Il meretricio? Un ottimo rimedio «per alleviare insopportabili impulsi». Ma scoprirsi hijos de puta è una «condanna da cancellare». Come i cittadini argentini scomparsi, il cui ricordo è stato annullato dal “Ministero dei casi speciali”. E l’Italia? «Molto confortevole per uno scrittore, avete il Papa e il Papi…»
Luca Mastrantonio
Ebreo-americano da Mayflower, cioè di quarta generazione, Nathan Englander mescola umorismo yiddish ed erotismo cerebrale da newyorkese, Philip Roth e Woody Allen, la letteratura russa e quella israeliana. Ospite last minute, ma di casa alle Conversazioni di Capri – gia due anni fa partecipò all’appuntamento organizzato da Antonio Monda e Davide Azzolini – ci racconta divertito di come si trovi perfettamente a suo agio nell’Italia di oggi, di cui gli parlano i suoi colleghi giornalisti, in particolare Rachel Donadio del New York Times. Perché? Perché nell’opera di Englander la prostituzione è un ottimo rimedio Per alleviare insopportabili impulsi, come si intitola un suo racconto e la raccolta d’esordio, e restare fedele alla propria mogliettina.
In questa stupenda short-story, infatti, il protagonista è sull’orlo di una crisi di nervi e non solo, perché la moglie si nega ad ogni rapporto sessuale. Il rabbino gli consiglia prima di divorziare, e poi lo autorizza, con una dispensa speciale, a frequentare una prostituta. In altri casi, come nel romanzo Il ministero dei casi speciali, la prostituzione è una condanna. Essere figli di puttana, letteralmente, è una colpa per cancellare la quale si è disposti a tutto, anche a profanare le tombe e la memoria che recano. Allo stesso tempo, è una condizione di religiosissima innocenza. Si è macchiati senza colpa di un peccato originale. Come se Adamo fosse andato a puttane.
Englander insegna scrittura creativa, ma non ha nulla della ricreazione di tanta narrativa di oggi. Nonostante la giovane età e solo due libri all’attivo, è un autore che sta lasciando il segno nella letteratura anglo-americana. E non solo. Dopo la folgorante raccolta di racconti Per alleviare insopportabili impulsi, ha scritto un romanzo dove si respira, in salsa argentina, la Praga di Kafka. Il Ministero dei casi speciali (anch’esso Mondadori) racconta la vita sotto il regime di Videla di una coppia di ebrei, dove lui, Kaddish, è figlio di una prostituta, sepolta in un cimitero a parte, sempre all’interno di quello ebraico. Tanti altri, come Kaddish, hijos de puta, hanno lì un piccolo monumento ai loro poco nobili natali, e pagano Kaddish perché cancelli i nomi dalle lapidi.
Uno di questi committenti è un chirurgo plastico, che si sdebita rifacendo il naso a Kaddish e alla moglie Lilian. Il ritocco al naso ebraico è anche l’oblio fisico del loro figlio, Pato, cui non assomigliano più, che dunque scompare due volte, dopo essere stato preso dalla polizia argentina. E da allora è scomparso.
I desaparecidos volano, ma non sono angeli. In mare cadono, ma non sono stelle. Così racconta un pilota degli aerei del terrore. La morte per acqua, dall’aria, mentre nei lager si moriva in cielo, per gas.
«Il governo sta facendo pulizia, e quando avrà finito – sostiene Kaddish – le cose potranno solo migliorare. Vedrai, questo paese sta diventando più sicuro», dice alla moglie. Kaddish, il cui nome fa riferimento alla preghiera ebraica per un defunto – ma non avrà mai un corpo da piangere – è vittima e carnefice del regime, perché quando gli viene arrestato il figlio, Pato, lo maledice dicendo «vorrei che tu non fossi mai nato». E così sarà, perché da quel giorno sarà impossibile sapere qualcosa sulla fine di Pato, persa nei meandri del Ministero dei casi speciali, con le sue 52 stazioni di polizia e 7 ministeri a mo’ di prologo.
Per Englander, la morte non morte dei desaparecidos è la peggiore sorte che possa toccare a un essere umano. Peggio di un lager, che riesce a situare l’orrore, cosa che non può succedere in mare aperto.
