Oggi, digiuno del 10 di tevèt, è anche il giorno che la tradizione ebraica dedica al ricordo della Shoah
Simone Somekh
Quei muri erano fantasmi. Non di quello che non c’era più, ma di quello che avrebbe potuto essere e non era stato.
La scorsa settimana ho visto un video scioccante su YouTube. Nel video c’era una donna, figlia di una superstite della Shoà, che andava in giro per le università della Pennsylvania a intervistare studenti con lo scopo di vedere quanto ne sapevano di Seconda Guerra Mondiale, Nazismo, Soluzione Finale. Risultato: la maggior parte dei ragazzi intervistati non era in grado di dire né cosa sia stato l’Olocausto, né quanti anni fa si sia verificato, né di che Paese fosse leader Adolf Hilter. Infatti solo in 5 stati degli USA l’insegnamento di tali argomenti è obbligatorio nelle scuole pubbliche, mentre in tutti gli altri 45 (tra cui figura la Pennsylvania) non è così.
Terminato il video, sono rimasto a fissare come un ebete lo schermo del mio computer per qualche minuto. Non credevo ai miei occhi. Eppure è così. Solo 70 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, le persone già cominciano a dimenticare. Tra questi “smemorati”, c’è chi si ostina a non voler ricordare, come i negazionisti, e c’è anche chi non crede che sia importante studiare, confrontarsi con la realtà, imparare da un passato per nulla remoto.
Questa settimana, quindi, voglio ricordare insieme a voi. Ricordare con l’aiuto dell’ultimo romanzo di Elena Loewenthal, nata a Torino nel 1960, da anni collaboratrice de La Stampa. Il suo nuovo lavoro è intitolato La lenta nevicata dei giorni e racconta una storia verosimile ambientata durante gli anni delle persecuzioni antiebraiche.
Ciò che ho apprezzato di più di questo libro è che non si limita a raccontare il durante. Non si limita a descrivere fughe, nascondigli, frustrazioni, paure della giovane coppia di ebrei francesi André e Fernande. No. Elena Loewenthal va oltre, e si spinge oltre la Liberazione, affrontando anche ciò che avviene dopo. E per porre l’accento su questo dopo carico di tensioni, ricordi, incubi, cicatrici, l’autrice stravolge l’ordine cronologico degli eventi e inverte la narrazione del durante e quella del dopo.
André e Fernande sono giovanissimi, appena sposati. Stentano a credere alla realtà ostile che li circonda, alla minaccia nazista che ha invaso la loro Francia, e tentennano prima di lasciare il loro appartamento parigino alla volta della Riviera. Giunti al Sud, hanno l’enorme fortuna di potersi nascondere in una villa vicino a Mentone, ospiti insieme ad altri sedici ebrei di un Senatore invisibile. L’isolamento a cui sono costretti mette alla prova loro come individui e loro come coppia, li avvicina fisicamente, privati di ogni spazio, libertà e indipendenza, ma li allontana emotivamente, angosciati dall’ignoranza di cosa stia succedendo là fuori, in un’Europa folle e cannibale.
Poi tutto finisce. Ma solo sulla carta. Perché nonostante André recuperi l’appartamento, il lavoro e la dignità, per lui e Fernande nulla passa. È come un mantra che insegue i due protagonisti e molti altri giorno e notte: Quello che abbiamo vissuto non passa affatto. Non passa niente, per nessuno di noi. Non passa, non passa, non passa. Però i giorni passano, i protagonisti crescono, si evolvono. Grazie ad André, Fernande realizza il sogno di acquistare la “casa del sogno”, affacciata sul mare accanto ad un faro.
Anche l’amore che una volta infiammava i due giovani cambia. Ora i due hanno bisogno di nuovi appigli, creando così una sorta di pentagono amoroso in cui coesistono nuovi personaggi: il misterioso Poeta, il giovane Paul e la bella Simone, che ha anche lei alle spalle una storia di fughe e di abbandoni.
Con un tratto deciso, elaborato e poetico, Elena Loewenthal ci regala un romanzo intimo e riflessivo. Per quanto realistiche, alcune delle immagini proposte sembrano a momenti inquadrature di cinema d’autore, prima tra tutte la “casa da sogno” dai muri tatuati dal Poeta. Non manca inoltre il tocco fiabesco: descrizioni minuziosamente dettagliate, ma dai contorni sfocati, come un acquerello dalle sfumature delicate. La lenta nevicata dei giorni è una lettura pregnante che va digerita con calma. Perché con la Storia dobbiamo fare i conti. Non possiamo permetterci di dare neanche uno di quei giorni, nevicati lentamente uno dopo l’altro, per scontati, come sembra invece fare il sistema scolastico americano. Né oggi, né domani, né mai.
Quante notti ci pensò, lei, nella nebbia dell’insonnia: la parabola che il poeta s’era inventato era il titolo perfetto della sua vita, quell’attesa consapevolmente disperata e inutile assomigliava al nulla che per lei era venuto dopo la guerra. Nonostante la ricchezza, gli affetti, quella casa che amava con tutta se stessa, il Poeta e Paul e André e anche Simone che erano un accogliente cerchio d’amore. Nonostante tutto questo, il buio di quegli anni e la paura che continuava a braccarla, c’era il deserto. E un’attesa tenace, sapendo che nulla sarebbe mai più venuto.
Elena Loewenthal, La lenta nevicata dei giorni, Einaudi, 2013
http://simonsays101.com/2013/11/03/elena-loewenthal-la-lenta-nevicata-dei-giorni-recensione/