Il movimento Smol Emunì – Sinistra Religiosa ha visto da vicino come un piccolo gruppo abbia lentamente rimodellato la società israeliana. Ora intendono fare lo stesso – dal lato opposto
Itay Mashiach – Haaretz – 28/11/2025
“Ricordavo il mio ultimo servizio di riserva, otto mesi fa. Eravamo seduti lì, a fumare, e uno dei ragazzi disse di aver visto un padre e una figlia camminare su una strada dove non avrebbero dovuto essere. Si mise alla radio e gli fu detto: Spara al padre. Subito dopo si sentì un altro ufficiale sulla linea rossa, classificata, e disse: Abbatti anche la ragazza. Il ragazzo non voleva dire cosa avesse fatto alla fine. O si vergognava di aver usato la pistola o si vergognava di aver mostrato pietà. Qual è la cosa peggiore?“
Tuvia beve un altro sorso di birra. Ignora il fatto che io stia scrivendo quello che dice durante lo Shabbat. Il bisogno di parlare è troppo forte. Siamo seduti su una panchina in una strada di Giaffa, facendo una pausa da un evento del venerdì sera nel quadro della Midrasha Emunìt, un programma di studio intensivo per giovani sotto l’egida di un movimento chiamato Smol Emunì – Sinistra Religiosa (lett. Sinistra Credente). Tuvia sta cercando di spiegare come sia arrivato a partecipare a questa attività di sinistra; il suo fiume di parole minaccia di sommergerci entrambi.
“Ciò che mi ha fatto svegliare, mi ha fatto voler agire, è successo durante il mio attuale turno di servizio,” continua. “Stavo con degli amici sabato sera, parlavamo del servizio di riserva, e qualcuno parlò di un ragazzo che conosco bene. Lui e i suoi compagni avevano catturato un uomo di Gaza. Il comandante del battaglione ordinò loro di rilasciarlo ma non volevano che rivelasse la loro posizione, così lo portarono sul tetto e lo giustiziarono.
“Quando furono scoperti, la punizione consistette nel passare una settimana fuori da Gaza – capite? Un amico che era con noi e sentì la storia disse: ‘Lo facevamo sempre, ma senza essere scoperti.’ Uscii di lì in stato di shock. Non sapevo cosa fare. Avevo sentito parlare di crimini di guerra prima, ma questa volta era diverso.“
I soldati descritti in entrambi gli aneddoti sono cresciuti nel movimento del sionismo religioso, come Tuvia stesso, che sottolinea i suoi sentimenti di profonda e crescente vergogna e alienazione rispetto alla sua comunità. Durante il suo precedente turno di servizio, si tagliò i riccioli laterali, e dopo aver sentito l’ufficiale religioso dire che alla fine i gentili – compresi i soldati drusi nell’unità – saranno “i nostri schiavi,” Tuvia sostituì la sua kippà con un cappello.
“C’è l’alcolista ne ‘Il rinoceronte’ di Eugène Ionesco, Bérenger, che si lamenta di non essere semplicemente capace di essere un rinoceronte [cioè di conformarsi]. Mi sento come lui,” dice, aggiungendo che dopo aver sentito la storia dell’esecuzione, cominciò a cercare un modo per agire. Incontrò i responsabili della Midrasha, Roy Kleitman e Amana Shlomo, per caso: nelle sue parole, “besiyata dishmaya” – per provvidenza divina. Attraverso la Midrasha si unì anche ad altre attività di Smol Emunì, incluso l’attivismo nei territori, che ancora occasionalmente chiama con il nome biblico, “Giudea e Samaria.”
“Mi sono sentito a casa nella Midrasha, tra persone che possono identificarsi con me,” spiega. “Mi ha portato a tracciare una nuova rotta. È un mondo completamente nuovo di mayim hayim [acque vive].” Attraverso gli studi offerti in quel contesto, le prime crepe nella sua identità religiosa hanno acquisito un contesto, un linguaggio e uno scopo, tutti incanalati nell’azione.
Quasi tre anni fa, scrissi un articolo nell’edizione ebraica di Haaretz sulle mie impressioni della conferenza di fondazione di Smol Emunì a Gerusalemme. Anche allora, poche settimane dopo il minaccioso discorso del Ministro della Giustizia Yariv Levin sul colpo di stato del regime, e molti mesi prima del 7 ottobre, regnava la disperazione in questo paese. Per una persona di sinistra, laica e comune, un auditorium pieno di persone che parlavano il linguaggio della destra, ma impegnate nella sinistra generava un sentimento di speranza. Nessuno dei presenti sembrava avere dubbi sulla profondità del proprio impegno. Non stavano semplicemente seguendo quella che viene chiamata centro-sinistra. C’era una vera sinistra lì. Ma era ancora difficile valutare la serietà dell’incontro in quel momento. L’atmosfera tra coloro che si mescolavano nella hall era quella di un gruppo di adolescenti che erano sgattaiolati fuori per una serata libera nella grande città. L’immagine di una sorta di “uscita dall’armadio” (coming out NdT) risuonava. Erano venuti a trovare consolazione tra persone come loro, o a organizzarsi per un’azione reale? Il tempo lo dirà, pensai allora.
