Capitolo 4: Conclusioni
Gli aspetti su cui si è focalizzata l’attenzione nel presente lavoro sono costituiti dalla Corte Suprema, e dal potere da questa esercitato di judicial review.
Pare ora possibile provare a fare qualche breve considerazione di carattere generale e conclusivo.
L’organo che ha sempre esercitato, ed esercita tutt’oggi, il maggior potere in Israele è la Knesset. Ciò è comprensibile perché essa è eletta dal popolo, e come tale ne è considerata la diretta espressione. Questa sua particolare forza mina però uno dei principi che si trovano alla base di qualsiasi sistema giuridico, almeno di western legal tradition, che è quello della separazione dei poteri, perché si è visto, in più di un’occasione, che essa si intromette con estrema facilità nel lavoro del potere giudiziario.
La questione dell’interferenza porta a prendere atto di un altro problema: quello derivante dall’assenza di una Costituzione scritta.
Analizzando il mero dato formale, nemmeno le basic laws degli anni novanta sembrano risolvaere la questione. In realtà non è così; perché, se è vero che dalla Basic Law: Human Dignity and Liberty, l’unica cosa che si potrebbe ricavare è una sorta di Bill of Rights, è però altrettanto evidente che molto più ampie sono state le considerazioni compiute dai giudici della Corte, peraltro supportate dall’appoggio di gran parte della dottrina. Spesso la Corte in poco più di cinquant’anni di vita si era, forse anche perché è stata presieduta da figure di grandissimo calibro e di considerevole carisma, già prima dell’ultima decade del secolo scorso spinta alla ricerca di un testo “superiore” attraverso il quale potersi assicurare compiti, poteri e prerogative che nessuna legge le assegnava. E lo ha spesso trovato nella necessità di tutelare i diritti individuali comunemente riconosciuti.
Perciò qualsiasi sia la risposta che si pensi di poter dare, non va dimenticato che, se anche una Costituzione scritta non c’è, non per questo si può pensare che in Israele non ci siano dei diritti considerati inviolabili, i quali, come abbiamo appena detto, non sono necessariamente quelli previsti dalle basic laws, e come tali facilmente oggetto di particolare tutela da parte della Corte Suprema, ma non solo di essa stessa; anzi spesso si tratta di diritti che i giudici della Corte hanno rinvenuto tanto nelle parole della Dichiarazione d’Indipendenza del 1948, o dal diritto internazionale, quanto in supposti principi del diritto naturale talvolta anche in opposizione all’atteggiamento della Knesset.
Proprio in questa contrapposizione tra poteri, e nella auto-creazione di ulteriori compiti, si inserisce il discorso sul judicial review.
A parte quelle situazioni particolari, e non molto numerose, di basic laws che prevedono una entrenched clause, negli altri casi è difficile per la Corte trovare una giustificazione alle sue decisioni di invalidare degli atti legislativi, indipendentemente da quale sia la loro natura, per contrasto con norme contenute in una basic law. Come si è visto, la Corte lo ha fatto, anche qui, come per la questione precedente, adducendo l’esistenza di diritti “superiori”, ma anche facendo leva sul fatto che la sua giurisdizione non venisse contestata, non solo da esponenti dello Stato israeliano, ma anche, seppur senza alcun riconoscimento espresso, da cittadini palestinesi, in numero sempre più numeroso col passare degli anni.
La Corte però non si è limitata ad esercitare il judicial review solo nei confronti degli atti della Knesset, ma si è spinta fino ad esercitarlo anche nei confronti di comportamenti tenuti dall’eserciti nei territori occupati. Questo potrebbe creare delle serie difficoltà nell’accettare che si tratti di un judicial review, soprattutto ai nostri occhi, perché in fin dei conti gli atti in questione sono semplici atti di natura amministrativa.
Bisogna allora cercare di capire il ragionamento fatto dalla Corte.
A nostro avviso essa, valutato che le previsioni legislative non consentivano espressamente ad alcun tribunale di poter agire nei confronti degli atti in questione, ha ritenuto ancora una volta suo dovere agire oltre i propri compiti per assecondare una richiesta che veniva dalla popolazione, e, come abbiamo visto, non solo da quella palestinese. Perciò la Corte, confermando il suo carattere eclettico e di guida, è andata alla ricerca di giustificazioni normative per la proprie decisioni, trovandole al di fuori della legislazione nazionale; in particolare nella Convenzione di Ginevra IV e nel diritto internazionale bellico.
In questo senso ci sembra opportuno parlare di judicial review anche in questa situazione. Le azioni relative a questo judicial review riguardano molto spesso la violazione di diritti umani; tanto che in data 15 aprile 2003 Israele è stato condannato dalla Commissione dei diritti dell’uomo dell’ONU per i “massacri perpetrati dalle autorità militari d’occupazione” e per “la prassi della liquidazione e dell’esecuzione extragiudiziaria” nei confronti dei cittadini palestinesi9797. Da ciò si evince come la Corte non decida sempre in un’unica direzione, ma questo atteggiamento di prudenza è, o almeno così pare, comprensibile, se consideriamo la particolare situazione politica che da sempre c’è in Israele: basti pensare al fatto che lo stato di emergenza venne dichiarato il 19 maggio 1948 e che, da allora, non è mai stato revocato. Ma anche il fatto che, dalla sentenza del 1999 non ci siano più state significative prese di posizione contrarie ai comportamenti avuti dall’esercito nei territori occupati, trova una possibile spiegazione nella situazione che si è venuta a creare dopo la “passeggiata” del Primo Ministro Sharon nel 2000 alla spianata delle moschee, in seguito alla quale è iniziata una nuova stagione di terrorismo con l’al-Aqsa Intifada.
Un’ultima questione sulla quale vale la pena soffermarsi è quella riguardante la tipologia di judicial review adottata. I testi consultati, e le sentenze di cui si è potuta prendere visione, la maggior parte in via mediata, data la non conoscenza della lingua ebraica, rimandano indubbiamente all’idea di un controllo di costituzionalità accentrato, però con la particolarità che, non esistendo alcun caso in cui ci sia stato un rinvio diretto da una corte inferiore alla Corte Suprema, si potrebbe allora pensare che, sebbene la prassi veda nella sola Corte Suprema l’organo avente il potere di esercitare il judicial review, in realtà nulla impedirebbe a qualsiasi altra corte di fare altrettanto; dando così vita ad un controllo di costituzionalità diffuso.
97 97 Così riporta l’articolo “Israël condamné pour “massacres” à l’encontre des Palestiniens, pubblicato su Le Monde del 17 aprile 2003.