«Io sono un ebreo Mayflower, dico, di quarta generazione e sono cresciuto sentendo parlare dell’Olocausto come di un passato comune a noi ebrei. Fa parte della nostra memoria e soprattutto della vita dei superstiti. Continuano a essere tramandate, queste storie, ma presto scompariranno i testimoni diretti. Anche se restano i monumenti, i musei, tutta una letteratura. Familiare e culturale. A Gerusalemme, ho incontrato una persona che si ricordava di mio nonno, morto in un campo, mi disse. Per arrivare a raccontare storie di questo tipo, bisogna accumulare pressione e lavorare sull’assenza. La differenza tra l’Olocausto e la sporca guerra argentina è nel fatto che in Argentina si è raggiunto l’obiettivo finale, cancellare la memoria, annullare la morte. Non sono paragonabili i morti nei lager e i desaparecidos, perché in Argentina è stato cancellato il ricordo, completamente».
Englander è convinto che nel mondo, oggi, non valga la lezione che a tutti gli ebrei viene impartita. «I genocidi continuano ad esserci. A noi ebrei viene raccontato l’Olocausto e ci viene detto che questo è avvenuto prima che nascessimo e non deve più succedere, non succederà più, ci assicurano. E invece continua a succedere, in altri luoghi, oggi. In Ruanda, per esempio, in Argentina pochi decenni fa. La guerra sporca è l’applicazione della filosofia del male. Se ora uccido una persona, scompare, ma resta traccia di questa persona. Mentre con i desaparecidos si fa scomparire tutto, anche il ricordo, e si perseguita chiunque voglia tenerlo vivo». Nel libro, Lilian paragona Plaza de Mayo ad un’arena romana dove il governo militare ha occupato tutti i posti, e il resto del paese è gettato in mezzo ai leoni, come i cristiani nell’antica Roma.
Englander ha scelto di mettere al centro della sua storia argentina il mestiere più antico del mondo – centrale anche nel suo racconto d’esordio – perché cercava un modo per tenere assieme parole e loro significato e perché gli interessava mettere in scena l’innocenza di un peccato originale di cui non si è autori. «Nelle scuole di scrittura creativa ti insegnano a evitare i clichè. Se uno è arrabbiato, non scrivere che scaglia un bicchiere contro il muro. Quando però ho pensato al mio romanzo non sapevo che approccio avere.
Sono un ragazzo americano, potevo scrivere un libro sulla storia della tortura in Argentina, o con umorismo yiddish descrivere i casini e i bordelli legati ai militari. La prostituzione è diventata centrale per motivi narrativi e linguistici. Quando mi sono trovato a riflettere sui desaparecidos, ho pensato al significato delle parole. L’idea che mi ha colpito è che si nasconde il senso delle parole dietro il loro utilizzo puramente esclamativo, liturgico. Ho scritto i racconti prima di andare a Gerusalemme, il romanzo dopo un lungo periodo in cui ho vissuto a Gerusalemme. Vivendo all’estero, ho compreso il bisogno di far aderire le parole al senso. “Motherfucker”, che noi usiamo come buongiorno e buonanotte da voi, vuol dire uno che si scopa la madre. È una cosa e una frase tremenda. Così hijo de puta è l’inno nazionale argentino, come Gesù, e però di figli di puttana veri, in Argentina, ce ne sono tanti. E allora mi sono chiesto cosa significa esserlo davvero, e cosa si prova quando uno, senza saperlo, ti chiama così, e tu sei così, un figlio di puttana. Una posizione di estrema innocenza, che colpa ne ha? Questo è il peccato originale della sua esistenza, ma non ne ha colpa. Così l’ho trasformato in protagonista del mio romanzo».
Nel racconto Per alleviare insopportabili impulsi, il rabbino prescrive ad un ortodosso di frequentare una prostituta per lenire il dolore che deriva dall’astinenza da sesso con la moglie. Cosa direbbe il rabbino, dell’Italia? «Voi avete il Papa – ride, pregustandosi il gioco di parole in inglese che ne seguirà “the Pope and the Papi” – avete il Papa e il Papi. È molto confortevole per me, per il mio retroterra politico e le mie storie, il modo in cui l’Italia sta andando. Devo essere cauto, perché nessuno vuole essere paragonato al governo israeliano, ma il governo italiano con le sue cadute, gli scandali e le corruzioni non ha nulla di cui lamentarsi».
Martedì, 30 giugno 2009
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