Sergio Della Pergola
La scorsa estate, durante una cena in compagnia dello scrittore peruviano Mario Vargas Llosa che era ospite dell’Università di Gerusalemme, gli chiesi: “Qual è il sogno che lei vorrebbe augurarsi che sognino gli ebrei di oggi?”. Il grande scrittore, che poche settimane dopo avrebbe vinto il Premio Nobel per la letteratura, ci pensò un po’ su, poi mi rispose: “A dire il vero non saprei. Gli ebrei, per lo meno nel mio paese, sono circa come tutti gli altri. Ce ne sono alcuni che si identificano come ebrei, e altri che non si identificano. Quindi non penso che abbiano un sogno particolare”.
Devo ammettere che trovai la risposta davvero deludente. Significava che è possibile essere uno dei più sottili e incisivi interpreti di una certa realtà sociale e culturale (come certo lo è Vargas Llosa nei confronti delle società latinoamericane) e allo stesso tempo essere banale e annoiato nei confronti di una diversa realtà. Tanto più che la mia domanda non si riferiva ai meno di tremila ebrei del Perù ma, posta a Gerusalemme, aveva ben diverse intenzioni. Nei giorni successivi, lo scrittore trovò il tempo per andare a manifestare contro le costruzioni in corso a Gerusalemme Est, dimostrando così di essere ben consapevole dei temi al centro del discorso politico della città. Ma evidentemente dei sogni degli ebrei non gli importava gran che. E il mancato interesse per qualcosa è un modo per significarne la non esistenza. Eppure, almeno a giudicare dalla stampa italiana, si direbbe che gli ebrei esistano. L’esplosione mediatica e politica di questi ultimi mesi ha anzi fatto degli ebrei uno dei referenti principali del discorso pubblico.
Si è già scritto tutto su queste pagine sulle kippòt di Ciarrapico, le barzellette di Berlusconi, le esternazioni modello pre-Concilio Vaticano II del Sinodo dei vescovi del Medio Oriente, le beate scelte parlate o silenziose di Pio XII e l’ultimo feuilletton di Umberto Eco. Un ulteriore indizio del debordamento della presenza ebraica nell’immaginario collettivo viene da una tranquilla frase, che non tutti hanno colto, di un uomo politico solido e pragmatico come il ministro degli Interni Maroni al quale era stata chiesta una data possibile nel caso le elezioni debbano essere anticipate al 2011. La risposta del ministro: “Una settimana dopo la Pasqua ebraica” (che, vedi caso, cade il 18 aprile). Certo, Maroni avrebbe potuto invece dire: “Il 25 aprile”, ma sarebbe suonato molto, molto diverso.
Ecco allora un ulteriore esempio dell’utile polivalenza del riferimento ebraico nel contesto societario generale. Parlare dell’ebreo, sull’ebreo, all’ebreo, pro e contro l’ebreo serve come metafora, come diversivo, come palliativo, e soprattutto come ipertrofico cartellone segnaletico sull’autostrada del bene e del male. Parlare di ebraismo serve anche molto a sviare l’attenzione da altri e ben più complessi temi all’ordine del giorno. Ma se questo può servire a risolvere i problemi degli altri, alla vigilia del Congresso dell’UCEI è legittimo proporre, o almeno sognare, soluzioni che risolvano i problemi nostri. Il primo sogno che vorremmo allora augurare si avverasse per gli ebrei italiani sarebbe che di loro si parli meno, e che magari, se proprio se ne deve parlare, lo si faccia con migliore cognizione di causa. In questa congiuntura, gli ebrei in Italia non sono soli e isolati, ma condividono la loro peculiare esperienza con molte altre comunità ebraiche nel mondo, ma soprattutto in Europa occidentale. Vista questa inevitabile convergenza di situazioni, un secondo sogno sarebbe allora che le Comunità ebraiche italiane riescano a sviluppare un vero e fecondo dialogo con altre comunità nell’ambito della realtà politica dell’Unione europea. Con tutto l’onore dovuto alla dimensione locale delle Comunità ebraiche in Italia, l’entità dei problemi da affrontare oggi va ben al di là degli angusti spazi provinciali e abbraccia l’intera costruzione continentale europea. È indispensabile un orizzonte adeguato nella politica, nella comunicazione e nell’organizzazione comunitaria se si vuol perseguire con maggiore efficienza e modernità gli obiettivi della difesa, della conoscenza, e della diffusione della cultura ebraica. L’ambito dell’Ue, con tutte le sue debolezze e incongruenze, è pur sempre una realtà che si consolida col passare del tempo e influenza la vita di molti. Per raggiungere questi obiettivi sarebbe necessario costruire un sistema completamente nuovo di istituzioni ebraiche rappresentative a livello europeo – fuori dalle venerabili, anzi vetuste, e spesso anacronistiche istituzioni esistenti, governate da interessi americani, israeliani, o addirittura oligarchici russi.
