“Free Ebrei”, VIII, 1, marzo 2019
Da tempo assistiamo a una pericolosa confluenza tra antisionismo e antisemitismo, sebbene i due concetti non siano identici. L’antisionismo è spesso usato come un eufemismo per nascondere l’odio per gli ebrei e Israele è divenuto il pretesto per poter nuovamente affermare tutto quello che non si può dire riguardo agli ebrei in una società liberale post Shoah. Israele ha desacralizzato il soggetto e ha contribuito a creare uno spazio dove tutto è permesso. Criticare Israele, il suo governo, la sua politica, non è necessariamente antisemitismo, il fattore determinante è l’obiettivo e il linguaggio di coloro che parlano. Tuttavia, vi sono ebrei che si oppongono al sionismo e al moderno Stato d’Israele, ma che difficilmente potremmo definire antisemiti o odiatori di sé.
Il concetto di sionismo, assieme al comunismo e al bundismo, fu una delle tante ideologie popolari fra gli ebrei del mondo negli anni che precedettero la seconda guerra mondiale. Con la Shoah e la scomparsa dell’ebraismo mitteleuropeo e orientale il mondo ebraico è cambiato irreparabilmente e l’idea che il popolo eletto dovesse avere una propria terra nella sua storica terra si affermò con sempre più forza. Nessuna idea, tuttavia, è stata abbracciata all’unanimità dal popolo ebraico nel corso della sua storia e anche il sionismo non è sfuggito a questa particolarità.
Prima della Shoah, il sionismo era una minoranza all’interno del mondo ebraico tanto che, per esempio, solo il 25 per cento degli ebrei polacchi sosteneva il movimento nel periodo compreso tra le due guerre mondiali. Per la maggioranza degli ebrei era un movimento utopico politicamente pericoloso. Socialisti e bundisti si opponevano ai suoi obiettivi in nome dell’internazionalismo proletario e lo consideravano un movimento reazionario che divideva la classe operaia e minava la lotta per i diritti di tutti gli oppressi, tra i quali includevano anche gli ebrei della diaspora. Gli ebrei pienamente assimilati definivano la loro ebraicità esclusivamente in termini religiosi e non etnici e temevano che la nascita di uno stato ebraico mettesse in discussione i diritti recentemente conquistati. Allo stesso tempo gli ebrei ortodossi credevano che la rinascita di uno Stato ebraico nella terra dei padri dovesse attendere la venuta del Messia. Dopo la Shoah e la creazione del moderno Stato d’Israele, l’opposizione ebraica al sionismo gradualmente andò scomparendo. Una parte consistente degli ebrei religiosi vide nelle realizzazioni pratiche del sionismo il compimento delle promesse divine mentre i socialisti, critici verso i principi ideologici del movimento, in pratica, iniziarono a sostenere, di fatto, lo Stato d’Israele. Col tempo solo pochi gruppi ebraici restavano fortemente antisionisti, in particolare, alcuni settori della estrema sinistra, associazioni marginali come l’American Council for Judaism, fondato nel 1942 da alcuni rabbini reform, ma soprattutto gli haredim, letteralmente coloro che tremano, in riferimento al versetto di Isaia 66, 5: “Ascoltate la parola dell’Eterno, voi che tremate alla sua parola“, o ultra-ortodossi secondo la definizione preferita dai media, e la piccola formazione, ma ben visibile e rumorosa, dei Neturei Karta, in aramaico i Guardiani della città.
