegno delle rispettive opinioni, scritti di matematica, di scienze fisiche, di medicina, di filosofia, di geografia e di storia.
In lingua ebraica furono redatti nel nostro periodo, specialmente in Èretz Israèl, alcuni Midrashìm (vedi pag. XXX) e alcune opere di argomento mistico, fra cui specialmente degno di nota è il Sèfer Hayetzirà (Libro della Creazione), attribuito al patriarca Abramo, che servì poi di base alla letteratura mistica e kabbalistica che fiorì più tardi (vedi pag. XXX).
Gli Ebrei servirono anche da intermediari fra la cultura greca e quella araba, e tradussero in arabo opere di scrittori greci, specialmente filosofi, tra i quali era particolarmente stimato e seguito Aristotele.
Gli altri paesi dell’Asia
Tutti i paesi dell’Asia anteriore conquistati dagli Arabi fecero parte successivamente dei califfati di Damasco e di Bagdad: notizie dettagliate relative agli Ebrei sono scarsissime, e le condizioni generali furono quelle sopra descritte.
Come in Persia (vedi pag. XXX), anche in Siria sorse un movimento messianico, capitanato da un certo Sereno, profugo dalla Turchia per sfuggire alle persecuzioni bizantine dopo che gli Arabi furono respinti da Costantinopoli (717-18). Egli si proclamò Messia e promise di ridare agli Ebrei il loro paese. Sereno e i suoi seguaci considerarono abrogate molte delle norme della Torà, anche essenziali, come alcune di quelle che riguardavano gli alimenti e le unioni proibite. Il movimento, che per breve tempo ebbe una notevole estensione, tanto che ebbe dei seguaci perfino in Spagna, non ebbe poi seguito e molti dei suoi aderenti ritornarono all’Ebraismo tradizionale.
Gli imperatori bizantini Niceforo II Foca e Giovanni I Zimisce (969-976) riuscirono a togliere agli Arabi parte della Siria, e, fra l’altro, le città di Antiochia e Aleppo, con notevole popolazione ebraica, e naturalmente le condizioni degli Ebrei furono analoghe a quelle degli altri paesi soggetti ai Bizantini. Una parte della Siria fu poi, nel secolo successivo, conquistata insieme con una parte di Èretz Israèl dai Turchi Selgiuchidi (vedi pag. XXX); ma nessun particolare importante che riguardi gli Ebrei ci è noto fino al tempo delle imprese dei crociati.
In seguito alla conquista araba di Alessandria (641) e alla cessazione del governo bizantino in Egitto, gli Arabi e i Greci vennero ad un accordo, una delle condizioni del quale fu che gli Ebrei potessero rimanere nel paese dietro pagamento di tasse speciali. Da fonti musulmane risulterebbe che ne rimasero circa 40.000 mentre altri 70.000 sarebbero fuggiti al tempo della conquista; ma, a quanto pare, le cifre sono molto esagerate.
La città poi perdette di importanza perché cessò di essere capitale e venne sostituita da Fostat (oggi Cairo antica) dove si formò una comunità ebraica importante. Presso gli Ebrei di Egitto fiorirono gli studi e la cultura, sia ebraica che araba, tanto è vero che nativo dell’Egitto e là vissuto nella sua giovinezza è uno dei più insigni dotti ebrei dell’epoca: Saadyà ben Yosèf (vedi pag. XXX). Dalle comunità ebraiche d’Egitto, non pochi membri delle quali acquistarono notevoli ricchezze, venivano inviate offerte alle comunità di Èretz Israèl: inoltre gli Ebrei di Alessandria si assunsero l’impegno di riscattare i fratelli che, caduti in mano di pirati come allora spesso avveniva, stavano per essere venduti come schiavi.
Le comunità ebraiche d’Egitto si organizzarono, a quanto pare, verso la fine del sec. X, sotto un capo, ad imitazione dell’esilarca babilonese: a partire dalla metà del secolo XI, questo capo è designato col titolo di naghìd. I capi spirituali degli Ebrei di questo paese furono in continui rapporti con i Gheonìm e talvolta esercitarono la loro influenza anche in Èretz Israèl e in Siria.
Dopo l’Egitto, gli Arabi conquistarono i paesi berberi dell’Africa settentrionale: nel luogo dell’antica Cartagine fondarono la citta di Kairuan (670) (###NOTA: in realtà non è affatto nello stesso luogo, è solo che sono entrambe in Tunisia) che diventò poi un centro culturale ebraico di grande importanza. Fra i dotti di questo paese vanno ricordati specialmente il filosofo e naturalista Yitzchàk Israelì (840-890), Nissìm ben Ya‘akòv ibn Shahin, per desiderio del quale Sherirà Gaòn scrisse la sua “lettera” (vedi pag. XXX), Chushièl, uno dei quattro prigionieri (vedi pag. XXX) rinnovatore degli studi talmudici, il figlio di lui Chananèl e Nissìm ben Ya‘akòv, profondi talmudisti (metà del secolo XI).
I paesi dell’Africa settentrionale fecero parte dei califfati di Damasco e di Bagdad e nella seconda metà del secolo X furono sotto i Fatimidi, che dominarono pure in Siria e Èretz Israèl (vedi pag. XXX).
La vita economica degli Ebrei
La riunione di gran parte dell’Asia anteriore e centrale e dell’Africa settentrionale sotto il governo dei califfi ebbe per conseguenza lo sviluppo del commercio non solo fra le varie regioni del califfato ma anche fra le varie parti del mondo che confinavano coi paesi arabi: questi diventarono centri commerciali di grande importanza fra l’Asia, l’Africa e l’Europa. Il commercio, sia per terra che per mare, attirò molti Ebrei, che, gravati com’erano di tasse, sentirono la necessità di darsi ad occupazioni che fornissero loro larghi mezzi che dessero loro il modo di pagarle. Così avvenne che, pur non abbandonando del tutto il lavoro agricolo e l’artigianato, essi si diedero soprattutto al commercio di esportazione e importazione, facilitato dal fatto che Ebrei erano ormai sparsi in quasi tutte le parti del mondo conosciuto e che i gruppi ebraici abitanti nei diversi paesi intrattenevano rapporti tra loro.