Nel frattempo, Smol Emunì ha organizzato un numero crescente di attività. Infatti, da quella conferenza è emerso un movimento che si sta espandendo in molte direzioni, in modo concreto e sistematico. Oltre a istituire la suddetta scuola Midrasha per giovani uomini e donne, il gruppo ha anche fondato una casa editrice; include uno dei contingenti più grandi e dedicati di giovani attivisti israeliani che cercano di proteggere i pastori palestinesi e i raccoglitori di olive nei territori dagli attacchi; e tiene sessioni di studio volte a forgiare un nuovo linguaggio religioso di sinistra. Dissemina letteratura umanistico-religiosa ai soldati, pubblica una rivista, offre un programma di servizio pre-militare e coordina quella che chiama una comunità di insegnanti del sistema educativo statale-religioso. In breve, gli attivisti del movimento stanno sia correndo attraverso le colline della Valle del Giordano sia mettendo radici nell’istruzione e nei corsi di formazione, nei budget e nelle istituzioni. Una filiale sorella di Smol Emuni di ebrei prevalentemente osservanti è stata formata negli Stati Uniti, e altre stanno venendo organizzate in Inghilterra e Italia.
Mikhael Manekin, uno dei fondatori di Smol Emunì, ricorda che dopo l’assassinio del Primo Ministro Yitzhak Rabin 20 anni fa, il movimento del sionismo religioso prese la decisione di inculcare i suoi valori – “colonizzare i cuori delle persone” – e lui vuole fare lo stesso.
“Incontriamo il sionismo religioso ovunque, dalla mattina alla sera, alle cerimonie e nel sistema educativo,” dice. “Non in termini di politica ma come parte della vita. Per farlo, devi rimboccarti le maniche e lavorare con lo stato. Siamo molto sionisti religiosi nel modo in cui lavoriamo con lo stato. C’è un sentimento giustificato di emergenza ora, e la pressione ci fa sentire che stiamo facendo uno sprint, ma dal mio punto di vista è una grande maratona. Tra altri 20 anni vorrei vedere rabbini municipali che sono emersi dalle istituzioni di Smol Emunì.”
Vent’anni?
Manekin: “Il popolo eterno non ha paura di una lunga strada.“
Torniamo alla serata della Midrasha a Giaffa, dove le melodie dello Shabbat superano a malapena la musica del bar adiacente. Intorno al tavolo della cena, che è apparecchiato in uno stile religioso tradizionale tipico, ci sono una dozzina di diplomati della quarta classe della Midrasha, guidati da Kleitman e Shlomo. Questo è l’ultimo Shabbat del programma, che comprendeva tre settimane intensive di studio e altri tre weekend in luoghi diversi del paese. La routine mattutina è caratterizzata dallo studio di materie religiose e altre in chevruta (coppia di studio NdT) – un metodo in cui due persone studiano un testo insieme; nel pomeriggio ci sono conferenze politiche.
“Al mattino costruiamo, al pomeriggio distruggiamo,” ride Shlomo.
Il programma è impressionante. Le 300 pagine di materiali di apprendimento distribuiti ai giovani contengono testi sulla moralità e il potere ebraici, fede e politica, e le relazioni di Israele con altre nazioni. Ci sono la Torà e Maimonide, e anche filosofi come Emmanuel Levinas e Martin Buber, così come la cronista del Levante, Jacqueline Kahanoff. Le conferenze nel programma politico comprendono argomenti sul colonialismo e l’apparato di occupazione, l’industria degli armamenti di Israele e quello che viene definito “Uno sguardo mizrahi sul sionismo e il conflitto.”
C’è stato un tour della Nakba a Haifa, un discorso della giornalista di Haaretz Amira Hass su Gaza e un altro del deputato Ayman Odeh (Hadash-Ta’al) sugli eventi dell’ottobre 2000 (quando la polizia sparò e uccise 13 manifestanti arabi). Altri tour si sono tenuti a Lod, Hebron e “villaggi non riconosciuti” di beduini nel Negev – un’introduzione completa all’israelianità repressa. “Negli Shabbat che abbiamo trascorso a Haifa, la filiale locale di Hadash [il partito arabo-ebraico di sinistra, di tendenza comunista] nel wadi divenne la nostra sinagoga,” dice Kleitman. “Accendevamo candele sotto i ritratti di Lenin e Marx.“
Intorno al tavolo dello Shabbat a Giaffa, tra gli altri, ci sono coloni che si descrivono come cresciuti sul principio della supremazia ebraica e spinti dalla sete di sangue e vendetta, eppure oggi esortano i loro amici online a informarsi sull’occupazione e unirsi all’attivismo nei territori. Ci sono anche haredim che parlano di soffrire di ignoranza, i loro occhi affamati di informazioni sulla realtà fuori dalla loro bolla. All’interno di un movimento più ampio per il cambiamento sociale, la Midrasha costituisce quindi una sorta di forza d’avanguardia, che cerca di provocare la trasformazione politica dell’individuo. Per alcuni, l’esperienza è profondamente destabilizzante.
