Capitolo 10 – Cronache dal mondo sefardita: I racconti di rav Eliahu Capsali [1]
Quando il Re di Spagna constatò che si era impadronito di qualche città del Regno di Granada, che il valore degli Ismaeliti diminuiva e declinava mentre i cristiani acquistavano più forza, decise di prendere la città del Re e di non lasciare agli Ismaeliti né nome né progenitura nel Paese.[2] Maltrattò crudelmente il Re Sequito, [3] sultano d’Ismael, cambiando il comportamento verso di lui e annullò la pace che aveva concluso con lui.
Nell’anno 1490, il ventesimo del suo Regno, Ferdinando si mosse con una grande armata contro il Regno di Granada. Delle città caddero sotto gli assalti dei soldati, altre furono preda della fame e delle malattie.
Nel 1491, Ferdinando decise di impadronirsi di Granada. Andò all’assalto della città, l’attaccò, fece delle brecce, con impetuosità la colmò di danni, demolì i carichi e i banchi a tutti gli incroci. Lottò contro Granada ma per diversi giorni non riuscì a impadronirsi della città. La Regina Isabella, sua sposa, constatando che i suoi valorosi guerrieri assediavano la città di Granada da molti giorni senza risultato fece un voto all’Eterno e promise: «Se tu dai questa nazione in mio potere io prometto di mettere al bando i figli di Israele che vivono nel mio Regno, li espellerò dalla mia residenza, partiranno e cesseranno di vivere fra il mio popolo». Dicendo queste parole agiva influenzata da un prete che seminava lo sgomento nella comunità ebraica. Era in effetti l’istigatore di tutto, uno dei nostri più crudeli persecutori.[4]
In questi giorni, l’ostilità e l’odio fiorivano e dopo i combattimenti gli abitanti della città si scissero in due partiti: quello del Re Seqito e quello di suo zio Mahamit. Ognuno dei due voleva regnare con la forza. La divisione dei loro cuori provocò la loro perdita. Dopo nove mesi di assedio, l’Eterno mise la città di Granada nelle mani degli Spagnoli. Firmarono un accordo con il Re di Spagna, e gli lasciarono la città. Il Re Ferdinando regalò al Re Seqito una somma di 100.000 fiorini e gli permise di prendere tutte le sue ricchezze. Coloro che ne espressero la volontà fra i principi, i nobili e il popolo, poterono viaggiare e non subirono alcuna pressione. Il Re Ferdinando mise a loro disposizione delle navi e li fece condurre in Barbaria, nel Paese più vicino verso occidente. Fece un accordo anche con il popolo che aveva vissuto nel Paese, decidendo che non avrebbero pagato le imposte per dieci anni. Dopo pochi giorni però decise di non mantenere quello che aveva promesso. Il Re entrò nella città e convertì gli abitanti con la forza, cacciò i suoi principi e mandò in esilio i nobili e i grandi signori.
Un giorno, giorno di nere tenebre, di nuvole, il Re Ferdinando, consigliato da sua moglie, fece il voto di cacciare gli ebrei da tutto il suo Regno, di precipitare a terra i più potenti fra di loro, se Dio gli avesse concesso di conquistare Granada. Ora la crudele Regina Isabella era nel numero dei nostri persecutori e dopo il suo matrimonio non ci fu giorno in cui non discutesse con suo marito dicendo: «Caccia gli ebrei fuori della mia vista, che se ne vadano!». In effetti, sotto l’influenza dei preti, divenne la nemica di Israele; l’odio non aveva lasciato niente intatto nel suo corpo. Vedendo che il Re non l’ascoltava, gli disse ancora: «Ti sei fissato la regola di amare gli ebrei, perché tu sei del loro sangue e della loro carne. [5] Mi hanno sposata a te perché tu sia loro di appoggio e di sostegno!». Il Re, dopo aver udito queste parole malevoli, si arrabbiò molto, e lanciò una scarpa sulla testa di sua moglie. La Regina fuggì e per giorni i due rimasero in collera. Considerando le accuse della Regina, Ferdinando poi decise di darle soddisfazione e di mostrare a Dio che sarebbe riuscito a far convertire gli ebrei. Così il Re e la Regina misero tutto il loro cuore per nuocere agli ebrei.
Nel 1492 il Re decise l’espulsione degli ebrei, ma gli pareva indegno di attentare alla vita di qualcuno di loro solamente, quindi decretò di sterminarli tutti. Solo grazie a Dio e ai meriti dei padri, gli ebrei che vivevano in Spagna non sarebbero stati sterminati. Il quinto mese dell’anno 1492 gli scribi del re furono convocati e misero per iscritto tutto quello che il re ordinò loro. Le missive furono inviate ai signori di provincia, ai governatori.
Questo scritto stipulava che fosse proclamato attraverso tutta la Spagna e portato a conoscenza dei principi di ciascuna provincia, dei duchi, dei signori, delle guide e legislatori di tutte le nazioni, che gli ebrei dovevano essere cacciati dal Paese senza pietà. Così il Re contava di espellere gli ebrei entro tre mesi, a partire dal 9 di Iyar fino al 9 di Av.
Questa è la copia dell’editto di espulsione[6] scritto e sigillato con il nome del Re e della Regina:[7]
«Noi, Ferdinando e Isabella, Re e Regina per la grazia e la misericordia di Dio, sovrani di Castiglia e di Aragona, di Leon e di Mursia, di Maiorca, di Sardegna, di Granada e di Navarra etc, poiché ci è pervenuta la voce che questi convertiti[8], di cui noi abbiamo condannato un certo numero al rogo, altri alla prigione a vita, dato che si sono allontanati dalla nostra fede e si sono ribellati contro di essa; poiché sono arrivati fino a noi le proteste amare di coloro che sono scampati a queste pene, avendo confessato e fatto ritorno con una completa penitenza, quando la mano degli inquisitori era ancora levata su di loro per esaminare e indagare sui loro misfatti, dicendo che gli ebrei sono sempre stati e sono ancora la causa della loro mancanza di sottomissione e della loro deviazione dalla religione cristiana, perché insegnano i loro usi, le loro regole e le leggi che riguardano le loro feste e le loro solennità e che fino a che gli ebrei si troveranno fra di loro in Spagna, sarà loro impossibile essere dei cristiani perfetti e sinceri.
È per questo che noi abbiamo deciso di ordinare l’espulsione totale degli ebrei da tutte le regioni del nostro Regno, e questo nonostante che siano passibili di punizioni più severe in ragione degli atti di cui si sono resi colpevoli. In effetti abbiamo avuto pietà di loro e ci siamo accontentati di dare questa pena. È per questo che noi mandiamo e ordiniamo a tutti gli uomini e donne, vecchi e giovani, che si fanno gloria del nome di Israele, che vivono e dimorano sotto il nostro governo, di partire per l’esilio, di lasciare tutte le regioni dove risiedono, di abbandonare le città del nostro Regno e di andare verso un altro Paese entro un periodo di tre mesi, a partire dal primo di maggio, fino alla fine del mese di Luglio. Chiunque non rispetterà il nostro editto, facendo passare questo termine di tempo, e sarà trovato in una delle province del nostro Regno, si vedrà condannato a morte per impiccagione o costretto a spergiurare e a farsi cristiano. Quanto a coloro che, in un limite di tempo di tre mesi a partire da questo giorno, desidererà convertirsi al cristianesimo, potrà restare nella sua casa, nella sua proprietà, conserverà la sua fortuna e i suoi beni immobili e mobili come nel passato. Inoltre, noi l’esenteremo da ogni tassa e servitù. L’inquisizione ugualmente lo lascerà in pace durante dieci anni senza fare inchieste su di lui.[9]
Inoltre noi decretiamo e ordiniamo a tutti i giudici, grandi Signori, prelati, consiglieri e governatori delle province e a tutti i funzionari del Re preposti a qualche incarico che sia attraverso le diverse province e città, di fare buona e vigilante guardia per impedire ogni assembramento degli ebrei, e comunichiamo che nessuno, quale che sia la sua condizione, abbia l’audacia di fare danno a un ebreo, sia alla sua persona che ai suoi beni, con il furto e il saccheggio, nella città come fuori di essa, sotto pena di essere presi e impiccati immediatamente dal principe, il giudice o il governatori di questa città. Ai fini del controllo, noi ordiniamo a tutti, principi, grandi Signori, o giudici di tutte le province e città, di mettere l’emblema de Re chiamato in spagnolo seňal real all’entrata di ogni casa ebraica in tutti i luoghi dove gli ebrei abitino. [10]
Infine noi decretiamo e mandiamo a tutti, grandi signori, principi, giudici, governanti, in ogni provincia e città, che facciano proclamare a voce alta dal banditore, il presente editto nei mercati e nelle piazze come nelle diverse comunità ebraiche di ciascuna provincia e città del Regno, il primo del mese di maggio prossimo. [11] Tutti coloro che non osserveranno i nostri ordini fra le persone di cui avremo richiesto i servizi, incorrerà nella riprovazione e la disgrazia del Re noi lo puniremo come conviene.» [12]
L’editto fu pubblicato in tutta la Spagna e gli araldi gridarono a voce alta: “A voi, famiglie della casa di Israele, se voi trasgredite la legge degli ebrei, se voi vi prosternerete e adorerete la statua d’oro, voi gioirete delle delizie della terra; restate, traetene beneficio, vivete in sicurezza, ciascuno nella sua vigna e sotto il suo fico, restate a Gerico, e il fuoco non avrà presa su di voi. Se non ubbidirete e vi mostrerete indocili, se non accetterete di invocare il nome di altri dei e di prosternarvi davanti agli dei delle nazioni che vi circondano, partite allora, lasciate il mio popolo, poiché fra tre mesi non resterà un solo piede di coloro che si vanta del nome di Yacob e si fa gloria di quello di Israele”. [13]
Gli ebrei appresero queste notizie terribili e presero il lutto. Furono preda di terrore e amarezza. I loro capi decretarono il digiuno, pianti e lamentazioni e consigliarono di prendere il cilicio e di coprirsi di ceneri. In tutte le province e luoghi dove arrivò la voce del Re e il suo editto, vi fu un grande lutto da parte degli ebrei. Molte comunità di Spagna ricevettero l’editto del Re nel giorno delle Azzime, trasgredirono il primo giorno di Pesach, si coprirono di cilicio e si sedettero sulla cenere. Non mangiò né l’uomo, né l’animale. Non fu bevuta acqua, non furono mangiate le azzime. Chi mangiò il pane di Pesach, lo fece con amarezza.
In quel tempo si presentò davanti al Re e alla Regina un saggio grande come Daniel, don Isaac Abravanel. Fu accompagnato da Abraham Señor [14] e altri notabili di Israel. Supplicarono il re e la regina di rimandare il crudele disegno e di annullare il decreto. Non furono però ascoltati dai sovrani. Quel giorno don Isaac Abravanel fu autorizzato a spiegare liberamente e a difendere i meriti del suo popolo. Restò là come un leone, forte della sua saggezza e del suo coraggio. Sapeva bene l’ebraico e altre lingue, sapeva farsi capire e capiva il linguaggio degli altri. La saggezza con cui parlò fu meravigliosa. Don Abraham Señor prese a turno la parola, e mostrò una brillante intelligenza. Il Re e la Regina risposero di non voler parlare ancora di tale soggetto. I notabili ebrei, vedendo che le loro richieste non sarebbero state accettate, chiesero di posticipare l’espulsione. Il Re non tenne conto delle loro preghiere, in realtà non chiedeva altro che di sterminare gli ebrei. Il sovrano pensava che in un periodo così breve accordato agli ebrei, non sarebbe stato loro possibile lasciare il Paese.
