Domanda – Vi era un bambino molto serio e studioso che si presentava ogni giorno alla lezione di Torà con l’insegnante della scuola. Costui era molto attento ad ogni norma ebraica. Il padre del bambino, che diversamente dal figlio al tempio non si presentava praticamente mai, era un Cohèn emigrato dalla Russia. Il Rabbino, per premiare il bambino, faceva salire questo giovane assieme agli altri Cohanìm ogni giorno e ogni Shabbàt per la benedizione sacerdotale. Un giorno il bambino confidò al Rabbino che la propria madre, anch’essa proveniente dalla Russia, non era ebrea. Il piccolo, dunque, non si era ancora convertito e inoltre non poteva assolutamente essere annoverato tra i Cohanìm. Come fare? Il Rabbino, allontanando il bambino dagli altri Cohanìm, avrebbe certamente generato nel giovane del dolore e della vergogna. D’altro canto, permettere ad una persona che non è un Sacerdote di benedire il pubblico è certamente vietato. Dunque, come ci si doveva comportare?
Rav Zilbershtein, interpellato sul problema, rispose: “Dopo aver proposto la questione ai grandi Maestri di Israele si è arrivati alla seguente soluzione: il bambino non può salire per benedire il pubblico perché la Torà lo vieta. D’altro canto, la Torà vieta pure di amareggiare una persona, soprattutto se si tratta di un bambino. L’unica soluzione è che in quel preciso bet hakenèset dove è sorto il problema si applichi la norma vigente nei templi ashkenaziti della Diaspora nei quali la benedizione sacerdotale non viene impartita né di Shabbàt né di giorno feriale. In questo modo il bambino, vedendo che nessun Cohèn salirà più per dare la propria benedizione, non si rattristerà. Di giorno di festa il Rabbino del tempio dia come norma che solo un Cohèn che ha già fatto il Bar Mitzvà può salire assieme agli altri Cohanìm per benedire il pubblico. Quando il bambino diventerà adulto, con calma e attenzione gli si spiegherà la norma. Costui certamente la capirà“.