Sorrisi, visite in sinagoga e dichiarazioni altisonanti ma, chissà perché, gli archivi del periodo buio continuano a rimanere chiusi
È un premio Pulitzer che riguarda anche l’Italia quello assegnato quest’anno a David I. Kertzer, professore di storia e antropologia alla Brown university, autore di una ricerca dal titolo Il patto col diavolo – Mussolini e Papa Pio XI, le relazioni segrete fra il Vaticano e l’Italia fascista, edito da Rizzoli. Kertzer si è aggiudicato il prestigioso riconoscimento nella sezione biografie battendo la concorrenza di altre due opere: una di Thomas Brothers dedicata a Louis Armstrong, l’altra, scritta da Stephen Kotkin, incentrata su Joseph Stalin.
Del lavoro di Kertzer, anche grazie al Pulitzer, sono stati messi in risalto soprattutto due aspetti: il primo attiene all’impostazione stessa del lavoro, ovvero al percorso narrativo adottato attraverso le biografie di due personaggi, il papa e il duce, messe in stretta relazione tra loro. Il secondo aspetto significativo è invece relativo alla novità della ricerca svolta dall’autore negli archivi vaticani la cui documentazione è ormai accessibile fino al 1939, anno appunto in cui muore Pio XI, sale al soglio di Pietro Pio XII e l’Europa si avvia verso la seconda guerra mondiale (il testo però si avvale anche di ricerche condotte nell’archivio di stato italiano).
A permettere la consultazione dei file riservati conservati Oltretevere, sono stati Giovanni Paolo II e poi, in modo definitivo, Benedetto XVI a partire dal 2006. Intorno a quegli archivi, del resto, si gioca una partita delicata per la Santa sede: quella della ricostruzione del rapporto della chiesa e dei due pontefici dell’epoca – Achille Ratti prima ed Eugenio Pacelli poi – con il fascismo e il nazismo, un tema che ha un punto di caduta decisivo ulteriore nelle leggi razziali.
La chiesa e Mussolini, alleanze e dissensi tardivi
Kertzer, che aveva già studiato la questione del rapporto tra la chiesa e l’antisemitismo, affronta dunque in parallelo l’ascesa di due personaggi chiave della storia italiana ed europea. Le date in questo senso lo aiutano: Pio XI viene eletto nel conclave del 1922, l’anno della marcia su Roma, l’evento originario della presa del potere da parte del fascismo e di Mussolini.
L’intento di Kertzer è chiaro: dimostrare, documenti alla mano – e qui bisogna dire che l’autore produce ampi e diffusi riscontri al suo percorso – che la chiesa sotto Pio XI non solo non si oppose al regime fascista, ma in più occasioni ne favorì l’affermazione, in un misto di timore, complicità, incertezza nel giudicare gli eventi e i tentativi – soprattutto – di salvaguardare se stessa, le proprie prerogative e quelle delle organizzazioni a essa legate, a cominciare dall’Azione cattolica.
Certo il lavoro di Kertzer batte strade in parte note, e tuttavia si avvale di un preciso lavoro sulle fonti; di sicuro non esita a chiamare in causa le responsabilità del Vaticano. Nei capitoli conclusivi del volume, peraltro, l’autore mette anche in luce il malumore e le proteste crescenti di Pio XI verso Mussolini e la sua politica, in particolare a causa dell’alleanza sempre più stretta con Hitler, del nazionalismo esasperato e poi dell’adesione a un antisemitismo feroce. Un capitolo a parte, tuttavia, è costituito in questa storia – come vedremo tra poco – dalle leggi razziali del 1938. Nel succedersi degli eventi narrati emerge inoltre come molti dei collaboratori più stretti del papa, uomini di curia di cui egli stesso si fidava, frenarono in ogni modo qualsiasi tentativo tardivo del papa di dare ampia risonanza pubblica ai suoi dissensi, censurando anche, se necessario, i discorsi del pontefice pubblicati dall’Osservatore Romano (che non era sottoposto al controllo del regime).
Si tratta di personaggi noti per la ricerca storica come il gesuita Pietro Tacchi Venturi, emissario del papa presso il duce, del cardinal Pacelli, il futuro Pio XII, di monsignor Francesco Borgongini Duca, primo nunzio apostolico in Italia. Sotto tale profilo i recenti studi sul periodo e sugli archivi vaticani coincidono con quello di Kertzer. Per esempio, un altro elemento di contrasto tra il papa e Mussolini fu la guerra all’Etiopia valutata come assurda e sbagliata dal pontefice (in questo Pio XI era sostenuto da monsignor Domenico Tardini, che lavorava nella Congregazione per gli affari straordinari). E però anche in quel caso (si veda Il papa non deve parlare di Lucia Ceci) la Santa sede non riuscì a esprimere il suo dissenso forte e chiaro, mentre gran parte del clero italiano cantava le lodi dell’impero.