Allora don Isaac Abravanel pensò di rivolgersi alla Regina, donna perversa ma forse disposta a salvare la vita degli ebrei. Scrisse dunque una lettera alla Regina Isabella. La sua lettera era dura, non rendeva per niente omaggio alla Maestà della Regina, poiché lui stesso si era consegnato alla morte, prendendo il partito dei ribelli.
Dopo questi fatti don Isaac Abravanel fuggì, sapendosi condannato a morte. Don Abraham Señor scrisse alla Regina, ricordandole i numerosi favori fatti, e accusandola di ingratitudine.
Il Re e la Regina restarono indifferenti alle due lettere, la sentenza era definitiva.
Il popolo spagnolo si presentò davanti al Re e gli chiese il motivo per il quale voleva lasciare fuggire un popolo così numeroso con tutti i loro beni.
Allora il Re decretò che ogni ebreo proprietario di beni immobili, che avrebbe lasciato il Paese, doveva lasciare l’equivalente di tasse e imposte diverse da pagare. Il Re inviò dunque lettere in tutte le province del suo Regno perché ognuno abbandonasse, fra i suoi beni più preziosi, una parte del montante sufficiente a coprire le tasse finanziarie e le diverse imposte. Poiché i beni si rivelarono sufficienti lo stato avrebbe approfittato dell’usufrutto e i fondi sarebbero restati per sempre sua proprietà.
In quei giorni terribili, se un ebreo doveva dei soldi a un gentile, era picchiato e fustigato, fino a che abbandonava i più preziosi dei suoi beni per pagare i suoi debiti. Se al contrario era il gentile a essere il debitore e l’ebreo chiedeva giustizia, il giudice non teneva in nessun conto l’istanza, anche se il debito era stato provato da un documento e a più forte ragione quando non lo era. Se l’ebreo aveva uno scritto che attestava l’ipotesi di pietre preziose, d’onice, e diaspro, il gentile lasciava passare la scadenza, non pagava il debito fino a che l’ebreo si scoraggiava e la scadenza era passata.
In quei giorni di desolazione, gli ebrei a migliaia e miriadi si convertirono; fra questi anche coloro che avevano già cominciato il viaggio, e considerate le difficoltà, le sofferenze e altri problemi trovati per le strade, si erano pentiti della loro decisione, tornavano indietro e decidevano di fare apostasia. Non potevano sormontare tutte queste prove difficili e dura era la migrazione dell’uomo.
Don Abraham Señor e suo cognato Meir Melamed, entrambi grandi di Spagna, discesero nello stesso modo nelle profondità del baratro e sia per scelta, sia per forza, abiurarono.
Come ho appreso in segreto, in effetti la Regina aveva giurato di costringere alla conversione tutte le comunità di Spagna se don Abraham Señor si fosse rifiutato di fare apostasia, e per salvare un grande numero di ebrei da peccato, anche se non voleva, decise di abbracciare il cristianesimo. Lo stesso fece suo cognato, l’ingiunzione della sovrana riguardava anche lui. Entrambi l’avevano allevata e istruita, specialmente don Abraham Señor, la cui influenza e appoggio economico le avevano permesso di regnare. Per questo la Regina aveva messo tanto accanimento a convertirli, perché potessero continuare a servirla.
Si convertirono anche i figli e tutta la cerchia familiare di questi due principi delle armate di Israele. Abbandonarono la loro fede, la loro dottrina e il loro credo e servirono le divinità dei popoli che li circondavano.
I sovrani nominarono i figli di Don Abraham Señor magistrati, giudici e governatori delle province e dell’esercito. Li fecero nobili, dettero loro delle terre che appartenevano ai gentili e posti di comando in tutta la Spagna. Confidarono loro anche la gestione di tutti i propri beni, perché osservassero le loro leggi e le loro dottrine.
L’atto di espulsione dispiacque molto ai signori, ai duchi e agli altri grandi del regno, poiché amavano gli ebrei. Decisero di intercedere anche presso il Re ma non furono ascoltati.
Quando le comunità videro che il Re non accordava alcuna considerazione alle loro richieste e alle loro preghiere, decisero di essere forti per la loro fede, la legge dell’Eterno, nei confronti di coloro che li offendevano, il nemico avido di vendetta; se gli ebrei avessero avuto la vita salva, sarebbero vissuti e, se fossero stati condannati a morte, sarebbero morti, ma non volevano violare la loro alleanza, lasciare i loro cuori smarrirsi.
E gli ebrei partirono, partirono tutti, giovani e vecchi, donne e bambini in un solo giorno da tutte le province del Regno e santificarono il Santo Nome. [15]
Le comunità che vivevano lungo la costa del mare di Spagna, si misero in viaggio, si accamparono e presero delle navi, venute dalla Biscaglia, Catalogna e Castiglia. C’erano grandi e piccole flotte, poiché all’annuncio della loro espulsione, delle barche vennero dai quattro angoli dell’orizzonte per imbarcarli. Vennero anche da Genova e da Venezia, erano numerosi come la sabbia del mare e presero gli ebrei a bordo. Gli ebrei fecero la traversata, alcuni andarono verso i Paesi di Ismael, verso Orano, Alcazar e Bougie,[16] che sono a una grande distanza dalle coste di Cartagine. Issarono la vela in direzione di Orano, migliaia, miriadi. Davanti al numero impressionante di barche, gli abitanti del Paese, i Cananei, [17] si lamentarono dicendo: «sono degli assalitori, dei nemici che vengono ad attaccarci per sterminarci, fare di noi degli schiavi e servi e impossessarsi dei nostri beni. Riuniamoci, andiamo nelle città forti e battiamoci per noi stessi e per i nostri figli!».
Fecero così e tirarono sulle navi delle scariche d’artiglieria e altri armi distruttrici, decimando una parte degli ebrei.
Appresero alla fine che si trattava di proscritti ed il loro Re riservò agli ebrei un’accoglienza favorevole, perché questi avevano per difendere la loro causa un notabile del Palazzo, un ebreo che aveva il nome di Rabbi Dudyaham, [18] che la sua memoria sia di benedizione.
Sbarcati, cercarono un luogo dove stabilirsi. Il Paese però non poteva contenerli tutti, poiché erano troppo numerosi e il Re fece loro costruire, vicino le muraglia della città, delle casette in legno.
Un giorno, un venerdì alla vigilia dello Shabbat, il Signore suscitò per sterminarli un angelo cattivo nella persona del maestro panettiere. Questo si levò per lavorare quando ancora faceva notte. Accese il fuoco nel forno, e il forno perse fuoco e divorò tutto, all’esterno come all’interno. Tutto fu preda del fuoco e arrivò nel luogo dove si erano stabiliti gli ebrei. Essi si salvarono allontanandosi, e si chiesero cosa avesse fatto loro l’Eterno. I loro lamenti arrivarono fino al cielo e i loro fratelli piansero.
I figli di Israele originari dell’Aragona, della Catalogna e della regione di Valenza, colpiti dal bando di espulsione, fuggirono verso Napoli. Era il primo del mese di Elul dell’anno 1492, quando arrivarono sulle coste di Napoli, dove regnava un uomo saggio, con cui era il Signore. Era il Re Ferdinando, [19] uomo integro, giusto fra le Nazioni, timoroso di Dio. Quando apprese che gli ebrei erano venuti per abitare nel suo Paese, il suo cuore gioì e si sentì onorato: «Siate i benvenuti, voi che siete benedetti da Dio», disse loro. Gli ebrei andarono dunque numerosi, crebbero e si moltiplicarono nel Paese.
Fra coloro che arrivarono, molti non potevano pagare il loro viaggio e le comunità di Napoli li riscattarono ai marinai. Altri attesero il pagamento del loro riscatto, poiché gli ebrei non avevano denaro a sufficienza per i bisogni degli immigranti. Allora dei marinai, vedendo passare i giorni, proseguirono per il loro camino. Gli ebrei furono venduti come schiavi e servi agli idolatri.
Gli ebrei che arrivarono a Napoli soffrirono la fame e la sete; la maggior parte di loro, uomini e donne, erano malati e indeboliti. Barattarono i loro beni più preziosi, per acquistare il cibo e poter riprendere le loro forze. I più vigorosi però morirono, e furono preda di epidemie. Quando questo Re giusto vide che la peste li aveva decimati, ne fu afflitto. Ordinò che i morti degli ebrei fossero sotterrati molto profondamente e durante la notte, per paura che i gentili non li riconoscessero e potessero dire che il Re li aveva fatti venire dal loro Paese febbricitanti e malati perché li contaminassero. Furono dunque sotterrati in grande segreto.
Gli ebrei erano divorati dalla febbre e dalla peste maligna, dopo sei mesi dall’arrivo a Napoli, la malattia e la miseria si era propagata fra di loro. Furono più di cinquantamila le vittime dell’epidemia, senza contare coloro che perirono a causa del gelo. Di giorno soffrivano per la canicola, di notte per il rigore del freddo. Tutte le teste furono rapate, tutte le barbe tagliate. Quando erano fuggiti dalla Spagna molti ebrei erano morti nelle acque nel corso del tragitto e molti erano stati massacrati. Adesso erano vittime di epidemie, che annientavano loro corpo e anima.
I Principi e tutti gli abitanti del Paese chiesero al Re l’espulsione degli ebrei ma il Re disse che preferiva rendere la sua corona piuttosto che farlo. Allora gli dissero di agire secondo il suo cuore.
Per soccorrere questi malati il Re diede l’ordine di fare costruire fuori della città un grande Firmario.[20] Distribuì letti, tavole, sedie e lampade e gli ebrei, nella loro sfortuna, trovarono soccorso. Il Re inviò medicine, impiastri, rimedi appropriati. Pensò bene e decretò molte regole che riguardavano le cose da fare; ordinò ai medici al suo servizio di curare i malati gravi, senza risparmiare sforzi e strumenti; dovevano mettere loro le bende, e tutte quelle cose salutari, droghe efficaci, mescolate a degli aromi, pasticche. I medici obbedirono in tutto al loro Re che pagò comunque loro le spese per le cure prodigate. L’epidemia continuava e il Re ordinò di chiudere le strade, ne proibì il percorso e mise delle guardie intorno alla città, ordinando loro di fare uso di pugnali, dopo un interrogatorio, contro coloro che avrebbe disobbedito. Il popolo, pieno di odio, aborriva i figli di Israele, vedendo che erano causa di tormenti e li accusò di essersi recati nella regione per provocare la morte loro e quella dei figli.
Gli abitanti del paese ebbero paura poiché dicevano che in tutti i luoghi dove gli ebrei fuggivano per scappare dalla peste, questa marciava avanti a loro e la febbre bruciante ne seguiva i passi. Protestarono e chiesero che gli ebrei non restassero presso le loro case, poiché Dio faceva pesare la sua mano su queste persone, i loro figli, spose, ragazzi e ragazze! Si lamentarono: «Hanno fatto venire da noi gli ebrei per farci morire, noi egli altri» .
In quei giorni un gran numero di ebrei partì. Alcuni presero la strada della Turchia. Là ricevettero una buona accoglienza, poiché tale era l’ordine del re: «Non li opprimete, non imponete loro un duro lavoro». La peste colpì ugualmente i marinari, l’equipaggio e la maggior parte morì.
A Napoli, una volta che la peste si fu attenuata, la fame si intensificò. Gli uomini ne soffrivano tanto forte che gridavano: «Pane! pane!, pane!». Anche l’acqua mancava. Si indebolirono, provando disgusto per qualsiasi tipo di cibo. Grande fu la carità nei confronti di queste persone, il Re decise di provvedere ai loro bisogni quotidiani dando quell’anno il cibo e assicurando il mantenimento permanente.
