Pubblicato su Progetto Dreyfus il 28/11
Siamo tutti profondamente toccati da quanto sta avvenendo in questi giorni in Eretz Israel e dagli ingenti danni arrecati alla natura, oltre ai considerevoli disagi causati alla popolazione civile. Serviranno molti sforzi, denaro e tempo per riportare la situazione al suo stato originario, e per questo è indispensabile il contributo di tutti.
Questo Shabbat abbiamo letto nella Torah la parashah di Chayè Sarah. La prima parte della parashah, come sapete, è dedicata alla descrizione dell’acquisto della grotta di Makhpelah, nella quale la matriarca Sarah verrà sepolta. Questo episodio riveste una particolare importanza, tanto che, secondo alcuni, rappresenta l’ultima delle dieci prove alle quali Avraham fu sottoposto, perché costituisce il primo acquisto di una porzione di Eretz Israel, terra che in precedenza il Signore aveva promesso ad Avraham.
Il patriarca acquisì la grotta da ‘Efron il Chitteo, riconoscendogli per l’acquisto una cifra assolutamente fuori mercato. Ma, oltre alla grotta, la Torah ci segnala che Avraham acquistò anche la campagna circostante e i relativi alberi, i primi alberi acquistati in terra di Israele. Avraham, nella parashah letta la scorsa settimana, una volta stretto il patto con Avimelekh, re dei Filistei (Gen. 21,33) “piantò un tamarisco in Beer Sheva, e là invocò il nome del Signore D. Eterno”. Non serve ricordare che la prima azione divina, una volta terminata la creazione del mondo, fu quella di piantare un giardino, e che il compito dell’uomo era quello di sorvegliarlo. Il midrash (Qohelet Rabbà) narra che “quando D. creò il primo uomo lo prese e gli mostrò tutti gli alberi del giardino di Eden e gli disse: ‘Guarda le mie opere, quanto sono belle e lodevoli. E tutto ciò che ho creato, l’ho creato per te. Fai attenzione a non rovinare o distruggere il mio mondo, perché se lo fai, non ci sarà nessuno a ripararlo”. Tutti noi siamo tenuti a salvaguardare l’ambiente.
Il comportamento divino deve guidare le nostre azioni (Vaiqrà rabbà 25): quando il popolo ebraico entrerà in Eretz Israel dovrà dedicarsi anzitutto, emulando quanto il Signore aveva fatto, alla piantagione di alberi. Il midrash Tanchumà ribadisce il concetto in questo modo: “il Santo, Benedetto Egli sia, ha detto ad Israele: anche se la troverete piena di ogni bene, non dite: ci stabiliremo e non pianteremo, ma state attenti alle piantagioni! Come è detto ‘e pianterete ogni specie di alberi fruttiferi’. Così come quando siete entrati avete trovato piantagioni che hanno piantato altri, allo stesso modo piantate per i vostri figli. Affinché un un uomo non dica: ‘sono vecchio, quanto vivrò? Perché dovrei affaticarmi per gli altri?’… pertanto non ci si distolga dalle piantagioni”. Allo stesso modo nel trattato di Ta’anit (23a) si narra di Chonì, che si imbatté in un uomo intento a piantare un carrubo. Gli chiese ‘quanto tempo impiegherà l’albero a darei suoi frutti?’. L’uomo rispose che avrebbe impiegato settanta anni. Chonì chiese all’uomo allora se veramente pensava di vivere ancora settant’anni. Quest’ultimo rispose ‘ho trovato un mondo fornito di carrubi, e come i miei antenati li hanno piantati per me, così anch’io li pianto per i miei discendenti’.
Nel libro di Devarim l’albero è considerato l’oggetto per antonomasia della distruttività umana, che la Torah intende limitare, anche nei momenti più drammatici e concitati nell’esistenza umana, come quelli della guerra. Per questo la Torah impone di non distruggere gli alberi da frutto durante l’assedio di una città (Deut. 20,19): “quando assedierai una città per molto tempo, combattendo contro di essa per occuparla, non distruggere i suoi alberi colpendoli con la scure, perché solo i suoi frutti potrai mangiare, ma l’albero non lo dovrai tagliare. Infatti è forse l’albero del campo come un uomo che può a causa tua ritirarsi in un luogo fortificato?”. Gli alberi non sono dei nemici, e non hanno modo di difendersi da noi. Da questo comandamento si impara più in generale a non distruggere alcunché senza che vi sia un vantaggio per l’uomo (bal tashchit). Questo denota una cura particolare per tutte le componenti del creato, e in particolare quelle produttive.
Gli alberi sono un elemento fondamentale del creato, non solo per il beneficio che possono arrecare, essendo i loro frutti (Gen. 3,6) “buoni da mangiare”, ma anche perché consentono di riflettere sulle meraviglie della creazione, poiché i frutti sono (idem) “belli da vedere” ed i maestri del midrash hanno cercato di esprimere poeticamente questa predisposizione, affermando (Bereshit Rabbà 13) che è “come se gli alberi parlassero l’un l’altro”. Nel Pirqè deRabbì Eli’ezer (cap. 34) la voce dell’albero da frutto che viene reciso “va da una parte all’altra del mondo, e la voce non viene ascoltata”. Gli uomini non si rendono conto della gravità del loro atto, solo in pochi sono in grado di ascoltare quella voce. R. Yehudah trova negli alberi l’elemento maggiormente rappresentativo per rendere grazia al Creatore; per questo nel mese di Nissan si recita la birkat ha-ilanot, la benedizione degli alberi (TB Berakhot 43b): “Benedetto colui che non ha fatto mancare nulla al Suo mondo, ed ha creato in esso buone creature e buoni alberi, per far godere di essi gli esseri umani”.
La piantagione di alberi è considerata nella tradizione rabbinica un segno di civiltà. R. Yochanan ben Zakkai, che visse ai tempi della distruzione del Tempio, assistendo ai profondi sconvolgimenti di quell’epoca, pulsante di attesa messianica, disse: “se stai piantando un albero e ti dicessero ‘ecco il Messia’, pianta l’albero e poi vai e accoglilo”.
R. Yochanan Ben Zakkai è protagonista di un altro racconto che ha gli alberi al centro. Una volta, mentre R. Yochanan ben Zakkai era in sella a un asino, R. El’azar ben ‘Arakh insistette per ricevere degli insegnamenti relativi al ma’aseh merkavah, “l’opera del Carro”, espressione con la quale ci si riferisce alla tradizione mistica, dottrina destinata solo a pochi studenti. Inizialmente il maestro si rifiutò, ma poi si lasciò convincere; scese dall’asino e si mise ad insegnare su una pietra sotto a un ulivo. Scese un fuoco dal cielo e gli alberi iniziarono ad intonare un canto (Salmi 148,7-9) “lodate il Signore dalla terra… alberi da frutta e cedri tutti”.
Nel primo salmo David paragona il giusto ad un albero (Sal. 1, 3-4): “egli è come un albero piantato lungo ruscelli d’acqua, che dà il proprio frutto a suo tempo e il fogliame del quale non appassisce… non così i malvagi! Essi sono invece come pula che il vento disperde”.
Che gli alberi di Eretz Israel possano presto crescere nuovamente rigogliosi come e più di prima.