Il più famoso oppositore del sionismo fu Rabbi Joel Moshe Teitelbaum, quinto discendente in linea diretta dell’eminente autore di Yismah Masheh (Mosè gioiva), la guida della corrente chassidica dei Satmar. Sopravvissuto alla Shoah dopo essere fuggito dal campo di concentramento di Bergen-Belsen, raggiunse la Svizzera nel 1944, grazie al treno organizzato da Rudolph Kasztner. Raggiunta la Palestina, ben presto si traferì negli Stati Uniti dove, a partire dal 1947, iniziò a ricostruire la dispersa comunità di Satmar. Sebbene abitasse a Williamsburg, un sobborgo di Brooklyn, nel 1953 fu eletto presidente della Edah Haredit, la comunità ultraortodossa di Gerusalemme, all’epoca dominata dai Neturei Karta. Grazie alle sue doti intellettuali, al sua carisma e alla sua determinazione riuscì ad attrarre una grande parte degli haredi e centinaia di galiziani, ungheresi, rumeni e slovacchi sopravvissuti allo sterminio, molti dei quali appartenenti ad altre correnti chassidiche completamente distrutte dai nazisti, divennero sui devoti discepoli. Satmar è oggi il gruppo haredi più numeroso al mondo, con una rete efficiente di istituzioni religiose, educative e comunitarie, fortemente antisionista da non riconoscere lo Stato d’Israele.
Il Rebbe di Satmar era stato influenzato dalle posizioni antisioniste del Munkaczer Rebbe, Chaim Elazar Spira, uno delle più importanti guide spirituali degli ebrei ungheresi della sua epoca, famoso per la sua erudizione halachica e la sua padronanza delle dottrine cabaliste. Per molti aspetti, egli rappresenta il tipico insegnante della più intransigente e radicale ala della ultra-ortodossia. Sfidando la leadership del movimento sionista, Chaim Elazar Spira condusse una dura battaglia contro il nazionalismo ebraico e i nuovi insediamenti in Palestina, sviluppando in proposito una originale e unica posizione ideologica basata su argomenti halachici e teologici. Le idee e i principi sviluppati dalla scuola di Munkaczer furono trasformati dal Satmarer Rebbe in una dettagliata e completa teoria, elaborata in numerosi scritti e discorsi, che concretamente rappresentava la reazione a eventi storici drammatici, la Shoah e la nascita dello Stato d’Israele. Tra i suoi scritti, due in particolare presentano una sistematica e estesa polemica antisionista. Il primo, composto a partire dal 1932, dal titolo Va-Yo’el Moshe (Mosè acconsentì) è il più dettagliato e argomentato testo rabbinico mai scritto contro il sionismo e le sue realizzazioni. La prima parte, teologicamente più significativa di questo lavoro, è un approfondimento del tema dei “tre giuramenti” che, secondo il Talmud, il popolo d’Israele in esilio avrebbe fatto all’Eterno, impegnandosi a perseguire una politica quietista: non ribellarsi contro le nazioni del mondo o tentare un ritorno organizzato di massa in Eretz Israel fino alla finale, soprannaturale messianica liberazione. La seconda parte respinge il comandamento biblico di dimorare in terra di Israele. La terza parte proibisce l’uso dell’ebraico moderno come lingua di uso comune. L’altra opera di maggior polemica, ‘Al ha-ge’ulah ve-‘al ha-temurah (Sulla Redenzione e la sua falsa sostituzione), scritta dopo la vittoria israeliana nella guerra dei sei giorni, è una elaborata interpretazione della moderna storia ebraica dove il sionismo e lo Stato d’Israele sono presentati come una ribellione contro l’Eterno. Secondo questa visione, gli straordinari successi militari israeliani sono, letteralmente, opera del male e la Shoah è una conseguenza della volontà dell’Eterno di punire le forze malvagie scatenate dal sionismo.
Ancora oggi, i comportamenti e i principi a cui si ispirano i Satmar riflettono il pensiero del Rebbe Joel Moshe Teitelbaum e il gruppo non riconosce lo Stato d’Israele, proibisce ai suoi seguaci che vivono a Gerusalemme di partecipare alle elezioni o di collaborare con le istituzioni israeliane. Ogni cedimento nei confronti del sionismo viene prontamente criticato. Proprio recentemente, il 9 giugno, Rabbi Aaron Teitelbaum accusava i suoi seguaci di ammirare sempre più Israele per le sue conquiste militari e i suoi successi politici e invitava loro a mantenere salda la posizione antisionista: “Secondo le voci che ho sentito, le persone parlano con eccitazione delle notizie dei successi degli israeliani, di quanto siano intelligenti, di come riescono politicamente e militarmente, e dei loro capi di governo. Dobbiamo urlare gevalt, gevalt (guai a noi)! Da dove veniamo? Noi non abbiamo niente a che fare col sionismo. Niente a che fare con le loro guerre. Niente a che fare con lo Stato di Israele. Continueremo a combattere la guerra del Signore contro il sionismo in tutti i suoi aspetti”.