Nel mese di Shevat 5254 [1494], il vecchio Re Ferdinando morì. I figli di Israele tremarono di paura, il Re li aveva lasciati. I principi, gli ebrei, gli abitanti del paese presero ciascuno il lutto.
Il figlio, il re Alfonso[21], uomo di guerra, successe a Ferdinando. Fece quel che era giusto, ma non somigliava al padre, e sotto il suo Regno il paese fu diviso, poiché , di fronte al nemico, le forze l’abbandonarono.
Nel 1494, nel mese di maggio, quando Carlo, Re di Francia, apprese che il vecchio Re Ferdinando era morto, si mise in testa di ereditare il suo Regno. Si alleò con il principato di Venezia, e con una armata potente si mosse contro il Paese per annientarlo. Il Re Alfonso ne fu avvertito, e si accorse che parte dei suoi Principi lo aveva tradito.
Re Alfonso spedì truppe e cavalieri alle frontiere del suo Paese. Alla testa delle truppe vi era il Signor Virgilio,[22] il grande capitano eroe e uomo di guerra che vestiva una cotta di maglia, e alla testa dell’esercito mise suo figlio Ferdinando, soprannominato Ferrandino.[23] I principi, come venne a sapere il Re Alfonso, erano stati corrotti, spie erano state inviate in tutte le città. Re Alfonso decise allora di mettere sul trono il figlio Ferdinando, perché pensava che il popolo avrebbe combattuto al suo fianco contro il Re di Francia. Alfonso fuggì.
Quando il Re di Francia arrivò tutte le città gli aprirono le porte, il popolo gli si prosternò di fronte e lo salutò come suo Re.
La Regina, vedova del vecchio re Ferdinando, vedendo che i francesi invadevano il suo Regno, decise di fuggire. Lo fece a piedi, togliendosi il velo e prendendo i vestiti da vedova. Tutti i suoi amici la tradirono, nessuno la consolò.
I figli di Israele ugualmente conobbero tristezza e ansietà: guardarono il Paese e videro solo tristezza e oscurità. La Regina fuggì a Messina ed anche il Re Ferrandino vi si rifugiò perché il nemico l’aveva sconfitto mentre Carlo, Re di Francia, regnò a Napoli senza essere disturbato.
Gli ebrei fuggirono in grande numero e andarono a Messina dove restarono due mesi, prigionieri in una torre. Le navi erano piene di neonati e di donne, di folle di persone, vecchi e bambini, figli tutti di proscritti. La fame aveva lasciato il suo segno su tutti i santi visi.
Gli ebrei rinunciarono ai propri beni e lasciarono il Paese dicendo che i francesi li avrebbero ammazzati tutti; come l’aquila che piomba sulla preda, così i francesi sarebbero piombati su di loro per distruggerli, annientarli, ridurli alla schiavitù per prendere le loro ricchezze.
Passati i due mesi, fu accordata ai vascelli l’autorizzazione a trasportare gli ebrei in tutti i luoghi dove desideravano andare. La maggior parte fece tappa a Valosa [24] e da lì si diresse verso la Turchia. Molti ebrei andarono a Corfù e anche all’isola di Candia ne arrivarono in grande numero. Per loro furono preparati delle offerte così numerose che smisero di contarle tanto era grande il numero. Mio padre e maestro, il grande Rabbino Elkana Capsali, poiché era il governatore [era il titolo più elevato nella comunità ebraica di Candia], in un solo giorno, il 9 di Av 1493, fece una donazione di 250 fiorini veneziani agli esiliati. Offrì molti aiuti secondo i loro bisogni. Quando coloro che provvedevano alle loro necessità non ebbero più i mezzi per farlo, dovettero vendere persino gli oggetti sacri delle sinagoghe per riscattare questi esuli dalle mani degli oppressori o dei marinai che li avevano trasportati. Nonostante tutto molti non poterono trovare i mezzi per pagare il riscatto. Allora, attraverso tutta l’Italia e il Levante, si venne a creare una moltitudine di questi sfortunati ebrei prigionieri, schiavi o debitori dei capitani delle navi. In ogni luogo dove arrivavano, le comunità contribuivano al riscatto e prelevavano sui loro beni delle offerte, ma questo non fu sufficiente, poiché tutti, amici, compagni, li avevano abbandonati. A Corfù dei mercanti persiani riscattarono un grande numero di questi proscritti, li condussero in Turchia e in altre regioni per ottenere dagli ebrei un riscatto considerevolmente molto più elevato. Ben pochi figli di Israele restarono, da tanti che erano. Disperazione e sospiri si alternarono.
Il Sultano Bejazet [25] che regnava sulla Turchia, apprese tutte le disgrazie che il Re di Spagna aveva fatto subire agli ebrei, seppe che questi cercavano un luogo per stabilirsi e ebbe pietà di loro. Inviò messaggeri e fece proclamare in tutto il suo Regno, dalla voce dei suoi araldi, che nessun governatore delle città poteva respingere gli ebrei o perseguitarli, ma che dovevano accoglierli tutti con benevolenza. Coloro che contravvenivano sarebbero stati passibili di morte. Inviò lo stesso decreto a Chios. Il timore di rappresaglie del Re si propagò allora sugli abitanti del paese che fecero agli ebrei una buona accoglienza. Gli ebrei espulsi andarono in Turchia a migliaia e miriadi, e il Paese ne fu riempito. Le comunità di Turchia moltiplicarono a quel punto le loro offerte, innumerevoli e infinite per riscattare i prigionieri, distribuirono anche soldi come se si trattasse di pietre. Negli stessi giorni a Costantinopoli, il capo della comunità, l’onorevole grande Rabbino Mosè Capsali, di benedetta memoria, facendo prova di uno zelo infaticabile, esaminò la comunità e tassò ciascuno secondo i suoi mezzi. In possesso di un mandato del Re, costrinse gli ebrei a versare delle offerte sotto pena di multe e di prigione; quest’uomo era molto influente, le persone obbedivano ai suoi ordini senza omettere niente. L’opera di zedaqà fece così nascere la pace.
Per quanto riguarda gli ebrei restati a Napoli nei giorni della guerra, sotto il giogo dei francesi, furono in maggior parte spogliati dei beni e certi costretti a convertirsi. Dopo vissero in sicurezza sotto l’autorità dei francesi, perché il Re aveva fatto proclamare che chiunque li avesse attaccati sarebbe stato punito di morte.
Il Re di Francia regnò su Napoli quattro anni e due mesi, giusto il tempo necessario per gli abitanti di rimpiangere il loro Re. Allora si pentirono e chiesero il ritorno di Ferrandino il loro sovrano, lo proclamarono Re, dalle loro città cacciarono i francesi e li combatterono con le spade. Gli ebrei vissero in pace in questi giorni come ai tempi del vecchio Re Ferdinando, perché suo nipote Ferrandino gli somigliava molto.
In quei tempi gli ebrei confidarono i loro beni ai gentili perché i ladri non se li appropriassero ingiustamente, ma quando gli ebrei però vennero a riprenderli, i gentili negarono con veemenza di averli ricevuti.
Ora, una volta un grande principe, al quale un ebreo aveva confidato stoviglie d’argento e d’oro e dei vestiti, negò formalmente il deposito e i valori messi nelle sue mani, quando questi ne chiese la restituzione. Tutti e due si presentarono davanti al Re Ferrandino, esposero il problema, ma nessuno aveva visto e neppure saputo, non c’erano testimoni. [26] Nonostante tutto il Re comprese che l’ebreo reclamava in tutta giustizia, e disse al Principe: «Togli l’anello dal tuo dito». Questi obbedì e dette il suo anello al Re, che inviò uno dei suoi uomini con l’ordine: «Vai dalla moglie del Principe da parte di suo marito e chiedi che ti dia gli oggetti che l’ebreo gli ha dato in custodia. Se lei non ti crede, mostrale l’anello di suo marito, può darsi che si lasci convincere e ti obbedisca». Il servitore andò velocemente dalla donna e le fece la richiesta. Alla vista dell’anello e della collana, ella riconobbe l’anello di suo marito, dette fede alle parole del messaggero e donò gli oggetti all’uomo che in fretta li portò al Re. Il principe, vedendo la sua infamia scoperta, la sua colpa resa nota, ritornò tutto confuso a casa.
Quel giorno, il Re in tutto il suo Regno per mezzo della voce degli araldi e le lettere fece proclamare che ogni ebreo che rivendicava i suoi beni, in oro o in argento, e dei vestiti confidati da lui a dei gentili, avrebbe veduto la richiesta esaudita con la fede del giuramento. Questo ordine fu visto dal popolo ebraico come una grande salvezza e una liberazione; gli ebrei celebrarono i benefici del Signore che liberavano Israele e conobbero una pace senza agitazioni sotto il regno di Ferrandino.
Dopo questi fati, il Re di Francia e il Re di Spagna, firmarono la pace, si mossero contro Ferrandino[27] e si impadronirono del suo Regno. Questi fuggì in nave verso la Francia, dove il Re l’accolse con molti onori. Ferrandino restò in quel Paese gli ultimi anni della sua vita fino alla morte.
I francesi ritenevano di essere due volte più superiori degli spagnoli e pensavano che il Paese spettasse loro. Fecero fuggire gli Spagnoli che entravano nella città, [28] vi misero l’assedio e riempirono la Regione. Con un artificio gli spagnoli riuscirono a far credere di essere numerosi, attaccarono i francesi di sorpresa e ne provocarono la fuga. Gli spagnoli regnarono dunque sul Paese senza essere disturbati.
Il grande capitano di Spagna, che aveva vinto i Francesi, era un valoroso combattente, discendente di ebrei convertiti [29] e fu molto buono verso gli ebrei, ne ebbe cura e, fino a che restò nel Paese, essi furono liberi di muoversi liberamente.
Il Re di Spagna [30] constatando che il grande capitano era in Italia da due anni, si disse: «Non gli manca che la corona!», e gli ordinò di presentarsi da lui. Il capitano trovò mille ragioni per disobbedire. Il Re si recò a Napoli e incontrò il capo dell’esercito che gli disse che tutto ciò che lo sguardo del Re incontrava gli apparteneva.
Nell’anno 1510 il Re di Spagna prese la decisione di espellere gli ebrei da ogni parte del suo Regno. Privo di pietà, cacciò tutti gli ebrei da Napoli del Re AMI, [31] dalla Calabria, Sicilia, Messina, dalla Puglia, e da ogni altro luogo dove gli ebrei vivevano avanti e dopo l’espulsione dalla Spagna, sotto il Regno del vecchio Re Ferdinando il Pio, e dette loro questo ordine: «Andate verso la montagna, non restate qui o sarete sterminati e i vostri assalitori vi raggiungeranno». I figli d’Israele obbedirono, andarono in Turchia con i loro figli e le loro figlie e trovarono un rifugio come la rondine trova il suo nido.
Ecco le peregrinazioni dei figli d’Israele: qualche comunità di Spagna andò verso l’abominevole Regno del Portogallo attraverso la terraferma.
Gli ebrei partirono dunque, una nazione considerabile e numerosa, e arrivarono in Portogallo.
Giovanni, il Re del paese, appreso che il Re di Spagna aveva espulso gli ebrei e li aveva lasciati partire con i loro beni, la loro fortuna, disse ai suoi ministri che il Re di Spagna era stato stupido a permettere agli ebrei di conservare le proprie religione e ricchezze. Per quanto lo riguardava, egli li avrebbe convertiti e si sarebbe impadronito dei loro beni. Come aveva detto, così avvenne. Fece di tutto per scontentare l’Eterno, provocare la sua collera costringendo gli ebrei ad abiurare; si impadronì dei figli, dei beni, e di ciò che faceva la rara magnificenza della loro grandezza. I figli di Israele non erano ancora arrivati in Portogallo, che il Re Giovanni inviava contro di loro dei commissari zelanti, angeli sterminatori, per decimarli e spogliarli dei loro beni. E mentre li derubavano, i messaggeri dei gentili lanciavano ingiurie, depredavano le tende, mettevano le mani su argento ed oro.