Shulamit Arnon, nata nell’insediamento ebraico di Hebron, è una delle 55 diplomate della Midrasha. “Sono entrata con certi sospetti su dove si stava dirigendo la mia politica,” dice. “Per anni mi era stato chiaro che non ero esattamente di destra, ma gli studi alla Midrasha hanno convalidato quei sospetti. È lì che le mie opinioni hanno preso forma e sono diventate più coerenti e storicamente fondate.” Arnon ricorda un momento in cui cominciò a tremare durante un tour di Deir Yassin, luogo di un massacro di oltre 100 arabi nel 1948. “Riuscivo a malapena a stare in piedi,” ricorda. “Non avevo mai sentito nella mia vita di non essere fisicamente in grado di ascoltare. È stata una reazione corporea che non capivo. Alla Midrasha ho anche imparato che più so, meno mi sento a mio agio con me stessa.“
La Midrasha è la fonte più promettente di nuovi membri di Bnei Avraham (Figli di Abramo), l’ala attivista di Smol Emunì che afferma di essere la più grande organizzazione di giovani adulti impegnati nella creazione di una “presenza protettiva” nei territori. Accompagnano i pastori, aiutano con la raccolta delle olive e persino trascorrono un fine settimana nei villaggi palestinesi presi di mira dai coloni. Mentre la Midrasha cerca di effettuare un cambiamento profondo, l’attivismo è la prima linea di Smol Emunì. Quando decine dei suoi membri arrivano a sostenere i pastori e gli agricoltori palestinesi assediati, il loro incontro con i “giovani delle colline” – che sono cresciuti nello stesso tipo di ambiente religioso – è sia eccezionale che affascinante.
È un venerdì pomeriggio di fine ottobre, non lontano dal villaggio di Al-Lubban in Cisgiordania. Quindici attivisti di Bnei Avraham stanno ripulendo campi di proprietà palestinese. Dietro la cresta è sorto un avamposto ostile e questi agricoltori sono stati sottoposti a varie forme di molestie: tubi di irrigazione tagliati, alberi abbattuti, razzie compiute. Una situazione terribile e continua qui e altrove. Siamo a meno di sette chilometri dalla città di Shoham, a un quarto d’ora da Petah Tikva, nel centro di Israele. Chiedo agli attivisti, che sono impegnati a riparare una delle terrazze agricole del villaggio, come il fatto che condividano un’educazione religiosa simile influenzi la loro interazione con i coloni ostili.
“C’è qualcosa di molto confuso nella nostra presenza,” dice Shlomo, spiegando che fino a una settimana circa prima lei e i suoi colleghi attivisti pensavano che la loro presenza avesse un effetto moderatore – ma questo era prima che anche loro “prendessero un pestaggio serio” dai coloni di Ras al-Ein nella Valle del Giordano. “Sapevano chi sono, sapevano il mio nome, sapevano che sono cresciuta a [nell’insediamento di] Tekoa. Il fratello di buoni amici del mio passato stava lì, di fronte a me, e non faceva differenza,” continua. “‘Sei stata la prima a portare i ragazzi alla fattoria dei coloni,’” le gridarono, riferendosi ai suoi giorni come popolare leader di gruppo nel movimento giovanile Bnei Akiva nazional-religioso. Oggi, riconosce, un gran numero di quei ex membri del gruppo sono tra i cosiddetti giovani delle colline.
In risposta alla stessa domanda sul trattare con questi ultimi, Avital Engel, una studentessa di letteratura di Gerusalemme che proviene da quella che chiama una casa “religiosa-religiosa“, dice: “Fondamentalmente, mi dà il vantaggio di sapere da dove vengono. Il mio cuore va a quei ragazzi. La mia sensazione è che stiano prendendo qualcosa che mi sta a cuore e distorcendolo.” Ricorda un incidente in un villaggio chiamato Al-Muarrajat, quando cercò di parlare con due coloni armati che entrarono a cavallo in una scuola palestinese. La loro conversazione toccò il precetto di “amare lo straniero,” la distruzione di Amalek e così via. “Non mi hanno forse colpito due volte? Sì,” afferma.
Da parte sua, Kleitman parla di un giorno in cui lui e altri due attivisti arrivarono per portare cibo ai loro partner palestinesi a Hebron, circa una settimana dopo il 7 ottobre. Quando arrivarono nel quartiere Tel Rumeida della città, incontrarono tre soldati mascherati. “Ci sono corsi addosso, ci hanno buttati a terra, hanno premuto il ginocchio sulla nostra schiena, ci hanno puntato le armi contro e hanno iniziato un interrogatorio,” ricorda. Ma quando i soldati sentirono che gli attivisti detenuti venivano originariamente dalla nota Yeshiva Otniel in Cisgiordania, rimasero sconcertati e li lasciarono andare. Alcune settimane dopo, un amico nazional-religioso disse agli attivisti: “Ho un amico che vi ha incontrati a Hebron.“
Secondo Kleitman, “Ha un effetto che siamo loro fratelli. Ma alla fine, ho paura che un giorno ci spareranno. Non è chiaro quando sarà attraversata la linea.“
Una mappa di Eretz Yisrael è appesa al muro di Tantur, un istituto ecumenico a sud di Gerusalemme. È raffigurata distesa su un fianco, puntando verso est, come veniva rappresentata una volta in passato. Circa una dozzina di studiosi siedono in cerchio e discutono minuziosamente un testo di Elijah Benamozegh, un rabbino italiano della fine del XIX secolo. Il gruppo è composto da personale di Makom, la casa editrice di Smol Emunì, e membri del circolo teologico del movimento. Il loro lavoro può sembrare erudizione esoterica ma sono al centro dell’attivismo dell’organizzazione.