Gli antisionisti più radicali sono, tuttavia, raccolti attorno ai Neturei Karta, spesso confusi con i Satmar, forse perché il loro riferimento spirituale è il Rebbe Joel Moshe Teitelbaum. Il gruppo nasce a Gerusalemme nel 1935, con il nome di Chrevat haChaim (Società della vita), da una scissione della Agudat Israel, organizzazione fondata dall’ortodossia ebraica a Kattowitz, in Alta Slesia, nel 1912 per combattere il sionismo, ma che col tempo aveva iniziato a collaborare con le sue istituzioni politiche. Guidato da rabbi Amram Blau e da rabbi Aharon Katznellenbogen, nel 1938 il movimento assunse il nome definitivo di Neturei Karta. Tradizionalmente si ispirano a Eliyahu ben Shlomo Zalman, meglio noto come il Gaon di Vilna, dotto rabbino lituano vissuto nel XVIII secolo e fiero oppositore del chassidismo. Concentrati nel quartiere ebraico ortodosso di Mea Shearim (“Cento misure” in ricordo del raccolto di Isacco in Genesi, 26, 12) iniziarono una quotidiana attività di propaganda attraverso l’affissione di manifesti, la distribuzione di volantini, la diffusione di giornali e opuscoli e l’organizzazione di eventi e manifestazioni pubbliche per dimostrare che il giudaismo e il sionismo sono due idee opposte e contrarie. La loro opposizione si è tradotta in una partecipazione diretta alla vita politica palestinese. Rabbi Moshe Hirsch è stato ministro per gli affari ebraici per Yasser Arafat e i suoi principali esponenti, tra cui rabbi Ysrael Dovid Weiss, hanno continui contatti con l’Iran, Hezbollah e Hamas. Il numero dei suoi militanti rimane modesto intorno alle centinaia di migliaia, sparsi tra Gerusalemme, New York, Montreal, Londra, ma la sua influenza è diffusa in ambienti osservanti più ampi.
Per i Neturei Karta il sionismo, movimento nazionale di tipo europeo, rappresenta un tentativo di trasformare l’identità del popolo ebraico da «popolo scelto da Dio» a «nazione tra le nazioni»: «Il popolo ebraico – scrive Rabbi Aharon Katzenellenbogen – fu creato durante la ricezione della Legge sul Monte Sinai. La nostra Legge ci mostra il modo in cui dovremmo comportarci come ebrei tra noi stessi e come ebrei tra le nazioni. Essa mostra come dovremmo adorare il Signore. La nostra Legge non è materia di cerimonie». La vita ebraica è devozione e solo vivendo secondo la legge si può essere buoni ebrei. Il sionismo, al contrario, enfatizzando i tratti etnici e nazionali del popolo d’Israele, mina l’importanza della Torah: «Il popolo ebraico esiste solo nella fede in Dio e nell’osservanza della Legge. Quando i sionisti vogliono trasformare gli ebrei in un popolo con un proprio nazionalismo, di fatto aboliscono la fede e la necessità di conservare la Legge». Nel fare degli ebrei una nazione come le altre, con l’obiettivo di “normalizzare” la vita ebraica, il programma sionista cerca di raggiungere a livello nazionale quella assimilazione che rigetta a livello individuale. Secolarizzando la vita ebraica, lo Stato di Israele la distrugge. Il sionismo, inoltre, è apostasia perché rappresenta una ribellione collettiva contro i Cieli e un tradimento dell’unico destino ebraico e, come tale, l’entità politica sionista è indegna del nome di Israele. Aspirando a “normalizzare” il popolo ebraico, il sionismo sfida deliberatamente le vie miracolose della storia ebraica e ostacola le decisioni divine che hanno situato il popolo d’Israele fuori dalle leggi naturali della causalità sottoponendolo, invece, alle leggi della punizione e della ricompensa, dell’esilio e della Redenzione.