Per impedire ogni infrazione ai suoi ordini, il Re nominò ugualmente dei funzionari e dei governatori incaricati di proibire a tutti di entrare nel Regno fino a che non avessero dato al tesoro del Re un Beka d’oro ciascuno. Uomo o donna, nessuno era esente, tutti dovevano pagare, il ricco come il povero. Questo divenne una regola per Israele, una sorta di sacrificio espiatorio immutabile. Ordinò ugualmente che ogni ebreo in possesso dei vestiti dovesse pagare una tassa equivalente a tre vestiti per ogni dozzina, [32] legge che lui decise di applicare agli ebrei a partire da questo momento e che riguardava le merci. I figli di Israele non potettero sopportare di essere oppressi così ingiustamente, ma si conformarono agli ordini, pagando tutte le tasse che il Re infliggeva loro. Un grande numero di umili e di indigenti, i cui mezzi erano insufficienti, non poterono pagare e pensando di ingannare il Re, ingannarono solo loro stessi, poiché questi li perseguitò dal più grande fino al più piccolo. Il Re li prese come schiavi e servi; erano circa 15.000, uomini e donne, ma le comunità portoghesi ne riscattarono 10.000.
Il Re ordinò in seguito di prendere fra coloro che arrivavano cinquemila ragazzi dai 10 ai 15 anni e di inviarli in una isola [33]. La permanenza sull’isola era malsana e la terra faceva morire i suoi figli. C’erano coccodrilli, serpenti velenosi, scorpioni, mancava l’acqua e la sete era grande. Partendo, nessuno poteva sopravvivere. Per questo fece rapire i ragazzi e li inviò sull’isola perché vi crescessero e si abituassero al luogo. Quando questa malvagità fu annunciata, ognuno prese il lutto per suo figlio, per il suo ragazzo; seguirono numerose conversioni, gli ebrei non potevano vincere contro una sentenza così amara e rivoltante, un tormento simile.
Coloro che non abiurarono abbandonarono nell’avversità i loro figli e i loro beni.
Il Re aveva mandato con i ragazzi degli uomini esperti che avevano dato fuoco alla foresta e lanciato delle pietre contro i coccodrilli ma questi uccisero in ogni modo un grande numero di ragazzi. I tratti dei loro visi, il loro aspetto erano pieni di inquietudine, deperimento e umiliazione, non avevano più la grazia che attirava gli sguardi, né la grazia che li rendeva amabili; i loro capelli, le sopracciglia caddero a causa dell’insalubrità del luogo, dove crescevano frutti velenosi e amari.
Questo sovrano scellerato inoltre proibì a tutti di prendere gli ebrei sulle navi per far loro lasciare il paese, permettendo solo alle sue navi di trasportarli perché voleva averne un profitto per sé e per i suoi uomini. Fissò poi a due fiorini per persona il prezzo della traversata.
Un buon numero di ebrei lasciò il Portogallo e andò all’isola di Fez, la grande città, e nel resto del Maghreb, come hanno raccontato dopo.
Il Re ingiunse allora a tutti coloro che desideravano restare nel paese, dopo un periodo di sei mesi, di adempiere al pagamento di un’imposta di un fiorino. Molti di loro vollero prolungare questa permanenza, e quando arrivò il momento di lasciare la regione, implorarono il Re di imporre secondo il suo buon volere la tassa ma di prolungare il termine. Il Re proclamò allora il decreto: ogni uomo o donna fra gli espulsi venuti a risiedere nel paese di Giovanni del Portogallo, che desiderava rimanervi, a partire da questo giorno, nonostante il Re avesse limitato la durata della permanenza a sei mesi, termine già scaduto, poteva di sua volontà risiedere nel paese senza problemi, a condizione di versare al Re una imposta di 8 fiorini. Tutte le persone che avessero disubbidito all’ordine del Re e che non avessero dato questa somma sarebbero diventati schiavi del Re per tutta la loro vita
Quando gli ebrei appresero l’ordine del Re, i ricchi l’accolsero come una porta sopra ? la speranza e la gioia, i poveri con afflizione e disperazione, i ricchi si rallegrarono, i poveri si disperarono, questi gemettero, quelli cantarono. Un tempo per piangere, un tempo per ridere. Questo si verificò in giorni tristi, molti versarono copiose lacrime e si lamentarono, mentre altri fecero sentire grida di allegria e di trionfo. Tutti i ricchi e notabili pagarono la tassa, gli artigiani dei diversi corpi di mestieri ugualmente acconsentirono a pagarla. I poveri, i cui mezzi erano insufficienti per fare fronte al pagamento, partirono per nave per andare verso i Paesi di Ishmael.
Si contarono 120 navi che trasportarono circa 60.000 persone. Queste navi lasciarono il Portogallo nel mese di Iyar , dell’anno 1493, viaggiarono qua e là, a caso; non andarono per niente verso qualche destinazione desiderataIGRANTIon andarono per niente verso destinazioni sperate, pagamento, pagarla, cos i figli di Isarele, ma si diressero verso quelle dettate dall’umore dei marinari, perché tormentare gli ebrei era un ordine del Re. La maggior parte morì di fame e di sete e fu oggetto di orrore in tutti i Regni della terra. Dopo tre mesi i figli di Israele si lamentarono presso i capitani delle imbarcazioni: fino a quando non avrete pietà di noi? Conduceteci e fateci sbarcare presso uno dei Paesi di Ishmael, perché ci impedite di andare verso questa terra? Ma i marinai giocarono di astuzia e sbarcarono i proscritti sulle rive di Arzilla [34], che era sotto il dominio portoghese, governato dal conte di Borba, ministro dell’armata, prefetto della regione. E là, questi seminò il dolore nella comunità dell’Eterno, fino a costringere la maggior parte dei suoi figli ad abiurare la legge perfetta dell’Eterno.
Nel mese di Av, le imbarcazioni fecero scalo ad Arzilla, e due o tre ebrei scesero e domandarono al conte se poteva autorizzare agli ebrei di abitare nel paese, egli rifiutò perché obbediva al Re. Disse che non poteva accettare di ricevere quella che ben presto sarebbe stata una moltitudine nel territorio, gli ebrei avrebbero consumato tutte le risorse. Poteva accettare solo per un periodo breve, prima che partissero per Fez, ma in cambio gli ebrei dovevano versare una somma di 300 fiorini a settimana. Essi accettarono questa condizione, scesero dalle imbarcazioni e si dispersero nella vallata; ma il paese non era abbastanza grande da contenerli, una grande fame imperava al punto che una briciola di pane di due once valeva un marcello. [35] Inoltre per la loro perdita e loro distruzione, la peste faceva danni e un buon numero di persone morì, affamato, alterato e preda del desiderio. Si chiamò questo luogo «le sepolture della bramosia».[36]
I figli di Israele implorarono il governatore di inviare dei messaggeri al Re di Fez,[37] per pregarlo e inviare loro del bestiame e anche una carovana di ismaeliti per guidarli fino alla città. Donarono in pegno al Principe degli oggetti d’argento e d’oro e dei vestiti per coprire le spese del Re. Questi inviò loro mille muli e mule sui quali montarono uomini e donne, figli e figlie.
Venne verso gli ebrei una carovana di ismaeliti che come demoni li separarono in tre file, si gettarono di loro e li picchiarono, uccisero con la spada i bambini e rubarono dalla mattina fino alla sera i loro vestiti e i loro beni. Li lasciarono nudi come il giorno della loro nascita, portando con se la fortuna e i beni. Nudi passarono la notte, non avevano niente per proteggersi contro il freddo, il gelo era severo. Pieni di amarezza, si accamparono. Così i nobili figli di Israele, uomini e donne, rimasero senza vesti. Gli israeliti cucirono le pagine dei libri santi per nascondere la loro nudità e con queste vestirono.
Coloro che possedevano gioielli li inghiottivano, dicendosi che li avrebbero rifatti per vie naturali. Gli arabi lo vennero a sapere e infilavano coltelli nelle gole per cercare argento e oro. Di giorno e di notte controllavano intestino e stomaco, e trovavano quello che cercavano. I luoghi erano pieni di sangue, e l’oro cadeva. Sventrarono uomini e donne, eleganti e belli, e donne incinte. Il popolo vedendo questo tremò.
In quel tempo c’era una donna anziana e pia. Sotto i suoi occhi i carovanieri sventrarono le sue due figlie, le scorticarono, frugarono le loro viscere, cominciando dalla più grande per finire con la più giovane. E i loro occhi si consumarono per le lacrime, le loro viscere divennero rose di sangue, mentre gli uomini devastavano i loro fianchi. Tutte e due morirono e la donna restò sola, privata delle sue figlie e di suo marito. Preferì la morte alla vita, prese una vanga e un piccone, scavò la sua tomba e restò distesa, immobile. Si mise a gemere, solitaria, non mangiò né bevve e si spense per la fame. Più fortunati sono coloro che muoiono per mezzo della spada rispetto a coloro che sono vittima di una tale disgrazia e che la fame indebolisce.
In quest’ epoca avvennero fatti simili di una violenza sfrenata, perversa e incredibile. Due terzi degli ebrei morirono, annientati e soppressi, solo un terzo sopravvisse. Gli ebrei andarono a Fez senza speranza.
In effetti, andando a Fez, gli ebrei si esposero alla morte, a causa della fame che imperversava nell’intero paese. Erano stanchi a causa del viaggio, delle disgrazie senza numero e della fame. Penetrarono nelle case e nelle moschee dei musulmani, e nonostante che l’accesso ai luoghi di preghiera fosse loro interdetto, soffrivano tanto che gemevano, amari, preferendo la morte e, sfidando l’interdizione, entrarono in questi luoghi che sporcarono di escrementi e di urina. Questo spiacque molto ai musulmani che si lamentarono con il loro Re dichiarando che: «Noi abbiamo deplorato la venuta dei primi ebrei e tu ne accogli altri che profanano la legge di Maometto, penetrando nelle sue case e muraglie e sporcando; una cosa simile non era mai accaduta, e non si era mai vista prima». Allora i messaggeri proclamarono in tutta la città, su ordine del Re e dei suoi ministri, che tutti gli ebrei appena arrivati, dovevano lasciare la città entro due giorni. Coloro che non lo avessero fatto sarebbero stati pugnalati, coloro che si fossero nascosti, sarebbero caduti per la spada.
Quando gli ebrei appresero questa notizia, presero una grande paura e dissero: «se decidiamo di restare nella città, soffriremo a causa della miseria che regna qui, e se decidiamo di andarcene nei campi, il saccheggio e la rovina segnerà la nostra strada. Dove andremo dunque dopo questa disgrazia più grande di tutte quelle che abbiamo subito dopo l’inizio dell’espulsione?». E i figli di Israele invocarono l’Eterno. Quel giorno, in una sola mattina più di duemila ebrei si convertirono, non potendo sopportare di lasciare la città come il Re aveva deciso. [38]
Ora, un pomeriggio, mentre passeggiava nel suo palazzo di Fez, il Re sentì i pianti e le lamentazioni degli ebrei che partivano conformemente all’editto regale. Chiese: perché dunque la città è in subbuglio? il Re fu mosso a pietà alla vista di quella folla numerosa, della gente che piangeva, e il cui il rumore si propagava lontano. Prese allora la decisione di accoglierli di nuovo nella città. Non aveva ancora parlato che una voce celeste si fece sentire: “Ti chiediamo, o Re, di rinunciare al male che tu volevi fare al popolo di Israele, placa la tua ira e rinuncia a questa malvagità, accoglili di nuovo nel tuo Regno per la tua potenza e la tua gloria”. Subito l’Eterno ispirò al Re di riunirli e farli vivere nella migliore regione e di nominare degli uomini meritevoli responsabili del loro popolo.