“Sto usando questo testo perché parla di nazionalismo e tendiamo a stare zitti quando si tratta di parlare di altre nazioni,” dice Gabriel Abensour, un candidato al dottorato in storia, che ha tradotto il testo dal francese. Il movimento del sionismo religioso ha in sostanza resuscitato Benamozegh, perché aveva bisogno di un linguaggio basato sulla Torà per il nazionalismo, spiega, ma ha scelto di tradurre estratti molto specifici dei suoi scritti (il principale traduttore del rabbino non è altri che il rabbino Dr. Eliyahu Rachamim Zini, uno zio di David Zini, il capo recentemente insediato del servizio di sicurezza Shin Bet).
Abensour ha trovato opinioni intriganti e radicali incorporate negli scritti non tradotti di Benamozegh. “Le nazioni devono rispettare i loro diritti reciproci,” legge. “Il puro riconoscimento reciproco da parte delle nazioni costituisce l’accettazione tacita del giogo del Regno dei Cieli.”
Uno degli obiettivi del gruppo di studio è trovare crepe nelle concezioni religiose che oggi possono suonare neutre ed evidenti, ma che sono in realtà interpretazioni che servono una visione del mondo nazionalista. La loro premessa è che esistono anche interpretazioni e usando quelle, è possibile creare un nuovo linguaggio religioso di sinistra – una narrazione diversa che sottenderà una politica diversa.
“Dall’esterno la tradizione ebraica sembra totalmente scolpita nella pietra,” spiega Dvir Warshavsky, che è anche uno studente, un membro del gruppo e un attivista chiave in Bnei Avraham. “Ma quando vivi all’interno della tradizione e la guardi dall’interno, è molto flessibile. Io disegno la casa in cui vivo – so che possono esserci alternative.“
Il tema principale della sessione di oggi è un articolo accademico sui luoghi sacri che Warshavsky ha co-scritto con un collega attivista di nome Avraham Oriah Kelman, un candidato al dottorato in studi religiosi a Stanford. Nel corso della storia, sostengono, i luoghi sacri hanno funzionato come spazi interreligiosi condivisi e non solo come punti focali di attrito.
“Per 1.500 anni gli ebrei hanno visto la Tomba di Giuseppe [a Nablus] come un luogo noto per dare origine all’abbondanza agricola per tutti, e specialmente per i musulmani che vivevano nelle vicinanze,” nota Warshavsky. “E poi improvvisamente arrivano i coloni negli anni ’80 e generano l’esatto opposto: da un luogo che riversava le sue benedizioni su tutti intorno, a un luogo che deve essere protetto da coloro che lo circondano che sono [percepiti come] minacciosi per la sua purezza.” Il ricordo di tali tempi e di tali tradizioni dimenticate, crede il gruppo a Tantur, è il primo passo nella creazione di un’alternativa politica.
“C’è una vera narrazione nella società israeliana, ed è quella del sionismo religioso; l’alternativa è il secolarismo che è impegnato principalmente nel negare i simboli identitari e il bagaglio culturale. Ma ogni giorno nella sinagoga, si sentono preghiere che sono state recitate molto prima che ci fosse il suprematismo ebraico,” aggiunge Kelman.
“Stiamo cercando di ricostruire la tradizione, di purificarla da ciò che le è accaduto dopo il 1967, di insegnare e imparare la religione dimenticata che si chiama ebraismo. Quella linea di vita della tradizione rende possibile pensare in termini di qualcosa che ha preceduto Israele e il sionismo. Abbiamo saggezza a cui rivolgerci – la saggezza delle generazioni.“
Quando tu e gli altri parlate della saggezza delle generazioni dei religiosi, come persona laica sento in sottofondo il concetto del “carro pieno” e del “carro vuoto” [una parabola relativa, rispettivamente, alla saggezza religiosa vs. il vuoto laico]. Anche la sinistra laica ha una tradizione, ha valori e bagaglio culturale – perché la religione è la linea di vita?
Kelman: “Penso a ciò che il movimento religioso di sinistra può contribuire al discorso di sinistra. Una delle cose in cui siamo bravi è pensare alla posizione dell’individuo contro il potere, su permesso e proibito, sulla virtù. Il linguaggio religioso possiede un grande potere proprio perché è halakhico [basato sulla legge religiosa]. Questo è qualcosa che manca particolarmente nel linguaggio liberale. Il liberalismo organizza la società come collettivo e non si occupa della vita dell’individuo, perché l’individuo è libero. Ma ora abbiamo bisogno di istruzioni, siamo in una crisi morale.“
La domanda è se vedete nel linguaggio religioso una “sorella” uguale in questa lotta, o se pensate che contenga qualche promessa anche per la sinistra laica. C’è arroganza tra il sionismo religioso su cui siete cresciuti. Anche il vostro gruppo sente di venire da un luogo più elevato?
Warshavsky: “In qualche modo è l’opposto. Ho lasciato il sionismo religioso perché sentivo di vivere in un carro molto, molto vuoto. Quando vivi in una società che ha qualcosa di così aggressivo, c’è una sensazione di essere orfani. Desideri ardentemente avere un rabbino, un insegnante, qualcuno da cui puoi imparare la Torà senza essere selettivo… È un’esperienza dura di solitudine.
