Molte volte nei nostri discorsi commemorativi diciamo che noi ebrei non dimentichiamo, ma a volte anche noi dimentichiamo la nostra storia.
Tishà be av, anche se ricorda eventi avvenuti centinaia e centinaia di anni orsono, è però il simbolo della nostra sofferenza.
In questa data nefasta non commemoriamo soltanto la distruzione dei due Tempi di Gerusalemme e le conseguenti diaspore, ma anche la cacciata dalla Spagna nel 1492, ulteriore manifestazione di disprezzo per il nostro popolo.
È bene, almeno per noi ebrei, non dimenticare o almeno sottovalutare la nostra storia.
Più volte nel corso dei millenni, si sono ripetute le vecchie sventure, soprattutto nel momento in cui, noi stessi eravamo sicuri che più nessuno ci avrebbe fatto del male.
Tishà be av quindi è il simbolo della persecuzione degli ebrei e della discriminazione che è sempre in agguato.
Il digiuno di oltre ventiquattro ore, quindi che faremo dall’uscita di shabbat, fino all’uscita delle stelle di domenica sera, accompagnato dal lutto stretto, hanno lo scopo di farci riflettere, sulla nostra storia che potrebbe ripetersi in ogni momento.
Le regole che accompagnano il digiuno sono molto rigorose:
Oltre al mangiare e al bere, non possiamo lavarci, né ungerci o profumarci, avere rapporti coniugali e persino salutarsi.
Tutto ciò per farci vivere almeno per un giorno, le sofferenze del nostro popolo durante ogni persecuzione – antica o moderna- indistintamente.
Il digiuno solitamente si prende e si lascia mangiando un pasto frugale in totale assenza di carne e di vino.
Quest’anno, cadendo la vigilia di shabbat, è permesso mangiare carne e bere vino in abbondanza, come i pasti del re Salomone; mentre all’uscita lo si interrompe con un pasto in totale assenza di carne e di vino.
Possa il Signore Iddio far terminare le nostre sofferenze, facendoci gioire della venuta del Messia e della ricostruzione del Tempio.
Chi fa lutto per Gerusalemme è meritevole di gioire della sua ricostruzione.
Shabbat shalom
Iniziamo questo shabbat il quinto ed ultimo libro della Torah: Devarim-Deuteronomio, che contiene una serie di discorsi ammonitivi che Mosè rivolge al popolo prima di lasciarlo definitivamente e prima che entri nella terra di Israele.
I discorsi sono abbastanza pesanti, ma c’è da notare come Mosè non punti mai il dito contro il popolo direttamente, bensì ricordi loro i luoghi dove essi si sono comportati nel peggiore dei modi.
Questa parashà cade sempre lo shabbat che precede il digiuno del 9 di Av, digiuno in cui piangiamo la molteplicità delle disgrazie accadute al nostro popolo nel corso dei millenni.
Molte volte nei nostri discorsi commemorativi diciamo che noi ebrei non dimentichiamo, ma a volte anche noi dimentichiamo la nostra storia.
Tishà be av, anche se ricorda eventi avvenuti centinaia e centinaia di anni orsono, è però il simbolo della nostra sofferenza.
In questa data nefasta non commemoriamo soltanto la distruzione dei due Tempi di Gerusalemme e le conseguenti diaspore, ma anche la cacciata dalla Spagna nel 1492, ulteriore manifestazione di disprezzo per il nostro popolo.
È bene, almeno per noi ebrei, non dimenticare o almeno sottovalutare la nostra storia.
Più volte nel corso dei millenni, si sono ripetute le vecchie sventure, soprattutto nel momento in cui, noi stessi eravamo sicuri che più nessuno ci avrebbe fatto del male.
Tishà be av quindi è il simbolo della persecuzione degli ebrei e della discriminazione che è sempre in agguato.
Il digiuno di oltre ventiquattro ore, quindi che faremo dall’uscita di shabbat, fino all’uscita delle stelle di domenica sera, accompagnato dal lutto stretto, hanno lo scopo di farci riflettere, sulla nostra storia che potrebbe ripetersi in ogni momento.
Le regole che accompagnano il digiuno sono molto rigorose:
Oltre al mangiare e al bere, non possiamo lavarci, né ungerci o profumarci, avere rapporti coniugali e persino salutarsi.
Tutto ciò per farci vivere almeno per un giorno, le sofferenze del nostro popolo durante ogni persecuzione – antica o moderna- indistintamente.
Il digiuno solitamente si prende e si lascia mangiando un pasto frugale in totale assenza di carne e di vino.
Quest’anno, cadendo la vigilia di shabbat, è permesso mangiare carne e bere vino in abbondanza, come i pasti del re Salomone; mentre all’uscita lo si interrompe con un pasto in totale assenza di carne e di vino.
Possa il Signore Iddio far terminare le nostre sofferenze, facendoci gioire della venuta del Messia e della ricostruzione del Tempio.
Chi fa lutto per Gerusalemme è meritevole di gioire della sua ricostruzione.
Shabbat shalom