Allora la voce si propagò attraverso il campo e i canti di gioia e liberazione si udirono nelle tende dei giusti: ogni esiliato che desiderava installarsi nella regione di Fez avrebbe potuto rimanere secondo il proprio gradimento. Il popolo riconobbe che il Signore aveva avuto pietà di lui, si inginocchiò e si prosternò.
Inoltre, il Re moltiplicò i suoi benefici verso gli ebrei e tutti i venerdì, prelevava sui suoi beni la somma di 100 fiorini per sovvenire ai bisogni degli indigenti che morivano di fame nei mercati e nelle piazze. Mancava lo spazio per contenere questi sventurati e il sovrano ordinò ai suoi servitori di pulire i giardini e i frutteti che abbellivano il centro della città di Fez, dove vivevano gli ebrei. La città includeva in effetti tre città l’una all’interno dell’altra: nella prima risiedevano i musulmani, nella seconda gli ebrei e, nella terza il Re, i suoi servitori, i governatori e i giudici. Ora, gli ebrei che vivevano lì prima erano poco numerosi e la loro città vasta, vi erano stati fatti dei giardini con alberi da frutta di tutti i tipi. Quando il Re si rese conto che lo spazio era divenuto esiguo e che non potevano restare nel quartiere, venne in loro aiuto, mandò a prendere l’ascia e fece abbattere gli alberi ornamentali e gli alberi da frutto. Questo fu ciò che fecero, nonostante che questi alberi avessero il valore di più di 50,000 fiorini. Gli ebrei usarono asce e vanghe, li abbatterono e spazzarono il fogliame come si spazza a fondo l’immondizia. Il sultano ordinò in seguito ai suoi servitori di prendere delle tavole, legno e travi e costruire nella valle case con granai piccoli come la mano di un uomo. Lì, gli esiliati si installarono e trovarono il riposo e la pace dell’anima. Chiamarono questa valle la valle della benedizione perché lì benedissero l’Eterno.[39]
Quando gli ebrei restati a Arzilla appresero che i loro fratelli si erano recati a Fez e vi avevano trovato riposo e sollievo, pensarono di recarvisi anche loro, poiché la fame infieriva sempre di più nella città. Si lamentarono con il governatore: «Dacci del pane, perché noi non moriamo sotto i tuoi occhi!», egli però rispose di non sapere come portare soccorso. Gli ebrei avevano la speranza di fare del vino, ma non ebbero successo. Decisero allora di andare a Fez poiché non c’era più pane! Partirono, una moltitudine grande come la sabbia del mare. Quando furono sulle navi e si apprestavano a levare l’ancora il terzo giorno e a partire, il tirannico governatore, di cui abbiamo parlato prima, inviò messaggeri funesti per sterminare e annientare un grande numero di loro e per convincerli a convertirsi. Gli ebrei non prestarono nessuna attenzione ai suoi propositi, e non cedettero alla costrizione. Egli proclamò in seguito che entro due giorni gli ebrei dovevano lasciare il paese, chi fosse rimasto sarebbe stato ucciso, ordine che indignò il popolo di Israele. Il governatore insisté ancora, decretando che le navi dovevano essere pronte per proseguire la loro strada nei due giorni successivi.
Il Re tiranno, vedendo che gli ebrei non si preoccupavano più di questa nuova misura, che restavano determinati a raggiungere la loro destinazione e continuavano a professare la loro fede e legge, disse loro: «Se è così, comportatevi come volete e potrete continuare a vivere! Proseguite per il vostro cammino, ma che restino i vostri figli e figlie!». Il Re disse che i figli degli ebrei gli appartenevano, così come tutto quello che avevano. Potevano partire, seguire la loro strada, rifugiarsi nelle montagne con il timore di morire. Tutta la popolazione ebraica cominciò a gridare, a gemere e a piangere. Molti ebrei abiurarono perché non potevano sopportare questo decreto e avevano troppa pietà dei loro figli. Molti altri dichiararono: «Che prendano i nostri figli, è preferibile servire il nostro Dio, fare prevalere la nostra esistenza, poiché l’uomo deve dare tutto quello che possiede per salvarsi la vita».
Quando il Re malvagio vide che gli ebrei non avevano seguito il suo consiglio, fu preso dalla collera, da un violento dispetto, e la sua collera crebbe, poiché il suo disegno era fallito. Ordinò di impadronirsi dei bambini ebrei fino a dieci anni e, poiché la misura gli sembrava ancora insufficiente, si impadronì dei loro beni e demolì la loro forza. Mise a loro disposizione delle navi ma segretamente disse ai marinai: «andate piano, e non sbarcateli sulla terra ferma se non dopo lunghi e molti giorni. Non abbiate pietà delle persone anziane, per le ragazze e per gli adolescenti ». Fecero bere agli ebrei delle bevande al miele per purgarli, per far loro espellere l’oro e le pietre preziose. Allora questi ebrei santi, una folla considerevole dai meriti impressionanti, notabili, preferirono morire per la santificazione del Suo Nome, che sia esaltato! Le barche vagarono qua e là. Gli ebrei traversarono il mare e piansero lungo il cammino. Molti svennero. Avevano fame e sete, la loro pelle divenne secca. Di tutti questi mali il Re era responsabile.
Allora gli ebrei implorarono i marinai di farli sbarcare dove pareva loro opportuno, purché potessero avere una sepoltura nella terra e i loro cadaveri non fossero come rifiuti.
I marinari però complottarono per farli morire, e si diressero, come il Re aveva detto loro, verso Arzilla. Perseguitarono questi sfortunati, vollero cancellare i loro nomi, e li riportarono verso il porto da dove era partita questa grande folla. Levando gli occhi, i figli di Israele constatarono che li conducevano a Arzilla e lanciarono delle grida amare. Allora questo tirannico governatore ordinò di fare abiurare la loro legge e la loro fede, di loro volontà o a forza, e mise a morte molti; questo perfido, questo miserabile, questo infame Haman. In questa epoca, c’era fra gli esiliati una nobile signora, madre di cinque figli. Vedendo quello che stava accadendo, fece prova di crudeltà verso i suoi, soffocò la sua pietà, e aprì il suo cuore davanti al Signore. Implorò di non poter consegnare i suoi figli a figlie a un popolo straniero mentre ella restava impotente a guardali e a soffrire. Un giorno, il creditore andò a prendere i figli, divenuti proprietà del Re, per convertirli. Domandò della donna e questa si presentò davanti a lui. Le disse: «Il Re mi ha mandato da te perché tu gli dia i tuoi figli e figlie, perché egli possa portarli alla sua fede, secondo quello che è il suo decreto ».
Questa santa donna che si distingueva dalle altre della sua età, rispose al servitore del Re: «Perché sei così turbato davanti a me? Mi incarico io stessa di applicare ai miei figli il decreto del re». Questa è la mia scelta. Questo è il nostro compito; noi preferiamo così e, dilungandosi in simili propositi, ingannò l’uomo aggiungendo: «Ho però una richiesta da farti, non rifiutarti di accordarmi quello che chiederò. Permettimi di restare ancora un istante nella mia casa. Richiuderò la porta dietro di me, perché ho dei tesori sotto la terra, voglio recuperarli prima di presentarmi a te. Per questo, se ho trovato grazie ai tuoi occhi, accordami di prendere il mio oro e argento e tutto quello che fa la delizia degli uomini». Il servitore del Re, fu ben d’accordo e le rispose: «Che l’Eterno ti benedica, tu che ti sei sottomessa dl decreto del Re. Tu gli dai in effetti i tuoi figli e figlie, il cuore sincero e l’anima premurosa». E lui accettò, non avendo dubbi sulla sincerità della donna. Ella chiuse la porta a chiave.
Alzò il suo sguardo verso il cielo e si rivolse a Dio. La donna parlava con se stessa, solamente le sue labbra si muovevano, ma non si sentivano le sue parole. Prese i suoi figli e figlie, li fece sedere alla sua destra e alla sua sinistra, e parlando con i figli distrasse la loro attenzione, tendendo la mano, prese un palo e con la destra il martello, li colpì, fracassò loro la testa, tutti caddero per terra senza vita. La madre dei ragazzi guardò dalla finestra, si lamentò, ma sentiva di aver fatto quello che doveva. Attraverso la finestra chiese al servitore del Re: «Perché il tuo carro ritarda per venire a cercare i miei figli? Vieni uomo sanguinario a prendere i miei figli». Allora si uccise con una spada e la sua anima fu legata all’Eterno suo Dio.
Furono molto numerosi gli espulsi che si comportarono nella stessa maniera, meritando così il mondo futuro grazie ai loro atti eroici e alla loro elevatezza di animo. Essi santificarono il nome di Dio con zelo.
Dopo esser stato incoronato Re di tutta la Castiglia, don Ferdinando ebbe da sua moglie Isabella la empia quattro figlie e un figlio. Isabella[40], la figlia di Isabella I e Ferdinando, aveva scelto il principe Alfonso del Portogallo,[41] per la sua bellezza e prestanza, come aveva fatto la madre.
Sei mesi dopo il matrimonio di Giovanni II di Portogallo il Re di Fez, apprendendo l’alleanza fra Giovanni II del Portogallo e Ferdinando di Spagna, fu contento della notizia, poiché aveva una buona intensa con il Re del Portogallo. (da verificare i vari re.)
Donò al Re sei cavalli eccezionali e i migliori prodotti della sua città.
Alfonso però, il giovane sposo, morì senza discendenza disarcionato da uno di questi cavalli. Il Re Manuel, prese la decisione di espellere gli ebrei. Un giorno del mese di marzo, fece proclamare dai messaggeri e inviò lettere, l’ordine di espulsione per gli ebrei. Essi sarebbero stati messi in catene, chiusi in una prigione, con altri prigionieri del Re e vi sarebbero rimasti fino alla morte. Il popolo ebraico apprese queste notizie e prese il lutto. Particolarmente colpiti furono gli ebrei cacciati dalla Spagna, che pensavano di essere fuggiti dal leone, essere caduti nelle mani degli orsi.
Inoltre, il Re proibì agli ebrei di affrettarsi verso i vascelli, sollecitare la venuta delle navi senza avere un’autorizzazione di sua mano, munita del suo sigillo. I figli di Israele nominarono un capo e si prepararono a lasciare il paese.
Spesero una fortuna considerevole per ottenere il sigillo del Re, che permetteva loro il viaggio. Una volta che le autorizzazioni furono redatte, sigillate, il Re però cambiò idea, e ordinò ai suoi segretari di modificarle. Questi scrissero altre lettere, dove si ordinava ai marinai di rifiutare di trasportare questi sventurati.
Gli ebrei non seppero che il sovrano li aveva abbandonati, le seconde lettere abolivano le prime, ai marinai era proibito prendere a bordo gli ebrei senza il consenso dei giudici o dei consiglieri. Chi avesse disobbedito sarebbe stato impiccato. Il Re aveva cambiato opinione, invocando ragione senza fondamento. Questo nonostante che la modifica dei decreti del Re fosse proibita dalla legge.