“In realtà è stato quando sono entrato nello spazio della sinistra che ho sentito di trovarmi di fronte a un carro pieno. So che come persona religiosa ho molte materie prime, arrivo con un bagaglio ricco, ma non è consolidato. Perché alla fine un discorso è organizzato intorno a un segmento della popolazione, una società, una corrente. E io non avevo quello, perché ero in uno spazio intollerabile organizzato intorno a un mondo di valori pericoloso.“
Kelman: “Mi identifico davvero con quello. Sono stato nel mondo della yeshivà per molti anni, impegnato in una ricerca intellettuale e spirituale. Da ragazzo volevo essere un profeta. Quello era il mio sogno, che Dio mi parlasse. Studiavo la Torà tutto il tempo e pregavo. Volevo una connessione con il trascendente – con ciò che è oltre questo mondo, che mi avrebbe fornito una sorta di chiarezza, perché avevo domande. A un certo punto ho capito che questo non interessava a nessuno dei miei insegnanti. Che il mio ambiente voleva semplicemente che sposassi una donna religiosa, che avessimo molti piccoli figli coloni e riempissimo uno spazio in cui i palestinesi non potranno vivere.
“Il pensiero nel sionismo religioso è molto racchiuso nella scatola. Rimani nella tua corrente, vota per i partiti giusti, alla fine starai bene. La cosa più profonda, la ricerca interiore, umana che ha accompagnato l’umanità nel corso della storia – anche prima di arrivare alle questioni politiche – è molto scarsa, svuotata. Ecco perché i sionisti religiosi viaggiano in India. C’è una sensazione di vuoto. E in un luogo che parla di religione tutto il tempo, quella dissonanza è molto pronunciata.
“Allo stesso tempo, penso che all’interno della crisi generale che sta vivendo la sinistra in Israele, e quella del liberalismo nel suo insieme, la voce religiosa ha un contributo singolare. È molto importante che impariamo gli uni dagli altri.“
Makom, il braccio accademico-filosofico di Smol Emunì, ha pubblicato finora quattro libri, con altri due in preparazione. Pubblica sia opere originali che nuove edizioni di testi che sono stati dimenticati per ragioni politiche.
“Stiamo effettuando una ‘resurrezione’ del pensiero religioso di sinistra che non ha un posto nel mainstream,” spiega Ayala Chen Atkin, la coordinatrice di Makom. “Stiamo cercando di creare un canone – una libreria per nuovi pubblici che cercano questo linguaggio.“
Il personale sta anche lavorando al primo numero di un periodico semestrale in coordinamento con il Van Leer Jerusalem Institute. È anche in programma un beit midrash (luogo di studio religioso) virtuale che offre lezioni introduttive registrate su argomenti come “Hasidismo, cabala (misticismo), pensiero medievale – ma con un orientamento di sinistra,” dice Atkin, notando che l’impulso per l’iniziativa è venuto da richieste di insegnanti che vogliono insegnare su questi argomenti, ma “tutto ciò che trovano su internet è molto di destra.“
La conferenza annuale di Smol Emunì, che si è tenuta quest’anno all’inizio di settembre – prima che entrasse in vigore il cessate il fuoco – riunisce tutti i rami dell’organizzazione. L’evento più recente, come gli altri, si è tenuto a Heichal Shlomo a Gerusalemme – un centro di lunga data del sionismo religioso ed ex sede del Rabbinato Centrale di Israele. La sala traboccava di persone, le sedie di plastica che portavano sopra le loro teste sembravano galleggiare nell’aria in mezzo alla corrente umana che inondava i corridoi.
Sul palco i relatori si sono opposti alla fame e alla distruzione a Gaza come pochi hanno osato fare nel paese. Un artista di Spoken Word ha improvvisato in arabo; il rapper Sameh Zakout ha suonato un messaggio vocale di un suo parente a Deir al-Balah, a Gaza, che da due anni mangiava solo piselli. A volte i testi suonavano come parte del programma di un futuro Giorno della Memoria.
“Non abbiamo un documento politico, ma l’ethos operativo è quello dell’uguaglianza e della compassione,” spiega Manekin. “Quando dico che sono di sinistra proprio perché sono un credente – è perché la religione su cui sono cresciuto è occupata quasi ossessivamente nel trattare con i deboli e con un ritrarsi dall’uso della forza. È chiaro per me che la maggior parte delle persone non percepisce la religiosità ebraica in quel modo, ma penso che sia stata percepita così per la maggior parte della storia ebraica. In altre parole, è solo in questo momento che persone come noi sono una minoranza.“
Oggi l’opposizione all’uccisione di bambini è anche considerata di sinistra. Fino a che punto Smol Emunì è politico nel senso stretto della parola?
Manekin: “La risposta sta nella domanda. Il termine Smol Emunì è problematico per molte ragioni, ma la parola smol, sinistra, ne fa parte. Non puoi essere apolitico e chiamarti Smol Emunì, ed è difficile per me immaginare un destrorso che si sentirebbe a casa qui oggi. Tutta la storia qui è politica, e cerchiamo di essere diretti riguardo alle nostre intenzioni.“
Nonostante l’ideologia presentata durante le sessioni, una persona di sinistra laica potrebbe sentirsi antagonista a questo tipo di riunione, specialmente se è una di quelle che sono state completamente allontanate dalla religione dall’ebraismo nazional-religioso. La kippà, il copricapo colorato, il discorso condito con citazioni dalle fonti ebraiche, il loro pathos zuccherino – con ogni menzione di “vie di piacevolezza” o “una sukkà di pace,” si potrebbe sentire l’impulso di fuggire. Il sospetto verso la religione e i religiosi può facilmente oscurare ciò che si sta sentendo.