Simmetricamente, sogniamo uno sviluppo molto maggiore del rapporto fra l’ebraismo italiano e la comunità ebraica italiana in Israele. Gli Italkím sono in molti sensi i depositari della cultura ebraica all’interno di una delle maggiori avventure della storia ebraica – il crogiuolo israeliano. L’esperienza degli Italkim va giudicata soprattutto sul piano della continuità del patrimonio di tradizioni, valori, idee, memorie, usi e costumi, e anche manufatti artistici e di culto, trasferiti dall’antica matrice della Penisola alla nuova- antica terra dei Padri. Tutto questo ha coinvolto i singoli, che a loro volta hanno saputo dar vita a una serie di punti d’incontro associativi. Per gli Italkím si tratta del Tempio italiano e del Museo Umberto Nahon, dell’Irgun olé Italia, del Comites, e di altri centri di attività che svolgono un ottimo lavoro.
Ma di fronte al fatto che gli ebrei italiani in Israele, messi a confronto numericamente con le Comunità italiane, sono inferiori solamente alla Comunità di Roma, si tratterebbe di trovare la formula per una collaborazione istituzionale più stabile e permanente. Andrebbe costituito un tavolo di discussione, di scambio, di allerta, di consultazione, di previsione e di pianificazione congiunta fra ebraismo italiano e comunità ebraica italiana in Israele. Le parole d’ordine sono solidarietà e lungimiranza.
E un altro sogno, che va un poco nella stessa direzione, sarebbe quello dell’alfabetizzazione ebraica degli ebrei italiani. Si parla molto di cultura e di identità ebraica, e si fa molto per sviluppare, rafforzare e rinnovare ciò che esiste. Ma senza un vero accesso alla sottostante lingua madre, molti dei concetti divengono incomprensibili, esiste un’illusione di possedere la chiave della conoscenza, ma questa in realtà sfugge. L’ebraico è una lingua di cui molti percepiscono il fascino, e infatti chi appena può, cerca di usare quelle poche parole di cui dispone.
La lingua ebraica, che è effettivamente in crescita nel mondo, possiede la potenzialità di creare una comunicazione globale all’interno di ciò che ancora oggi, nonostante le difficoltà, le negazioni, le censure, le rimozioni, purtuttavia esiste: un popolo ebraico globale.
Un quinto e ultimo sogno – certo un po’ utopistico – è che finalmente si possa giungere a una normalizzazione della situazione, se non a un vero trattato di pace, in Medio Oriente.
Il fatto è che sempre più le modalità dell’identità ebraica e dell’interscambio fra comunità ebraica e società generale in Italia sono condizionate dalla posizione di Israele in Medio Oriente. Nel bene e più spesso nel male, gli ebrei italiani vengono identificati con il fenomeno Israele, del quale obiettivamente essi non sono responsabili, ma che li coinvolge inevitabilmente sia quando si tratta di sostenere sia quando si tratta di criticare. Se solo Bibi e Abu Mazen potessero venire al Congresso UCEI annunciando: “Abbiamo realizzato il nostro e il vostro sogno”.
Pagine Ebraiche, dicembre 2010