Manuel, Re del Portogallo, dette l’ordine a tutto il suo popolo: «Ogni bambino dai sedici ai diciotto anni[42], sia tolto ai suoi genitori ebrei per essere convertiti a un’altra religione». Questi bambini ebrei furono presi dai nemici la vigilia di Nissan, la Pasqua ebraica, la sera della ricerca del Chametz; i gentili si misero alla ricerca dei bambini ebrei con candele e torce. La prima sera di Pesach spogliarono gli ebrei dei loro tesori. I genitori non rividero più i loro figli. Quando i gentili si impadronirono dei bambini ebrei un numero incalcolabile dei figli di Israele abiurò alla propria fede, non potendo sopportare questa sentenza, è cosa nota che la sollecitudine di un padre è grande per suo figlio.
Alcuni tuttavia, santificarono Dio e continuarono a farlo, non manifestando compassione per i loro figli. I loro occhi non si commossero sulla loro sorte e non si mossero dalla loro legge e credo.
Quando il perfido Re vide che gli ebrei avevano fatto prova di crudeltà verso i loro fili, ordinò di impadronirsi delle loro ricchezze e di tutti i loro beni, per darli ai giovani prigionieri. Gli ebrei però restarono insensibili a questa nuova misura.
Il tiranno, constatando che gli ebrei perseveravano nell’osservanza della loro religione, legge e convinzioni, decise di trarli in inganno. Fece proclamare che tutti gli ebrei dovevano raggrupparsi a Lisbona, dove avrebbe dato loro delle grandi navi e equipaggi che riavrebbero condotti dove desideravano, e tutti i loro desideri sarebbero stati soddisfatti.
Le comunità del Portogallo nella sua integralità, le più vicine come le più lontane da Lisbona, si riunirono. Gli ebrei implorarono il Re dicendo: «Accordaci la tua pietà e misericordia, lasciaci lasciare il Paese». Ma niente fece desistere il Re.
Gli ebrei fecero appello a coloro che li amavano e coloro che avevano accesso alla persona del Re, ai Principi che si riunivano per difenderli.
Il sovrano disprezzò la comunità ebraica. Ordinò che fosse proclamato che coloro che si fossero convertiti avrebbero recuperato i propri figli, non avrebbero pagato le tasse e sarebbero rimasti in Portogallo liberamente con la loro famiglia. Coloro che avrebbero rifiutato di fare apostasia, sarebbero stati gettati in una fossa, con del pane fino alla loro morte, morte piena di quotidiana amarezza.
Gli ebrei si impaurirono all’annuncio di questo decreto. Molti si convertirono, poiché non potevano sopportare la perdita dei loro figli, figlie e beni, altri preferirono morire per la santificazione del Nome, che sia esaltato, e non tennero conto del decreto.
Si impadronirono di loro, furono messi in catene e gettati nelle prigioni con altri prigionieri del Re. Là furono battuti e fermati nella terra delle tenebre, nel regno delle ombre. Così gli ebrei furono seppelliti, sperando nella morte. Molti di loro, non potendo più sopportare tali tormenti, commisero apostasia, altri resistettero alla tentazione e dichiararono che non avrebbero abiurato.
Quando questo perfido sovrano si accorse che i figli di Israele avevano progettato di morire e non seguivano il suo consiglio, decise di convertirli contro la loro volontà.
I gentili li condussero nelle loro Chiese e là li obbligarono a convertirsi. Senza appoggio e risorse, pieni di impotenza, gli ebrei decisero d’accordo di morire per la santificazione del nome dell’Eterno. Mentre li conducevano nelle Chiese, per immergerli nell’acqua del battesimo, rompevano e facevano volare in pezzi le statue.
Allora li condannarono al rogo. L’anima pura, molti perirono santificando Dio e professando la perfezione del messaggio divino.
Quando questo perfido tiranno vide che avevano trovato un mezzo per morire, ordinò che gli ebrei battezzati a forza, non subissero alcuna punizione anche se facevano dei danni con azioni, parole, grida agli dei del Regno e ingiurie. Questo ordine colpì i santificatori del nome di Dio e questa disgrazia li spaventò più di ogni altra dopo l’inizio dell’espulsione, non sapevano più come morire. Presero allora la risoluzione di gettarsi nei pozzi profondi e nelle fosse per non divenire cristiani. Molti di loro agirono così, i loro cadaveri cospargevano le strade senza nessuno che li seppellisse.[43] Il Re quindi inviò degli uomini a sorvegliarli perché non mettessero fine ai loro giorni. Dopo un certo tempo, i figli di Israele ne ebbero abbastanza della loro vita e non poterono soffrire più a lungo. Fra coloro che morirono di fame e a causa delle torture, coloro che fecero apostasia contro la loro volontà, quelli che i gentili condannarono a morte mentre pronunciavano blasfemie contro i loro Dei in loro presenza, e coloro che misero fine ai loro giorni, non rimase più niente di tutte le ammirabili comunità che vissero in Portogallo.
Solo un piccolo numero riuscì a fuggire, le persone che avevano preso la fuga all’inizio delle persecuzioni. Si trattava certo di ricchi ebrei che utilizzavano a loro profitto la corruzione, e riuscirono a fuggire dal Paese.
Fra gli ebrei che restarono, certi si convertirono sia di loro volontà, sia con la forza. Altri perirono santificando l’Eterno e non restarono nelle prigioni che sette prigionieri, sette notabili del popolo ebraico che furono iscritti per la vita eterna. Dio aveva promesso loro l’eternità, inviando nelle loro celle la sua benedizione.
Questi ebrei, nonostante fossero particolarmente sottomessi a una tortura crudele, per molti giorni rifiutarono di obbedire. Continuarono, cuore puro e anima sincera, a osservare la dottrina perfetta del Signore, rifiutando di farsi cristiani.
Usarono stratagemmi per osservare la Legge. Allora, su ordine del Re, si impadronirono di loro, li condussero a forza nelle chiese per convertirli, mentre gridavano che non avrebbero acconsentito, né obbedito perché gli Dei delle nazioni erano degli idoli, ma L’Eterno aveva creato i cieli. [44] Pronunciarono discorsi sacrileghi contro la religione cattolica, ruppero una parte degli idoli, gettandoli a terra.
Fra questi sette notabili, il più importante era Rabbi Simon Mimi, sia benedetta la sua memoria.[45] Grande Rabbino capo della comunità, porta parola del suo popolo, era determinato come un leone che non indietreggia davanti a niente, denigrò il Re, negò la sua legge perché questi lo punisse e lo facesse uccidere.
Nonostante il suo comportamento, non fu portata mano su di lui, rispettando così il decreto del Re di non metterlo a morte. Era in effetti, il rabbino e il capo di tutte le comunità portoghesi. I suoi compagni erano per la maggior parte dei dignitari del Paese. Il Re pensava che se questi notabili fossero divenuti cristiani e poi rimasti in Portogallo, tutti gli ebrei convertiti da poco avrebbero rispettato i precetti della nuova alleanza e per questo non li fece perire.
Li fece riportare in prigione, gettare nelle fosse e torturare ancora più che nel passato.
Nonostante questo gli ebrei rifiutarono di obbedire. Il Re ordinò ancora di prenderli e cospargerli di acqua benedetta. Questo non ebbe risultato, gli ebrei continuarono a invocare il nome dell’Eterno, affermando: «Tutto quello che avete fatto non è che vanità e aberrazione, e ora noi non professeremo una nuova fede».
Dopo questi avvenimenti, e su ordine del Re, li condussero al palazzo. Là il Re parlò loro con benevolenza, promettendo di dare loro degli alti onori, di porli persino sopra ai principi addetti alla sua persona, di nominarli governatori, capi e tenenti, in tutto il suo vasto Regno. Così avrebbero ricevuto omaggi da tutti. Poi, si profuse in suppliche davanti a loro, mise sotto i loro occhi oro e argento dicendo che i beni più preziosi del Paese erano a loro disposizione. Dovevano solo ascoltarlo e trasmettere i suoi propositi agli ebrei. Il Re provava gradimento solo per loro. Ma rimasero sordi, non prestarono attenzione ai suoi discorsi, e gli risposero che li facesse piuttosto morire e non assistere alla loro cattiva condotta e profanazione della loro fede e dottrina del loro Dio.
Constatando che la sua speranza in loro era inesorabilmente perdente, che era considerata quanto l’ultimo respiro di un morente, Il Re dette l’ordine di prendere i sette Santi dell’Altissimo, di trarli dalle fosse, e che il più povero dei pastori li trascinasse nella città. Poi li seppellirono vivi fino al collo, li fecero soffrire per la mancanza di spazio e l’oppressione sotto le file di pietre e li nutrirono con del pane e acqua. Gli ebrei restarono murati sette giorni e sette notti, tre di loro morirono, santificando il nome di Dio, uno di loro era il saggio, il giusto, il pio Rabbi Simon Mimi.
Obbedendo alle prescrizioni del Re, le guardie addette alla sorveglianza misero i quattro sopravvissuti in una piccola imbarcazione, senza pane né acqua, senza vele e rami, e li inviarono in pieno mare. Dissero loro di convertirsi, altrimenti sarebbero stati inghiottiti dalle acque. Ma loro risposero che erano degli idioti, in quanto non avrebbero certo cambiato la vita terrestre con quella eterna, preferivano la morte alla vita. Le guardie considerarono che si ostinavano a voler morire, cessarono di convincerli, andarono via; li abbandonarono in pieno mare, pensando che le onde li avrebbero ricoperti, e l’élite di Israele sarebbe annegata.
Dio però li protesse e la barca raggiunse la riva del mare di Fez. Dio li aveva condotti al termine del loro viaggi. Si diressero verso Fez dove gli anziani della città andarono a incontrarli.
Il popolo riunito glorificò Dio e gli anziani lo lodarono. Celebrarono il suo Nome con musica e danze. In quel tempo intanto il Re Manuel si impadronì delle Sinagoghe e le chiuse con all’interno i libri ebraici.
Tre anni fa, ricevetti un ebreo, un grande cabalista, che si faceva chiamare Rabbi Yosef. Yosef era uno dei quegli ebrei fuggiti dal Portogallo che mi disse: «Dodici anni fa il sultano di Fez inviò un ebreo della sua corte in delegazione presso il Re del Portogallo. Questo dignitario era accompagnato da un seguito di 12 notabili ebrei, di cui il saggio Rabbi Yosef, per servirlo come è l’uso degli ambasciatori. Quando si trovò in presenza del sovrano, gli fece delle domande. Egli chiese, fra l’altro, di mostrargli “i ventiquattro”, chiamato anche “il santuario di Dio”, che era stato scritto all’epoca di Ezra lo scriba da due sorelle orfane, sotto l’ispirazione di Dio. [46]
Questa Bibbia trasmessa di generazione in generazione era la proprietà degli ebrei di Spagna e dei loro anziani che l’utilizzavano in rare occasioni, e quando il Re si era impadronito dei libri degli ebrei, aveva preso anche questa, poiché gli riconosceva una grande santità. Il Re accettò di mostrarlo a questo dignitario. Lo condusse in una sinagoga, dove fra molte opere, si trovava questa Bibbia dentro l’Arca Santa, sigillata e fissata con delle catene di ferro. Gliela fece vedere, così come al suo seguito. Rabbi Yosef tese la mano verso questo libro e constatò che ogni volta che incontrava in un versetto la parola Sarah, come per esempio, nel versetto salmo 20,2, questa parola era ornata d’oro. Fu considerato dunque che nell’anno 5290, equivalente numerico in ghematria della parola Sarah, sarebbe venuto per Israele il Salvatore.
Gli ebrei spagnoli dicevano che era presso di loro una tradizione utilizzare l’oro invece dell’inchiostro per scrivere questa parola. Quando l’ambasciatore ebbe finito di ammirare questa Bibbia, durante un istante molto breve, il Re la riprese, e la fermò ».
