Il libro di Devarim racconta l’ultimo giorno di Moshè Rabbenu sulla terra. L’intero libro, per quanto lungo, descrive quello che si svolge in un solo giorno, mentre Moshè preparava la nazione a una vita al di là della sua. La maggior parte delle persone che gli stavano davanti apparteneva a una nuova generazione, non a quella che aveva lasciato l’Egitto con lui. Tuttavia, alcuni insegnamenti sono eterni, ed è possibile commettere gli stessi errori dei nostri padri anche se non li abbiamo mai conosciuti.
Tutto ciò che dice la Torà ha un significato e può essere compreso a molti livelli. Anche qualcosa di semplice come un nome, che può essere facilmente trascurato, insegna qualcosa. Questo è certamente il caso di “Di Zahav”, menzionato all’inizio della Parashà, come spiega Rashi: E Di-Zahav: (lett., abbastanza oro). Li rimproverò per il vitello che avevano costruito a causa della loro abbondanza d’oro, come è detto: “E diedi loro molto argento e oro, ma lo usarono per il Baal” (Oshea 2:10). Secondo questa spiegazione, quindi, “Di Zahav” non era il nome ufficiale di un luogo, ma una sottile allusione al peccato del vitello d’oro. Perché Moshè Rabbenu non menziona esplicitamente l’evento? Rashi ci fornisce una risposta: Poiché queste sono parole di rimprovero e [Moshè] elenca qui tutti i luoghi in cui provocarono l’ira di D-o. Non fa quindi menzione esplicita degli episodi [in cui trasgredirono], ma vi allude solo, per rispetto del popolo ebraico. Da qui sembra emergere che il popolo ebraico non viene solo criticato per aver permesso che il vitello venisse costruito, ma anche per aver usato l’oro dato loro da D-o per farlo. Poche cose offendono un genitore più di quando il proprio figlio usa un privilegio per commettere un peccato.
Il Talmud, tuttavia, aggiunge un risvolto interessante a tutto questo. Secondo il Talmud, infatti, Moshè Rabbenu usò in maniera attiva il motivo dell’incriminazione come base per la salvezza del popolo ebraico, come si legge nel Trattato di Berachot: Anche Rabbi Elazar disse: “Moshè parlò insolentemente verso il Cielo”… Rabbi Yannai lo apprese da qui, da questo versetto: “E Di-Zahav” (Devarim 1:1). Cosa significa “E Di-Zahav”? Nella scuola di Rabbi Yannai si insegnava: “Moshè disse davanti al Santo, Benedetto Egli sia, ‘Signore dell’Universo, l’argento e l’oro che hai dato al popolo ebraico finché non hanno detto: “Dai!” (basta) li ha condotti a costruire il vitello!'” (Berachot 32a). Da questo passaggio sembra emergere che Moshè, per tentare una difesa del popolo ebraico, avesse attribuito a D-o la colpa del vitello d’oro. Come poteva farlo? Il Talmud aggiunge: Rabbi Chiya bar Abba disse: “È come il caso di un uomo che aveva un figlio che lavò, unse, gli diede da mangiare e da bere in abbondanza, e al cui collo appese una borsa prima di portarlo alla porta di un bordello. Non peccherà?” (Berachot 32a). In altre parole, Rabbi Chiya bar Abba sostiene: D-o, dando al popolo ebraico così tanto oro, dopo tutto quello che aveva passato fino a quel momento, ha sostanzialmente creato i presupposti per il peccato del vitello d’oro. Date le condizioni, quindi, sarebbe stato più strano se non avessero costruito il vitello d’oro. La prima reazione che potremmo avere leggendo questo commento potrebbe essere di incredulità, anche se potremmo arrivare ad apprezzare lo sforzo di Moshè nel difendere il suo popolo, ma certamente potremmo incontrare qualche difficoltà ad accettare le basi della sua difesa. Il popolo ebraico, dopo tutto ciò che D-o aveva fatto per loro, avrebbe dovuto mostrare moderazione e controllare la propria natura, oro o non oro. La cosa che potrebbe sembrare strana è che il Talmud conclude: Rabbi Shemuel bar Nachmani disse a nome di Rabbi Yochanan: “Come sappiamo che il Santo, Benedetto Egli sia, era d’accordo con Moshè? Perché è scritto: ‘E diedi loro molto argento e oro, ma lo usarono [per adorare] il Baal’ (Oshea 2:10)”. (Berachot 32a). La domanda che sorge da questi commenti e se questa difesa ha funzionato per davvero
La risposta è: Sì e no. Secondo il Maharsha, la difesa di Moshè servì solo a impedire che D-o distruggesse l’intero popolo, cosa che D-o aveva riferito a Moshè di essere pronto a fare: “Ora lasciami fare, e la Mia ira si accenderà contro di loro, così li annienterò e farò di te una grande nazione”. (Shemot 32:10). Tramite questo versetto, D-o si riferisce a tutti coloro che sono presenti nell’accampamento sottostante, a chi si è macchiato della colpa del vitello d’oro e a coloro che si limitavano a restare in disparte. Dopotutto, come dice il GR’A, quando si tratta di combattere contro l’Erev Rav, la Moltitudine Mista, non ci sono vie di mezzo: o ci si schiera contro di loro o ci si schiera con loro. Non esiste un terreno neutrale, il che rende anche coloro che non hanno impedito il peccato del vitello d’oro, di fatto, colpevoli.