“So molto bene cosa significa essere una persona religiosa in uno spazio laico dove sono visto come una minaccia, o in alternativa, come un ‘animale domestico’ religioso carino,” dice Manekin, che ha servito come CEO di Breaking the Silence, un’ONG che pubblica testimonianze di soldati sul servizio nei territori, e come CEO di Molad – Il Centro per il Rinnovamento della Democrazia Israeliana. “C’è una sensazione che siamo visti come una sorta di ospiti, e uno dei pericoli è che faremo lo stesso ad altri gruppi. Che diremo: ‘Che bello vedere una persona laica come te alla conferenza.’ La storia è trovare un modo di parlare senza il giudizio sociologico” – anche quando le disparità sono radicate in questioni di principio. “Dobbiamo condurre un dialogo con tutti. Per esempio, è molto importante per noi parlare con i soldati che stanno servendo a Gaza, cosa che la ‘sinistra profonda’ non fa.“
La necessità di tale dialogo è particolarmente grande in termini di rimedio alla disconnessione tra il pubblico laico liberale e il mainstream religioso, afferma. “La maggioranza della società israeliana oggi è tradizionalista. Non puoi condurre politica se hai paura della maggioranza della società. E non lo dico solo nel senso utilitaristico, di ‘cosa porta voti.’ La religiosità come è rappresentata dalle leadership religiose si sta facendo odiare, quindi non posso lamentarmi delle persone laiche che ne sono allontanate – ma anche così abbiamo bisogno di un dialogo.“
Alcuni direbbero che questo non è un momento per il dialogo, che ora dobbiamo lottare.
“Spiegherò la mia risposta per mezzo di un esempio da mondi di sinistra più profondi. Diciamo che sei impegnato nel fornire presenza protettiva nei territori, e un palestinese sta venendo espulso dalla sua terra. Devi comportarti con il colono o il soldato, quindi devi sviluppare una capacità di parlare, e questo ti obbliga a cercare di capire cosa gli passa per la testa. Questa è la dinamica a cui mi riferisco. Non ‘Ehi, fratello, ti amo,’ o ‘Mettiamo da parte i nostri disaccordi,’ perché probabilmente si rivelerà essere a spese del palestinese.“
Manekin è oggi il coordinatore dell’infrastruttura di Smol Emunì, un’area abbastanza snella in termini di budget e personale (“È tutto molto fai-da-te nel frattempo“). Le attività del movimento sono finanziate dal New Israel Fund e filantropi privati, la maggior parte di loro ebrei americani, ma la speranza è che le donazioni arriveranno anche dalla comunità religiosa di sinistra in Israele stessa.
Un’altra speranza, dice Manekin, è che i suoi colleghi andranno a ricoprire posizioni burocratiche significative nel paese. “Molti da Bnei Avraham e dalla Midrasha potrebbero essere direttori di accademie pre-militari e di programmi di anno di servizio, o alti funzionari nei ministeri delle finanze, dell’istruzione e del welfare o legislatori. Non li stiamo necessariamente canalizzando in quella direzione. Non è una cospirazione, è consapevolezza civile.“
State cercando persone come queste che sono nel servizio civile ora?
“Non dobbiamo cercarle, sono già lì. Quello che sta succedendo ora è che in tutti i tipi di luoghi ci sono persone religiose di sinistra che si sentono sole. Dicono: ‘Verrei a una lezione con più persone come me.’ Abbiamo persone in varie posizioni, e molte volte bramano una discussione del genere. Non le abbiamo mandate lì. Ma stiamo dicendo loro: ‘Avete compagnia, vi copriamo le spalle.’ Quando ti senti completamente solo, hai molta più paura di dire la tua.“
La conferenza annuale presentava gruppi di discussione su argomenti come “La guerra e l’era messianica,” “Educazione religiosa-umanistica” e “Una terra per tutti.” C’è stata una sessione chiusa per i riservisti guidata da Aviad Houminer-Rosenblum, un altro fondatore di Smol Emunì, dove i partecipanti hanno condiviso esperienze di tre, quattro e cinque turni di servizio a Gaza.
Come la Midrasha e Bnei Avraham, anche Smol Emunì U.S. non è stato pianificato dall’alto verso il basso di per sé, ma si è sviluppato in modo indipendente, e ha preso il suo posto sotto l’ombrello del movimento. È iniziato con l’iniziativa di un circolo di amici religiosi a New York, metà di loro ex israeliani che circa un anno fa furono spinti dalla tristezza di vivere in un deserto politico a incontrarsi per dibattiti di sinistra da salotto.
Quando l’interesse crebbe e il gruppo si espanse, decisero di organizzare la propria conferenza locale e svilupparono connessioni con i loro colleghi in Terra Santa. “È in realtà un gruppo che non aveva un’identità, quindi stiamo crescendo in modo molto sorprendente e rapido,” dice Esther Sperber, un’ex gerosolimitana, che è la direttrice esecutiva del gruppo. È in contatto con persone in diverse città degli Stati Uniti che vogliono stabilire comunità simili, e sta anche assistendo lo Smol Emunì europeo, che attualmente si sta formando.