L’attesa della Redenzione, soprannaturale e sovrastorica, indipendente dall’agire politico dell’uomo, incarna la fede e l’accettazione da parte degli ebrei del Regno di Dio, della verità delle promesse profetiche di un ritorno e del carattere unico del popolo eletto: «Chiunque dubita che questa Redenzione avverrà miracolosamente, respinge il principio del nostro credo nella Torah […] il fatto stesso di assumersi il compito di accelerare prematuramente la Redenzione è un atto di miscredenza […] Non è possibile per un uomo aderire a queste due convinzioni – credere in questo Stato (lo Stato d’Israele) e credere nella nostra Sacra Torah – perché esse sono del tutto opposte e non possono portare la stessa corona». Secondo il Midrash, al popolo ebraico fu imposto di non tornare nella Terra d’Israele con la forza, né di affrettare i tempi della Fine, né di levarsi contro le nazioni del mondo. Il tentativo sionista di riportare il popolo eterno nella storia delle nazioni con mezzi politici e militari è una rivolta collettiva contro il Regno dei Cieli: «È stato proibito a Israele di tentare di liberarsi con il proprio potere e la propria forza; Israele dovrebbe avere fiducia nel Signore, aspettare la salvezza dalle sue mani e la Redenzione tramite la venuta del Messia […] questi sionisti sono venuti nella nostra Terra Santa per costruire la loro patria e hanno distrutto la religione, hanno sradicato la nostra Sacra Torah e la nostra fede nella vera Salvezza attraverso la venuta del Messia; e i loro capi hanno alzato gli stendardi della rivolta contro il Regno dei Cieli […] e hanno persuaso il popolo d’Israele a rompere il giuramento al quale il Signore ha legato Israele, e hanno causato un terribile spargimento di sangue in Israele». L’esilio del popolo ebraico ha un significato sia teologico sia storico e la sua accettazione è un dovere imposto dalla Torah e dalla fede.
Il sionismo, nel suo significato storico politico, è una rivolta antimessianica, il tentativo delle forze del male di sviare il popolo prima della vera Redenzione finale. Come sostiene Aviezer Ravitzky, «l’opposizione allo Stato d’Israele non è opposizione al carattere specifico della società stessa, alla sua leadership laica, alle sue leggi o ai suoi mezzi, ma è opposizione all’esistenza stessa dello Stato». Un’entità statuale ebraica nell’era premessianica non ha futuro ed è destinata a scomparire, anche se la Halakhah, la legge religiosa ebraica, dovesse diventare la legge fondamentale dello Stato, come ricorda rabbi Joel Moshe Teitelbaum: «Anche se i membri della Knesset fossero uomini giusti e santi, affrettare la Redenzione e governare indipendentemente prima che il tempo sia arrivato sarebbe comunque un crimine terribile, perché è chiaro che il giuramento e la proibizione contro l’anticipazione della Fine sono rivolti all’intero Israele, persino ai più giusti degli uomini […] Anche se tutti i membri del governo fossero uomini amati e eletti, persino se fossero come i saggi del Talmud, nel momento in cui assumono il governo e la libertà nelle loro mani prima del tempo, essi macchiano la Sacra Torah. Anche il regno di Bar-Kosiba era un regno fedele alla Torah […] anche gli uomini della sua generazione erano uomini giusti […] e furono severamente puniti perché la loro opera era un’anticipazione della Fine prima che il tempo fosse giunto».
La separazione dai sionisti deve essere netta perché non c’è speranza né per lo Stato d’Israele né per i suoi cittadini in quanto, afferma rabbi Yeshayahu Asher Zelig Margolis, la loro anima «non affonda le radici in Israele, ma nello spirito di Amalek […] Essi sono discesi dalla marmaglia venuta dall’Egitto e non appartengono al popolo d’Israele». Il bene e il male, il puro e l’impuro saranno finalmente separati alla vigilia della Redenzione e, quando saranno spazzati via da Israele, il Messia arriverà. Fino a quel momento i fedeli devono vivere separati dal Khal Israel, la comunità di Israele, e dallo Stato d’Israele attraverso il boicottaggio delle elezioni, il rifiuto di pagare le tasse, di ricevere l’assistenza sociale e di utilizzare tutte le altre istituzioni dello Stato, e operare in difesa della Shé’erit Israel, l’identità di Israele.