Una testimonianza rara proposta da Simone Sultan -Bohbot, nell’introduzione storica del libro Chronique de l’Expulsion
Simone Sultan-Bohbot propone una testimonianza rara, originale e inedita, ma sfortunatamente incompleta, data da un autore anonimo, contemporaneo dell’espulsione.[47]
Questo testo è costituito da sei fogli manoscritti ingialliti e strappati, trovati nella biblioteca di Cambridge, in una raccolta di documenti provenienti dalla Genizah del Cairo. Yeshaya Tishbi, che l’ aveva scoperto nel 1956, riesce a decifrare i passaggi mancanti solo nel 1983 e li pubblica nella rivista di storia ebraica «Zion». [48] Secondo Tishbi l’autore è probabilmente originario della Spagna, poiché conosce il Paese e gli avvenimenti in questione.[49] A partire dal 1492 va in Portogallo, e dopo essere stato in prigione e avere rifiutato l’apostasia, è autorizzato dal Re stesso, Manuel , nel 1497-98 , ad andarsene. Si dirige verso l’Africa del Nord, probabilmente Fez, che lascia per andare un Egitto da dove parte per Gerusalemme. In Egitto, nel 1501, scrive l’opera, che risulta essere non un resoconto cronologico dei fatti, ma un testo mistico: la missione dell’autore è in effetti annunciare l’arrivo del Messia. Cita le scritture e lo Zohar, calcola la sua venuta facendo calcoli astrologici, osservando i segni nel cielo e nelle stelle, decifrando i sogni profetici, che paragona a quelli dei profeti biblici e fa dei calcoli matematici che a volte risultano falsi.
L’autore scrive (tavola B 1):[50]
«E io ho compreso che questo corrispondeva ai sei anni trascorsi dalla firma del decreto di espulsione dalla Castiglia fino alla fine del mese di Adar I. Poi questa [la sua profezia], si realizzò, che l’Eterno sia ringraziato. In effetti, nel mese di Adar I, noi siamo usciti dal Regno del Portogallo, nel quale regnava la figlia di questo Re [Isabella, figlia di Ferdinando il Cattolico]. Poi la corte di giustizia si riunirà e le si toglierà il potere in maniera tale da rovinarlo e distruggerlo da capo a fondo. E noi abbiamo visto con i nostri occhi che nel momento in cui si commettevano le persecuzioni nell’edificio de l’Os Estàos, [51] a Lisbona, dove ugualmente il re del Portogallo [Manuel], era andato a prendere per sposa la figlia [Isabella], del Re di Spagna suo vicino, il figlio [Giovanni] di quest’ultimo, suo erede, stava morendo (…). Quando feci al Re del Portogallo queste predizioni, nel nome dell’Eterno, precisando che di conseguenza, regneranno, egli e sua moglie, sulla Casa di Spagna, gli predissi anche che il Signore… invierà dall’alto dei cieli delle torce infiammate sulla chiesa di Sant’Angelo, a Roma, come l’hanno constatato con i loro occhi i miei amici, di cui due o tre si trovano qui, nella terra d’Egitto. Si trattava i rav Samuel Valensi, di rav Yacob Alpuel [Luel per rav Abraham Ardutiel] e del mio maestro, rav Lierma (…) che furono fra coloro che continuarono a santificare l’Eterno. Ora la predizione che riguarda la Chiesa ha avuto come conseguenza quella di essere trascinato con i ferri ai piedi (?)».
Il testo A 2, fa allusione alla chiusura delle sinagoghe, e dà un’informazione nuova: il Re del Portogallo, Manuel, non si è limitato a chiudere le sinagoghe, si è anche impadronito degli oggetti di culto e li ha messi nelle chiese. È scritto: «Tu, o Re, Re dei Re, il Signore ha donato a tuo padre Nabuchodonosor regalità, grandezza, maestà e magnificenza, (…) [Dn 2:37]. Ne deduco che questa frase concerne Balthasar che si è impadronito degli utensili del Tempio, li ha utilizzati nel suo palazzo per una grande cerimonia in onore degli dei d’oro e d’argento. Nello stesso modo, questo Re del Portogallo [Manuel], ha confiscato tutti i rotoli della Torah, ha chiuso le sinagoghe, convertito con la forza tutti gli ebrei e si è impadronito dei figli e dei padri. Alla fine sono restati solo i miei amici e io stesso. Manuel si è impadronito di tutti gli oggetti delle sinagoghe, di corone e di altri ornamenti, il tutto di un valore di 2000 sicli d’oro e d’argento. Li ha utilizzati come oggetti di culto per celebrare una grande cerimonia nella chiesa dell’”uomo morto” [Gesù] e si è prosternato davanti l’oro e l’argento».
Racconta ancora (Tavola A3): «Il giovedì della Parashah Tetzavé (Es. 27], dove è scritto: «Prenderanno olio di oliva puro per la lampada [..]», noi siamo usciti, i miei 27 compagni e io stesso, puri come l’olio per la lampada (..per) mantenere la fiamma eterna [Es. 27:20], con l’aiuto di Dio. Tutti gli altri ebrei, coloro che erano nascosti nelle loro case e non si erano convertiti, come coloro che non si erano nascosti e non avevano commesso apostasia, furono inviati dal Re [Manuel], verso il Regno di Fez e questo – Dio sia ringraziato – grazie alle predizioni che gli avevo fatto e che riguardavano il suo Regno, l’incendio del Vaticano a Roma e altri avvenimenti: predizioni che mi valsero dei tormenti. Quando il Re vide realizzate le mie parole (.. ) non mi mise a morte, e liberano me e tutti i miei amici. A partire da questo momento, liberarono tutti gli ebrei».
Come spiegare queste due informazioni inedite riguardanti «gli ebrei rimasti nascosti»? Per Yeshaya Tishbi, da un lato, un certo numero fra di loro, trovò rifugio fra i cristiani, mossi a pietà davanti al rapimento dei bambini e il dolore dei genitori; da un altro, la comunità di Lisbona era così importante che molti ebrei scamparono ai loro persecutori restando nascosti, e poterono anche dare asilo agli ebrei venuti dagli altri angoli del Paese. Quanto a coloro che «non si erano nascosti», poterono rimanere anonimi e farsi passare per “cristiani”, perché erano lontani da casa».[52]
Il messaggio escatologico e cristiano in questi fogli della Genizah¸ è forte. Visioni messianiche della storia le troviamo in altri scrittori del tempo, e certamente sono presenti nel Seder Eliahu Zuta, del Capsali, opera in cui i tragici avvenimenti preannunciano la venuta del Messia, venuto per liberare gli ebrei dalla Galut.
[1] L’ebraico rabbinico di rav Capsali, di una certa complessità, non è qui utilizzato, come non lo sono i suoi continui riferimenti biblici. Ho optato per una libera traduzione dal francese del libro: Sultan-Bohbot, Chronique de l’expulsion. Seder Eliahou Zouta Paris, Cerf, 1994. I capitoli sono: 66-82 dell’originale ebraico Seder Eliyahu Zuta. Il periodo coperto comincia con la presa di Granada, 2 Gennaio 1492.
[2] 2 S 14:17.
[3] Sequito: alterazione di Chiquito. Si tratta del Re Boabdil, el Chico. Regnò su Granada dal 1482 al 1483. Era il figlio di Abu-el –Hassan Ali. A causa delle guerre fra le diverse fazione all’interno del Regno di Granada e dei problemi causati dalle alleanze con i Re di Castiglia, fu detronizzato a profitto dello zio Mohamed ben Sa’ad detto El-Zagal, “il Valoroso”, che abdicò in suo favore tre anni più tardi.
[4] Si tratta di Tomas de Torquemada, nipote di un illustre converso diventato cardinale. Torquemada scelse le persone da nominare nelle varie sedi del tribunale dell’Inquisizione e redasse le istruzioni per il suo funzionamento. Era convinto che fosse necessario un rigoroso sistema di sorveglianza antiereticale e elaborò per questo motivo norme elaborate per il funzionamento della macchina inquisitoriale. Cfr: Adriano Prosperi, Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492, Laterza, Roma-Bari 2011, p. 76-77.
[5] Secondo Capsali Ferdinando aveva una bisavola ebrea. Cfr. Maurice Kriegel, Histoire sociale et ragots : sur l’ascendance juive de Ferdinand le Catholique, in Movimientos migratorios y expulsiones en la diáspora occidental. Terceros encuentros judaicos de Tudela, 14-17 de julio de 1998, Pamplona, Universidad Pública de Navarra 2000, p. 95-101; e anche dello stesso autore, Ferdinand le Catholique, fils de Palomba. Les Juifs et l’alliance royale, in Le temps de l’État. Mélanges en l’honneur de Pierre Birnbaum, Bertrand Badie et Yves Déloye (Sous la direction de), Paris, Fayard 2007, p. 111-134. http://cej.ehess.fr/index.php?528 (consultato il 6/6/2016).
[6] L’editto di espulsione è riportato secondo versioni diverse dalle persone appartenenti alla generazione dell’espulsione. Cfr. Baer p.404
[7] La versione ufficiale dell’Editto di espulsione non menziona l’opzione della conversione, ma Eliahu Capsali fa una traduzione ebraica di una versione sconosciuta del decreto di espulsione, che include la condizione che ogni ebreo che sceglie di convertirsi prima della data fissata dal decreto può rimanere in possesso delle sue proprietà e essere esente dalle investigazioni dell’inquisizione per 10 anni.Cfr. António José Saraiva, The Marrano Factory: The Portuguese Inquisition and Its New Christians 1536-1765, Leiden-New York-Köln, Brill, 2001, p. XXXIII nota.
[8] Nel testo ebraico, l’autore dice Anussim, letteralmente “convertiti con la forza”.
[9] La seguente clausola «Chiunque non rispetterà il nostro editto, facendo passare questo termine di tempo, e sarà trovato in una delle province del nostro Regno, si vedrà condannato a morte per impiccagione o costretto a spergiurare e a farsi cristiano. Quanto a coloro che, in un limite di tempo di tre mesi a partire da questo giorno, desidererà convertirsi al cristianesimo, potrà restare nella sua casa, nella sua proprietà, conserverà la sua fortuna e i suoi beni immobili e mobili come nel passato. Inoltre, noi l’esenteremo da ogni tassa e servitù. L’inquisizione ugualmente lo lascerà in pace durante dieci anni senza fare inchieste su di lui», non compare nell’Editto ufficiale. Cfr. Adriano Prosperi, Il seme dell’intolleranza. Ebrei, eretici, selvaggi: Granada 1492, Laterza, Roma-Bari 2011.,pp. 150-155. Per uno studio ulteriore vedere Appendice.
[10] Per quanto concerne questa parte, il testo ufficiale dice: «Nella stessa e identica pena incorrerà qualunque persona di qualsivoglia importanza o dignità e di qualunque stato e condizione, la quale dopo la scadenza suddetta accoglierà, terrà o offrirà ricetto nei nostri regni e signorie o in qualunque parte di essi a giudeo o giudea di qualunque età poiché chi farà tal cosa commetterà delitto di ricettatore e fautore di eretici. Ma fino al termine di quaranta giorni a partire da quando i detti giudei e giudee saranno andati via, noi prendiamo sotto la nostra protezione e difesa gli uni e le altre e i loro beni sotto la nostra sicurtà e salvaguardia reale, in modo che nessuno osi fare loro del male o danneggiarli nelle persona e nei beni: chi lo farà incorrerà nel reato di violazione della nostra mallevadoria.». Cfr. Adriano Prosperi, Il seme dell’intolleranza, cit., p. 154.
[11] Questa parte manca nel testo ufficiale castigliano.
