In questa parashà viene raccontato che Avraham incaricò il suo fedelissimo servitore, manager dei suoi possedimenti, di andare a Charàn, la città del padre Nachòr, dove aveva origine la sua famiglia, a cercare una moglie per il figlio Yitzchàk. Data l’importanza del compito, Avraham gli fece giurare di non prendere per Yitzchàk una delle figlie dei Cananei, ma di andare “al mio paese e al mio parentado, e vi prenderai una moglie per il mio figlio Yitzchàk” (Bereshìt, 24:4).
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 167) chiede “Per quale motivo Avraham insisteva che il figlio sposasse una ragazza della sua famiglia?“. Egli risponde dicendo che poiché l’Eterno aveva scelto proprio lui dalla famiglia di Nachòr, ci doveva essere qualcosa di buono e di speciale in quella famiglia. La virtù che li distingueva era il chèssed, la benevolenza, che veniva espressa nell’ospitalità. Avraham si distingueva per questa mitzvà. L’ospitalità richiede non solo chèssed, ma anche pazienza. A differenza di altri atti di benevolenza, l’ospitalità richiede pazienza e perseveranza. La pazienza costituisce uno dei tredici attributi divini, erekh appàim. L’Eterno ha pazienza e attende che il peccatore faccia teshuvà. L’ospitalità non è sempre piacevole. Uno straniero entra a casa nostra, talvolta non è raffinato, ha strane opinioni e disturba la nostra privacy. Avraham sacrificò tante cose per accogliere ospiti, senza verificare se fossero raffinati o volgari. Inoltre l’esperienza centrale della vita di Avraham era l’esilio. Questa esperienza insegnò ad Avraham a sentire le sofferenze del prossimo. Per questo voleva alleviare le sofferenza degli altri per quanto gli era possibile.
Anche Lot, nipote di Avraham, si distingueva per questa mitzvà. Quando i malakhìm, gli angeli in sembianza umana, vennero a Sodoma, “Lot che stava alla porta della città, come li vide si alzò incontro a loro e si prostrò con la faccia a terra. E disse: signori miei, deviate verso la casa del vostro servo, passate la notte, lavatevi i piedi e domani mattina riprenderete il viaggio” (Bereshìt, 19:1-2).
Quando il servitore di Avraham arrivò a Charàn e incontrò Rivkà alla fonte, voleva accertarsi della sincerità delle sue azioni. Erano motivate da nobiltà e generosità spirituale o solo dall’etichetta? Le richieste del servitore erano esagerate. Perché lasciò che una giovinetta di quattordici anni, come affermano alcuni dei nostri maestri (r. Shemuel Chassid Shapira, citato in Tosefòt, Yevamòt 61b) andasse multiple volte alla fonte per abbeverare i suoi dieci cammelli? Non poteva farlo fare ai suoi uomini? Ma il servitore voleva esaminare la pazienza di Rivkà. Ed ella diede prova di saper essere ospitale anche se la richiesta era stata esagerata.
R. Israel Belsky (New York, 1937-2015) in Einei Isroel (p. 141) afferma che perfino Lavan, fratello maggiore di Rivkà, che anni dopo si comportò da furfante con Ya’akòv, figlio di Yitzchàk e Rivkà, in questa circostanza appare come un perfetto galantuomo. Invitò il servitore e i suoi uomini con queste parole: “E disse: Entra, benedetto dall’Eterno! perché stai fuori? Io ho preparato la casa e un luogo per i cammelli” (Bereshìt, 24:31). Rivkà non fu influenzata dalla malvagità di Lavàn proprio grazie al fatto che Lavàn si comportava da galantuomo. Nella sua giovane età, Rivkà, giovane e idealista, non si poteva rendere conto del secondo aspetto del fratello maggiore. Assorbì tuttavia l’impressione del comportamento da galantuomo di Lavàn. Aveva quindi le doti necessarie per diventare moglie del figlio di Avraham.