Giorgio Israel
Ha ben ragione Ernesto Galli della Loggia – quando parla della “tendenza da tempo sempre più forte nelle società occidentali che vede singole minoranze di qualunque tipo […] rivendicare un vero e proprio inedito diritto alla propria onorabilità storico-culturale da proteggere con apposite sanzioni penali” – a sottolineare come essa si manifesti “sull’onda di quanto stabilito da molte legislazioni per gli ebrei”. Questa osservazione si completa con quella del direttore del Foglio quando parla di “quella sinistra che è disposta a condannare chi racconta barzellette razziste contro gli ebrei, ma non quei movimenti islamici che puntano a distruggere Israele”. In un libro di alcuni anni fa (“La questione ebraica oggi”), mi permisi di osservare che le radici e le implicazioni della perversione per cui lo sterminio degli ebrei è divenuto, da modello negativo assoluto, il modello positivo per l’affermazione dei diritti delle minoranze, sono legate a due idee: l’unicità della Shoah e il concetto di genocidio. Questa osservazione mi è costata l’ostracismo delle madrasse culturali, ma sono prezzi che si sa di dover pagare. In sintesi.
Che la Shoah sia stato un evento di proporzioni senza precedenti nella storia non può essere messo in discussione. E’ altrettanto indiscutibile che, per le sue caratteristiche – organizzazione scientifica dello sterminio, politica razziale vista come mezzo per gestire e risolvere le tensioni sociali, negazione radicale dei principi dell’universalismo democratico eccetera – essa sia stata l’emblema e la sintesi dei mali che hanno afflitto il secolo scorso, e che ancora sono lungi dall’averci lasciato in pace. E’ invece inaccettabile e irrazionale affermare che la Shoah sia stata un evento unico dal punto di vista morale, che rappresenti un fatto isolato nella storia umana, senza un prima e un dopo, un evento metafisico, inaccessibile a qualsiasi spiegazione razionale – bensì soltanto con la formuletta della “banalità del male”, uno slogan infelice di Hannah Arendt, giustamente avversato da Gershom Scholem. Un’altra idea infelice è stata l’introduzione del concetto di “genocidio” nel 1944, con l’intento di creare una categoria giuridica più forte di qualsiasi altra, anche di quella di “crimine contro l’umanità”. Il genocidio è un concetto balordo e autocontraddittorio: se non esistono le razze – e non possiamo crederlo a meno di non essere razzisti, oltre che ignoranti – che senso ha parlare della soppressione di ciò che non esiste, se non nell’intenzionalità? E, come si sa, il processo alle intenzioni è cosa altamente discutibile; senza contare che la definizione degli strumenti giuridici con cui sanzionare un simile delitto sono ancor oggi lungi dall’essere definiti. Ma, come dicevamo, il vero movente era quello di creare una categoria di crimine di livello superiore, il più efferato. In tal modo, attribuendo alla Shoah la duplice caratteristica del delitto di genocidio e di unicum nella storia, gli ebrei sono stati dotati di un “privilegio” straordinario e ad essi soltanto riservato. Peraltro, un derisorio, in quanto meramente di principio e che, nei fatti, è rimasto a un livello puramente verbale (anzi, come vedremo, è stato pagato a caro prezzo).
Ma, si sa, i fatti di principio sono quelli che appassionano di più perché, ove si riesca a trarne implicazioni pratiche, se ne possono ricavare grandi vantaggi. E’ accaduto – come ha osservato anni fa l’antropologo francese Jean-Loup Amselle – che dietro all’immagine della Shoah si sia creato un interminabile codazzo di minoranze, gruppi o “etnie”, tutti desiderosi di strappare agli ebrei il privilegio che era stato loro accordato. Questo fenomeno era stato individuato già più di venti anni fa da Alain Finkielkraut, in relazione al concetto di genocidio: “Impadronirsi di questo vocabolo decisivo significa vincere la battaglia del lessico, condizione di possibilità di tutti gli altri trionfi”. E osservava: “Occorre dire che per il mondo che usciva dalle macerie della guerra, non vi poteva essere che una sola definizione di barbarie. […] Dopo Hitler, ogni infame è un fascista, e ogni vittima un portatore di stella gialla: non vi è rivoluzione, rivolta o lotta, per quanto minimo ne sia l’oggetto, che, frugando nel guardaroba del passato, non sia stata posta sotto il segno di quel periodo della storia. Che cos’è, in effetti, l’antifascismo, se non l’estasi di un tempo doppio, una miscela di vigilanza e di parodia, la combinazione di una memoria necessaria e di un mascheramento risibile? ‘La resurrezione dei morti, in queste rivoluzioni, servì a magnificare le nuove lotte’ (Marx). E il genocidio fu annesso, senza vergogna, a questa impresa di drammatizzazione. Fu la poesia della nostra prosa, il supplemento d’anima dei suoi scontri, la conversione del mondo ordinario in mondo tragico, l’ispirazione che permetteva di far uscire i militanti dalle frontiere dell’arrivismo quotidiano. Dalle donne agli occitani, ogni minoranza oppressa proclamò il suo genocidio. Come se, senza di ciò, cessasse di essere interessante, e