[12] In questa versione del Capsali compaiono il termine e la data finale, le pene a cui vanno incontro coloro che non rispettano il decreto e i vantaggi accordati a coloro che preferiscono la conversione all’esilio. Quest’ultima clausola è assente dal testo castigliano. Cfr. Maurice Kriegel, La Communauté juive dans les Etats de la couronne d’Aragon sous Ferdinand le Catholique et son expulsion, diss.,Paris 1977, p. 207, menziona un testo della cancelleria del Re che faceva allusione agli ebrei convertiti prima della rimozione delle imposte e che colpiva pesantemente le comunità ebraiche in procinto di partire; questi convertiti dovevano essere garantiti contro ogni liquidazione dei loro beni. Ciò attesta che l’autore era ben informato
[13] Il testo del Capsali nell’originale ebraico dice:
Shlomo Simonshohn Meir Benayahu, Seder Eliahu Zuta: Toledoto HaOttomanim Venezia Vekorotam Israel Be’Malkut Turkhia, Sefarad VeVenezia, Yerushalaym, Makhon Ben Tzvi Shel Yad Ytzhak Ben Tzvi VeUniversita HaYvrit 1976-1983, p. 207-208
[14] Abraham Señor, rabbino di Castiglia (Segovia 1437-1493). Era rappresentante della comunità ebraica e banchiere del Regno di Castiglia. La sua posizione economico-politica alla corte era molto importante. Intervenne nella negoziazione del matrimonio fra Isabella e Ferdinando, e nella riconciliazione fra Isabello e il fratellastro Enrico IV. Difese attivamente la comunità ebraica, sempre più preda a odio e pressioni. Molti ebrei furono riscattati e mandati in Africa perché potessero continuare a rispettare la fede ebraica. Quando l’editto di espulsione fu reso noto, Señor offrì grandi somme di denaro perché fosse annullato. Vicino agli ottanta anni nel 1492 optò per la conversione con il resto della sua famiglia. I Re stessi fecero da padrini, sperando di convincere il resto della popolazione ebraica a convertirsi.
[15] Gli eventi si svolsero in maniera diversa.
[16] Béjaïa, nell’antichità Vaga (“i rovi”) in libico-berbero; è una città della Cabilia (Algeria), capoluogo della provincia omonima.
[17] Secondo Genesi 13:7, sono gli ismaeliti, abitanti del Paese
[18] Nel manoscritto A [il manoscritto di Oxford (A), della Bodleian Library], l’autore scrive David Yaham. Meir Benayahu propone di leggere Rabbi Budraham. [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot]
[19] Ferdinando I di Napoli, nato nel 1431, re di Napoli e di Sicilia dal 1458 al 1494
[20] Nei manoscritti sono utilizzati dal Capsali i termini italiani Firmaio o Fourmario.
[21] Alfonso II successe al padre Ferdinando I, detto Ferrante, regnò a Napoli dal 1494 al 1495
[22] Secondo Capsali si tratta di Virgilio Orsini, per Shlomo Simonsohn, curatore della sua opera, invece era Nicolas Orsini, genitore di Virgilio.
[23] Ferdinando II d’Aragona (Napoli1467-1496) , re di Napoli, detto Ferrandino, primogenito di Alfonso duca di Calabria e di Ippolita Maria Sforza. Fu inviato con un esercito a fermare in Romagna l’avanzata di Carlo VIII ma fu costretto a ritirarsi. Nel 1495 divenne di Re Di Napoli a causa dell’abdicazione del padre, non amato dal popolo. Non riuscì a resistere ai Francesi; con l’aiuto di Gonzalo Fernández de Córdoba entrò a Napoli. Nel 1496 sposò Giovanna d’Aragona per assicurarsi l’appoggio di Ferdinando il Cattolico. Dopo tre anni di guerra, nel 1496, morì mentre stava per liberare il Regno dai Francesi e dai baroni ribelli.
[24] Si tratta di Valona o Avlona in Albania
[25] Bajazet II (1447-1512) , sultano ottomano che regnò dal 1481 e che accolse gli espulsi con molta prontezza. Gli si attribuisce questa frase «voi chiamata Ferdinando un re saggio, lui che rende povero il suo paese e arricchisce il nostro».
[26] Questo genere di incidenti sembra sia stato frequente. [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot]
[27] Si tratta in realtà di Federico I, che regnò a Napoli dal 1496 al 1501; era figlio di Ferdinando I e zio di Ferrandino.
[28] Si tratta di Barletta, in Puglia [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot]
[29] Capo delle armate spagnole, Gonzalo de Cordoba, non era discendente dei conversos, ma è stato uno dei suoi protettori [nota del traduttore Simone Sultan–Bohbot]
[30] Ferdinando II il cattolico, re di Napoli dal 1504 al 1516
[31] Forse una contrazione di Alfonso il Magnanimo [nota del traduttore Simone Sultan–Bohbot]
[32] Questa tassa non è attestata in nessun altro documento conosciuto. Anita Novinsky, specialista della storia dell’America Latina e in particolare sui conversos portoghesi in Brasile, ha dichiarato che non ne ha mai trovato menzione. Meir Benayahou, il curatore in ebraico dell’edizione di Capsali, pensa che questi abbia avuto visione di materiale a lui solo conosciuto [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot].
[33] Isola di Sao Tomé.
[34] Arzilla, piccolo porto al nord del Marocco
[35] Il Marcello era una moneta d’argento di Venezia emessa dal doge Nicolò Maracello (1473-1474). Valeva 10 soldi cioè la metà della lira emessa dal suo predecessore, Nicolò Tron, nel 1471. Pesava 3,26 g a un titolo di quasi 950/1000. Tron aveva coniato la prima lira d’argento da 20 soldi (6,52 g con titolo di 948/1000), la lira Tron, seguita da quella del doge Pietro Mocenigo. Il soldo era una moneta d’argento italiana emessa per la prima volta alla fine del secolo XII a Milano dall’imperatore Enrico VI (argento, 1,25 g). Dopo il XII secolo si diffuse rapidamente da Milano al resto d’Italia; a A Venezia il soldo fu coniato a partire dal dogato di Francesco Dandolo (1328-1339) e battuto sino al tramonto della Repubblica veneta.
[36] Riferimento a Numeri 11:34. יִּקְרָא אֶת-שֵׁם-הַמָּקוֹם הַהוּא, קִבְרוֹת הַתַּאֲוָה: כִּי-שָׁם, קָבְרוּ, אֶת-הָעָם, הַמִּתְאַוִּים
[37] Mohamed El Sheikh (1472-1505)
[38] Secondo Haim Gagin si convertirono al cattolicesimo e ritornarono in Castiglia. rav Haim Gaguin, trascrizione e note di Moshe Amar, Etz Chaim, Università Bar Ilan, 1987. rav Gagin era nato a Fez ma era andato in Spagna per studidare nelle Yeshivot. Nel 1492 torna a Fez con gli esiliati e comincia a lavorare come Darshan nella Keillà dei toshavim. Dal 1526 al 1531 la Mellah di Fez fu luogo di discussioni di cui Haim Gagin parla nel suo libro; la controversia riguardava la maniera di fare la Shekhità da parte dei Toshavim.
I Rabbini discussero del modo di uccidere ritualmente gli animali, molti di loro pensavano che il Minag locale avesse assunto il carattere di Legge ebraica. Il problema divenne acuto quando giunsero a Fez gli ebrei dalla Spagna e dal Portogallo. Gagin scrive: «In autunno e in inverno di questo stesso anno e fino alla primavera, ci sono stati fra di noi un numero considerevole di morti. Nel 1493, due terribili flagelli ci colpirono, la peste e la fame, al punto che molti dei nostri figli di Israele fecero apostasia, cambiarono i loro dogmi e tornarono in Castiglia. Poco dopo, grazie alla misericordia divina, abbiamo potuto costruire delle case spaziose […] belle e grandi sinagoghe, grandi rotoli della Torah ornati di lino fine e di seta[..]». Haim Gagin, Etz Chaim, cit.,p. 68-69. Il libro Etz Chaim fu scritto negli anni 1526-1535, Haim Gagin, Etz Chaim: Pulmus hilkhatì ben meghorshè Sfarad be’Fez leToschavim, Moshe Amar (Ed.), Ramat-Gan : Universiṭat Bar-Ilan1987.
[39] Si tratta di Mohamed El Sheikh di cui scrive in termini elogiativi Abraham ben Shlomo Torrutiel
[40] Isabella di Trastámara o Isabella d’Aragona e Castiglia (1470 – 1498) fu consorte dell’erede al trono del Portogallo dal 1490 al 1491, poi principessa delle Asturie e principessa di Gerona e regina consorte del Portogallo dal 1497 al 1498.
[41] Giovanni II di Aviz, detto il Severo o anche il Principe Perfetto (1455 –1495). Re del Portogallo e dell’Algarve, signore di Guinea dal 1481 al 1495, fu il tredicesimo re del Portogallo e dell’Algarve. Era figlio terzogenito del re del Portogallo Alfonso V e d’Isabella d’Aviz.
[42] L’ordine era stato dato per i bambini della fascia d’età che andava fino ai 14 anni, l’applicazione però era talvolta arbitraria.
[43] rav Abraham Saba, nella sua opera Tzror ha-Mor, nel commento della Parashah Ki-Tavò, riporta gli stessi fatti. [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot]
[44] Salmo 96:5.
[45] Detenuto insieme a rav Abraham Saba, il quale raccontò che grazie ai meriti di questo saggio il Re concesse ai prigionieri di partire per Arzilla. Mimi però restò in prigione con la sua famiglia e altri ebrei, dove morì. Fu sotterrato grazie a degli ebrei convertiti con la forza. [nota del traduttore Simone Sultan–Bohbot]. In carcere rav Shimon Mimi dovette subire grandi torture. Nel libro Kerem Khemer rav Abraham Enkaoua, parte seconda, scrisse la prima Teschuvà di rav Shimon Mimi riguardo la Takanà Tolihtula (Toledo), e nel libro Yahas Paz copia da lui un Piut che nella forma completa riporta nel libro Ner HaMaarav.
[46] Miqdash Hashem, “Santuario di Dio”, così chiamato nella Bibbia. Nell’introduzione del suo Sefer ma’asé ha-Efod, Isaac ben Mosé ha-Levi, detto Profiat Duran, dopo numerose citazioni, dà delle ragioni per le quali la Bibbia deve essere chiamata così. [nota del traduttore Simone Sultan –Bohbot.
[47] Simone Sultan-Bohbot, Chronique de l’expulsion, cit., pp. 73-76
[48] «Zion», 48, vol. I e II, 1983 e numero 49, Vol. I, 1984
[49] Yeshaya Tishbi, Dapei genizah mi-hibur meshihi-mysti al gerush Sefarad we-Portugal, «Zion» 1, Gerusalemme, 1984, p. 28-34
[50] Questi passaggi, tradotti da Simon Sultan-Bohbot, sono all’interno dei sei fogli, ripartiti in 12 tavole numerate A1, A2, B1, B2 etc.
[51] Si tratta del Palácio dos Estaus, dove ebbe luogo la conversione in massa. Samuel Usque, Consolacam as tribulacoens de Israel, III, cap. 28, (consolation for the tribulations of Israel, tradotto dal portoghese da Martin A. Cohen, Philadelphia 1965, p . 203) racconta come gli ebrei, tirati per i capelli e la barba, furono portati nel Palazzo Os Estaos e coperti d’acqua. Il vescovo Fernando Cothino (citato da J. Amdor de los Rios , Historia de los Judios, II, p. 246, nota 1) conferma chche questo è avvenuto. Dal 1846 il Palácio dos Estaus è la sede del Teatro Nacional D. Maria II.
[52] Y. Tishbi, Dapei genizah, cit., p. 78 e 79.