Michael Yosef Sierra
In prima elementare, quando studiavo l’alfabeto, la maestra mi insegnò che la lettera צ in ebraico veniva pronunciata come zadik – un errore comune che viene fatto da vari israeliani per via della lettera ק (kuf) che viene subito dopo. Quando feci vedere a nonno quello che imparai a scuola, lui mi disse che quella lettera si pronunciava zadi. La mia prima reazione fu di sfiducia. Gli dissi: “Ma nonno, la maestra ci ha detto che si chiama zadik. Tu che parli italiano che ne sai?”. Allora non sapevo che il mio ‘nonno rabbino italiano’ era anche un professore accademico di letteratura ebraica. Nonno mi spiegò semplicemente, in modo tranquillo e modesto, che è un errore comune già dall’undicesimo secolo e che non era certo colpa della maestra. Gli dissi: “Domani lo dirò alla maestra” e lui mi rispose: “Glielo puoi dire ma privatamente e non di fronte alla classe”.
Questa è la prima lezione che ricordo di mio nonno e più che essere una lezione di lingua ebraica era una lezione di etica ebraica, del concetto di rispetto dei Maestri e del divieto di הלבנת פנים – il divieto di imbarazzare una persona in pubblico. Negli anni successivi ho imparato tante altre cose da nonno e andare a dormire da lui e nonna era una delle cose che amavo di più. Nonno è mancato qualche mese dopo il mio bar mitzvah e ricordo perfettamente il suo sorriso quando feci la lettura della parashah a casa sua oltre che al Tempio. Sono passati dieci anni ma in questi anni ho imparato anche in sua assenza a conoscerlo un po’ di più. Ho imparato a conoscerlo leggendo e studiando i suoi scritti, pensando ai suoi insegnamenti, praticando le mitzvot su cui ha scritto ma soprattutto tramite le persone che l’hanno conosciuto prima di me. Nonna e famiglia in primis ma poi anche diverse persone che ho conosciuto nel mondo ebraico italiano. Mi capita spesso, sia in Italia che in Israele, di incontrare persone che lo ricordano con affetto. Ognuno ha la sua storia. Può essere un allievo che nonno ha preparato al bar mitzvah, una persona che ha sposato o anche semplicemente qualcuno che l’ha conosciuto ed è rimasto affezionato. Per questo sono grato alla Comunità ebraica di Torino che mi permette con questo convegno di conoscerlo ancora un po’. Seguendo questo ragionamento non posso non pensare alla Ghemarah che parla della morte di Yàakov (Tàanìt 5b). In quella Ghemarah Rabbì Yizchàk dice a nome di Rabbì Yochanan che Yàakov non morì e alla perplessità di Rabbì Nachman risponde che i suoi discendenti e i suoi allievi sono in vita e quindi il suo insegnamento è ancora vivo. Nonno ha avuto l’onore di avere ben tre figli, sette nipoti e tantissimi pronipoti. Questi secondo il Libro dei Proverbi sono la sua corona (nel senso di onore) ma è ovvio che è lui che ci ha onorati e ci onora ancora oggi con il suo insegnamento e la sua figura. La figura di rabbino, professore, studioso, intellettuale e sopratutto nonno.
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