non potesse essere riconosciuta. Come se la giustizia della sua causa e la validità delle sue aspirazioni fossero tutte racchiuse nella rivendicazione di questo male fondatore. E’ con questa parola, inventata nel 1944 per definire lo sterminio dei popoli, che i gruppi minoritari affermano oggi la loro identità e legittimano la loro esistenza”. E’ così che il “privilegio” degli ebrei di essere stati oggetti di un unicum – Shoah e genocidio –, è stato conquistato dalle “minoranze” che hanno avanzato e avanzano i loro diritti dimostrando di essere oggetto anch’esse di un simile unicum, non importa quanto ormai ridicolmente inflazionato. In particolare, sono i palestinesi a essere stati eletti oggi i detentori per eccellenza del privilegio un tempo appartenuto agli ebrei, a quelli morti s’intende. La più acuta mente di questa operazione è stata Edward Saïd – già capo della madrassa della Columbia University e sommo esponente del multiculturalismo postmoderno – che ha enunciato il seguente brillante sillogismo: l’“orientalismo” (ovvero il razzismo occidentale nei confronti dell’oriente arabo) è antisemitismo (perché gli arabi sono semiti); il sionismo ha definitivamente assimilato gli ebrei all’occidente e quindi essi hanno perso il loro semitismo, sono divenuti degli “orientalisti”, ovvero degli antisemiti; i palestinesi sono i nuovi ebrei e gli ebrei di oggi sono i nuovi nazisti. Ecco allora come la punizione severa delle barzellette antisemite e, soprattutto, lo spargimento di tonnellate di melassa nella Giornata della Memoria possano essere perfettamente coerenti con l’affermazione che gli ebrei buoni sono quelli morti, che quelli vivi sono quasi tutti cattivi, e che i nuovi ebrei sono i palestinesi. Non deve quindi neppure stupire che l’onorevole Diliberto abbia giustificato il suo incontro con il capo di Hezbollah, lo sceicco Nasrallah, con l’intento di lottare contro… l’antisemitismo. Sia detto di passaggio, Nasrallah è quello sceicco che proclama sulle onde della sua televisione Al-Manar: “Morte a Israele, fine di questo ascesso purulento. Sion l’oppressore maledetto sarà sterminato”. Ora gran parte della sinistra, cui Diliberto appartiene, tace o borbotta imbarazzata, ma la vedremo affollare la Giornata della Memoria, con un precipuo intento: che il ricordo serva ad affermare i diritti delle minoranze oppresse. Così, la beffa suprema è che la memoria dello sterminio ebraico serva a tutto salvo che a combattere l’antisemitismo autenticamente pericoloso di oggi – quello che si maschera da antisionismo. Peggio: che serva a giustificarlo. Da ultimo, va detto qualcosa circa la vulgata storiografica che è recente moda nelle madrasse, e che può essere così riassunta. 1) La Shoah è indiscutibilmente un unicum storico. Ne consegue che i delitti del comunismo appartengono a una categoria diversa e, ovviamente, più blanda. 2) Si osservi inoltre che la “vera” Shoah, quella “unica”, non è iniziata subito, bensì soltanto (guarda caso) in coincidenza con l’invasione nazista dell’Unione Sovietica. Perché è qui che si è dispiegata la teoria razzista universale che mirava alla distruzione totale, assieme agli ebrei, dei popoli slavi inferiori. 3) Di conseguenza, il comunismo – sia pure con tutte le sue colpe ed errori – è stato soprattutto vittima, come gli ebrei. E così arriva la seconda beffa: l’unicità della Shoah fornisce la vernice per dare una bella imbiancata al sepolcro del comunismo.
IL FOGLIO – 14-12-04
Giovedì un convegno a Roma
Roma. S’apre domani sera a Villa Madama, con un pranzo offerto dal ministro degli Esteri, il convegno sull’antisemitismo organizzato dall’Anti-defamation League in collaborazione con il Foglio. Giovedì mattina, dopo il saluto del presidente della comunità ebraica romana Leone Paserman e di Elyakim Rubinstein, giudice della Corte suprema israeliana, Abraham H. Foxman, direttore, e Barbara B. Balser, presidente dell’Adl, l’editore di The New Republic, Martin Peretz, l’editorialista del New York Times David Brooks, e il direttore di Ha’aretz David Landau discuteranno del ruolo nei media con Giuliano Ferrara. A mezzogiorno di giovedì, Joshua Muravchik dell’American enterprise institute, il presidente del National Endowment for Democracy Carl Gershman discuteranno con Fiamma Nirenstein, Piero Fassino e Giorgio Israel di antisemitismo e democrazia. Giovedì pomeriggio, dopo i saluti del rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni e del presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, intervento del ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu sulle risposte dei governi all’antisemitismo e incontro con il deputato democratico della Florida Alcee Hastings, il presidente del Senato Marcello Pera, l’ex ministro degli Esteri spagnoli Ana Palacio, il ministro della Giustizia francese Nicole Guedj e l’ambasciatore d’Israele presso la Santa Sede Oded Ben Hur. Concluderanno i lavori l’ambasciatore israeliano in Italia Ehud Gol, il commissario europeo Franco Frattini e il sottosegretario agli Esteri Margherita Boniver.
IL FOGLIO – 14-12-04