Dagli sviluppi oltreoceano torniamo al lavoro di Smol Emunì in Israele, specificamente il suo sistema scolastico. “Ci sono seminatori di grano e piantatori di alberi,” dice Manekin. “La nostra sfida, e quella di ogni movimento politico, è essere entrambi.” Tra i piantatori ci sono le persone coinvolte in Hasadeh, il braccio educativo del movimento.
Yoel Ilani, un insegnante nella Midrasha High School for Girls a Gerusalemme, sotto gli auspici dello Shalom Hartman Institute, ha partecipato l’estate scorsa a un seminario di due giorni di Hasadeh per insegnanti. “È stato molto potente,” dice. “Un incontro con insegnanti che stanno affrontando lo stesso sistema di educazione statale-religiosa, che non tiene conto di noi.“
Smol Emunì è una definizione precisa della sua identità, dice Ilani, che è cresciuto in una casa religiosa politicamente moderata nella città meridionale di Yeruham e alla fine, spinto da un senso di missione, è diventato un educatore. “Prima di essere un’organizzazione pragmatica con braccia operative, è veramente una comunità che permette a molte persone di sentirsi a casa. I miei genitori non si sono mai identificati con Gush Emunim [movimento dei coloni] o con la corrente che è diventata sempre più centrale nel sionismo religioso. Sono cresciuto alienato dal sistema educativo che ho frequentato, con una sorta di istinto che nutrivo valori diversi ma non ero in grado di articolarlo davvero. Le istituzioni [educative] statali-religiose sono molto politiche ed estremamente monolitiche – rappresentano una proposta molto specifica di cosa sia l’ebraismo.“
Hartman è infatti considerato relativamente di sinistra in quel sistema, ma la supervisione pedagogica, i libri di testo e altri aspetti della vita lì sono impiantati in profondità nell’ideologia nazional-religiosa. “I libri di storia sono stati scritti nell’Istituto Har Bracha,” situato nell’omonimo insediamento di destra vicino a Nablus. “È semplicemente storia come teologia,” nota Ilani. “Ruota sempre intorno agli ebrei, alla provvidenza divina e alla Creazione.“
Quello che è più difficile, dice Limor Yaakov Safrai, direttrice di Hasadeh e una delle fondatrici di Smol Emunì, è affrontare il Direttorato dell’Educazione Religiosa che, per esempio, ha organizzato una recente conferenza dove “gli ostaggi non sono stati nemmeno menzionati, o il dolore e le difficoltà [delle loro famiglie]. Solo luci e miracoli.“
Le attività di Hasadeh comportano quindi fornire supporto emotivo oltre che pedagogico concreto per gli educatori di sinistra nel sistema statale-religioso – “per esempio, un workshop in cui vengono simulate le questioni con cui ci confrontiamo quotidianamente,” dice Yaakov Safrai. “Diciamo, gli studenti salgono sull’autobus della scuola, e per qualche ragione iniziano a cantare ‘Morte agli arabi,’ e l’autista è un arabo. Come reagisci?“
“La nostra crescita è arrivata alle stelle,” aggiunge. “Abbiamo stabilito la nostra Comunità degli Insegnanti tre mesi fa e ha già cento membri.”
Hasadeh sviluppa piani di lezione e curricula per le classi di educazione civica, educazione e Bibbia, e contenuti per le cerimonie che si tengono durante l’anno; sta ora organizzando una comunità di genitori. Yaakov Safrai crede che tutti questi sforzi alla fine porteranno frutti, come è tipico nei processi lunghi e talvolta inaspettati visti nel regno dell’educazione.
Yaakov Safrai, che è cresciuta in una casa sionista-religiosa in un piccolo moshav a Gush Katif, dice di aver visto i palestinesi da Gaza dalla sua casa, che attraversavano il piccolo checkpoint a Khan Yunis sulla strada per lavorare nei campi, ma non li vedeva davvero. La prima intifada scoppiò quando aveva 5 anni, alla fine del 1987. Suo padre tornò a casa con il parabrezza dell’auto distrutto e il vicino fu pugnalato alla schiena – eventi che facevano parte della vita stressante e pericolosa in quegli insediamenti.
Ma i dubbi politici cominciarono a emergere. “Qualcosa non funzionava per me in termini di punti esclamativi, la passione,” ricorda. “C’era qualcosa di irrisolto.” Al liceo, una zia le regalò il libro di David Grossman “Il vento giallo” – con il suo sguardo duro sull’occupazione in Cisgiordania – con la dedica: “Alla mia nipote pensante.” A 20 anni votò per la sinistra.
Sebbene si fosse trasferita a Ma’alè Gilboa, un kibbutz religioso vicino a Beit She’an, Yaakov Safrai tornò a casa dei suoi genitori con il suo partner per aiutarli prima del disimpegno dalle comunità di Gaza nell’agosto 2005; se ne andarono il giorno prima. Fino al mese scorso, era direttrice del Dipartimento dell’Educazione nel Consiglio Regionale della Bassa Galilea, parallelamente alla sua attività in Smol Emunì. Ora ha deciso di dedicarsi a cambiare il sistema – dall’esterno.
