Il digiuno richiesto all’ebreo nel giorno di Kippur è solo un piccolo tassello di un processo ben più complesso
Alfredo Mordechai Rabello
“Non è forse questo il digiuno che Io desidero?… Dividi il tuo pane con l’affamato e poveri derelitti porta in casa tua, quando vedi un uomo nudo coprilo e non chiudere gli occhi ai bisogni del tuo simile” (Isaia 58, 6-7).Sono queste alcune delle parole che leggiamo nella Haftara` di Yom Kippur. È senz’altro l’ora di risvegliarci; le cose ci vengono dette chiaramente; non vi e` un Ebraismo dei Profeti ed un Ebraismo dei Rabbini; chi ha stabilito questo passo come Haftarà sono proprio i nostri Saggi; l’esigenza di una giustizia sociale è parte integrale della richiesta profetica, che troverà traduzione normativa nei libri dei Maestri.
Non hai fatto Zedakà e tu chiedi di presentarti davanti a Me? Quello che interessa al Signore è quello che tu dai da mangiare all’affamato; dovrai dare al povero quanto pane abbia bisogno; se hai un pane intero glie ne dovrai dare metà e dovrai dargli del pane “pulito” e porterai a casa tua i poveri derelitti, tenendo presente che “tutti gli uomini sono una carne sola” (Malbim in loco). Dovrai dargli da mangiare immediatamente, tekef (Meshivat Nefesh, del XV secolo) e coprirlo subito (Ozar Midrashim).
Il Sefer Chassidim sottolinea che è scritto “Dividi il tuo pane” per insegnarci che bisogna dare del pane guadagnato onestamente e ciò può spiegarci come mai abbiamo visto delle case importanti che nonostante abbiano praticato la zedakà, tuttavia hanno perduto la loro ricchezza; tra le varie spiegazioni vi è quella riguardante l’onestà della fonte: era quel denaro, quel pane “pulito” oppure era frutto di ghezel che è in odio al Signore? Ed ancora: si potrebbe pensare che basti dare al povero della Zedakà corrispondente al valore del pane che gli devi dare (ed in effetti vi sono dei casi in cui questa via è raccomandata, potendosi agire in modo più organizzato e più comodo anche per chi deve ricevere), ma il Profeta richiede di dare proprio parte del pane che mangi tu stesso per far sorgere dei buoni rapporti umani fra te e quello che riceve; in tal modo la serenità del povero servirà di espiazione per il ricco.
In ogni caso il ricevere ospiti è un gran chesed che viene fatto sia a poveri, sia a ricchi (T.B. Succà 49 b) e quello che è importante è dare del tuo pane al povero, stendendo la tovaglia sul tavolo in segno di rispetto per la sua dignità e dandogli tu stesso il pane perchè non debba chiederlo, vergognandosi; questo deve essere fatto con il tuo pane, ma non con quello di tua moglie e dei tuoi figli che hai l’obbligo di alimentare.
A suo tempo il Rav Uziel, Rabbino Capo sefardita di Erez Israel dal 1939 al 1948,decise che, data l’attività del Keren Kaymet leIsrael che dava da mangiare ai lavoratori della terra e preparava il terreno per appartamenti, chi dava offerte al K.K.L. adempieva alla mizvà insegnataci da Isaia; di qui la possibilità di dare offerte ad organizzazioni di zedakà, che si propongono di dare cibo e vestiario a chi ha bisogno.
Il Gaon di Vilna aggiungeva che il testo profetico può riferirsi anche a chi ha fame di parole di Torà; se tu sai più di lui, hai il dovere di dargli della tua Torà.
Noi che ci rivolgiamo – in questi giorni in modo particolare- al Santo e Benedetto chiedendoGli di iscriverci nel libro dell’alimento e dell’abbondanza, noi che Gli chiediamo di agire per la Sua infinitamente grande misericordia e clemenza, cerchiamo di agire con zedakà e hesed, con misericordia e clemenza verso il nostro prossimo.
Auguriamo a tutti gmar chatimà tovà
Università Ebraica di Jerushalaim