L’opposizione giudaica al sionismo dimostra una notevole perseveranza e la percezione quasi universale dei successi di Israele, delle sue vittorie militari e del suo sviluppo economico non hanno indebolito le critiche anzi a volte le hanno rese più dure. Naturalmente all’interno del mondo ebraico l’equilibrio delle forze è mutato drasticamente a favore del sionismo. Se agli inizi del XX secolo la voce degli antisionisti risuonavano forti e chiare adesso sembrano tacere e non interessano i media in generale. Anche il rapporto fra il religioso e il politico è mutato. Alcuni, come i Satmar, continuano a non essere interessati affatto alle soluzioni politiche, altri, i Neturei Karta per esempio, stringono accordi politici o addirittura intrecciano legami con gli oppositori arabi. Vi sono anche rabbini anti sionisti che siedono alla Knesset e partecipano alla vita politica del paese ma non attribuiscono un significato religioso al laico Stato d’Israele, riconosciuto de facto ma non de jure, nei fatti vivono come cittadini leali a Gerusalemme, come vivrebbero a New York, e sostengono la separazione tra la sfera politica e quella religiosa. Tutti però insistono sul primato della Torah e dei valori che essa veicola.
L’opposizione giudaica può sembrare trascurabile e del resto anche la maggioranza degli ebrei ne ignora l’esistenza. Tuttavia, di fronte alla continuità ebraica come è stata conosciuta per più di 3000 anni sembrerebbe l’alfiere della continuità. Il rabbino Elhanan Wassermann riporta una storia per gli haredim significativa: “Un cristiano faceva notare a un rabbino che la tradizione giudaica decretava che bisognava giudicare secondo la maggioranza. Allora sarebbe stato logico continuò che gli ebrei si unissero alla maggioranza delle nazioni che non seguivano il giudaismo. Il rabbino rispose: la regola della maggioranza si applica solo in caso di dubbio. Quando la verità è sconosciuta. Ma quando non c’è dubbio, quando sappiamo bene dove si pone la verità, l’opinione della maggioranza non ha alcuna influenza. Siamo convinti della rettitudine della nostra Santa Torah, non abbiamo alcun dubbio, così la grande maggioranza che è contro di noi non ci influenza affatto e non può farci deviare dal nostro cammino“.
Molti versetti della Torah parlano dell’amore del Santo Benedetto per il suo popolo che viene amato per l’obbedienza alla Torah e non per il suo numero o la sua forza fisica. La dissidenza minoritaria è una tradizione onorevole all’interno del giudaismo. Ma la contrapposizione tra i difensori del giudaismo e i sostenitori del nazionalismo ebraico rischia di dividere gli ebrei in modo irrimediabile. Mi ricordava un rabbino che anche il cristianesimo era all’inizio l’insieme delle credenze di un piccolo gruppo di ebrei. Il problema sarà se la frattura potrà un giorno saldarsi oppure se il sionismo si fisserà in un nucleo identitario indipendente. È probabile che l’opposizione al sionismo in nome della Torah esisterà fino a quando durerà lo Stato d’Israele.
Lo storico israeliano Boaz Evron ricorda il carattere temporaneo e transitorio di ogni organizzazione politica: “Lo Stato di Israele e tutti gli Stati del mondo appaiono e scompaiono. anche lo Stato di Israele con tutta evidenza scomparirà tra 100, 300, 500 anni. Ma suppongo che il popolo ebraico esisterà tanto a lungo quanto durerà la religione ebraica, fosse ancora per migliaia di anni. L’esistenza di questo Stato non riveste alcuna importanza per quella del popolo ebraico… Gli ebrei nel mondo possono vivere benissimo senza di esso“.
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