La supplica di Moshè si riferiva a coloro i quali non si erano macchiati del peccato del vitello d’oro. Lui stesso avrebbe posto in atto le misure necessarie per giustiziare coloro che erano effettivamente coinvolti nella costruzione o nell’adorazione del vitello. Moshè, quindi, nel perorare la causa del popolo ebraico, lottava solo per conto di coloro che erano rimasti al di fuori della cerchia dei responsabili del peccato del vitello d’oro.
Il problema che sembra emergere dalla spiegazione del Maharsha, però, è che la risposta non “si adatta” alla domanda. Le persone difese dall’arringa di Moshè non erano colpevoli di aver costruito il vitello d’oro, ma solo di non averlo impedito. La spiegazione secondo cui un’eccessiva abbondanza d’oro sarebbe stata la causa diretta del peccato del vitello, apparentemente non si applicava a loro.
Ciò che Moshè diceva non è ciò che sembra da quanto riportato dal Talmud. Quello che il Talmud sembra riportare, è un tentativo di scagionare le persone che avevano costruito il vitello d’oro. In realtà non è così. Anche il Talmud, in realtà, concorda sul fatto che non ci fossero scuse per il peccato del vitello d’oro, soprattutto per il luogo e per il momento in cui è avventuo, alla base del monte Sinai, e soprattutto dopo aver già sentito direttamente da D-o che al popolo ebraico non era permesso costruire o adorare idoli. La natura umana è però diversa e spesso non perdiamo occasione per cadere nell’errore e nel peccato. Il fatto che Moshè sembrasse essere tornato in ritardo dal monte Sinai non fu la ragione per il peccato del vitello d’oro, ma la scusa. Ecco perché alcuni non persero tempo a cogliere l’occasione per farlo, mentre tutti gli altri erano disposti ad aspettare ancora il ritorno di Moshè. Come minimo, prima di fare qualsiasi cosa, avrebbero dovuto rivolgersi ad Aharon haKohen per decidere cosa fare in termini halachici.
Chiunque abbia mai affrontato una folla chiassosa intenzionata a peccare, di solito se ne è pentito. In effetti, questo è il caso di Chur, figlio di Miriam, che aveva fatto esattamente questo ed era stato assassinato sul posto. Il Talmud dice che fu questo a spingere Aharon a dare loro l’impressione di volerli placare. Questo è fondamentalmente ciò che Aharon rispose al fratello che metteva in dubbio il suo approccio alla situazione: Moshè disse ad Aharon: “Che cosa ti ha fatto questo popolo che hai portato su di loro un peccato così grave?” Aharon rispose: “Non si accenda l’ira del mio signore! Tu conosci questo popolo e sai che è incline al male”. (Shemot 32:21-22). In altre parole, una volta che i peccatori si misero in cammino, erano come un treno che correva a tutta velocità sui binari. Chur si oppose al loro cammino e fu investito. Cercare di fermarli significava la morte. Cercare di rallentarli era l’unica opzione. Questo è ciò che Moshè disse a D-o. “Hai alimentato i peccatori. Hai dato loro l’oro e l’opportunità. Hai reso inevitabile il loro peccato, e questo li ha resi praticamente inarrestabili in mia assenza. Quindi, cosa avrebbe dovuto fare il resto del popolo? Uccidere o essere ucciso?” In realtà questo è quello che poi accade. Moshè chiama a raccolta e tutti i figli di Levi si radunarono intorno a lui per punire chi si fosse macchiato del peccato del vitello d’oro.
Questa allusione a “Di Zahav” e a questa situazione suona tutto sommato compatibile con la storia del popolo ebraico e con l’attualità. La storia del popolo ebraico è colma di masse aizzate per fare del male. Sembrano treni inarrestabili e la loro furia sembra travolgere tutto e tutti. La salvezza del popolo ebraico è esattamente nell’invocazione di Moshè quando il popolo si macchia del peccato del vitello d’oro. “Mi l’Hashem elai”, chi è con D-o si raduni intorno a me. La sopravvivenza del popolo ebraico, inspiegabile da qualsiasi storico, non è solo genetica, ma è data anche dall’aderenza al modo di vivere dell’ebreo, che osserva le mitzvot, che fa atti di chesed e di giustizia, che costituisce un esempio da emulare per il prossimo.