E mangerai e ti sazierai e benedirai il tuo D-o per la buona terra che ti ha dato. (Devarim 8:10). Poche delle berachot che recitiamo sono effettivamente istituite dalla Torà: La maggior parte sono di origine rabbinica, con la notevole eccezione della Birkat haMazon la cui fonte è nella Parasha di questa settimana.
È interessante notare il motivo indicato nel versetto per cui dobbiamo ringraziare D-o; Per la terra buona che ci ha donato. Si potrebbe obiettare che questo versetto non ha nulla di strano, che in realtà significa la stessa cosa rispetto al recitare una beracha per il cibo. Per coltivare il cibo che consumiamo abbiamo bisogno della terra, qualcosa che può essere facilmente dimenticato se ci concentriamo solo sul cibo. Avere la terra è un dono di per sé, perché fornisce almeno il potenziale per il cibo. Oggi sono in pochi a coltivare il proprio cibo. La maggior parte di noi entra in un negozio di alimentari o in un ristorante e mangia senza problemi. Molti non si fermano a pensare a tutto il lavoro e lo sforzo necessari per preparare il cibo per loro anche se è sufficiente considerare quanto poco ci voglia per interrompere la catena di produzione e distribuzione e lasciarci senza i prodotti alimentari di cui abbiamo bisogno e di cui godiamo.
Nel Trattato di Berachot, Ben Zoma, si esprime così: “Quanta fatica ha fatto Adam haRishon prima di trovare il pane da mangiare: Ha arato, seminato, mietuto, tosato, trebbiato, vagliato, separato, macinato, setacciato, impastato e cotto, e solo dopo ha mangiato. Io mi sveglio e trovo tutto questo preparato per me”. Ben Zoma con questa frase sta sottolineando la grande benedizione che D-o gli ha concesso. Oggi come oggi non ci rendiamo conto quanto la mancanza di cibo rappresenti un pericolo ora che nel processo di fornitura al consumatore ci sono tanti passaggi intermedi, disconnettendoci ulteriormente dalla benedizione originaria della terra che dà il suo cibo. Quello che consideriamo una benedizione, spesso, può davvero essere una maledizione. Tutto dipende dalla direzione che vogliamo dare alle nostre vite. Se l’obiettivo è il comfort, allora il nemico è il dolore, qualsiasi tipo di dolore sia. Se l’obiettivo è la connessione con D-o, allora il nemico è tutto ciò che desensibilizza una persona rispetto ai doni che ci dà. Non si deve andare alla ricerca del dolore, ma dobbiamo accettare che lo sforzo spesso migliora la nostra relazione con D-o. La Mishna nei Pirke Avot dice: “Secondo la tzara, il dolore, è la ricompensa”. Molti traducono la parola “tzara” come “sforzo”, perché suona meno spaventosa, ma la traduzione letterale è “dolore” perché, come si dice, nessun dolore, nessun guadagno. È nella natura umana essere più grati per le cose per cui dobbiamo lavorare, e provare gratitudine è uno dei più grandi piaceri che abbiamo. Può essere comodo ricevere omaggi, ma non è premiante. Forse è per questo che la Birkat haMazon è così lunga rispetto ad altre berachot: Si tratta del modo stabilito dai Chachamim per aiutarci a ricordare il lungo processo necessario per portare il cibo sulle nostre tavole.
L’altra parte della “maledizione” di questa generazione è che il cibo è facilmente disponibile. La persona media tende a mangiare prima di avere davvero fame. È come fare il pieno alla macchina ogni volta che il livello di benzina scende sotto mezzo serbatoio. Allo stesso modo, quando un po’ di fame spinge una persona ad aprire il frigorifero, perdiamo la prospettiva su quanto il cibo significhi per noi. Il concetto che dobbiamo interiorizzare è che non importa quanto semplice possa essere il cibo che mettiamo in bocca, anche il cibo più semplice contiene tanto per cui essere grati. La vera sazietà deriva non solo dal consumare fisicamente il cibo, ma anche dal “consumare” intellettualmente la sua benedizione.
Questa lezione è il fondamento di tutta la vita e non si limita solo al nutrimento fisico, ma si applica a ogni aspetto della vita di cui godiamo, e, ogni volta che recitiamo la beracha di “Shecheiyanu” su qualcosa di nuovo, dovremmo tenerlo a mente. Quando il primo uomo, in risposta alla domanda: “Hai mangiato del frutto proibito?” incolpò D-o per avergli dato una moglie che gli diede da mangiare quel frutto, ha segnato il suo destino. Come dice Rashi, quello che ha fatto arrabbiare D-o,è stata la mancanza di hakarat hatov, il mancato apprezzamento per il bene ricevuto.
L’insegnamento da trarre dal versetto relativo alla gratitudine verso D-o per il nutrimento si applica a diversi aspetti della nostra vita. Attraverso questa mitzva D-o ci sta insegnando che sia nei momenti bui che nei momenti di felicità non dobbiamo mai smettere di sforzarci, di cercare il nutrimento fisico e spirituale per noi stessi e per gli altri e di esprimere gratitudine. Attraverso questi processi avremo la possibilità di crescere personalmente e spiritualmente e di influenzare positivamente il prossimo.