Nella Parashà di questa settimana, continuiamo a leggere gli ultimi discorsi di Moshè, discorsi incredibilmente belli e nobili, volti a preparare il popolo ebraico all’ingresso, alla conquista e alla successiva abitazione in Terra di Canaan. Nel suo discorso in cui chiede al popolo ebraico di credere in D-o e di camminare sulla Sua via, Moshè dice: “Perché il Signore, vostro D-o, è il D-o degli dèi e il Signore dei signori, il D-o grande, forte e tremendo, che non usa misericordia e non accetta regali. Egli fa giustizia all’orfano e alla vedova, ama lo straniero e gli dà pane e vestiti” (Devarim 10:17-18).
Moshè descrive la potenza di D-o attraverso alcune delle Sue caratteristiche, il modo in cui tratta gli esseri umani con giustizia, integrità e compassione per i deboli e gli oppressi. La Sua potenza è particolarmente sottolineata dal fatto che Egli non “accetta regali” né “mostra grazia”. Il comportamento adulatorio di un essere umano nei confronti di D-o non influirà sulla virtù della giustizia con cui Egli giudica il mondo, ed una sola buona azione non sarà sufficiente a compensare azioni indegne ai Suoi occhi.
C’è però un aspetto che sembra stridere con questa descrizione. Nei versetti della Torà in cui viene impartita la Birkat Kohanim, la benedizione sacerdotale che si svolgeva nel Bet haMikdash e oggi si svolge al Tempio, i Kohanim benedicono la congregazione con queste parolo: “Il Signore ti mostri favore e ti conceda pace” (Bamidbar 6:26). Apparentemente, c’è una contraddizione nel comportamento di D-o verso le persone. Da un lato, viene descritto come Chi non mostra favore, dall’altro comanda ai Kohanim di benedire gli ebrei attraverso le parole: “Il Signore ti mostri favore”.
Secondo i Saggi del Talmud, questa stessa domanda fu posta a D-o dagli angeli: “Gli angeli dissero davanti al Santo, benedetto Egli sia: Signore dell’Universo, nella Tua Torà è scritto: ‘D-o grande, potente e tremendo, che non fa favoritismi a nessuno e non accetta regali’, eppure Tu, nonostante tutto, mostri favore a Israele, come è scritto: ‘Il Signore ti mostrerà favore e ti darà pace’. Egli rispose loro: E come potrei non mostrare favore al popolo di Israele, se non in accordo con quanto ho scritto per loro nella Torà: ‘E mangerete e sarete sazi e benedirete il Signore vostro D-o’ (intendendo che non c’è obbligo di benedire il Signore finché non si è sazi); eppure si obbligano a recitare la preghiera di ringraziamento dopo i pasti anche se hanno mangiato anche solo un’oliva o un uovo” (Berachot 20b). Questo episodio descritto dal Talmud di una conversazione tra gli angeli e D-o è illumintante. La tesi degli angeli è che nella Torà stessa, donata da D-o agli uomini, vi è una contraddizione nel comportamento di D-o. Come può D-o mostrare favore all popolo ebraico? La risposta di D-o è sorprendente, legata ad uno dei comandamenti di cui leggiamo nella Parashà di questa settimana: La Birkat haMazon, la benedizione che recitiamo dopo i pasti.
La Torà riporta per la prima volta questa mitzvà quando il popolo ebraico entrerà nella terra promessa e mangerà i frutti che essa offre, richiedendo che essi debbano benedire D-o per la buona terra che ha donato loro. I Chachamim hanno stabilito un testo fisso per questa benedizione, che viene recitato dopo un pasto in cui si mangia pane, noto come Birkat haMazon. Nello spirito di questa benedizione, i Chachamim stessi hanno stabilito ulteriori benedizioni più brevi prima e dopo qualsiasi cosa mangiamo o beviamo, formule come benedizioni di gratitudine e lode per diversi momenti, situazioni o luoghi. La quantità minima di cibo che necessita della Birkat haMazon è mangiare fino a sazietà, come si può comprendere dalle parole stesse scritte nella Torà: “E mangerete e sarete sazi, e benedirete il Signore, vostro D-o”. I Chachamim però, di generazione in generazione, hanno aggiunto che dovremmo benedire anche per la più piccola quantità di cibo, stabilendo come quantità minima la dimensione di un’oliva o di un uovo. Ecco quindi spiegata la risposta di D-o agli angeli, fornita in modo da mostrare apprezzamento per queste benedizioni aggiuntive: Come posso non mostrare favore al popolo ebraico? Ho comandato loro di benedire quando sono sazi, ma loro hanno aggiunto delle formule di ringraziamento e benedicono quando mangiano anche la porzione più piccola.
Resta però ancora qualcosa ancora da capire: se la virtù della giustizia, come descritta da Moshè, richiede di non mostrare favore, perché viene fatta un’eccezione per gli ebrei? Qual è, inoltre, l’importanza che riveste la Birkat haMazon e perché è così significativa da portare a infrangere tutte le leggi della giustizia?
Rav Kook spiega questa dicotomia in questo modo: La base del giusto comportamento di D-o verso gli esseri umani deriva dal Suo desiderio di guidarci verso un comportamento più elevato e corretto. Pertanto, non c’è, nella realtà dei fatti, alcun mostrare favore, poiché questo non porterebbe le persone a diventare più complete. Al contrario, questo dimostra che D-o apparentemente chiude un occhio su alcuni comportamenti inappropriati. Ci sono persone che riconoscono la bontà con cui sono benedette, al punto da essere colme di gratitudine per ogni boccone di cibo che ricevono, anche il più piccolo. Quelle stesse persone sanno sicuramente che il modo migliore per ringraziare D-o per la Sua grazia è realizzare il Suo desiderio che diventino brave persone che dimostrino bontà verso il prossimo. Quando D-o mostra favore a queste persone e distoglie lo sguardo da certi fallimenti, non fa che incoraggiarle a continuare nel loro percorso di miglioramento atto a raggiungere comportamenti più elevati e completi.
Questa equazione tra D-o e le Sue creature esiste in ogni relazione della nostra vita. Quando riconosciamo la bontà nel prossimo, che siano i nostri partner, i nostri amici o i nostri familiari, anche loro sono più propensi a distogliere lo sguardo dai nostri fallimenti, senza timore che li prendiamo in giro.
La descrizione fatta da Moshè di D-o che non mostra favori e non è corruttibile non è quindi in contrasto con la Birkat Kohanim. L’errore che potremmo fare è fermarci dove siamo, soffermarci sulle nostre mancanze e sui nostri peccati, senza alcuno sforzo nel migliorarci. Il modo per poterlo fare è la Teshuvà, in una cattiva traduzione il pentimento ma più precisamente il ritorno. D-o nel Suo fare giustizia non mostra favore. Il favore, come dovrebbe fare anche un bravo genitore, viene mostrato a chi si sforza di migliorarsi, di mettere a frutto le proprie capacità, di correggere il cattivo comportamento e di mostrare bontà verso il prossimo, cercando di emulare la caratteristiche divine di bontà, chesed e giustizia per quanto possibile. La Teshuvà non è legata per forza al periodo, ormai imminente, del mese di Elul, delle Selichot, di Rosh haShanà e di Kippur. C’è sempre tempo per fare ritorno, per migliorare noi stessi, per influenzare noi stessi e il prossimo e per assumere comportamenti virtuosi e corretti.