Mistero dell’edizione gaddica del libro dell’eroe del ghetto di Varsavia
Giulio Meotti
Simcha Rotem è una leggenda. E l’ultimo capo dell’insurrezione ebraica nel ghetto di Varsavia ancora in vita. Ha scritto un diario, tradotto in tutto il mondo, sulla sua storia dentro alla rivolta condotta da duecento ragazzi ebrei male armati contro il potente esercito del Terzo Reich. Avevano soltanto pistole e bottiglie Molotov, ma durarono tre settimane, più dell’esercito francese. Rotem non voleva finire in via Stawki, nel binario che portava alle camere a gas di Treblinka. Così prese parte alla prima azione armata su vasta scala nella storia delle occupazioni naziste. Ma il quartiere ebraico venne trasformato in un immenso rogo. E il maresciallo Stroop ne siglò così la fine: “ll quartiere ebraico non esiste più”.
ll diario di Rotem arriva finalmente in Italia, ma con una doppia edizione. Due giorni fa, su Repubblica, Gad Lerner ha annunciato l’uscita del libro per le edizioni Teti con una sua prefazione. Solo che il libro è già in libreria da un mese per un’altra casa editrice, la Salomone Belforte, che pubblica dal 1805. E’ successo che la Teti, storica casa editrice della sinistra, aveva ricevuto da Rotem i diritti di pubblicazione. Poi qualcosa è andato storto e l’anziano sopravvissuto ha ritirato i diritti alla Teti e ha chiesto alla Belforte di pubblicare il libro.
Il diario è curato dalla ricercatrice Anna Rolli e vede la postfazione del professor David Meghnagi, una importante postfazione che doveva uscire per le edizioni Teti. Gad Lerner è da anni il custode del cliché dei rivoltosi ebrei anti israeliani. Nella prefazione per la Teti, Lerner spiega che “ho avuto il grande onore di conoscere Marek Edelman che, a differenza di Simcha Rotem, in dissenso con i sionisti rimase a vivere in Polonia”.
Secondo il professor Meghnagi, si tratta di uno stereotipo. “I bundisti di Edelman, la sinistra ebraica sionista di Anielewicz e la destra ebraica revisionista combatterono tutti assieme nel ghetto”, ci spiega Meghnagi. “Fu come una musica dodecafonica, in cui si suona con accordi diversi. Rotem è l’ultimo rappresentante della prima rivolta antinazista in Europa. Una rivolta e una tragedia avvenute nel più totale isolamento e indifferenza”.
Si odono echi israeliani. “Certo, perché quella rivolta diverrà anche il simbolo della rinascita ebraica nella terra dei padri. Rotem dopo la guerra si trasferisce in Israele, come tutti gli altri sopravvissuti della rivolta del ghetto, vedendo nello stato ebraico il figlio dell’insurrezione”. Non è che le edizioni Teti volevano usare il diario di Rotem in chiave anti israeliana? Volevano proporre in Italia il paradigma Varsavia come Gaza? Sarà questo ad aver spinto Rotem a rompere con la casa editrice? Come scrive Anna Rolli, “Rotem emigrò in terra d’Israele dove il lavoro e l’impegno quotidiano per lo sviluppo economico della patria degli ebrei rappresenteranno anche per lui l’unica cura possibile”.
“E’ il rovesciamento delle vittime di ieri, l’attrazione per le vittime che si fanno carnefici”, ci dice Meghnagi. “Edelman rimase imo all’ultimo a custodire le tombe degli amici a Varsavia e c’è stato il tentativo ben riuscito di usarlo in chiave antisraeliana. E’ il volto del nuovo antisemitismo, in cui concorrono molti fattori: il sovietismo culturale degli anni Sessanta, il terzomondfsmo che ha fatto di Israele il ricettore di tutta l’ostilità antioccidentale, il panarabismo che scaricava su Israele tutti i fallimenti del mondo arabo, e la nuova variante antisemita, che intende trasformare Israele nell’ebreo delle nazioni”.
La grande lezione di Rotem è che uscendo dai sotterranei di via Mila, la roccaforte della rivolta ebrica di Varsavia, si sbuca nell’Israele del 2014.
Il Foglio – 2 ottobre 2014