La settimana scorsa, Hasadeh ha annunciato l’apertura delle iscrizioni per un anno di servizio religioso-umanistico prima dell’arruolamento nell’esercito, in cooperazione con Hechalutz, un’organizzazione di costruzione di leadership nello spirito dei pionieri di Israele. La comune di 16 persone con sede a Be’er Sheva farà volontariato con organizzazioni arabo-ebraiche, così come nelle scuole locali e con i rifugiati; un giorno alla settimana sarà dedicato allo studio con insegnanti religiosi di sinistra.
In futuro, Hasadeh dovrebbe offrire formazione per insegnanti e programmi di leadership, e borse di studio. “L’idea è creare un’infrastruttura di capitale umano che influenzerà l’intero sistema in modo ampio,” dice Yaakov Safrai.
Il sistema educativo statale-religioso è grande e ha budget consistenti. Sembrate un bel gruppo di persone che si sono trovate – ma che possibilità avete contro un tale colosso?
Yaakov Safrai: “La risposta sta nelle virtù del programma. Sia il Movimento del Kibbutz Religioso, da un lato, che [l’estrema destra] Yeshiva Har Hamor, dall’altro, sono corpi molto piccoli, eppure ciascuno nella sua generazione è riuscito a influenzare l’intero movimento del sionismo religioso – e, di conseguenza, tutta la società israeliana. In altre parole, non devo necessariamente essere grande. Devo riuscire a instillare un linguaggio… La maggior parte delle persone che incontro non vuole distruggere, vuole la pace. Questi sono quelli che mobiliteremo.“
Dove hai imparato a fare questo lavoro?
“Non è un programma strategico dal seminterrato degli anziani di Sion. Quando hai un vero fuoco interiore, e stai rispondendo a un bisogno reale, e lavori per creare un’infrastruttura – linguistico-concettuale, politica, attivista ed educativa – succede. Ho lavorato per anni nel Movimento del Kibbutz Religioso, e ho imparato la loro dottrina. L’approccio di Har Hamor l’ho sperimentato in prima persona da ragazza, nel movimento del sionismo religioso.“
C’è qualcosa che sperate di ottenere dalla popolazione laica?
“Sì. Alla fine stiamo creando una realtà. Si può definire Smol Emunì esoterico, e questo sarà. Oppure si può dargli un posto, e si diffonderà. E ora la domanda è: qual è la nostra motivazione? Vogliamo un ebraismo diverso, e questo è un interesse acquisito non solo di coloro che sono nel mondo religioso. Cosa sto dicendo? Che essere infinitamente occupati nell’opposizione alla religiosizzazione e all’opposizione alle persone religiose significa buttare via il bambino con l’acqua sporca. Se vogliamo avere successo in questo regno, abbiamo bisogno di partner all’interno del pubblico ampio e forte. Ogni battaglia come questa allontana le persone [religiose] dal linguaggio della sinistra, perché si spaventano quando i sinistrorsi li respingono.“
Ma capisci perché, nel contesto attuale, per certi elementi della sinistra, il sionismo religioso è un drappo rosso?
“C’è una confusione deliberata qui tra religiosizzazione e nazionalismo. Non mi aspetto che le persone laiche siano religiose, mi aspetto solo che non odino la religione, che non pensino che l’ebraismo sia la radice di ogni male. Trovo che i nazionalisti laici siano spesso molto più duri dei nazionalisti religiosi, perché il loro è un nazionalismo che non ha nemmeno una base in un mondo spirituale.
“In questo senso, l’ebraismo può essere visto come offrire un messaggio e le cose giuste possono essere estratte, riappropriate da esso. Proprio come nelle proteste contro il colpo di stato del regime la bandiera è stata rivendicata, suggerisco che il pubblico laico rivendichi l’ebraismo. Non lo getti via. Nel momento in cui viene abbandonato, qualcun altro ne rivendica la proprietà.“
Con me si accende una luce rossa che dice “Qualcuno sta cercando di avvicinarmi all’ebraismo.”
“Capisco, quindi sto chiarendo che sono contro la religiosizzazione in quel senso. Non ti insegnerò sull’ebraismo. In un’occasione, qualcuno mi ha avvicinato e ha detto: ‘Che ebraismo fantastico – forse condurrete le vostre attività anche nella nostra città?’ E le ho detto: ‘Assolutamente no. Sarai tu a organizzarle, nel modo in cui lo capisci tu.’ L’ebraismo come cultura, come ispirazione, come eredità, ci connette identitariamente a questo spazio, e ha anche il potenziale per creare cose belle. Esiste una cosa come l’ebraismo laico.
“Capisco da dove viene – che il pubblico laico si sente minacciato da ogni manifestazione di religione. Ma penso che stia perdendo. Invece di questo, possiamo dire: ‘Sei confuso, io non sono meno ebreo di te, semplicemente lo vedo diversamente. Non è che non voglio l’ebraismo – non voglio il tuo ebraismo.’ E anch’io voglio il mio ebraismo, e voglio che viviamo insieme in pace. Con la mia visione del mondo non voglio costringere nessuno. Non si tratta di avvicinare le persone alla religione, si tratta di avvicinare le persone che nutrono un sentimento ebraico di un tipo o dell’altro a una visione del mondo umanistica.“