Il patto segreto tra regime e Santa sede
Tra gli elementi che frenarono in modo determinante l’azione del papa in queste diverse occasioni, al primo posto troviamo la firma dei patti lateranensi, vale a dire la fine della questione romana e la conseguente nascita dello stato pontificio in versione moderna. Tra l’altro il Vaticano ricevette come indennizzo per gli espropri risorgimentali un miliardo e 750 milioni di lire dell’epoca, il “tesoretto” iniziale dal quale nacque nel 1942 lo Ior, la banca vaticana. L’accordo del 1929 fu considerato un successo enorme dalla chiesa e valutato come un evento storico da parte della diplomazia e dell’opinione pubblica mondiale (in questo senso sono interessanti le testimonianze riportate da Kertzer).
E tuttavia il tema delle leggi razziali e dell’antisemitismo ha ancora una volta un ruolo nevralgico. Lo studioso statunitense ha infatti trovato tra le carte degli archivi i riscontri di un accordo segreto sottoscritto fra la Santa sede – nella persona di padre Tacchi Venturi – e Mussolini, a ridosso della promulgazione delle leggi razziali del 1938. In sostanza la chiesa s’impegnava a non criticare pubblicamente le leggi in questione in cambio di un margine di ampia tolleranza verso l’Azione cattolica. In modo vagamente grottesco e conforme al volere vaticano, Mussolini s’impegnava poi “a non rendere le nuove leggi antiebraiche più dure di quelle che gli stessi papi avevano imposto nei secoli passati”.
Un capitolo ancora a parte riguarda la querelle tra regime e Santa sede in merito all’estensione delle leggi razziali ai matrimoni misti, quindi a convertiti, in un crescendo di dettagli inquietanti e illuminanti. Ma il libro produce ancora, in questo senso, un abbondante materiale documentario sulle teorizzazioni antisemite della pubblicistica cattolica più qualificata e ufficiale, dalla Civiltà cattolica, dalla Compagnia di Gesù, all’Osservatore Romano. In questo contesto la figura di papa Ratti che ormai malato e infermo prova a commissionare al gesuita statunitense John LaFarge la famosa enciclica contro l’antisemitismo nazista mai pubblicata (Pio XI morì prima), o i suoi tentativi estremi di pronunciarsi contro l’antisemitismo nazista, appaiano drammatici quanto figli di una contraddizione insanabile tra alleanza con il regime fascista, politica dei concordati (anche con la Germania di Hitler) e necessità di affermare profeticamente la parola del Vangelo. Una materia ancora oggetto di studio per gli storici.
Da Paolo VI a Francesco, inizia la desecretazione
Nei mesi successivi all’elezione di papa Francesco, il rabbino Abraham Skorka, suo amico personale e rettore del seminario rabbinico di Buenos Aires, ha più volte ripetuto che Bergoglio “aprirà gli archivi” vaticani relativi agli anni della seconda guerra mondiale e quindi al pontificato di Pio XII. Una parte di quella documentazione è stata già resa disponibile da Paolo VI, che assegnò a quattro gesuiti il compito di selezionare un’ampia mole di carte relative al periodo per diradare dubbie controversie. Ne vennero fuori 12 volumi noti come Actes et documents du Saint siège relatifs à la seconde guerre mondiale, ma naturalmente gli studiosi chiedono un accesso diretto a tutta la documentazione, anche se è ipotizzabile che neppure questo passo porrà la parola fine a una questione in cui storia e presente s’intrecciano di continuo.
Resta da dire che il concilio Vaticano II con la celebre dichiarazione Nostra aetatechiuse l’epoca dell’ostilità verso gli ebrei e aprì la stagione del dialogo interreligioso. Poi ci sono state le visite di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI alla sinagoga di Roma, le prime aperture dell’archivio segreto. E tuttavia il tema ha attraversato in modo polemico anche il pontificato di Ratzinger. Ora un papa argentino, non legato biograficamente al conflitto europeo, può forse spingersi là dove fino a oggi altri non hanno potuto. Intanto anche Bergoglio visiterà il tempio ebraico della capitale, ma nel frattempo Francesco ha dato pure il proprio consenso all’apertura degli archivi vaticani in relazione agli anni della dittatura argentina (1976-1983), in risposta a una precisa richiesta in tal senso avanzata dalle nonne di plaza de Mayo, un atto che dimostra l’intenzione di andare fino in fondo su una strada di verità e riconciliazione con la memoria.
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