Alla ricerca del tempo perduto di Proust faticò ad essere pubblicato perché a qualcuno sembrò eccessivo impiegare venti pagine per descrivere le riflessioni di un uomo che non riesce a prendere sonno. Anche Alessandro Piperno, che a Proust ha dedicato più di un saggio, apre il suo ultimo romanzo (Di chi è la colpa, Mondadori, pagg. 434, euro 20 ) con una veglia, quella di un ragazzo che esita a disturbare il padre già addormentato per confessargli che è un pavido: nel liceo pubblico che frequenta un bullo ha deciso di pestarlo. Il quadro familiare nel quale la scena si svolge è eloquente: la madre, professoressa di matematica, insegna in un istituto del centro di Roma, niente di meno e niente di più. Il padre – toglierà il figlio dai guai concedendogli una gita al mare fuori stagione – è un eterno adolescente che colleziona chitarre, fissato con il rock and roll degli anni Cinquanta. Biondo e possente come un californiano cresciuto a bicchieroni di latte, per racimolare qualche soldo vende lavatrici che si rompono subito, pagato poco e male da un industriale che ha edificato la sua villa palladiana lesinando quattrini ai dipendenti. È chiaro che stavolta, a differenza di quel che accade nei romanzi precedenti (uno di essi, Inseparabili, ha vinto nel 2012 il premio Strega), Piperno non catapulta il lettore nel ricco e influente mondo degli ebrei romani: superate le colonne d’Ercole del portico d’Ottavia, l’autore si avventura nei quartieri abitati da una piccola borghesia impoverita, oppressa dai debiti.
Eppure non è dai problemi economici che salta fuori il romanzo. Le anomalie domestiche sono più sottili. I genitori, per esempio, vietano al protagonista di entrare in camera da letto e non per sventare il rischio di assistere alla scena primaria. Piuttosto, bisogna tenerlo alla larga da litigi spaventosi e avvilenti. Un secondo particolare inquietante riguarda la paranoica discrezione della madre, la sua laconicità sulla famiglia d’origine. Come sono morti i nonni materni e perché la professoressa non ne parla mai? Ossessionata dalla decenza, sembra abbia tagliato i ponti con un passato miserabile. Ipotesi confermata quando la donna, in un supermercato, viene avvicinata da una stracciona che senza mezzi termini, dopo averla riconosciuta, le rinfaccia la sua latitanza decennale. D’un tratto, con un’agnizione con i fiocchi, il mistero si dissolve. Per una sorta di lealtà intergenerazionale, la donna aveva riprodotto la linea di fuga tracciata dai genitori in rotta con i parenti: figure dinamiche, sulfuree, ricche e determinate. L’esatto contrario della sobrietà, o se si vuole dal puntiglio masochistico, che regna in casa.
Per il protagonista è una svolta: guidato dal mefistofelico zio Gianni, celebre giurista e principe del foro, si lascerà trascinare volentieri nell’empireo degli happy few. Un viaggio a New York con i cugini ritrovati, generosamente offerto ma più avvelenato della mela di Biancaneve, sancirà il tradimento e l’avvento dell’inevitabile, doppia tragedia che ne consegue.
La colpa che ricade di padre in figlio, come in Eschilo; e il tema (ben radicato nel pessimismo conservatore di Piperno) dell’impostura, mostro con un braccio prometeico e l’altro annichilente bastano a dissolvere il sogno faustiano di un’emancipazione felice. Di chi è la colpa è un romanzo ispirato, venato di mestizia, illuminato dall’idillio adolescenziale e subito incupito dal disincanto. Il senso di colpa dei cattolici moltiplica l’ebraico senza alludere a una redenzione che non sia quella, fragile e rinunciataria, della scrittura e del ricordo.
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